Silenzio. Si ferraö e guardö un attimo il telefono. - Hanno riattaccato - comunicö, con tono incredu-lo e vagamente offeso. Intanto il barista era uscito da dietro al bancone e lo guardava con un certo stupore misto a severitä. - C'e davvero un cadavere? - Diobono, si. E Ii al parcheggio della pineta, quel-lo dove... - Ho capito. Vieni, andiamoci e fammi vedere, poi alla polizia telefono io. II barista prese le sigarette dal bancone, ne accese una mentre guardava Tora, poi usci seguito dall'altro. - Dammi le chiavi, guido io. Inizio L'unica cosa piacevole di un giorno di metä agosto, alle due di pomeriggio precise, quando uno respira aria liquida e tenta di non pensare che alla cena mancano ancora sei o sette ore, ě andare con qualche amico al bar a prendere qualcosa. Ci si siede ai tavolini all'aperto, si sistemano bene i pantaloni dal cavallo bagnato da strizzare, si svapora dieci secondi e poi si ritorna magicamente in sé; il piü in forma del club va dentro, al banco, a ordinäre per-ché il barista scorgendovi vi ha guardato con odio e ades-so sta lavando i bicchieri (o meglio, il bicchiere: lo stes-so da cinque minuti) e quindi, se qualcuno non va dentro a ordinäre, addio. L'importante perö ě che ci sia la brezzettina. Quel filino di vento della giusta intensita, che solle-va lievernente la camicia dalla pelle, ti conta dolcemente le vertebre e ti rinfresca i vani tra le dita dei piedi a cui la ciabatta infradito di plastica ha dato finora ben poco sollievo, ma talmente delicato da non scompigliarti il riporto. L'aroma iodato della brezza marina ti di-schiude le narici, ti convince a respirare e quando l'e-roe che ha fatto le veci del cameriere ritorna, con la ro- 18 19 ba da bere e le carte, l'umore e tomato sereno e il po-meriggio, rispetto a prima, si e accorciato un bel po'. Queste cose sono piacevoli a vent'anni: a ottanta so-no il sale della vita. II gruppetto fuori dal BarLume, nel pieno centro di Pineta, e di quattro vecchietti belli arzilli, del tipo co-mune da queste parti; i due partiti concorrenti, costi-tuiti dai vecchi con bastone e nipotino e dalle vecchie che fanno la calza sull'uscio, non sono numericamen-te all'altezza e se ne vedono sempre meno in giro. Alle mai troppo vituperate soglie del Duemila, Pineta e diventata localita balneare di moda a tutti gli ef-fetti, e quindi la Pro Loco sta inesorabilmente estin-guendo le succitate categorie rivoltandogli contro l'ar-chitettura del paese: dove c'era il bar con le bocce han-no messo un discopub all'aperto, in pineta al posto del parco giochi per i nipoti si e materializzata una palestra da body-building all'aperto, e non si trova piu una panchina, solo rastrelliere per le moto. I quattro devono essere piuttosto amici, a giudicare da come stanno litigando: tre sono assisi con dignita papale sulle poltroncine di plastica, uno e in piedi con un vassoio con sopra un mazzo di carte, un fernet, una birra e una sambuca con la mosca. Uno di quelli sedu-ti si dimena come un tarantolato. Evidentemente, manca qualcosa. - E il caffe? - Non me 1'ha fatto. - Non te l'ha fatto ? E perche ? - Dice che e troppo caldo. - Ma saranno cazzi mia se e troppo caldo o no per bere il caffe? Gia che c'e quel cauterio della mi' figliola a contammi le sigarette, ora anche il barrista ci si met-te a preoccupassi della mi' salute? Ora mi sente!! Ampelio Viviani, anni 82, ferroviere in pensione, discrete ex ciclista dilettante e incontestato trionfatore della gara di moccoli introdotta (ufficiosamente) al-l'interno della festa dell'Unita di Navacchio per ven-tisei anni consecutivi dal 1956, si alza fieramente con l'ausilio del bastone e si dirige garibaldino verso il bar. - Guardali com'e partito stavolta, sembra Ronaldo! - Per come regge il bastone ? Giunto al bancone del bar, si rivolge al barista a bastone spianato: - Massimo, fammi il caffe. Massimo ha la testa china sul lavandino, sul quale sta affettando dei limoni e questa operazione sembra as-sorbirlo totalmente, come un monaco buddista in me-ditazione. Nello stesso modo