Quarantasei Rallentatore. Un fotogramma alia volta. II pubblico ministero conclude la sua requisitoria e si siede. II presidente mi dice che posso procedere alia mia discussione. Mi alzo lentamente dopo avere in-dugiato un po'. Mi sistemo la toga sulle spalle con il solito gesto. Poi mi aggiusto il nodo della cravatta. Pren-do un foglio con i miei appunti. Poi ci ripenso e lo ri-metto sul banco, fra le altre carte. Sposto indietro la sedia, giro attorno al banco, fin quando me lo ritrovo alle spalle. I giudici sono davanti a me, e mi guardano. Io penso a molte cose che con il processo non han-no niente a che fare. O forse si, ma in un modo che e difficile spiegare, anche a me stesso. Penso che comunque vadano le cose, dopo il processo mi ritrovero solo. Penso che non rivedro mai piu la bam-bina. Mai piu come bambina, almeno. Magari la incontrero fra molti anni, per strada, ca-sualmente. La riconoscero di sicuro. Io avro i capelli bianchi - ne ho un po' gia adesso, del resto - e lei mi 274 passerä davanti senza nemmeno accorgersi di me. E per-ché dovrebbe, poi ? Dov'e Margherita, adesso? Che ore sono a New York? Rallentatore. II presidente si schiari la gola con un colpetto di tos-se. E ďun tratto il tempo riprese a muoversi normal-mente. Anche le persone e gli oggetti di quell'aula ri-presero una consistenza reale. Diedi un'occhiata all'orologio e cominciai a parlare. «Grazie presidente. II pubblico ministero ha ragio-ne. Dovete decidere applicando, come sempře, un cri-terio rigoroso di valutazione delle prove. Ha ragione quando vi parla, in termini teorici, di metodo. Cer-cheremo adesso di verificare in concreto, rispetto allo specifico caso di cui ci stiamo occupando, se da premesse condivisibili sia giunto a conclusioni accettabili». Mi voltai verso il banco e ripresi il foglietto con i miei appunti. «II pubblico ministero, citando la cassazione, ci ha det-to... mi sono annotato le sue parole... la cassazione ha chia-rito che la prova indiziaria deve consentire la ricostruzione del fatto in termini di certezza tali da escludere la prospet-tabilita di ogni altra ragionevole soluzione. Non deve inve-ce escludere anche le possibilita piü astratte e remote. Se cosi fosse non si dovrebbe piü parlare di prova indiziaria, ma di dimostrazione per absurdum secondo regole che sono pro-prie solo delle scienze esatte, la cui osservanza non pub es-sere pretesa nell'esercizio dell'attivita giurisdizionale. «Giusto. 275 «Non ě possibile, in sostanza, per escludere la fon-datezza di una ipotesi d'accusa, concepire alternative di fantasia, o comunque di pura congettura. II pubblico mi-nistero, sviluppando questo concetto, ha affermato che davanti a una astratta pluralita di spiegazioni ě neces-sario preferire quella capace di inglobare tutti gli indi-zi in modo coerente. Tagliando fuori cioě le ricostru-zioni fantasiose o meramente congetturali in base a -attenzione perché ě qui che si annida la debolezza del-ľargomentazione delľaccusa - un criterio di plausibi-litä elaborato in termini statistici, cioě di probabilita. «La plausibilitä, nelľaccezione del pubblico ministero, significa compatibilitä con una sorta di copione della normalita, elaborato in base a ciô che avviene di regola, o meglio di so lito. «Ciô che awiene di solito, in presenza di dati elementi di fatto, diventa dunque il criterio per decidere in un ul-teriore specifico caso che cosa puô essere accaduto». Mi stavano ascoltando, tutti e tre. E, incredibil-mente, il piu attento sembrava Russo. Passai a riepilogare tutto quello che era emerso nel-l'istruttoria, davanti alia corte. Non ci misi troppo. Era-no prove acquisite davanti a loro, le conoscevano bene quanto me, e quel riepilogo mi serviva solo per in-trodurre il mio argomento principále. «Che facciamo, alia fine dei conti, nei procedimen-ti penali? Noi tutti, dico. Poliziotti, carabinieri, pub-blici ministeri, awocati, giudici ? Tutti raccontiamo sto-rie. Prendiamo il materiále grezzo costituito dagli in-dizi, lo mettiamo insieme, gli diamo struttura e