Listeria dclla retorica
'|'ril lc figure rclorichc I'cllissi invita istituzionalmente a vintegrazione ermeneutica, a uno scandaglio complemen-i;iiv sui margini d'ombra c cli silenzio di un enunciato o di un testo, poiche* consiste in un procedimento espressivo di sopprcssionc c eondensa/ione, in un «rctranchement», come si legge ncl lemma omonimo dc\V Encyclopedic, che «abrege lc discours cl lc rend plus vif tX pins sddtenu» sen/a pnulunv, tuttavia, «ni equivoque ni obscurite». E qui, di rinealzo, contro la «peine de deviner ce qu'on veut dire» e il rischio de «se m6prendre», il razionalismo settecentesco aveva provveduto anclie a spicgarc ehe «dans une phrase clliptique, les mots cxprimcs doivent reveiller l'idee de ceux qui sont sout-entendus, afin que l'esprit puisse par analogie I aire la const ruction de Unite la phrase, et appercevoir les divers rapports que les mots ont entr'eux». Ma un secolo prima, ncH'iinivcrso mutevole dell'ingegno barocco, il pa-radigma stilistieo del troneamento era stato associato al ca-rattere oracolare della scrittura laconjca, della «significa-ione coperta e pcllegrina», con il prcsupposto concomitan-.1 un conflitto, quasi di un violenza intrinseca alia natura udica della parola. Cos! attraverso un'iperbole di fondo ri-Icssivaniente severe Torquato Accetto, l'autore enigmatico paradossale dclla Dhsimnlazione onesta, aveva descritto la ropna ricerca di <
> richiedc va di «dissimulare»; * -proeeder manifesto e naseosto» negli «abissi del cuore», .^avaglio che si traduceva in un libro disseminato via via cancellature segrete assimilava la forza deH'«emendare» a
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Ľosteria delia retorica
quella del «distruggere». Non era piů il can
levare, ľ arte delia litote ordinata e composta Ssic° de
Non stupisce piü di tanto, proprio per 1-stualitasgcentesc0 tore dei Promessi
t^sca^immaginaria o reale, che an,? $3*
'post suggerisca un'immaginc an
distruzione allorche dopo il passaggio dei lanzi u ^
don Abbondio e Perpetua ndiscendonb in päese'fr ^
spooliaic», «cancelli portati via», «usci sfondati iml)—
lacere, paglia, cenci, rottami d'ogni sorte» e ritrovanlT"
trando in casa, lo stesso spettacolo di «avanzi e frammem"
«piume e penne delle galline di Perpetua, pezzi di bianche-
ria, fogli de' calendari di don Abbondio, cocci di pentolee
di piatti», «tizzi e tizzoni spenti, i quali mostravano di es-
sere stati, un bracciolo di seggiola, un piede di tavola, uno
sportello d'armadio, una panca di letto, una doga»: senza
parlare infine delle «figuracce» di preti «scarabocchiati» sui
muri dai «guastatori» in festa, con tratti «orribili e ridicoli»
di un grottesco tanto goffo quanto minaccioso. Nel suo ca-
talogo di guasti e oggetti in frantumi la voce narrativa si riß
all'ottica e alla dinamica emozionale dei personaggi, ma nel
momento in cui l'occhio dl questi ultimi si posa sui rest)
carbonizzati dei falb, dentro la cucina a soqquadro, essane
anticipa l'ispezione enumerativa con una prolessi_ che ap-
partiene soltanto al suo universo letterario, aTTHmcando alla
mimesi dei reale il modello semiologico della retorica e
nunziando, fra l'impassibile e il beffardo, che «solo nel}
colare si potevan vedere i segni d'un vasto sacchegg.10^
cozzati insieme, come molte idee sottintese, in^P^sa
sí^°^jniwmo di garW É una simüitudine * sWP &
cTle si puoan^l^vešcmre. ec\ ecco allora ľellissi cn
incendio «
jnsione
del-
Puoan^Ke^OTe^aare, ed ecco allora ľ viene a sua volta una sorta di saccheggio, un dotto in cenere, un impulso distruttivo, una te»—0 1 lntelligen2a lacerata o discorde, a colloquio con se s ^ con lenigma quotidiano delľaltro. Del resto, ancn Äscorge oggi nella dissimulazione un «effet de des* .j nntľ , scnttore mänzoniano conosca bene la ten [,. dtľr 6 j°,ntrastivo della sintesi ellittica, si áe«%0l<<-Sľnľe dalla lettur* ehe la prima Stoná delia Co^ tWe Pr°P°ne M confronti dei Ripamonti, di
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L 'mieria delia retorica
tragico degli «untori» egli palesa «piu chiaramente il CaS°Densiero» lä «dove protesta di non volerlo dire», stretto M°m ě dalla «angustia» di chi «sente con forza il disgusto del {also volgarmente ereduto e il desiderio di mettere íuori la veritä ch'egli vede, ma nello stesso tempo ode giä anticipa-tamente le grida ehe quella veritä annunziata solleverebbe contro di lui». Per questo, continua ľaccorto e penetrante interprete moderno, il canonico milanese «costringe, soffo-ca ma pure inchiude entro una parola le riílessioni» della sua coscienza e puô cosi aííidare a un semplice «cionono-stante», nella írase «gli untori furono puniti ciononostan-te», tutta una serie di «idee sottintese», sino a quella, ehe spetta al moralista di un'etä «piú scienziata», della straor-dinaria tristezza di un «secolo il quale riduceva ľuomo ehe sapeva pensare e serivere, ad un tal genere di concisione». Deíinito esattamente nel suo doppio carattere del «sottin-tcso» c delľabbreviatura, del compendio «entro una paro-Ia», il laconismo si correla secondo ľermeneutica della Co-ľômľa Infame alla prassi, per usare la terminológia e ľassio-matica di LecTStraussi dello serivere tra le righe, la sua astuzia derľva dal pathos del vero sottocato, cóšt'ŕétto al si-lenzio o alio scorcio indiretto dalla «prepotenza ďuna opi-nione comune». Si comprende come non vi abbia luogo ľi-ronia ehe governa invece ľintervento allusivo di colui ehe racconta nella scéna visibile del romanzo, dove ľoggettiva-zione della figura ellittica genera un nuovo processo di reti-cenza e di coinvolgimento divertito e malizioso, mentre ľi-conologia del «saccheggio» si scontra con la silhouette delľ«uomo di garbo», alle cui spalle s'insinua quella opposta del «guastatore». E alia fine la comparazione ironica si tra-s ensce dal personaggio al suo inventore, ai segni vitali della SUa °fficina romanzesca, perché non appare dubbio ehe quel ''garbo» coincide con la «rettorica disereta, fine, di buon T.n0>> rivendicata dallo serittore dellTntroduzione a fronte se <tantoř una polarita di ordine e disordine, di unione e fU ^ Non per nulla il senso combinatorio di «accozzare!"1"1^ ancora al suo interno e contrario cozzare. Allo st * la discrezionedeve tareT conti, distinguenďo mnT0 e 1 eccesso, 1 accumulo e u guasto.
