Donne e Risorgimento: una storia taciuta Una storia scritta con l’inchiostro invisibile quella delle donne e dell’Unità d’Italia. Una trama fitta e sottile di presenze operose, generose, importanti anche se taciute, come spesso accade all’agire femminile. Le donne sono presenti attivamente nel processo risorgimentale e vi contribuiscono con atteggiamenti diversi, coraggiosi e innovativi, con scelte di libertà. Ma se le donne ci sono e fanno, una perpetrata omertà della storia e degli storici, non rende loro giustizia. La ricca produzione di biografie femminili moltiplica nell’800 una tradizione che Laura Guidi, docente dell’Università di Napoli, studiosa della storia delle donne e dell’identità di genere, fa risalire al Mulierum Virtutes di Plutarco. Il catalogo biografico femminile è inteso come strumento didattico per la creazione di modelli di diversa virtù con fini politico - ideologici a volte divergenti. Grazie a questa produzione biografica, accanto allo stereotipo della madre educatrice si delineano figure di eroine, di patriote, filantrope ed artiste, che irrompono nella storia con una carica trasgressiva rispetto al modello tradizionale imposto dalla cultura del tempo. Ma quando la studiosa si rivolge ai documenti, agli archivi, alla scrittura ufficiale della burocrazia, allora quello che emerge è l’appannarsi delle identità, lo scomparire dell’agire femminile dietro quello maschile. Così tra le carte dell’Alta Polizia, presso l’Archivio di Stato di Napoli, sulle repressioni del maggio 1848, si fa fatica a trovare i fascicoli riguardanti le donne, come taciute sono le donne ferite di cui non c’è traccia nelle fonti che si riferiscono infatti solo agli ospedali maschili. Esempi questi di un processo di rimozione che crea vuoti e silenzi nella storia del contributo femminile al Risorgimento. Per trovare memoria delle donne, anche di quelle che hanno fatto la storia, la professoressa Guidi ci ricorda che occorre cercare nella sfera delle testimonianze familiari, le lapidi, gli elogi funebri, le lettere, i diari. Ma quale era la condizione della donna al tempo in cui si costruiva l’Unità? Con il Codice Napoleonico emanato nel 1804 e adottato in tutta l’Europa del tempo si rafforza l’idea di una potestà paterna e maritale che relega la donna ad un ruolo subalterno, nel chiuso delle pareti domestiche, assoggettandola all’autorizzazione maritale, tanto che la donna non può procedere a donazioni, ipoteche, acquisizioni, senza il consenso del coniuge. Questa dipendenza totale dal marito negli atti giuridico-economici, si conserva sostanzialmente nel codice Pisanelli del 1865, largamente ispirato al codice di Napoleone, uno dei primi atti giuridici dell’Italia unita. In regime di separazione dei beni anche la dote della sposa passa nelle mani del marito. Le utopie della rivoluzione con i suoi principi di uguaglianza e libertà sono acqua passata ormai e la donna italiana per i successivi cinquanta anni rimarrà silenziosa vestale della famiglia ideale del nuovo stato borghese. L’autorizzazione maritale sarà abolita solo nel 1919 a conclusione della battaglia parlamentare del socialista Carlo Gallini. Esclusa dai pubblici uffici, ma anche dal diritto a esercitare la tutela sui figli, la donna era sottoposta a disparità di pena anche di fronte all’adulterio: rispetto al marito che era punito solo in caso di concubinato, a lei l’articolo 486 del codice penale riservava da tre mesi a due anni di reclusione. I filosofi del tempo teorizzavano la dipendenza della donna dall’uomo facendo appello a metafore di realtà naturali così secondo Gioberti: “La donna, è in un certo modo verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale, o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostentata da sé”. Per Rosmini: “Compete al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore; compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un’accessione, un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata”. Mazzini nell’utopia universalistica della sua visione della realtà ha posizioni più aperte e rispettose dell’importanza del ruolo della donna nella società, anche se ammette l’immaturità dei tempi perché cambi qualcosa e la donna partecipi alla vita politica del Paese: “L’emancipazione della donna sancirebbe una grande verità base a tutte le altre, l’unità del genere umano, e assocerebbe nella ricerca del vero e del progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilite da quella inferiorità che dimezza l’anima. Ma sperare di ottenerla alla Camera come è costituita, e sotto l’istituzione che regge l’Italia [la monarchia] è, a un dipresso, come se i primi cristiani avessero sperato di ottenere dal paganesimo l’inaugurazione del monoteismo e l’abolizione della schiavitù”. È proprio del 1861 la pubblicazione del libro La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale, di quel Salvatore Morelli che primo in Italia sollevò il problema femminile, battendosi durante tre legislature per i diritti delle donne, compreso quello di voto. Ma le sue richieste cadono nel vuoto e di tante proposte di legge passerà solo la n. 4167 del 9 dicembre 1877 che riconoscerà alle donne il diritto di essere testimone negli atti previsti dal Codice Civile. È interessante vedere come