senso 276 in storie che raccontino in modo plausibile fatti del pas-sato. La storia ě accettabile se spiega tutti gli indizi, se non ne lascia fuori nessuno, se ě costruita in base a criteri di congruenza narrativa. «E la congruenza narrativa dipende dalľattendibilitä delle regole di esperienza che utilizziamo per risalire dagli indizi alle storie che raccontano i fatti del passato. Storie che in un certo senso - in senso etimologico -dobbiamo inventáre. «Vediamo in breve quali sono le due storie che si pos-sono raccontare in base al materiále narrativo emerso dal processo. «La storia raccontata nella sentenza di primo grado ě semplice. Paolicelli si procura un grosso quantitative di droga in Montenegro; cerca di introdurre questa droga sul territorio nazionale avendola nascosta sulla sua autovettura. Viene scoperto e arrestato. E fra ľal-tro confessa. «Questa storia viene costruita in base a un solo significative dato: il reperimento della droga sulla mac-china di Paolicelli al posto di frontiera. Per passare dal fatto certo (presenza della droga sulla macchina di Paolicelli) alia sequenza incerta di fatti del passato, che co-stituisce la storia raccontata nella sentenza di primo grado, ě necessario compiere una operazione logica. «Come faccio a dire che la storia accaduta nel passato ě quella che ho raccontato ? Applicando al fatto certo del reperimento della droga sulla macchina di Paolicelli una regola di esperienza, che potremmo sinte-tizzare in questo modo: se qualcuno ha un quantitati- 277 vo di droga a bordo della sua macchina, quella droga e sua. «Si tratta di una regola di esperienza altamente af-fidabile. Corrisponde al senso comune. Normalmente se ho qualcosa a bordo della mia autovettura (e in par-ticolare qualcosa di grande valore) questo qualcosa mi appartiene. E una regola di esperienza. Ma non e una legge scientifica, e ammette delle alternative. «La pubblica accusa aggiunge poi, e ha ragione, che i nuovi elementi emersi nel dibattimento di appello non sono incompatibili con questa storia». Lanciai uno sguardo al pubblico ministero, prima di proseguire. «Vediamo adesso quale altra storia e possibile rac-contare in base agli elementi a nostra disposizione. «Una famiglia va a trascorrere una settimana di vacanza in Montenegro. Di notte la loro autovettura rimane nel parcheggio dell'albergo e - per il caso ci sia bisogno di spo-starla - le chiavi vengono lasciate al portiere. La notte prima della partenza le chiavi vengono prese da qualcuno. «Qualcuno che certamente sa che Paolicelli e la sua famiglia l'indomani torneranno in Italia, con quella mac-china. «Questo qualcuno, con i suoi complici, smonta la scoc-ca della macchina di Paolicelli - della moglie di Paolicelli, per la precisione - e la riempie di droga. Poi ri-mette tutto a posto, macchina e chiavi. E un buon si-stema per effettuare una operazione molto lucrosa n-ducendo al minimo i rischi. Un'operazione che coinvolge un gruppo organizzato, dedito a questi traffici in mo- do professionale, con ripartizione di ruoli e compiti. E certamente fra questi compiti c'e quello di controllare che il trasporto vada bene, seguire il corriere inconsa-pevole, provvedere al recupero della droga una volta giunta in Italia. Recupero verosimilmente da effettuare con un furto mirato della vettura stessa. «A1 posto di frontiera, a Bari, qualcosa non va per il verso giusto. I finanzieri trovano la droga e arresta-no Paolicelli che, detto per inciso, rende una dichia-razione confessoria in totale assenza di garanzie e dun-que del tutto inutilizzabile, al chiaro, unico scopo di evitare almeno l'arresto della moglie. «Subito dopo l'arresto qualcuno, in circostanze quan-tomeno bizzarre, suggerisce alia moglie di Paolicelli di nominare un avvocato di Roma. Questo avvocato ha vissuto una brutta vicenda processuale in cui ě stato ar-restato, imputato e poi assolto per il reato di associa-zione finalizzata al traffico di stupefacenti. Questo stesso avvocato ha frequentazioni private non chiare con un signore che - ce lo