II teorico delParabesco e della buffoneria trascende le, Federico Schlegel, pensava che quando in un t«tj drammatico o narrativo, un oggetto si ripresenta piúvoltt il suo ritorno simmetrico forma una rima, una rim^ eglil céva, shakespeariana. Accettando un'indicazione tlel si potrebbe allora vedere nel «focolare» devastato di don Abbondio una replica per assonanza al «focolare» della «ca-setta» grama di Tonio e soprattutto a quello dell'osteru della luna piena, tanto piü sc si osserva, in aggiunta, chenJ secondo tanno rfscontro al disegno aleatorio dei «tizzi e m-zoni spenti», «cenere e carboni», le «figure» meccaniche ma diplomatiche che Toste «faceva e disfaceva nella cenere cot | le molle», come «istoriando» la superficie soffíce e densi «sotto la cappa del cammino». E poiché ciö a cul si voe* arrivare, dopo Paccertamento provvisorio del sace eg nel registro supplementäre dell'artificio narrativo, eraj^ prio l'osteria milanese, non resta intanto che Pre^ert0 jj loggio da lettori, per serutarne debitamente cU referto le «idee sottintese», la concertazione,Ji-E-jj^o íi.^urativa. Va subito delto che nella storia di ^c"^enz;., cammino avventuroso attraverso il caos dell es jvii-locanda nubblica ha una parte non secundaria, Pr tturna Iaggio, quando si tratta di organizzare 1 'incursione ^ ^ ( in casa del curato ďaccordo con Tonio e il 'ra ,|v. Milano la sera Hei tnmulti p da ultimo a Gotgo^ raňte la fuga very 1'ArMa Ma ě anche evidente c ^ ^nt0 accade presso Poste della luna piena rappresen ^ ^ culminante delPincontro del montanaro con ujn co0i stufato, delle polpette e del vino allegro da dlVlrnevalescí compagni di tavola e di gioco, la sua esperienza ca
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L 'oslerk dclla retorica
II' bbrezza e della chiacchiera, la sua mascherata di one-e:caro bmbardo nel luogo tradizionale del chiasso fe--°so e della uasgressione linguistica, a ridosso, per di piu. j. „a niazza ancora immersa nei fumi di un' improvvisa ma sterile rivolta. In questo teatro di cui ignora 1 ambigua ma-hzia Renzo diventa davvero il «primo uomo» del romanzo.
