u n i v e r s i t à d e g l i s t u d i d i p a d o v a dipartimento di archeologia Iconografia 2006 GLI ERoI DI OMERO Atti del Convegno Internazionale (Taormina, Giuseppe Sinopoli Festival, 20-22 ottobre 2006) a cura di Isabella Colpo, Irene Favaretto, Francesca Ghedini e s t r a t t o edizioni quasar 2007 Antenor quaderni 8 Iconografia 2006 I particolari sono esattissimi, l’architettura è quella del tempo: non dei teloni pitturati alla diavola; ma dei veri e propri materiali di adatte sostanze, sì da dare l’assoluta illusione del vero. Esattissimi pure i costumi (dalla recensione a La caduta di Troia di Gualtiero Italo Fabbri, in «La Cinematografia Italiana ed Estera», n. 15, 15/20 febbraio 1911) La decima Musa inizia assai presto a narrare i poemi di Omero, e il suo canto silenzioso – il cinema è muto – si leva per la prima volta in Italia1 : nello stesso anno, 1911, vengono infatti realizzati La caduta di Troia2 e L’Odissea3 , pellicole allora di grandissimo successo anche internazionale4 e oggi incunaboli del film storico di lungo metraggio5 . I due film trovano un punto di intersezione narrativa nella rappresentazione dello stratagemma del cavallo di legno e della conseguente caduta di Troia. Le mura della città costituiscono quindi un punto di vista privilegiato per l’osservazione, al di qua e al di là della cinta, dell’imagerie omerica nella cinematografia italiana dei primi anni Dieci del Novecento. È in questo momento, infatti, che si fissa in larga parte il canone iconografico di tutte le successive rivisitazioni filmiche della guerra di Troia6 . In tale fase aurorale della cinematografia di argomento troiano gli elementi che concorrono a crearne l’immaginario sono, come si vedrà, principalmente tre. Senz’altro in primo luogo, OMERO E LA DECIMA MUSA: LE MURA DI TROIA 1   Precede soltanto un cortometraggio di Georges Méliès, che seleziona due episodi odissiaci: L’Île de Calypso. Ulysse et le géant Polyphème (1905) (Solomon 1978, p. 66). 2   Regia di Luigi Romano Borgnetto e Giovanni Pastrone; produzione Itala Film, Torino; distribuito dall’aprile 1911. 3   Regia di Francesco Bertolini e Adolfo Padovan, con la collaborazione di Giuseppe De Liguoro; produzione Milano-Films, Milano; distribuito dall’ottobre 1911. 4   Si veda il cospicuo numero di copie d’epoca superstiti nelle quali la presenza di didascalie in lingua diversa dall’italiano indica le principali aree di distribuzione all’estero (La caduta di Troia: Marotto, Pozzi 2005, pp. 104-109: dieci copie; didascalie in italiano, inglese, tedesco, olandese; L’Odissea: Pavone 2004-2005, pp. 19-28: dieci copie; didascalie in italiano, inglese, tedesco). 5   La caduta di Troia: 605 m (visto di censura n. 7892 del 22.II.1915: Marotto, Pozzi 2005, p. 104 e nota 7); L’Odissea: 925 m (visto di censura n. 4901 del 20.10.1914: Pavone 2004-2005, p. 12). Sulle due pellicole, con dati tecnici, breve riassunto, alcuni giudizi critici dell’epoca e immagini, si vedano anche Bernardini, Martinelli 1995, pp. 66-74 (La caduta di Troia) e Bernardini, Martinelli 1996, pp. 27-31 (L’Odissea). 6   Il corpus dei film di soggetto ‘troiano’, sia pure latiore sensu, è del resto piuttosto esiguo: Helena (Manfred Noa, 1924), The Private Life of Helen of Troy (Alexander Korda, 1927), Sköna Helena (Gustaf Edgren, 1951), L’amante di Paride (Marc Allégret, 1953), Elena di Troia (Helen of Troy: Robert Wise, 1956), La guerra di Troia (Giorgio Ferroni, 1961), L’ira di Achille (Marino Girolami, 1962), Il leone di Tebe (Giorgio Ferroni, 1964), Elena di Troia (Helen of Troy: John Kent Harrison, 2003, TV), Troy (Wolfgang Petersen, 2004). Iconografia 2006 270 elisabetta gagetti anche perché patrimonio condiviso – o da condividere7 – con grande parte degli spettatori, è da considerare una conoscenza dell’antico di carattere