ascetico risponde: - Niente caffe. Troppo caldo ora. Dopo. Forse. - Sentimi bene, palle, io ho fatto la guerra in Abis-sinia e te credi che qui sia troppo caldo per bermi il caffe? Sempre a testa china, Massimo ribatte: - Non e troppo caldo per berlo. E troppo caldo per farlo. Tu davvero vorresti mettermi li davanti a quel bagno turco a sudare come un bove ? Per un misero, 20 21 striminzito caffě ehe non mi verrebbe nemmeno tan-to buono, con tutta quesťumiditä ? Prenditi un bel tě freddo, te lo of fro io. - II tě freddo, mmm! Se volevo stare male restavo a casa con la tu' nonna a guarda' Michelecucuzza! Io in questo barre 'un ci vengo piú. Massimo alza la testa, finalmente. E sulla trentina, capelli ricci, barba; un aspetto va-gamente arabeggiante, accentuato dal camicione da piráta lungo fino alle ginocehia miracolosamente immune da aloni di sudore. Ha lo sguardo obliquo, imbron-ciato. Alza un attimo gli ocehi al cielo, brevemente, non in modo teatrale. Poi, con lo sguardo nuovamente sui limoni, risponde: - Guarda, nonno, ehe questo ě ľunico bar di tutta Pineta dove ti sopportano, e questo unicamente per-ché ě mio. Indi per cui se vuoi il caffě aspetti due o tre ore, tanto a lavorare te non ci vai. - Dammi una grappa, accidenti alia mi' figliola. Ampelio ě tornato di nuovo al tavolo; Aldo, quel-lo del ristorante Boccaccio, ě li ehe mescola le carte e chiede: - Scopa, briscola, tressette? Gli altri due avventori seduti al tavolo alzano la testa; esordisce Gino Rimediotti, 75 portati male, pensionáte delle poste, col suo solito: - A me va bene tutto. Mi bašta ďun gioa' in coppia con lui li. - Ganzo, lui. Siccome ě sempře colpa mia... - Ě bene colpa tua! 'Un ti ricordi mai ehe carte so-no uscite nemmen se ťimpiccano. - Gino, io ti voglio bene, ma stammi a sentľ: uno come te, ehe fa delľammicchi ehe sembra abbi inghiotti-to la ghiaia, dovrebbe sta' zitto e bašta. Quando peschi il tre uno pensa ti debba venľ un infarto. Se n'accorge la gente dentro il barre delle briscole ehe hai in mano. II quarto uomo si chiama Pilade Del Tacca, ha assi-stito al placido scorrere di settantaquattro primavere ed ě felicemente soprappeso. Anni di duro lavoro al Co-mune di Pineta, in cui se non fai colazione quattro volte per mattina non sei nessuno, lo avevano forgiato sia fisicamente ehe caratterialmente: infatti, oltre ehe ma-leducato, era anche un rompicoglioni. Aldo smette di mescolare; il momento e eruciale. Con voce neutra, spiega ehe non ě possibile ehe tutte le volte debba decidere lui o Ampelio, e ehe poi tutte le volte il Del Tacca si lamenti «perché si sceglie noi. O sce-gliete voi, o sennô si f a qualcos'altro». Ampelio dice «a me va bene scegliere, ma se non va bene si puô anche cambiare le coppie». II Del Tacca chiede «se non va bene a chi?», Gino suggerisce «alia puttana di tu' madre, a chi, a tutti no?». E ľaria si fa pesante, la brezza non si sente piú. Nel silenzio, Massimo esce dal bar, prende una seg-giola e si unisce al gruppetto. Accende la sigaretta, prende le carte e fa: - Ho lasciato la ragazza dentro da sola, tanto a que-st'ora non c'e nessuno. Vi va una briscola in cinque? 22 23 Non c'e nemmeno bisogno di scambiarsi un'occhia-ta; gli occhi si fanno vivi, i bicchieri vuotati, gomiti sul tavolo e via. Va sempre bene, la briscola in cinque. Circa sei mesi prima, la voce di Ampelio sovrastava come al solito ogni rumore all'interno del bar, abilmente pilotata lungo i tortuosi tornanti intellettuali del pen-sionato che non perdeva occasione per comunicare ur-bi et orbi le sue opinioni su qualsiasi cosa: - Quello che non capisco ě cosa ci trova la gente! Ti rinchiudano in uno stanzone con la musica a tutto bórdone, tutti pigiati l'uno coll'altro, invece di balla' devi dimenarti come se t'avessero messo la sabbia nel-le mutande, e alia fine esci tutto rincoglionito. E per fatti tratta' cosi ti fanno anche paga'! Dimmi te se ě regolare... - Nonno, innanzi tutto abbassa la voce e smettila di fare casino. Grazie. Poi a te cosa te ne frega se uno si vuo-le divertire come pare a