dice lo stesso Macri - ě coin-volto in procedimenti per traffico di stupefacenti. Questo signore, singolarissima coincidenza, viaggiava sul-lo stesso traghetto di Paolicelli. «Potrebbe essere, certo, come ipotizza il pubblico ministero, che questo signore e Paolicelli fossero complici nel traffico illecito. «Anche se dobbiamo dire che esiste almeno un ele-mento forte che contrasta con questa ipotesi. Nel fa-scicolo sono contenuti i tabulati del telefono cellulare delľ imputato e anche di quello della moglie, per tutta 278 279 la settimana precedente ľarresto. Furono giustamente acquisiti per tentare l'identificazione di possibili com-plici, ma dal relativo esame non ě emerso niente di ri-levante. Ci sono pochissime telefonáte in quella settimana, quasi tutte fra i telefoni dei due coniugi, nessuna verso numeri montenegrini. E nessuna verso utenze ri-feribili a Romanazzi, ché se i finanzieri ne avessero tro-vate, essendo il Romanazzi soggetto schedato per fat-ti di droga, non avrebbero mancato di evidenziarlo. In-vece nella nota di trasmissione alia procura di quei ta-bulati c'e scritto semplicemente che nulla di rilevante ě emerso dal relativo esame. «E dunque possibile spiegare la presenza di Romanazzi a bordo di quel traghetto con l'esigenza di sor-vegliare da vicino, senza rischi, il trasporto da parte del-l'ignaro Paolicelli, per curare poi le fasi del recupero. «E potrebbe essere che sia stato proprio Romanazzi, servendosi di una sorta di messaggero, a suggerire alia moglie di Paolicelli di nominare Macri. «Percha lo avrebbe fatto? Ad esempio, per seguire e controllare da vicino con persona di massima fiducia lo svolgimento del procedimento. Per evitare che Paolicelli rendesse agli inquirenti dichiarazioni pericolose per ľorganizzazione, per esempio relative all'albergo in Montenegro, alia persona cui aveva lasciato le chiavi delia macchina, eccetera. E infatti Macri consiglia a Paolicelli di avvalersi delia facoltä di non rispondere e tut-to il processo si svolge in primo grado senza le dichiarazioni dell'imputato, a parte la pseudo confessione re-sa nell'immediatezza dell'arresto. 280 «Non dimentichiamo che Macri si occupa di ottenere il dissequestro della vettura, di proprietä della moglie di Paolicelli. E soprattutto si preoccupa di andare per-sonalmente a ritirare la macchina dalla rimessa dove era in custodia giudiziale. «Quäle avvocato fa una cosa del genere? E perche la fa? Di regola, come tutti sappiamo, l'avvocato ot-tiene il provvedimento di dissequestro e poi il diente si interessa di recuperare fisicamente la macchina. «Macri si comporta in modo molto inusuale, per cui dobbiamo perlomeno ipotizzare una spiegazione ra-gionevole. Non e possibile che sulla macchina ci fosse qualcosa che gli inquirenti non avevano trovato e che i responsabili della spedizione erano fortemente inte-ressati a ritrovare? Akra droga, forse. O per esempio un GPS installato sulla macchina contemporaneamente alla collocazione della droga. Sono convinto che voi sap-piate bene cos'e un GPS». Naturalmente ero convinto che non lo sapessero. «Un GPS e un segnalatore satellitare. Viene usato per i dispositivi antifurto delle auto di lusso e viene usato dalle f orze di polizia per controllare le autovetture di sog-getti sottoposti a indagini. Con un GPS e possibile, da una postazione remota, localizzare una autovettura con approssimazione di pochi metri. E l'operazione si rea-lizza utilizzando linee telefoniche cellulari. Se si recupera l'apparecchio installato sulla macchina e possibile risa-lire alle utenze cellulari utilizzate per la localizzazione. C'e bisogno di aggiungere altro ? E davvero privo di sen-so ipotizzare che la banda di trafficanti che piazzö la dro- 281 ga sulla macchina di Paolicelli si sia preoccupata, per mag-giore sicurezza, di installare anche un segnalatore GPS, che i finanzieri non trovarono ? E privo di senso ipotizzare che il Macri abbia provveduto personalmente a ritirare la vettura, per recuperare un eventuale ulteriore quantitative di droga o