per lo più manualistico, sì, ma conseguita su testi divulgativi redatti da specialisti, ai più impegnativi studi dei quali, nel caso specifico, si fece comunque ricorso. Seguono poi, con pari importanza per quanto riguarda scenografie e costumi, la tradizione delle mises en scène teatrali e la suggestione della pittura di soggetto antico della seconda metà dell’Ottocento, nell’ambito della quale un ruolo assolutamente di primo piano, per la loro fama anche in Italia8 , hanno le opere di Lawrence Alma-Tadema, tuttora fonte inesausta di ispirazione per pellicole di ambientazione greca, romana e pompeiana9 . I canali di diffusione di tale raffinata imagerie greco-romana erano, com’è noto, assai differenziati e in grado di raggiungere, ancora lungo tempo dopo la creazione degli archetipi pittorici, attraverso mezzi diversi, quali l’editoria scolastica e l’illustrazione popolare – dai libri alle stampe, alle cartoline, all’oggettistica più svariata10 – fasce di pubblico di estrazione sociale e culturale assai eterogenee11 . Non mancano infine sparsi dettagli esotici di sapore orientalista12 ; aggiornate citazioni della moda ‘alla greca’, vitale all’inizio del XX secolo, sia nei costumi di scena13 , sia nelle raffinate creazioni dei couturiers14 ; e suggestioni della pittura contemporanea15 (figg. 1a, 2). 7   Sulla funzione didattica dei film tratti da testi classici, cfr. Brunetta 19932 , p. 152: “I filoni storici, le trascrizioni in quadri dei grandi poemi e delle tragedie classiche … rientrano … nel quadro di ristrutturazione della cultura popolare di fine ottocento-inizio novecento, per cui l’immaginario collettivo è unificato e il sapere prodotto dai libri diffusi a dispense”. 8   Una circolazione indiretta delle opere di Alma-Tadema, riprodotte in incisioni dopo la vendita dell’originale, era incoraggiata dal pittore stesso: vd. Verhoogt 1996, cit. in Blom 2000, p. 284. 9   Appare assai probabile, per esempio, che in una delle ultime scene del Gladiatore (The Gladiator: Ridley Scott, 2000), il duello finale tra il protagonista, Decimus Maximus Meridius, e l’imperatore Commodo, confluisca nell’arena sparsa di petali di rose una triplice citazione dall’opera del pittore: The Roses of Heliogabalus (1888: collezione privata) e Caracalla (1902: collezione privata) per l’idea del tappeto di petali, e, per l’ambientazione nell’anfiteatro, Caracalla and Geta (1907: collezione privata). Li si veda tutti e tre in Barrow 2001, pp. 132-133, p. 176 e pp. 184-185. Un altro recente esempio di ripresa cinematografica della pittura di Alma-Tadema di soggetto greco, notoriamente meno frequentato dal pittore rispetto all’antico Egitto, alla Roma imperiale e alla vita quotidiana a Pompei, è rappresentato dalla corazza brunita portata sul petto nudo, dall’elmo corinzio dal lunghissimo cimiero e dagli alti schinieri, dipinti in A Pyrrhic Dance (1869: Londra, Guildhall Art Gallery; vd. Barrow 2001, p. 46), che in Troy rivestono Achille in un assalto che è divenuto un’icona moderna della guerra di Troia. 10   Di grande interesse è il caso di Quo vadis? (Enrico Guazzoni, 1913). Le scene clou del film, la conclusione del duello gladiatorio tra retiarius vittorioso e mirmillo sconfitto davanti alla tribuna imperiale, e la morte dei martiri condannati ad bestias sono in sé citazioni assai puntuali di due dipinti di Jean-Léon Gerôme: Pollice verso (1874: Phoenix, Phoenix Art Museum) e La dernière prière / Martyrs chrétiens au Colisée (1863-1883: Baltimora, Walters Art Museum), resi molto famosi soprattutto da una circolazione ‘indiretta’ di incisioni e fotografie destinate ad illustrare testi di carattere archeologico, romanzi storici, libri scolastici e cartoline. L’enorme successo del film determinò a sua volta una, per così dire, ‘iconografia di ritorno’, che sfruttava però non più le riproduzioni degli originali pittorici, bensì le immagini della pellicola (sul caso si veda Blom 2000), che arrivarono addirittura ad illustrare in gran copia l’edizione di lusso Treves (1913) del romanzo Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz (apparso in ligua originale nel 1896 e tradotto in Italia a partire dal 1909), del quale il film era, naturalmente, la trasposizione (vd. De Berti 2000a, p. 59). 