Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via Celetnà (Zeltnergasse a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Hasek, in qualche taverna, proclama ai compagni di gozzovigliache il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell'obbedienza. Praga vive ancora nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso la sua condanna senza rimedio, e perciò il suo malessere,il suo malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua ironia carceraria. Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Vìtèzslav Nezval ritorna dall'afa dei bar, delle bettole alla propria mansarda nel quartiere di Troja, attraversando la Vltava con una zàttera' Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, i massiccicavalli dei birrai escono dalle rimesse di Smìchov. Ogni notte, alle cinque, si destano i gotici busti della galleria di sovrani, architetti, arcivescovi nel triforio di San Vito. Ancor oggi due zoppicanti soldati con le baionette inastate, al mattino, conducono Josef Svejk giù da Hradcany per il Ponte Carlo verso la Città Vecchia, e in senso contrario, ancor oggi, la notte, a lume di luna, due guitti lucidi e grassi, due manichini da panoptikum, due automi in finanziera e cilindro accompagnano per lo stesso ponte Josef K. verso la cava di Strahov al sup- plizio. Ancor oggi il Fuoco effigiato dall Arcimboldo con svolazzanti capelli di fiamme si precipita giù dal Castello, e il ghetto si incendia con le sue scrignute catapecchie di legno, e gli svedesi di Konigsmark trascinano cannoni per Mala Strana, e Stalin ammiccamalèfico dal madornale monumento, e soldatesche in continue manovre percorrono il paese, come dopo la sconfitta della Montagna Bianca. Praga «fu sempre città di avventurieri», si legge in un dialogo di Milos Marten, «per secoli nido di avventurieri senza pietà né legami. Venivano a frotte dalle quattro par,/„ MCfr',v£rÈ?SLAV NEZVAL, Z mého iìvota, Praha 1959, pp. 177-79, e JIRI SVOBODA, Pfìtel Vltèz"iv Nezval, Praha 1966, p. 203. 6 Praga magica ti del mondo a predare, a spassarsela, a spadroneggiare»; «e ciascuno strappava, ingoiava un pezzo della viva polpa di questa misera terra, la quale dava sino a esaurirsi, senza che alcuno le si desse, per ripagarla di ciò che le aveva tolto»J Troppo spesso asservita ed afflitta da ruberie e da soprusi, troppo spesso teatro alla spocchia di prepotenti stranieri, di masnade bruttissime di lanzichenecchi e gradassi, che ne fecero strazio e si lupeggiarono ogni sua sostanza. Quanti grugnì porcini, impacciandosi nelle occorrenze di Praga, vi si sono accampati nel corso dei tempi, squassapennacchi dalle armature dorate e dal gonfio petto tintinnante di cióndoli, fratacchioni di tutte le confratèrnite e prelati del porta inferi, Obergauner che piombavano in side-car, seminando rovina, e machiavellisti e fratelli traditorissimi, e ceffi mongolici come in racconti di Meyrink, e qualche assessore di collegio caucasico, preposto a imbavagliare il pensiero, e ciurme di regolisti e di sgherri che, puntando il mitra, sbaiaffano fagiolate ideologiche, e interi conclavi di generali capocchi, tra i quali sia ricordato, per le innumere placche e medaglie che lo avviluppano, lo zelante Episciòv, coglione in crèmisi. Alla soglia della seconda guerra mondiale Josef Capek, che sarebbe perito in un Lager nazistico, narrò in un ciclo di caricature la storia di due protervi stivali, due neri vìscidi guitti che, moltiplicandosi come le salamandre, spargono per l'universo menzogna, sfacelo e morte3 Ancor oggi pesanti stivali calpestano Praga, ne strozzano l'inventiva, il respiro, l'intelligenza. E, sebbene ciascuno di noi non si stanchi di sperare che queste