E tuttavia l'interno che si oifre al suo sguardo, nel mo-mento in cui il sedicente Ambrogio Fusella spadaio gli fa strada e l'introduce in cucina, mette in opera soltanto Pat-trezzatura essenziale di un pittoresco stilizzato e mordente, con l'eleganza e Pumore di un'incisione a cui non sfugge nulla di un profilo e di un gesto: da «due lumi a mano, pen-denti da due pertiche attaccate alia trave del palco», in «mezza luce», a «molta gente seduta, non pero in ozio, su due panche, di qua e di la d'una tavola stretta e lunga», da «tovaglie e piatti», e sempre «a intervalli», a una sequenza di «carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti, fiaschi e bicchieri», in mezzo a un «correre», quasi ammiccante, di «berlinghe, reali e parpagliole». Nulla, a esempio, del ma-nierismo comico e atrabiliare di un Garzoni, quello della Piazza universale di tutte le profession! del mondo, il cui capi-tolo o discorso «Degli ostiebettoliei i» ci ammannisce, per citare solo qualche scampolo della sua furia classificatoria, microscopie esasperate e spregiative come «una camera sbuccata ruinata e sostentata per forza di pontelli, ricetto di topi solamente», «un solaro nero come la caligine de' cami-ni», «un lastricato di quadrelli mobili, che par che i spiriti 1 abbian disfatto a posta», «tovaglie sporche di vino e di brodo», «bicchieri senza piede», «fondelli col verderame alto tre dita», «scutelle nere», «sugamani stracciati come le tele de ragni», «capezzali pieni di cimici», «coperte che san a tanfo per ogni banda». Altrettanto assente, se si vuole ar intervenire anche la tradizione meneghina, e il realismo asso-mimetico, certo piu affabile e piu sobrio, del sette-centesco Ritrattde tutt i Boeucc c Bettolin, sia che attesti ;°me «appena dent~se~"ved miseri,/ che fan'perd el desideri/ n Tel loeugh anch de sta allegher:/ mobil e mur hin la tucc diavol C ne.8^er ^m ^na ' tavol,/ istess de la cappa del 0 . sia che informi, non appena comincia il servizio,
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suma ueita reionca
Uosteria della retorica
che «se ve porten quai mantin,/ hin pien de mac vin,/ negher anc lor come on scorbatt;/ pesch anch dc straše di piatt;/ i posad rusgen e poch bon;/ ^ ^ part de lotton;/ i piatt crepp, brutt o cusii». Ma il fatet ^ nelľosteria della luna piena non interessa il dettaglio ^ I a" ralistico, il gusto del colore in una materia anche sorl? cos\ come non vi ba corso la commedia promiscua della sualitä, documentata invece tanto dal Ritratt, con il ^ lott/ cbe succed in sti cantin/ de omen vlzios e de sgualdrin / ebe tegnen lä alia sira in ozi/ per tirä gent al so negozi» quanto dalla Piazza universale, allorché il suo cronista end clopedico sgrana il rosario, opportunamente esorcizzato, di «parole di mille ruffianesmi, motti di sfacciatissime corti-giane, inviti di sciagurate meretrici, sporchezze di lingue disoneste e vili». In questo modo l'unica donna della serata é un'impeccabile ostessa, i lenzuoli risultano «di bucato»e solo in chiusura, mentre Renzo ormai brillo cade in una malinconia «svenevole» e «sguaiata», si intrecciano tra gli «omacci» che gli fanno corona, le «domande sciocche e grossolane», le «cerimonie canzonatorie», gli scherzi licen-rziosi delle loro «lingue sciagurate», a un passo dal .fantasma
dSér^rX! cordiale ma pungenteja
nome, per il aua] u < folta, rossiccia, e due oc-nata e imbrosli, j- ^enta la sua «e!oquenza apptssi* Pfove oratorie ,n j °m° offeso e Pur í^ioso dopo k 1 aPPunto in mnL1 , E la nu°va esibizione mette per 210samente poDo] ' C°," 11 rincalz° di una dialogická seaten-' 10 pr^^hQ^ento di Renzo &
facezia di uno ďei gfoeatoril7ŤÔ\ feun poeta cogtg£^> anche ^ de' poeti: giä ne naTcTper tutto. WE^'
h'io e qualche volta ne dico delle curiose ... ma quando f"cose vanno bene», e poi si consideri la postilla metanar-tiva che viene subito dopo, qmisji>ň<^|j1max. Essa termina r^mttura in prima persona, per cosi díře a volto scoperto, con il tagli° di una digressione in miniatura, di un ragiona-mento contratto nel laconismo multiplo del paradosso^Per -:-<=• nuesta baggianata del pověro Renzo, bisogna sapere
» rlel contado ancora piú,
e vanno bencv, w r~ rätiva che viene subito dopo, quasUp inttura in prima persona, per cosi 1 jj taglio di una digressione in miniatura nento contratto nel laconismo multiplo del; capire questa baggianata del pověro Renzo, „. che presso il volgo di Miláno e del contado ancora piü, poeta non significa giä, come per tutti i galantuomini, un sacro íngegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' di-scorsfě ne' fatti, abbia piú delľarguto e del singulare che del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo ě ardi-téTa manomettere le parole e a far dir loro le cose piü lonta-ne dal loro legittimo significato! Percha, vi domando io, cosa ci ha che fare poeta con cervello balzano?». Chi deve rlspondere e dunque il lettore, sempre che accetti il codice e la stratégia di colui che paria. Cosi due attenti studiosi, Gregory L. Lucente e Pier Massimo Forni, entrambi di area accademica americana, si sono trovati oggi a discutere tra loro se il senso della domanda non risieda in una presa di distanza, mediata dalľironia, non meno dalľopzione popo-lare che da quella neoclassica o se il nesso con bizzarro non costituisca la definizione giusta e conveniente di poeta, sia pure, come controreplica il Lucente, con un mandato sempře parziale. In realtä, se si segue anche in questa circo-stanza uno degli assiomi ermeneutici della prima Colonna Name, secondo cui «le persone d'ingegno interrogano per PJu quando hanno una risposta giä in pronto», non vi Possono essere dubbi sull'intenzione affermativa della frase el lalso dilemma, del pj^c^r^t^ric^jd^Ja^r^ Ri-dell'6 c°mprendere il sottinteso, la parte nascosta