11   Trasposizioni di testi letterari ‘storici’, come La caduta di Troia e L’Odissea, rientrano nello ‘stile alto’ della cinematografia dell’epoca, caratterizzato da accurate messe in scena e massiccio impiego di capitali (Brunetta 19932 , p. 149), e rispondono “in prima istanza, alle esigenze di un pubblico alto-borghese e non popolare” (ivi, p. 153), all’epoca ancora scarsamente conquistato dal nuovo mezzo espressivo, ma, allo stesso tempo, si rivolgono anche un pubblico popolare con un intento pedagogico-didattico, ben evidente nella selezione, dal materiale letterario d’origine, dei momenti che trovavano rispondenza in una tradizione iconografica già esistente e diffusa. La caduta di Troia è un ottimo esempio di tale tecnica compendiaria, concentrandosi sui tre nuclei narrativi dell’amore tra Paride ed Elena, dello stratagemma del cavallo di legno e della distruzione finale di Troia. 12   Sia nella Caduta, sia nell’Odissea, interni palaziali e domestici sono ampiamente disseminati di pelli di leopardo, di schiavi in vesti egiziane e di flabelli di piume. 13   Nei primi anni del Novecento (1903-1904) si colloca l’esperienza ateniese di Isadora Duncan, durante la quale la danzatrice adottò come costumi di scena adattamenti delle vesti femminili dell’antica Grecia: le sue danze in tali mises e a piedi nudi, ambientate nei luoghi più famosi dell’antica Atene – il Teatro di Dioniso, i Propilei ecc. – sono documentate Iconografia 2006 omero e la decima musa: le mura di troia 271 a b c d e f g h i l m n da una serie di fotografie scattate dal fratello Raymond Duncan. La Duncan venne presto imitata: e non è impossibile che una citazione delle sue coreografie entro cornici archeologiche si colga nella danzatrice che volteggia tra le colonne della reggia di Priamo nell’inquadratura 11 della Caduta di Troia. Per il découpage del film si fa qui riferimento a Marotto, Pozzi 2005, pp. 127-130. 14   Particolare rilievo hanno gli abiti e gli accessori ‘alla greca’ creati da Mariano Fortuny y Madrazo: tra tutti sono da ricordare l’abito “Delphos”, creato nel 1907 sotto la suggestione dell’Auriga di Delfi e il cui modello venne brevettato nel 1910 (Deschodt 2000, p. 96), e il circa contemporaneo scialle “Knossos” (gli studi per i motivi che compaiono sullo “Knossos” indossato dalla moglie Henriette nel ritratto qui a fig. 8 sono datati al 1906: Mariano Fortuny 1999, pp. 123-125, e 253, nn. 1-4). 15   Lo stesso Pastrone, in gioventù si dedicò alla pittura, e il genere da lui prediletto era il paesaggio: pare infatti che imitasse “alla perfezione le tele di [Antonio] Fontanesi” (Giovanni Pastrone 1986, p. 19). Si suggerisce qui un’origine pittorica anche per il modello dell’immagine più straordinaria della Caduta di Troia: favoriti da Venere, Paride ed Elena Fig. 1 - Fotogrammi da La caduta di Troia (a, b, c, f, g, h, i, m, n) e L’Odissea (d, e, l). Iconografia 2006 272 elisabetta gagetti Appaiono insomma in opera, già in questi primi prodotti della cinematografia di soggetto antico, due componenti visive che, in proporzioni variabili e con differenti esiti qualitativi finali, sembrano poi ritrovarsi in tutta la successiva produzione di tale genere cinematografico. Da un lato è la citazione di elementi – architetture, oggetti, costumi – realmente antichi, anche se spesso ‘prelevati’ da epoche o addirittura civiltà diverse da