sciagurate scarpacce, come quelle che disegnò Josef Capek, finiscano tra le cianfrusaglie di Chronos, il Gran Rigattiere, tuttavia molti si chiedono se, data la brevità della vita, ciò non accadrà troppo tardi. Detlev von Liliencron era convinto di esser già vissuto una volta nella capitale boema, non come poeta, ma come capitano dei lanzichenecchi del Wallenstein ' Anch'io ho la certezza di avervi abitato in altre epoche. Forse vi giunsi al séguito della siciliana principessa Perdita che, in The Winter's Tale di Shakespeare, va sposa al principe Florizel, figlio 2 MILOS MAETEN, Nad mèstem (1917), Praha 1924, p. 24. 3 JOSEF CAPER, Diktdtorské boty (1937), in Déjiny zblìzka (Soubor satirickych kreseb), a cura di Otakar Mrkvicka, Praha 1949. Cfr. JAROMIR PECIRKA, Josef Capek, Praha 1961, p. 82. 1 Cfr. OSKAR WIENER, Alt-Prager Guckkasten (Wanderungen durch das romantische Praz), Prag-Wien-Leipzig 1922, p. 87. Parte prima 7 di Polissene, re di Boemia. Oppure come scolaro dell'Arcimboldo, «ingegnosissimo pittor fantastico», che dimorò per molti anni alla corte di Sua Maestà Cesarea Rodolfo II2 Lo aiutavo a dipingere i suoi ritratti compòsiti, quegli inquietanti e scurrili mostacci, rigonfi come di porri e di scròfola, che egli imbastiva ammucchiando frutti, fiori, spighe, paglie, animali, così come gli Incas mettevano pezzi di zucca nelle guance e occhi d'oro ai cadaveri3 Oppure, nello stesso torno di tempo, ciarlatano in una baracca a Piazza della Città Vecchia, spacciavo lettovari ed intrugli ai babbioni e, quando gli sbirri scoprirono i miei ingannamenti, feci un leva eius, tornando da Praga come una gazza scodata, O piuttosto vi giunsi con un Caratti, un Alliprandi, un Lurago, con uno dei tanti architetti italiani, che diedero inizio al Barocco nella città vltavina. Ma se guardo il quadro in cui Karel Skréta effigiò (1653) Dionysius Miseroni con una coppa di ònice in mano, mi sembra di aver lavorato, io che amo limar le parole come pietre dure, nella bottega di questo intagliatore, che fu anche custode delle collezioni imperiali. O forse non c'è bisogno di risalire così lontano: semplicemente ero uno dei molti figurinai e stuccatori italiani, che nel secolo scorso affluirono a Praga, aprendovi negozi di statuette di gesso4. Benché sia più probabile che io appartenessi alla folta schiera di quelli che, a ogni ora del giorno, giravano per le viuzze e i cortili della capitale boema con un organetto, nella cui parte anteriore splendeva un teatrino invetriato. Posavo l'organetto su un tréspolo, alzavo la tela di cànapa che lo ricopriva e, al volgersi della manovella, nella bacheca raffigurante una fuga di piccole sale con sfondo di specchi danzavano a coppie minuscoli vagheggini in marsina e calzoni bianchi, bianche damine con la crinolina e la pettinatura a paniere ed esigui ventagli5 Ma taluni già da lungo tempo mi hanno identificato con Titorelli, l'imbrattatele, il dispensiere di Kitsch, il quale, oltre a ritratti, dipinge paesaggi stenti ed uguali che a molti non piacciono, perché «troppo tristi»6. E c'è chi pensa che io sia stato quel cliente della banca a cui, nel Processo, K., che sa un po' di italiano e si intende di arte, dovrebbe mostrare i monumenti di Praga. L'origine meridionale del cliente, i suoi «grossi baffi grigio-bleu» profumati, la sua «giacchettina stretta e corta», i molti gesti delle sue agili mani mi inducono a credere che qual- 2 Cfr. GREGORIO COMANINI, II Pigino ovvero Del fine della pittura, in Trattati d'arte del Cinquecento, a cura di Paola Barocchi, III, Bari 1962, p. 257. 4 £?• ALFRED MÉTRAUX, Gli Incas, Torino 1969, pp. 66-67. Cfr. IGNAT HERRMANN, Pfed padesàti lety, I, Praha 1926, p. 86. 6 Ctr. «>*