quell'apparecchiatura compromet-tente ? Quell'apparecchiatura che, se ritrovata dagli in-quirenti, avrebbe consentito di risalire alle linee telefo-niche dei trafficanti ? E altrimenti come spiegare il com-portamento di un avvocato che si preoccupa non solo di ottenere il provvedimento di dissequestro - cosa del tut-to normále -, ma anche di recuperare materialmente la vettura, cosa invece del tutto anormale?». Fu a questo punto che dovetti reprimere l'impulso a gi-rarmi, per vedere chi fosse presente in aula. Per control-lare se ci fosse qualche viso sconosciuto e sospetto. Qual-cuno mandato da Macri a controllare quello che dicevo. A verificare quanto ero stupido e quanto mi piaceva il ri-schio. A chi ascoltava parve sicuramente una pausa tec-nica, di quelle che servono per tenere viva l'attenzione. Non mi girai, ovviamente. Ma quando ripresi a par-lare mi rimase uno sgradevole sottofondo, un senso di disagio. Una paura strisciante. «E una storia fantasiosa? Forse, nel senso che ě il risultato di una sequenza di ragionevoli ipotesi. Ě una storia assurda? No di certo. E soprattutto ě una storia che - perlomeno quanto al trasporto di droga con le modalita che stiamo ipotizzando - ě stata giá rac-contata in passato, in altre indagini. In altri casi i no-stri investigatori e quelli di altri paesi hanno scoperto 282 7 analoghe operazioni di illegale trasporto di stupefa-centi, con queste stesse modalita. «Mi si potrebbe rispondere: questo lo dici tu, Guer-rieri. «E vero, lo dico io, ma certo ě che, laddove nutria-te dubbi sulla esistenza di un simile modus operandi, f a-rete sempre in tempo, anche dopo essere entrati in camera di consiglio, a disporre una ulteriore integrazio-ne dell'istruttoria assumendo - faccio per dire - la de-posizione del dirigente della sezione narcotici della squadra mobile di Bari, o di qualsiasi altro ufficiale di polizia giudiziaria addetto a unita operative antidroga, che potrá confermarvi 1'avvenuto accertamento inve-stigativo di una simile prassi criminale». Fu a quel punto che guardai Porologio e mi resi con-to che parlavo da un'ora. Troppo. Dalle loro facce sembrava mi stessero ancora se-guendo, ma certamente non mi restava molto tempo di attenzione. Dovevo cercare di chiudere. Tornai rapi-damente ai temi generali, al metodo; alia mia inter-pretazione, a quella del pubblico ministero. «Ogniqualvolta sia possibile costruire una pluralita di storie capaci di inglobare tutti gli indizi in un qua-dro di coerenza narrativa, bisogna arrendersi al fatto che la prova ě dubbia, che non vi ě certezza processuale, che bisogna pronunciare la sentenza di assoluzione. «Inutile dire che in questo campo non si tratta di una competizione fra livelli di probabilita delle storie. Per dirla in altri termini: al pubblico ministero non basta proporre una storia piu probabile per vincere il processo. 283 «II pubblico ministero per vincere il processo, per ot-tenere cioě la condanna, deve proporre Yunica storia accettabile. Cioě ľunica spiegazione accettabile dei fatti di causa. Alia difesa basta proporre una spiegazione possibile. «Lo ripeto: non si tratta di uno scontro fra livelli di probabilita. Lo so bene che la storia del pubblico ministero ě piú probabile delia mia. Lo so bene che la re-gola di esperienza posta a base delia storia del pubblico ministero ě piú forte delia mia. Ma questa regola di esperienza non ě la vita. E, come tutte le regole di esperienza, un modo di interpretare i fatti delia vita, nel ten-tativo di dare loro senso. Ma la vita, anche e soprat-tutto quei pezzi di vita che finiscono nei processi, ě piú complicata dei nostri tentativi di ridurla a regole clas-sificabili e a storie ordinate e coerenti. «Un filosof o ha detto ehe i fatti, le azioni in sé, non hanno alcun senso. Puö avere senso solo il testo delia narrazione degli eventi e delle azioni compiute nel mondo. « Noi, non solo nei processi, costruiamo storie per dare senso a fatti che in sé non ne hanno nessuno. Per cercare di mettere ordine nel caos. «Le storie, a ben vedere, sono