quelle che fanno da sfondo alla specifica narrazione filmica. Dall’altro si trova la voluta introduzione di elementi contemporanei, meno nettamente classificabili, individuabili, in generale, in suggestioni della cultura del tempo: dalla pittura alla grafica, agli allestimenti teatrali, alla moda16 , tra le quali spicca soprattutto la scelta dei volti degli attori e lo stile del trucco e delle acconciature. Gli ‘elementi antichi’ fungono, appunto, da indicatori di antichità che, in quanto tali, devono essere accettati dallo spettatore: la riconoscibilità in primo luogo, dunque, e non l’esattezza archeologica è presupposto per la loro selezione. Gli ‘elementi contemporanei’, naturalmente, hanno invece la funzione di suscitare l’identificazione dello spettatore con le vicende e le situazioni di personaggi che, per quanto lontani nel tempo, gli risultano comunque vicini perché condividono con lui l’atmosfera del tempo e perfino il suo stesso Zeitgesicht. Non ha dunque senso, in tale prospettiva, soffermarsi sugli ‘errori’ dell’immagine dell’antico nel cinema, che all’analisi si rivelano per lo più voluti17 ; mentre assai più interessante, dal punto di vista storico, appare la ricerca delle fonti dell’immaginario cinematografico dell’antichità greco-romana, che apre intriganti orizzonti su quella che potremmo chiamare la ‘cultura antiquaria diffusa’ operante nel momento della produzione di un film di ambientazione antica18 . Le mura di Troia Nella Caduta di Troia, la scena19 della battaglia sotto le mura, nella quale gli Achei che ne tentano la scalata vengono respinti dai Troiani che scagliano grandi massi riparandosi dietro i merli (fig. 1b), è assai simile all’assedio di Troia del fregio interno occidentale della cella dello heroon sono trasportati in volo verso Troia sdraiati all’interno di una gigantesca conchiglia sorretta da amorini alati che reggono faci nuziali (inquadratura 7: fig. 1a). Notevole è il confronto con Fra cielo e terra di Filippo Carcano, esposto proprio a Torino nel 1898: al crepuscolo, una figura umana avvolta in un drappo è trasportata in volo al di là del mare da sei figurette, che reggono i lembi del drappo stesso (fig. 2). 16   Non andrebbe dimenticata la musica – dapprima ‘accompagnamento musicale’ e poi ‘colonna sonora’ del film. 17   Tranne alcune vere e proprie ‘sviste’, che hanno a che fare più con gli inconvenienti di palcoscenico (cfr. per es. Vickers 1992) che con l’inaccuratezza della ricostruzione dell’antico. Attesta la persistenza di un giudizio negativo nei confronti degli ‘elementi contemporanei’ un recente commento di Alberto Boschi su La caduta di Troia e L’Odissea: “Colpisce l’idea di ‘grecità’ che emerge dalla ricostruzione operata dai due muti italiani. … Si direbbe che le scene e i costumi siano stati assemblati pescando alla rinfusa nei magazzini di un teatro dell’opera” (Boschi 2005, p. 19). Cfr., infatti, infra, la nota 45. Sui pretesi ‘errori’, si veda anche Rodighiero 2006. 18   Tale modello interpretativo sembra reggere bene alla prova dell’analisi, sotto il profilo di diverse discipline, di testi filmici sull’antico di epoche assai diverse: si rimanda, per un approccio assai articolato, a Fellini-Satyricon c.s. 19   Inquadratura 11. Fig. 2 - Filippo Carcano, Fra cielo e terra, 1898 (Damigella 1981, fig. 51). Iconografia 2006 omero e la decima musa: le mura di troia 273 di Trysa, così come esso appare riprodotto al tratto nel primo volume (1909) del Répertoire de Reliefs Grecs et Romains di Salomon Reinach20 (fig. 3). Il riferimento non è casuale: come si sa da un carteggio con Gabriele D’Annunzio, infatti, Giovanni Pastrone, regista della Caduta, ricorse ai Répertoires del Reinach anche per Cabiria (1914)21 . Nella scena22 che riprende l’interno del tratto delle mura troiane nel quale si apre