che ■aSS.enso a^ detto idiomatico di Renzo «vess on poetta»: %'^nsierne c°n la variante «vess on filosef» il Vocabolario «esserff"^^-0 ^ Cherubini traduce, neanche a dirlo, in o nej antastico, singulare», «persona la quale o nel vestire ner al e ° nell'agire sembra dipartirsi dal comune e"te:
quanto distraccurato e lunatico». , ,
istruttoria che qui diventa necessaria non puo
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I
L'osleria delia retorica
prendere ľavvio da un allegata di Ermes Vi importa se posteriore ai TromessFSposi, dal morn°^' p0c° lega alia stessa cultura e soprattutto rágiona int m° ^si
ďco compagno, íl consulente ascoltato del Fertno e L an" capo settimo, paragrafo quarto dell'Analist di vart sdelle parole «poesia» e poetko: «"Teste da poeti" n0 1 nominarsi gli Ateniesi, che sovente deliberavano con hven-tataggine intorno alle cose della repubblica, per quanto di-cesi; lasciandosi abbagliare da speciose promesse e persino da motti brillanti. Qui "teste de poeti" corrisponde in al-cuna parte a quel vezzo di fraseggiare volgarissimo, per cui "poeta" vale "mezzo matto, strambo". Piu favorevolmen-le, questa appellazione inchiude un^rmstodjjj^ mobilita di fibra, per cui gli Ateniesi erano ingegnosi e vo-lubili; risolutezza, ma capricciosa; senso pronto a qualunque bellezza di eloquenza, lepidezza e strepitoso brio; facilitä a gustare con immaginazione coraggiosa, ma anche temerana, le magnificbe promesse della speranza; fidarsi baldante-mente per imprudenza ed eziandio per un chiaro sentimeIj' ao della vigoria o destrezza del proprio ingegno e deüe rno-lüssime liberta, di cui abbandonavano». E conviene COT nuare ancora con il Visconti stralciando, fra ^.n?oltlT?OS iffl0 H, altri due frammenti della sua riflessione critica. UP^ appartiene al secondo dei %>gi intorno ad alcuni '/""'^ ., ]., jcementi il hello (capitolo sesto, paragrafo terzo): «oe ^
detinizione dei metafisici e dei grammatici filosofi, che metafora ed altri tropi non sono invenzioni degli scienzuu . raa siinnfono,, i- i r ■ i- ^rr i norm"1
ma s rozzi
pontanee'manieT1^0" S?"° lnvei --^ed ai pop i: , c P1 ParJare [amiglhuissimc agli uomira
"tlettervi, „e soena, j °re' metonimie, iperboli, scnzi 5lfbbero spiegare in 2 par,are %uratamente; non sa-™te conseguenze nJ £?sslma se ponderiamo quail e sul,fervi al Vico e a^!»«no cavato i filosofi e gli erud<" nell-r!f"za e «ui PriZJ- aJtri "tfonatori, per discorrere
Pecialmente la natura H"Ua8gio in 8enera^ ed a studr^
1 Va"* linguaggi antichissimi
L 'osteria della retorica
e con
i Servi a determinare molte cose relative al carattere "ľľ" regi che aver deve ľeloquenza oratoria, per essere vera e. Lnza, non fanciullesca ed inorpellata». Quanto al se-;° j0 ]a sua fonte h VAnalisi delle nozioni annexe in lettc-ocabolo «stile», al paragrafo quarto della parte -jma: «Ľaltra denominazione viene applicata a quella proprieta dell'entusiasmo, che cerca oggetti non volgari ed energiche tinte; che segue ľimpulso fantastico nell'inven-tare concetti, nel collegarli con un orcline disšimile da quello HéTiiomentí riflessivi delľintelletto e nell'esprimerli con un brio che nei momenti riflessivi delľintelletto sarebbe esa-gerato ed oltre natura».
Che cosa si vuole di piú? Se si combinano insieme i pez-zi del Visconti e si accostano alia didascalia saggistica in raargine alia «baggianata» del personaggio, risulta giä chiaro a sufficienza, una volta esperiti i riscontri essenziali, come anch'essa sotto le ambivalenze mimiche della dissimulazio-ne, enuncia in compendio una teqria precisa dell'ingegna,
axguto e del singolaiv che del ragionevole») e della metafora («far dir loro Ie cose pju.lontane dal loro legittimo significatq»), ponendovi a fondamento, dietro il teoréma del «vojfl8^rdito a mano-mettere le parole», la logica poetica delVica, nell'interpre-tazione, si capisce, del gruppo*rormm^ La sua
dominante, il suo principio unificatore, ě in fondo il rico-noscimento, il Visconti diceva la lode, dell'estro, dello spi-"tobizzarro, delľinventivitä coŕposa, delľaudacia associa-IVa' "L'"a parlata popolare, a Milano come nel contado. E si Pensa subito, alalia parte della Ietteratura, alia trascrizione s íale del.Por|aO Vern ě che dal ghiribizzo di Renzo sulla vino^3 <> ^ Poeta «quando le cose vanno bene», e il sino 1 pr°Pr^° questo effetto euforico, si puô risalire poi velí \ </ e vo° via> vla vial co^ cer" ganc °ntan ^ m'a>> Brings de Meneghin all'ostaria e ag-contlarV1ine^° stesso tempo, a modo di doppia cornice cui a U Una catena di altre proposizioni omologhe, fra ancadm^afnt0 al conti8uo' Per li' Per la toa tetta'/ che «mi ne1 °° de P°etta>>» ecco «on poetta ballos e buseccon», -r mi, quand gh'hoo del scabbi,/ sont allegher come on
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L'osteria delta retorica
matt», «Carlo Porta poetta Ambrosian... el gh'ha min„ , coo balzan», «deventon per lee ver e real/ perfina i patan flann de nun poetta», «l'e on'ideja ben matta e strambala. da», «s'era in bolletta,/ malattia ch'e sempre stada in frega/ in chi se ciappa el spass de fa el poetta», e per finire, «queu l'e on omon de drizz! Quell Pě on poetta! Che idej bizzar ch'el gh'ha, che fantasia!». Alia luna piena si parla con que