lui ? Fa del male a qualcuno ? Ampelio appoggió il bicchiere e continue* a borbot-tare fra sé e sé: - Mh, fa der male a qualcuno! Da sé si fa der male, da sé. Ma dio, se voi senti' tutto che rimbomba pren-diti a mattonate sur cranio, almeno ě gratis... Aido si alzó in piedi per prendere l'accendino nella tasca del cappotto. Era il giorno di chiusura del Boccaccio e lui, vedovo spensierato e di compagnia, la sera anda-va al bar dove era sempre sicuro di trovare qualcuno. - II problema - disse mentre cercava di prendere l'ac- cendino senza far crollare il cappotto dall'attaccapan-ni - ě che tanti ragazzi ora si divertono solo se quel che fanno costa tanto. E sempre usato, intendiamoci. E un modo come un altro per fare i ganzi, far vedere che hai i soldi. Solo che le mode cambiano. Ora, per mia fortuna, va di moda fare finta di intendersi di vino, cosi tu vedessi quanti ragazzotti entrano nel dopocena, prendono la lista dei vini e poi ti chiamano: «Mi ber-rei volentieri un...» e magari ti scambiano il no me della fattoria con quello del vino, oppure vogliono un Chianti dell'ottantasette che se uno se ne intendesse un minimo saprebbe che un Chianti dell'ottantasette al massimo lo puoi usare come combustibile, e poi come se non bastasse ci mangiano i formaggi col miele. II difficile ě dargli ragione senza ridere. - E te dovresti dirgli che non capiscono una sega -intervenne Pilade col garbo consueto - e poi spiegargli un po' di cose ammodino, cosi piano piano imparano. - Cosi piano piano imparano, si, ma ad andare da un'altra parte - replicó Aldo. - Questi non vogliono bere bene e mangiare bene, vogliono far vedere che se ne intendono e che sono ganzi. Facciano un po' quello che vogliono. Io vendo vino e cibo, mica discorsi. Una cosa andava riconosciuta; quando Aldo affermava di vendere cibo e vino senza fronzoli aveva perfetta-mente ragione. II Boccaccio aveva a sua disposizione una cantina sterminata, con particolare predilezione per il Piemonte, e una cucina eccezionale. Punto. II servi-zio era preciso ma informale e la qualitá delle suppel-lettili non era ricercata; inoltre, se per caso uno mani- 24 25 festava qualche disappunto riguardo al cibo, la cosa tro-vava sempre modo di arrivare all'orecchio dello chef de cuisine, Otello Brondi detto Tavolone. Detto perso-naggio, pur dotato di innegabile talento nell'arte api-ciana, non era stato pero molto benvoluto dalle Muse sotto tutti gli altri aspetti, per cui il critico si trovava spesso a lato del tavolo un metro cubo di pancia di cuo-co, guarnito da due avambracci grossi e pelosi come or-si, che gli chiedeva «Come mai 'un ti garba?» con to-no non esattamente servizievole. Aldo si accese la sigaretta, poi riprese: - Io personalmente detesto i posti dove se ordini un vino non perfettamente in linea con quello che hai pre-so da mangiare o se tenti di uscire dai crismi delia Gastronómia con la g maiuscola ti trattano da pellaio e ti dicono «Ma nooo, perché ti vuoi sciupare cosi la sella di coniglio disossato con il flan di fagiolini e anacardi ? Se mi dai retta...» o anche peggio. Conosco posti dove non ci sono vie di mezzo, o sei un intenditore e al-lora il padrone ti adora e tutte le volte ti fa fare un'en-trata che nemmeno Wanda Osiris, oppure sei un fe-tecchione che di vini non ci capisce una mazza e allo-ra ti f anno capire nemmeno troppo velatamente che uno come te dovrebbe stare a casa sua e non andare 11 a rom-pere tanto, che c'é gente che aspetta. I tuoi quattrini gli vanno bene, tu no. II silenzio accolse questo discorso. II mercoledi non era mai un giorno di grosso movi-mento ed inoltre fuori c'era un vento taglientissimo, che ogni tanto scoperchiava i bidoni della spazzatura e strofinava i rami, ululando di tanto in tanto da sot-to alia doppia porta a vetri. Solo il rumore dava l'idea del freddo che doveva esserci fuori. Massimo non ne poteva piú di stare dietro il banco a far finta di fare il barman, cosi usci dalla porticina e fece un timido tentativo di levarsi di torno i vecchi -tanto simpatici, ma dopo un