la porta che sarà smantellata per lasciare entrare il cavallo di legno (fig. 1c), invece, il modello utilizzato per la cortina in enormi blocchi e per la pseudo-volta ad angolo acuto della porta sono senza dubbio le notissime mura ciclopiche della rocca meridionale di Tirinto, già messa in luce da Schliemann tra 1884 e 1885. Ma è nel film L’Odissea che, all’interno delle mura di Troia, ha luogo un’importantissima innovazione nella rappresentazione della città. Quando ormai le fiamme divampano ovunque23 (fig. 1d), la fuga dei superstiti viene inquadrata tra gli edifici, tra i quali, in lontananza, si apre un portico sorretto da colonne ‘minoiche’, rastremate verso il basso e dal capitello bulboso in una tonalità più scura del fusto24 : appare qui, per la prima volta, l’introduzione di tale ‘indicatore di antichità’ per dare a Troia una caratterizzazione ‘orientale’ rispetto alla Grecia, destinato ad avere enorme fortuna nell’imagerie filmica di Ilio, attraverso Elena di Troia (Helen of Troy: Robert Wise, 1956), fino al recente Troy (Wolfgang Petersen, 2004)25 . Più legato alla tradizione archeologizzante delle scenografie teatrali di fine Ottocento è invece il primo skyline troiano, sempre nell’Odissea, ripreso dalla nave di Ulisse26 (fig. 1e): la cinta merlata, le alte torri, gli edifici colonnati si ritrovano tutti, per citare un esempio volutamente distante dalla produzione dell’Odissea, nel bozzetto delle mura di Anzio realizzato da Lawrence Alma-Tadema negli anni Ottanta per una messa in scena del Coriolano di Shakespeare, nel cui programma di sala si sottolineava l’esattezza archeologica delle scene27 ; e continuano a riapparire, fino alle mura di Troy. 20   Il complesso è raffigurato in Reinach 1909-1912, I, pp. 443-464; cfr. in part. p. 450, n. 1. 21   Lettera di Giovanni Pastrone a Gabriele D’Annunzio, 1 Agosto 1913 (pubblicata in Giovanni Pastrone 1986, pp. 74-75). 22   Inquadratura 12. 23   Inquadratura 7. Per il découpage dell’Odissea si fa qui riferimento a Pozzi 2004-2005, pp. 36-39. 24   È naturalmente impossibile stabilire più precisamente i colori di fusto e capitello, dato che la pellicola, in bianco e nero, è in questa scena d’incendio virata in rosso. 25   Per la diffusione dell’immagine delle mura di Troia attraverso il medium oggi più popolare, la pubblicità, si rimanda al contributo di I. Colpo in questo stesso volume. 26   Inquadratura 8. 27   Barrow 2001, p. 166. Alma-Tadema contribuì alla diffusione dell’immaginario dell’antico anche in ambito teatrale, occupandosi di scene e costumi per numerose produzioni nel corso degli Ottanta del XIX secolo (ivi, pp. 164-169). Fig. 3 - Vienna, Kunsthistorisches Museum. Fregio interno occidentale dello heroon di Trysa: assedio di Troia (Reinach 1909-1912, I, p. 450, n. 1). Iconografia 2006 274 elisabetta gagetti Architetture a confronto. Il palazzo di Menelao e la reggia di Priamo Nella Caduta di Troia, che, va detto subito, è visivamente ambientato in un’indistinta ‘età greca’, l’architettura degli interni del palazzo di Menelao28 è caratterizzata da un elemento immediatamente riconoscibile non solo come ‘greco’, ma, per lo spettatore più avvertito, come specificamente ‘spartano’: le colonne doriche (fig. 1f), che ritornano poi per questo interno in tutti i film successivi, ma in particolare usate come quinta maestosa in Elena di Troia (fig. 4). Se la scalea dai fianchi ornati da bassorilievi con cornici decorate da fioroni metallici deve molto all’iconografia teatrale delle capitali delle antiche civiltà, come, tra le molte, una Persepoli di Antonio Basoli, scenografo che influenzò moltissimo la scenotecnica del secondo Ottocento29 (fig. 5), non manca un dettaglio archeologico: perfettamente riprodotti, si notano da un lato il cosiddetto ‘rilievo di Leucotea’ a Villa Albani, e, come