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sta stessa semantica, la schiettezza si mescola alia parodf alia macchinazione dell'«omm buffon», tanto da trasferirefl «cervello balzano» nel lessico negativo delP«allievo delle Muse» e insinuarvi di sbieco il suo equivalente polemico che e «romanticq», come si ricava poi dalla lettera-manile-sto a Cesare d'Azeglio del set'tembrc 1823, lä dove segnala la possibility di «sentire pronunziare 1'epiteto "romantico" per qualificare una proposizione strana, un cerwflo^rjislac-co, una causa spallata, che so io? una pretesa esorbitante, un mobile fuori sesto». A botta calda il Porta, facendo il verso ai «Classich», aveva scritto: «Te see on Romantegh becca-mort!, ciccion!,/ che non te voeu stä ai regol de Parnas!/ Arcad a Parma!...». Cosi, in ultima analisi, con un'opera-zione dietro le quinte che immette il pensiero del Yico nel laboratory di Meneghin, Pintermezzo esegetico di Renzoe del suo tutore letterario legittima una poetica della vita ita verbale e dell'acutezza dialogica, che e di fatto q"eU.a^ romanzo e che si traduce nell'esperimento di ntarsi ^ concretezza vivente, all'energia semantica del dialetto,^ trasporla nel parlato di una nuova letteratura, di una s alia ricerca del suo assetto unitario, anche a costo ^ travestire la propria ricchezza analogica e sottorne ^ stravaganza, il piacere istintivo di manomettere e' alia disciplina di un'apparente centralizzazione ung ^ ^ Ma resta la sfida, il proposito audace di una biV0C^ j|Tp|-greta, che ha il suo emblema indiziario ne 11a copp nll. nonimo e del trascrittore, piü che mai fedele ^ ° oeUV, de lanese, al volto inconfondibile della «magia/ d£enlin scor>" messedä, come se voeur,/ tutti i passion che g e duu in del coeur». ij0 dell'0'
Inutile dirlo, un episodio polifonico come qu^ ^ steria in bisboccia offre un campo privilegiato p
L 'osteria della retorica
one di modi proverbiali, dialettismi, sigle idiomati-mrr^~ah accade sin dalle parole d'esordio dello «scono-C--V » cioě il «bargello travestito», Pagente provocatore, il SClU«una mano lava Paltra, e tutt'e due lavano il viso» non fa CJ"( cfoe ricalcare «ona man lava Poltra e tutt'e do laven el mostacc», senza darne Pavviso che invece era presente nella versione originaria del Fermo e Lucia («Una mano lava Paltra ě un proverbio che Pavrete anche nel vostro paese...»). Basta poi passare a Renzo perché il reticolato s'infittisca rapidamente, a maglie piú o meno spesse. Solo a scorrere la sezione che precede la «baggianata», e naturalmente con la guida insostituibile del Cherubíni, si possono elencare in-fatti le equiyalenze di > e «politega» (ossia giudizio, destrezza)~l «danno la mano» e «dá la man», «carta, penna e ca-
,--- * * i * —i iu V. 1W xiiW"-' y —-----> J.
latnfio» e «penna, carta e carimaa». Soltanto nel caso de '«ho le spalle al muro», che Poste dopo Pammonimento . 0 «spadaio» pronuncia «tra sé», il corsivo mette sull'av-vlso che bisogna leggervi Parchetipo sottostante di «avegh i spall al mur» n^l c<»r.c^ ronmmtn At «essere in norto,
spall al mur», nel senso per Pappunto di «essere in porto, ^wo, fuori di periglio», mentre per il suo «sgraffignato» RenZ0 non va oltre il segnale retorico d'attenuazione di un si suol dire», del tutto superfluo nei confronti degli s8higna2Zanti «compagnoni», delegando viceversa all im-2latlva di un lettore curioso e bilingue la facolta d intuire
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1—i—r
, 'osteria della retorica
L'ostcria dclla retorica
Ll tropo di «questo e iesso» ha come sua control .intaama milanese «sona de crepp o de bus» che subito A \ too al secondo «sona» specificato anche acusticamen* rrocchia». Quasi per scorrimento, per consonanza * m J complied con la matrice elocutiva del personage, nonpercompuci nell'universo di discorso del
il fenomeno si npetc ^ ^ ^ g ^
andare, l'uno in giü e l'altro in su», che ti-
narratore, sino a continuarono a
prende e coniuga innegabilmenteun proverbiäle «glö vin sü paroll». E in un modo o in un altro, come si vede, scatta* no insieme l'assimilazione verbale e l'ironia. II riso'dell'in-telligenza si insinua negli spazi mobili delle voci che s'in-crociano, tra le litoti e le arguzie che, nell'ordine monologi-co di una prosa moderna, adombrano ancora una realta di «Djirole cosi eteroclite, cosi bisbetiche, cosi selvatiche, che-1'alTabeto della lingua non ha i segni per indicare il suono». Sembra un giudizio, a proposito, si sa, dell'originale mene-ghino del «forno delk^grucce», il «prestin di scansc»; ma puö essere insieme un rimpianto con la consapevolezza di una perdita, sia pure necessaria: come l'abbandono de «paese nativo», che il secentista paragona al distaeco dal «seno» materno. «Bisbetegh» poi, se si sta al Chenibini, vuol dire, fra 1'altro', umorisTa, stravagante, fantastico. ^ A questo punto non sarä" neppure 1nutile rl£°rd^r0. premessa che nel «Conciliatore» delJL^JügiiS-——-r ^ duceva a una Storia naturale Jeglfscioccbi, lllustran
- riflessione spw
cosa si dovesse intendere per umorismo e
«vi
sono duespecie diCOnto dl nportarne una buona parte X- ^volmenrFcoITa^"-^ m'ra a sorprendere aggi»
dee disparate- e nf°22anient" nnpreveoWFplcTante d'i-faci,ltVe place fl?-"°Te queJJo sPirit° che s'inconm con a«ozzamento nil . L aJtra> che trae P*rtito dallo stesso
% perdue.;„ Z£rVo[e di
apparentemente disparate
La Prima specie di spirito e, per cosi dire.