po' non ne puoi piu - per poi chiudere e andare a casa. - Sara piu divertente comunque andare in discote-ca che giocare a carte. Non ve la siete fatta la partiti-na stasera ? - disse mettendo furbescamente al passa-to la serata e cercando cosi di far intendere che stava per chiudere. - Toh, hai ragione, siamo sempre in tempo - disse Ampelio. - Ma siamo in cinque - disse Massimo mentre si ma-lediceva fra sé. - Ora, che io a mezzanotte passata ten-ga aperto per vedervi giocare a carte ve lo scordate pa-recchio, e giochi per cinque persone mi sa che non li hanno ancora inventati. - Te sarai laureato, Massimo, pero sei dimolto ignorante. A briscola in cinque non ci hai mai giocato? - No... - Non hai mai giocato a briscola in cinque ? O Ampelio, ma cosa gli insegnavi al nipote quand'era piccolo ? - A chiedere tre volte la cioccolata a nonna e a dar-gliene mezza a lui, che gliela contavano per il diabete. - Pero. Sembra scemo, tuo nonno. Senti, ti va di pro-vare? Ti assicuro che ti ci diver ti. Non ho mai cono- 26 27 sciuto nessuno che non si diverta, a briscola in cinque. Massimo ci pensó su. Fuori faceva un freddo bestia e l'idea di uscire non era in effetti cosi attraente. Cosi imparo a fare il furbo, pensó, ma in fondo in fondo l'idea di scansare il freddo per un altro poco non era male. Ando a prendere le sigarette mentre fuori il vento faceva fischiare le serrande, e i lampioni oscillavano for-zatamente illuminando la strada solo a folate dando al-l'esterno un aspetto veramente spettrale. Si preparó un caffě senza chiedere agli altri se lo volessero, andó al tavolo e si sedette allungando le gambe. Poi mise i go-miti sui braccioli della sedia, accese la sigaretta e dis-se: - Prego. I quattro presero la loro seggiola e si accomodarono al tavolo senza le solite ghirlande di improperi, anzi, con un atteggiamento decisamente diverso: qualcosa a metá tra il compiaciuto e il concentrato, come se fos-sero depositari di un grande segreto e fossero conten-ti di aver trovato qualcuno in grado di apprezzarlo. I pantaloni venivano sistemati, le maniche tirate su e le sigarette messe con gesto sacrale sul tavolo, come a sottolineare a se stessi che ce ne sarebbe stato un gran bisogno. II tipico atteggiamento di chi si pre-gusta qualcosa. Anche l'umore di Massimo, guardandoli, era virato: man mano che i vecchietti si sistemavano aveva co-minciato a provare una sensazione. Capita, talvolta, quan-do sei bambino piccolo, che i bimbi přu grandi ti dica-no di andare con loro a giocare: da soli, senza che le mam- me ce Ii costringano. E come essere ammessi a un nto, qualsiasi puttanata facciate ti diverti tantissimo, e ti re-sta una giornata da ricordare. Per un microsecondo si chiese se trovare divertente l'idea di giocare a carte con quattro vecchietti non fosse un sintomo di qualcosa di strano, ma scacciö subito la domanda. Potrö decidere perlomeno quel che mi piace ?, pen-sö, e si concentrö sul Gran Sacerdote che gli stava per dischiudere i cancelli del Tempio. - Allora - disse Pilade che fungeva da cerimoniere -funziona cosi: aü'inizio si danno le carte, tutte in una volta, otto per uno. Poi, si fa l'asta. Ognuno dichiara, a turno, con quanti punti crede di poter vincere in ba-se alle carte che ha in mano. Mi spiego: l'asta parte da sessanta, il primo dice «Vinco con sessantuno», il se-condo «Vinco con sessantatre» e cosi via, fino a che uno fissa un valore talmente alto che gli altri lasciano. Chi vince ha il diritto di scegliere la briscola, in que-sto modo: mettiamo che tu abbia asso e tre a denari, mi segui? - Si, si, ti seguo. - Allora ti conviene chiamare il regio a denari. Dici «Regio a denari» e cosi stabilisci due cose: uno, che la briscola e denari. Due, che il tuo compagno per quel-la mano e quello che ha in mano il regio a denari. Gli altri tre sono contro. Per vincere devi fare, in due, i punti che hai dichiarato all'inizio. Vincere l'asta conviene perche scegli la briscola, ma devi giocare a vincere mentre gli altri giocano a farti perdere. Inoltre sei due contro tre. 28 29