suo pendant dall’altro lato della scalinata, un noto rilievo laconico da Crysapha, con due personaggi in trono dei quali l’uomo in primo piano regge per un’ansa un grande kantha- ros30 . La funzione di ‘indicatori di antichità’ risulta quindi pienamente attivata, nonostante l’originaria funzione funeraria dei due rilievi, la loro diversa provenienza e anche la disparità cronologica tra loro di circa mezzo secolo. La raffigurazione teatrale delle regge orientali, come, a puro titolo di esempio, un fondale di Alessandro Sanquirico per un allestimento scaligero del Ciro in Babilonia rossiniano31 (fig. 6), costituisce un efficace prontuario per l’interno del palazzo di Priamo della Caduta32 . Vengono qui riutilizzate le colonne doriche, ma opportunamente spogliate del loro carattere ‘greco’ mediante l’innalzamento su un alto plinto decorato da una pelta – che in tutta la pellicola è il sema troiano –, la privazione dell’echino e la dotazione di un capitello cruciforme ornato da ghirlande a rilievo, che sorregge l’incrocio di potenti travature (fig. 1g). Greco e non-Greco: due diverse mises La stessa preoccupazione di differenziare senza possibilità di dubbio l’Occidente greco dall’Oriente troiano, così evidente nelle architetture, si ritrova anche nei costumi. Il caso più signifiFig. 4 - Fotogramma da Helen of Troy (1956): il palazzo di Menelao. Fig. 5 - Milano, Museo Teatrale alla Scala. Antonio Basoli. Studio per un fondale teatrale raffigurante Persepoli, 1847 (La Scala e l’Oriente 2004, p. 102, fig. 67). 28   Inquadrature 4 e 10. 29   Vd. La Scala e l’Oriente 2004, p. 208, n. 67. 30   Quest’ultimo è riprodotto in controparte, orientando le figure verso il centro della scalinata. Per rimanere nell’ambito di una documentazione d’antan, li si veda entrambi riprodotti in Reinach 1909-1912, II, p. 376, n. 1 (rilievo da Crysapha: Berlino, Antikensammlung. 540/530 a.C. ca.) e III, p. 153, n. 1 (rilievo ‘di Leucotea’: Roma, Villa Albani. 480/470 a.C. ca.). 31   Vd. La Scala e l’Oriente 2004, p. 207, n. 52. 32   Inquadrature 11, 13 e 26. Iconografia 2006 omero e la decima musa: le mura di troia 275 cativo è il mutamento del guardaroba di Elena. Nella Caduta, quando incontra Paride nel giardino della reggia di Sparta33 (fig. 1h) – giardino che sembra in gran debito, e per architettura e per situazione, verso A Difference of Opinion (fig. 7) di Alma-Tadema34 – Elena indossa un peplo dal lungo apoptygma e porta i capelli raccolti, trattenuti da una doppia benda, intramontabile coiffure ‘alla greca’. Ormai principessa troiana (fig. 1i), Elena abbandona però il peplo per una sorta di cásula in pesante tessuto a ramages, vera uniforme di tutte le regine d’Oriente, da Semiramide a Teodora35 (fig. 8). Quasi all’altro capo dell’arco cronologico dei film su Troia, nella miniserie TV statunitense Helen of Troy (2003), Elena ripete analoga trasformazione, soprattutto nelle coiffures: doppia benda a Sparta, a Troia uno dei diademi del ‘Tesoro di Priamo’36 . Ma anche a Itaca la moda femminile è assai significativa. Nella scena dell’Odissea dedicata allo stratagemma della tela37 , Penelope, che appare in piedi accanto a un telaio correttamente verticale, indossa un’aderente veste senza maniche, vagamente ispirata a un chitone, sulla quale, ed è l’elemento che ci interessa, porta non un semplice himation, bensì un raffinato scialle di stoffa trasparente, molto alto e lunghissimo, tanto da poter essere avvolto più volte attorno al corpo, velando il capo e coprendo le braccia nude, con un bordo decorato da un motivo ‘alla greca’ di sottili volute e palmette (fig. 1l). 33   Inquadratura 5. Elena appare così abbigliata anche nelle inquadrature 2 e 4. 