jf"""* if------ * j il raeione -
elementare; la seconda ě un progresso de tanta & come non mettere a frutto una
indicazione cu -A
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lungimiranza, dove l'ethos romantico non
rinur
egiudicatezza, alia razionalitä illuministica? A guardar Sne anche il regista dell'osteria della luna piena, l'autore che manovra l'io che racconta e il suo garbo, la sua rettorica discreta, mira a questo «spirito» della ragione. Solo che, a fronte della dialogická «elementare» dei personaggi, I'«ac-cozzamento impreveduto e piccante» viene per lui a rad-doppiarsi e si converte cosi in ironia, in ricognizione ellitti-ca e sconcertante del vero, da meritare proprio l'appellativo di socratica. Certo, a Milano non arrivava Federico Schlegel, e tanto meno la sua fenomenologia del «Witz» romantico, insieme con la componente socratica della parodia po-tenziata e dello humour, del Capriccio grottesco. Ma forse poteva bastare il Monti dclle Lezioni d'V.loqucnzci, qucllo che avrebbe insegnato qualcosa anche al Leopardi delle Operette morali, quando, dopo aver accomunato a Socrate il «castigatissimo» Parini, celebrava nel primo l'ironia o dissi-mulazione come «una figura a due facce, la qualesiglft'irlcail contrario di quello che suonario lé päTöle»; come «una spada die traTigge di fianco» e a «sangue freddo», e poneva in luce ^ ^fiOs la «difficile semplicitä» del suo «^ujioatdcpj^, l'evidenza di «5«*-un «linguaggio si spontaneo, si natuYale/si vicino al comu- Wegrr>- Di qui anche, sorridente e domestica, l'im-éCUej?e hnale di «une belle cuiller ďargent pres d'una diaW- .bon Potage». Applicato al maestro dell'ironia lca> " «Witz» del lettore romantico sembra fatto ap-
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Ľosteria delia retorica
posta per una sensibilita che ha bisogno di agganciaref besco al quotidiano, alio stesso modo in cui ricondu^i singolariťa fantastica, la stravaganza analogies, la {anJ smagoria improvvisa alia misura řluttuante della vit, -ne, al «bon potage» di una lingua do
Vltaco%
a una
í ...0~.. -~ u.w migua dove ogni uor voce al proprio destino. Tutto sta poi nel saperla as magari tra i řumi e le traballanti conversazioni di uiH canda lucidamente barocca. a
Nel ragionare della cosiddetta «sottise» di Renzo nou s'era preso in esame il motto di spirito del giocatore che IV veva provocata, e occorre adesso riempire la lacuna. Ma prima di farlo vale la pena di spostare 1'attenzione, ancota una volta, sul segmento narrativo del Fermo c Luga che corrisponde al pezzo della «faccenda di fiflir le frasi» e al-l'attacco del capitolo quindicesimo, nella stesura finale, in-torno al «momento di lucido intervallo» (che poi ě anche il milanese «lucid intervall»), ma con una lunga similitudine, complementare a quella dell'«jlluminazione», che accomum lo stato confuso di Fermo alle angustie stilistiche dj_uno scrittore. L'unica differenza dipende dal «fiasco», a dispo-sizione del primo: «... lo vuotö, alternando i sorsiconlepa role, e ponendoselo a bocca ogni volta che l'idea la qu e s'era presentata splendida e risoluta alia sua mente si oscu rava e fuggiva tutto ad un tratto, o la frase per vestirla , voleva lasciarsi trovare; a quel modo che uno scntt0T.e,^ii Stesse angustie, ricorre alia scatola, pigha una préšájln ^ la porta al naso, chiude la scatola, e ricomincia lo^ ^ giuoco. Pure, siccome alio scrittore infervorato neosizio. idee, vengono talvolta nel maggior calore della comp' un ne čerti lucidi intervalu, nei quali una voce interna ' '"^ tratto: — e se fossero minchionerie? — cosi anchejn qlieila poveretto, in mezzo a quella baldanza di pensieri, ^ jj£ crescente esuberanza di forze, sentiva da tempo c n£j i . , forze mancava un certo fondamento, e che app ^ i momento della piú grande intenzione Parevanof eva ac-jfC$j>v cadere. Quel po' di senno che gl'era rimasto lo j^j^o corgere che il piú se n'era ito; a un di presso come ^ ^ lumicino rimasto acceso dopo una grande illurruna intravedere gli altri spenti». Si puö leggere il Fermo
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L 'osteria della retorica
in tanti nato
,nti modi, cosi come si puô ammirarne il vigore disordi-„j, I'impeto aggregativo, la tendtnza inesistibile e quasi animosa alia digression^ alľintervento e al discorso anali-tico del moralista. Resta tuttavia vero, in ogni caso, che nei ,uoi cartoni vengono ancora alio scoperto le intenzioni gli aútici, gli impuki, le spihte originarie e qualche volta con-r.iJiIitton'e di una fantasia narrativa per cosi dire in prova "cammino verso lá propria identita, che puó significare [toljmkazione. E qualcosa di simile sembra ve-
•l?hC T^lu^lľíľefpalsľsoppresso dello scrittore al-"I Z leplrole, che, a parte IMnterroganvo eccedente
suoi
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ie prese con le parole;che, a pane i iiiiciiUKai.,v ^-------