l’emancipazione della donna passi per l’esperienza dell’associazionismo che diffonde la pratica del dibattito e della democrazia. In questo senso il salotto è il primo strumento di apertura alla partecipazione e all’impegno intellettuale e civile della donna. Parliamo di personaggi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, il cui livello culturale e l’internazionalità della formazione consentivano di produrre opinioni e confrontarle diffondendo la passione per l’impegno sociale e civile. Nobildonne che aprivano i loro salotti a letterati, patrioti e artisti contribuendo in modo sostanziale alla creazione di un humus fertile alla diffusione dei fervori unitari e risorgimentali. Spesso simpatizzanti delle idee mazziniane, o vicine alla carboneria, come poi lo saranno alla teosofia, alla massoneria, hanno meno combattuto sulle barricate a colpi di moschetto e più lavorato per la costruzione del paese civile. Filantrope più che patriote hanno fondato ospedali, organizzazioni per l’assistenza alle minorenni, hanno aperto asili e scuole per affrancare le donne da quella indigenza di cultura che si traduceva in mancanza di libertà. Nel salotto di via Bigli la contessa Maffei riuniva patrioti e artisti uniti dal desiderio di indipendenza e dall’ardore libertario, quegli stessi che nel 1859 avrebbero imbracciato le armi contro l’aquila Asburgica. Già prima negli anni 20 del secolo XIX l’“emancipata Bianca”, come la chiamò Carlo Cattaneo, quella Bianca Milesi che Manzoni definì “madre della patria”, mostrava di cosa fossero capaci le donne. Legata al gruppo di pensatori patrioti riuniti intorno a Il Conciliatore, la voce più forte del dissenso politico in quel momento, era vicina ai Pellico ai Confalonieri ai Maroncelli ai Berchet. Lei pittrice, allieva di Francesco Hayez, sarà la ritrattista di molti tra i protagonisti del Risorgimento. Avvicinatasi alle idee di Mazzini, Bianca organizza l’accoglienza degli esuli lombardi a Genova e con Confalonieri lavora alla creazione di scuole di mutuo insegnamento per promuovere una unità culturale su cui fondare l’idea di patria. Alla Milesi tocca poi in sorte l’esilio in Francia. Le sottili trame del femminile legano fatti e persone e spesso i destini di queste donne si incrociano o si sfiorano. Alcune entrano nei libri di scuola, come Anita Garibaldi, Giulia Beccaria, compagne di eroi, o astute strateghe dell’intrigo e della politica come la Contessa di Castiglione. Altre contribuiscono con i loro sforzi e le loro idee ad un’azione collettiva e diffusa in cui è difficile far emergere singole individualità. Sono prime forme di associazionismo intorno a veri e propri progetti politici, sono comitati di filantrope dedite ad un progetto sociale, sono gruppi di giornaliste e intellettuali riunite intorno ad un periodico, comitati clandestini di patriote e congreghe dal carattere religioso. Siamo nel 1848 e a Napoli il giornale politico Un Comitato di Donne, promuove la creazione di un comitato per la costituzione di un battaglione femminile. Sempre a Napoli nel 1857 nasce il Comitato politico mazziniano femminile per stabilire i contatti tra i prigionieri politici nelle carceri borboniche e il comitato mazziniano genovese. Se ne occupa quella Antonietta De Pace che aveva già creato importanti collegamenti tra patrioti di Puglia e Campania, aveva preso parte ai moti del ’48, finendo in carcere e nel 1860, sarebbe entrata trionfante a Napoli a fianco di Garibaldi. Lei come altre, dopo le barricate si dedicò alla formazione dei giovani e alla diffusione dell’istruzione tra le donne. Spesso queste storie si colorano di episodi avventurosi e rocamboleschi, e le nostre non sempre famose eroine si destreggiano vestendo il più delle volte panni maschili, nascondendosi sotto travestimenti e false identità. È quanto appare dall’ampia ricerca della Guidi che scandaglia il meridione e le sue eroine. Intanto nei salotti bene di Milano, Cristina Trivulzi di Belgioioso, nobile, ricca, coltissima, capace di riprendersi la propria vita dopo il fallimento del suo matrimonio, finanzia le azioni carbonare e i moti di Modena di Ciro Menotti. Organizza vari ospedali a Roma e dopo l’esilio francese, una volta fatta l’Unità , si impegna nella fondazione di asili. Molte sono infermiere, altre combattenti. Tutte compagne e madri capaci di infondere i principi della rivoluzione per l’indipendenza e l’unità del Paese. Sono ancora due donne, Jessie White Mario, corrispondente del Daily News e Margaret Fuller inviata del New York Tribune, a diffondere gli echi della nostra storia risorgimentale nel mondo, attraverso i loro articoli. Vicine ai patrioti, Jessie White partecipa alla spedizione dei Mille, firma la biografia di Garibaldi e quella di Mazzini, la Fuller racconta dalle barricate le giornate di fuoco della Repubblica romana assediata dalle truppe francesi. Se gli uomini del Risorgimento sono i protagonisti dell’Unità politica del Paese, le donne, nell’ombra, operano alla creazione dell’unità sociale e culturale della nuova e giovane Italia. Nel fare questo, avviano la prima riflessione sulla condizione femminile e con il contributo dei primi giornali femministi, cominciano ad elaborare l’identità della donna dell’Italia unita. A 150 anni siamo ancora in cammino.