34   1896: collezione privata (Barrow 2001, p. 161). L’ambientazione del giardino della reggia di Sparta, qui e nell’inquadratura 2, risulta inoltre particolarmente significativa, dal punto di vista tecnico, per le possibilità spaziali suggerite dalla profondità di campo (vd. Alovisio 2005, p. 134). 35   Si veda, per es., il costume di Sarah Bernhardt come Teodora in una foto di scena del 1885 da Théodora di Victorien Sardou (Bernabò 2003, fig. 8). 36   La citazione del monile è letterale: vd. Tesoro di Troia 1996, pp. 42-45, n. 11. Per la diretta ispirazione dei costumi a manufatti antichi si veda anche il contributo di M. Salvadori in questo stesso volume. 37   Inquadratura 6. Fig. 6 - Milano, Museo Teatrale alla Scala. Alessandro Sanquirico. Bozzetto per il Ciro in Babilonia di G. Rossini, 1818 (La Scala e l’Oriente 2004, p. 95, fig. 52). Fig. 7 - Collezione privata. ����������������������Lawrence Alma-Tadema, A Difference of Opinion, 1896 (Barrow 2001, p. 161). Iconografia 2006 276 elisabetta gagetti Il richiamo a una delle esclusive creazioni di moda più fortunate di quell’eclettico personaggio che fu Mariano Fortuny y Madrazo, lo scialle “Knossos”, è immediato (fig. 9). L’ispirazione potrebbe essere stata tratta da una rivista di moda o mondanità, ma la citazione acquista una luce particolare se si considera che i membri del consiglio d’amministrazione della casa produttrice dell’Odissea, la Milano-Films, erano tutti persone che “per la loro posizione sociale, per le loro cospicue aderenze, e per i larghi mezzi, sono tra le prime della città”38 , appartenenti dunque a quell’élite che poteva permettersi di acquistare per le consorti degli autentici Fortuny. Ben diversa, invece, era la posizione nel mondo di Giovanni Pastrone: astigiano, figlio di un imprenditore “del commercio dei prosciutti”39 , si diplomò in ragioneria a quindici anni e mezzo ed entrò quindi nell’azienda del padre, coltivando contemporaneamente la passione per il violino, e dedicandosi in seguito, “mosso dall’intento di formarsi una cultura specifica”40 , a vari studi da autodidatta, dall’aeronautica41 alle lingue “imparat[e] da solo nei ritagli di tempo”42 , fino a giungere, nella preparazione di Cabiria, alla visita “a più riprese [del]la mostra cartaginese allestita al Louvre di Parigi” e a un “fruttifero viaggio di istruzione a Saint Louis de Carthagène”43 . 38   Cavallaro 1911, p. 10. Presidente della Milano-Films era il conte Pier Gaetano Venino, vice-presidente il barone Paolo Airoldi di Robbiate, e altri membri erano il principe Urbano Del Drago, il marchese Ramiro Rosales d’Ordogno, il conte Mario Miniscalchi Erizzo, il conte Carlo Porro e il conte Giovanni Visconti di Mondragone (De Berti 2000b, p. 286, nota 6; al lavoro si rimanda per un inquadramento critico della Milano-Films nella cinematografia degli anni Dieci). 39   Il tempo di Piero Fosco, in «Film», 4 febbraio 1935, p. 10, § II. Un’anonima biografia di Giovanni Pastrone apparve, in trentanove paragrafi divisi in sei puntate, ognuna con un titolo proprio, sulla rivista «Film» nei mesi di febbraio e marzo del 1935. Ad essa ci si riferisce negli studi come Vita laboriosa e geniale di Giovanni Pastrone (in origine titolo della sola seconda puntata), ripubblicata integralmente in Giovanni Pastrone 1986, pp. 27-70. Il passo citato è, ivi, a p. 30. 40   Il tempo di Piero Fosco, in «Film», 4 febbraio 1935, p. 10, § IV (= Vita laboriosa e geniale 1986, p. 31). 41   Ibid. 42   Vita laboriosa e geniale di Giovanni Pastrone, in «Film», 11 febbraio 1935, pp. 5-6, § XIII (= Vita laboriosa e geniale 1986, p. 38). 