delle «minchionerie», proprio da «cervello balzano», isti tuendo un rapporto comico tra Renzo e un Ietterato implica a un tempo un legame piú profondo tra la duplice funzionc del narratore e il suo personaggio, quasi che ľironia delľuno si proietti a piú livelli nella discorsivitä gnomica dell'altro, soprattutto quando si tratta dei dialoghi alľosteria, che so-no infatti il referente immediato della comparazione. Torna alla mente, nel repertorio del grande romanzo settecente-sco, la sfida del Diderot scatenato di Jacques le Fatalhte: «... je vous défie de lire une scěne de comédie, de tragédie, un seul dialogue, quelque bien qu'il soit fait, sans surpren-dre le mot de 1'auteur dans la bouche de son personnage». In un senso forse piú complesso, perché alľapparenza inno-cente, ció vale anche per colui che si esibisce nello stanzone della luna piena, «in attitudine di predicatore», con le sue Wute_sul «poeta» e sui «signori» che vogliono mettere tutto_Der iscrittof"interamente huově", e anche questo ě im-
POrtiu nspe d coPione del Fermo e Lucia-suo veniamo al punto, cioě alla richiesta delľoste fatta al ° nuov° cliente di dicgli «nome, cognome e patria» e alle din CSt-e i <<^>ravo giovihe», tra un ricordo e uno sberleffo la prDZ1 < una certificazione ufficiale. Renzo ha ap-^Pennaľ"0^ • SUa tirata ^ galantuomo alľindirizzo della * e dei suoi utenti, che uno dei giocatori lo inter-
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L osteria della retorica
rompe «ridendo» per esporgli quale sia la del genere, alla maniera di un epigramm^*^ cemente popolare. «La ragione é questa,» h^H que' signoři.. son°- loro ehe mangian 1VJK.tRl íVl taňte penne, taňte penne, che qualcosa bis,^^! ciano». Ľ mentre tuttí scoppiano a ri-i.....
jČT^ í m scoPPi«no a ride ľ8 aiht" delcompagno che sta perdendo ecco . ,JCOn,'^ terlocutore principále il suo epifonem 3 Partt corde- rhP A\ _______i. ť. ..nema csclanjariv;
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corde: che di f atto, una volta stabilita ľequazion ľ! cervello bizzarro o singolare, s'identiíica con L í cntico, anche se ďistinto, sulla felicitä dell'arguteí le figure interne alia struttura dinamica del mottofri^ dal senso sdoppiato di penna alla metonimiadeltestosej e del suo produttore. Per dirla poi nel linguaggio tal delle retorica barocca ricorrendo alľesatto ma scintU ľesauro, il ragionamento «curioso» che piacc siuHi^. 1 Renzo gia allegro costituisce un_entimema urbapo,ossii J čavnllífi^ scherzevoliq persuasiva, senza intera foŕmÍTirsTflôgisrno, fond una metafora. In termini piú generali si trattadiunató žia, di un'operazione delľintelletto che insegna alcuna-con maniera ingegnosa e in materia ridicola. Nessu» tuttavia immaginare che lo scherzo della luna pie^ ľunisono con lo stile del concettismo, arriví anche eccentrico e gioioso delľanglosassoneSterne. ^ Eppure chi si dia a sfogliare con unôcchi°n
duto The j Afp ggj opining gf Trimm
ne francese del 1803, che spesso ne e r
mento (a cominciáŕe dai titoli interní), "^rVfl T Wut j i — ítoio a
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Voileria iella retonca
nrhe Der un «plus ľ air ďun caprice ou dune bi-c>e poSto «Khc P«^sPraisonnable>>, j capitolo XX del
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tomo I
olo che si faccia il confronto, a «piu dell'arguto e del sin->olare che del ragionevole». Ma il problema ora non e la conseguente possibility genetica di una derivazione interte-stuale anche se, come ha indicato con la sua sottile ed elegante sapienza letteraria Giovanni Macchia, la lettura di Sterne con i suoi tesori di osservazione, d'umorismo e di piVt'i Va~anhessa alia trama metaromanzesca dei Promessi SposiTc vi si puo mettere in conto aggiuntivo, quando si ac-cetti una filologia congetturale della memoria e delle sue metamorfosi stratificate, la suggestibne di temi quali «tom nest chez nous que desordre, confusion, embarras», «quand je reflechis sur I'homme, frere, et que j'examine ce cote sombre oil la vie humaine se peint dans des nuages de trouble et d'affliction; quand je considere combien de fois nous mangeons du pain de douleur, que nous sommes nes pour la peine, et pue les tourmens sont une des principales portions de notre heritage...*, «les afflictions, comme on sait, nous sont envoyees pour notre bien, et celle-ci peut-e-tre n'avoit encore produit aucun bien a la famille, et le ciel la reservoit pour d'autres temps et pour d'autres circon-stances», «nous vivons au milieu des mysteres et des enig-mes. Les choses les plus ordinaires qui se presentent a nos sens, ont toujours un aspect sombre oil se perd l'oeil le plus penetrant. Ileureux! si nous saisissons le cote agreable, e'en est assez», accanto a quelli della «lanterne magique», dell «imperfection des mots», della «combinaison de tout ce qu il y a de bizarre et de grotesque dans la nature», della «juste balance entre la sagesse et la folie», dell'«histoire si originate, si cervantique», dell'«amas bizarre de faits et d'i-aees sans liaison», del «livre» che diviene «la chose du monde la plus folle, la plus bizarre, la plus inconsequente, la Pus absurde...». Inutile insistere in questo esercizio comparative, tanto piu quando sia chiaro che non equivale a una f'cerca delle fonti. A maggior ragione cio che importa nella l>a «poeta» della luna piena non e la genealogia ma a jnita fattuale, la vena comune dello «humour», consta-
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Ľosteria delia retorica
rompe «ridendo» per esporgli quale s1a U del genere, alla maniera diWeZlt^ * u„ fatto
e viVa.