tutto quello ehe ab-biamo». Mi fermai, attraversato da un pensiero improvviso. A chi stavo dicendo quelle cose? A chi stavo parlan-do, veramente? Stavo davvero parlando ai giudici davanti a me ? O a Natsu ehe era alle mie spalle anche se non potevo ve- 284 1 derla? O a Paolicelli, che comunque fosse finita non avrebbe mai conosciuto il senso di quella storia ? O par-lavo a me stesso e tutto il resto - tutto - era solo un dannato pretesto ? Per qualche istante mi parve di capire, e mi venne un sorriso, lieve e malinconico. Solo per qualche istante. Poi quel senso, se davvero ne avevo trovato uno, scomparve. Mi dissi ehe dovevo riprendere a parlare, e dovevo chiudere. Ma non sapevo piú cosa dire. Anzi no, non avevo piú voglia di dire niente. Volevo solo andarme-ne via, e basta. Cosi il mio silenzio si prolungö, troppo. Vidi una sfu-matura interrogativa, un principio di impazienza nel-le espressioni dei giudici. Dovevo chiudere. «La vita non funziona attraverso la selezione delia storia piú probabile, piú verosimile o piú ordinata. La vita non ě ordinata e non risponde alle nostre regole di esperienza. Nella vita ci sono i colpi di fortuna, e le disgrazie. Si vince al superenalotto o si prendono ma-lattie rarissime e fatali. «O si viene arrestati per colpe non commesse». Feci un respiro profondo mentre mi sembrava ehe tutta la stanchezza del mondo mi fosse piombata sul-le spalle. «Vi abbiamo detto molte cose, il pubblico ministero e io. Cose che sieuramente servono per diseutere le cause e per serivere le sentenze. Servono a giustificare i nostri argomenti e le nostre decisioni, a darci ľillusione ehe 285 siano argomenti e decisioni razionali. A volte lo sono, altre volte no, ma non ě questa la cosa davvero přu im-portante. La cosa piú importante ě che al momento di decidere siete - siamo - soli di fronte alia domanda: sono sicuro che quest'uomo sia colpevole ? « Siamo soli di fronte alia domanda: che cosa ě giu-sto fare? Non in astratto, nel rispetto del metodo e del-la teoria, ma in concreto, in questo caso, per la vita di quest'uomo». Avevo detto le ultime parole quasi sottovoce. E poi ero rimasto in piedi, in silenzio. Inseguendo un pen-siero, credo. Forse cercavo una frase per concludere, O forse cercavo il senso di quello che avevo detto, la-sciando che le parole andassero da sole. «Ha finito, avvocato Guerrieri?». Il tono del presidente era cortese, quasi cauto. Come se si fosse reso conto di qualcosa e non volesse ap-parire importuno o indelicato. «Grazie presidente. Si, ho finito». Lui allora si rivolse a Paolicelli, che stava con le máni aggrappate, la testa appoggiata alle sbarre. Gli chiese se avesse qualche dichiarazione da fare, prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio per la decisione. Quello si voltó verso di me, poi di nuovo verso i giudici. Sembrava stesse per dire qualcosa. Alia fine invece scosse il capo e disse che no, grazie presidente, non aveva altro da dire. Fu in quel momento, mentre i giudici raccoglievano le loro carte per ritirarsi in camera di consiglio, che mi colse la sensazione di essere in bilico fra sogno e realta. I fatti degli ultimi quattro mesi erano veramente ac-caduti? Natsu e io avevamo davvero fatto l'amore, due volte, a casa mia ? Avevo passeggiato per il parco di Largo Due Giugno con Natsu e la piccola Midori, inter-pretando abusivamente per qualche minuto il ruolo di padre, o me l'ero solo immaginato? E ancora: l'impu-tato Fabio Paolicelli era davvero il Fabio Raybán che aveva ossessionato la mia adolescenza? E davvero mi importava ancora scoprire la veritá sui fatti di quel remote passato, ammesso che una veritá da scoprire ci fosse mai stata? In base a cosa possiamo dire con cer-tezza che una immagine nella nostra testa ě il risulta-to di una percezione o di un atto di immaginazione ? Cosa distingue davvero certi sogni da certi ricordi? Duro qualche secondo. Quando i giudici scomparvero nella camera di consiglio i miei pensieri tornarono alia normalita. Qualunque cosa significhi la parola. 286 287 81