43   1913, Cabiria finalmente, in «Film», 7 marzo 1935, p. 4, § XXX (= Vita laboriosa e geniale 1986, p. 61). La visita fu comunque seguita dall’approfondimento sui cataloghi del Museo (Babelon, Saladin, Cagnat 1899, Delattre 1899, Berger 1900), che fanno parte dei materiali di Giovanni Pastrone conservati presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino. Ringrazio Silvio Alovisio per la preziosa segnalazione. Fig. 8 - La cantante lirica Marie Delna in veste di Semiramide (?), ante 1902 (La tempesta del mio cor 2001, p. 52). Fig. 9 - �������������������Venezia, Museo Fortuny. Mariano Fortuny y Madrazo, Ritratto di Henriette Fortuny, 1935 (Mariano Fortuny 1999, p. 95). Iconografia 2006 omero e la decima musa: le mura di troia 277 Nel costume di Paride (fig. 1i) fondamentale è il berretto frigio, identificato dal cinema come accessorio dei sovrani orientali già nel film Roi Midas della Gaumont (1908)44 , ma largamente ispirato, nell’abbinamento con aderenti anassiridi, alti calzari stringati e sinuoso fodero gemmato (presente, questo, solo in alcune inquadrature), alla pittura di soggetto orientalista, ben esemplificata dal notissimo La Mort de Sardanapale di Eugène Delacroix45 . Il berretto frigio compare come distintivo, dalla Caduta in poi (per es.: Elena di Troia, 1956), anche dei soldati troiani, la cui tenuta sembra derivare, nella Caduta46 (fig. 1m), direttamente dal costume delle Amazzoni47 . Solo così, infatti, si spiega, oltre la machaira e la pelta (persistente ancora nel film del 1956), l’insolita fascia di stoffa, di nessuna funzione evidente, che i guerrieri troiani indossano a bandoliera posata sulla spalla sinistra, evidente trasformazione del lembo del chitone non chiuso sulla spalla destra per lasciare libero il seno corrispondente delle ardite guerriere. Gli Achei, invece, indossano un thorax poikilos dagli spallacci a L, dal quale fuoriescono brevi maniche e un corto gonnellino (fig. 1n), che è quello dell’età arcaica noto, anche all’epoca, da varie stele funerarie48 . La grande varietà dei cimieri dei diversi contingenti greci della Caduta, infine, trova notevole riscontro nelle ricostruzioni (fig. 10) proposte da un diffuso manuale di sostegno alla lettura dei classici ad uso dei licei, pubblicato in Italia nel 1896: Minerva. Guida allo studio dei classici con 88 figure e vari indici alfabetici49 , nel quale è presente un’appendice appositamente dedicata alla ricostruzione del mondo omerico. Non stupirà, credo, ricordare che uno degli autori del volumetto, tradotto in italiano dal filologo Giovanni Decia, fu proprio Salomon Reinach. Elisabetta Gagetti 44   Se ne vedano due fotogrammi, nei quali il copricapo è molto evidente nella brillante tonalità gialla (la pellicola presenta una coloritura meccanica su supporto virato) in Cherchi Usai 1991, fig. 12. 45   1823: Parigi, Musée du Louvre. Non è forse casuale che la Milano-Films abbia prodotto nel 1910 un Sardanapalo, re dell’Assiria, per la regia di Ubaldo Maria del Colle, con la partecipazione del corpo di ballo del Teatro alla Scala (De Berti 2000b, 278). Alla Scala la Milano-Films fece ricorso anche per l’Odissea: dai laboratori del teatro provengono infatti le scene e i costumi. 46   Inquadratura 22. 47   Si veda, per es., Reinach 1909-1912, II, p. 458, n. 2. 48   Cfr., per es., la nota stele di Aristion in Reinach 1909-1912, II, p. 373, n. 2 (Atene, Museo Nazionale. Fine del VI secolo a.C.). 49   Gow, Reinach 1896. Fig. 10 - Tavola raffigurante i tipi di elmo descritti da Omero (Gow, Reinach 1896). Iconografia 2006 278 elisabetta gagetti Bibliografia Alovisio S. 2005, Prove di kolossal: l’invenzione dello spazio in “La caduta di Troia”, in La messa in scena della guerra 2005, pp. 131-154. Babelon E., Saladin H., Cagnat R. 1899, Musée Lavigerie de Saint-Louis de Carthage, collection des Pères blancs formée par le R. P. Delattre… 2e série. Époque romaine. Archéologie figurée, Architecture, Épigraphie, Paris (Description de l’Afrique du Nord. Musées et collections archéologiques de l’Algérie et de la Tunisie, 8, 2). Barrow R. 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