-------epigramma spiritou
cemente popolare «La ragionc e gne^,' ?
que signoři sono loro ehe mangian ľoche c- "tht / taňte penne, taňte penne, ehe qualcosa bis„',na £^& ciano»._E mentre tutti scoppiano a ridere, con lYccr^ del compagno ehe sta perdendo, ecco cosi da parte del? terlocutore principále il suo epifonema esclamativo e côn corde: che di fatto, una volta stabilita ľequazione di poetae cervello bizzarro o singolare, s'identifica con un giudizio critico, anche se d'istinto, sulla felicitä dell'argutezzaedel-le figure interne alia struttura dinamica del motto frizzante, dal senso sdoppiato di penna alia metonimia del testo scritto e del suo produttore. Per dirla poi nel linguaggio tecnico delle retorica barocca ricorrendo all'esatto ma scintillante Tesauro, il ragionamento «curioso» che-piace-subito a un 9 Renzo giä allegro costituisce unj:ntknema urbapo, ossiauna ' čavitta^ scherzevolmente persuasiva, senza intera fôrma*^Ts!lTogismo, foridata sopra una metafora. In termini piú generáli si tratta di una tace-žia, di un'operazione delľintelletto che insegna alcunacosa con maniera ingegnosa e in materia ridicola. Nessuno puo tuttavia immaginare che lo scherzo delia luna piena, cosi l'unisono con lo stile del concettismo, arrivi anche al «witz» eccentrico e gioioso dell'anglosassone Sterne.
Eppure chi si dia a sfogliare con un occhio non sprovv duto The Life and Qpimnm of Tristram Skcuuly^^ ver*' ne francese del 1803, che spesso ne ě un disinvolto ada^ ' * mento (a cominciare' dai titoli interni), incontra al capi "Wô LXXVI del torno II corrispondente al capitolo XII dei^ lume IV nel testo inglese né piú né meno che lo st"s v^fj ellittico delľoca. Muta soltanto il beneficiario, ehe q l^|l>™igÍKt3-ael narratore, dinanzi al proprio bbro moltiplicarsi ipotetico dei suoi volumi, due per ogni g10 ta di racconto: «Cependant, mes amis, ne nous désesper Pas. Pourvu que le ciel soutienne les paperateries, je contribuerai pas peu ä leur consommation. Quant aux P'. mes U nature est bonne dans ce climat, et grace ä a pro nce' notre P^s ne manque pas ďoies» E dopo le í*0' 96
L'osteria delk retorica
to anche per un «plus l'air d'un caprice ou d'une bi-P°S que d'une chose raisonnable», al capitolo XXI del zarreMj che e il XIX dell'originale, stranamente analogo, t0r°he si faccia il confronto, a «piu dell'arguto e del sin-S°l C che del ragionevole». Ma il problema ora non e la 8°ar uente possibilita genetica di una derivazione interte-con re anche se, come ha indicato con la sua sottile ed ele-St nte sapienza letteraria Giovanni Macchia, la lettura di Sterne con i suoi tesori di osservazione,.._dlujTiorismo e di nleta va ahnessa alia tram a metaromanzesca dei Prowessi $osi?e vi si puo mettere in conto aggiuntivo, quando si ac-cetti'una filologia congetturale della memoria e delle sue metamorfosi stratificate, la suggestione di temi quali «tout rTest chez nous "que" "desordre, confusion, embarras», «quand je reflechis sur l'homme, frere, et que j'examine ce cote sombre oil la vie humaine se peint dans des nuages de trouble et d'affliction; quand je considere combien de fois nous mangeons du pain de douleur, que nous sommes nes pour la peine, et pue les tourmens sont une des principales portions de notre heritage...*, «les afflictions, comme on sait, nous sont envoyees pour notre bien, et celle-ci peut-e-tre n'avoit encore produit aucun bien a la famille, et le ciel la reservoit pour d'autres temps et pour d'autres circon-stances», «nous vivons au milieu des mysteres et des enig-mes. Les choses les plus ordinaires qui se presentent a nos sens, ont toujours un aspect sombre oil se perd 1'oeil le plus penetrant. Heureux! si nous saisissons le cote agreable, e'en «t assez», accanto a quelli della «lanterne magique», ell «imperfection des mots», della «combinaison de tout ce «i" ^C ^zarre et de grotesque dans la nature», della ? balance entre la sagesse et la folie», dell'«histoire si ^ 'ginale, si cervantique», dell'«amas bizarre de faits et d'i-mo^ ,sans uaison», del «livre» che diviene «la chose du plUs al a PJUS folle, la plus bizarre, la plus inconsequente, la Parad SU Inutile insistere in questo esercizio com-
ricerca d \fnt° piu cluando sia chiaro che non equivale a una face2ia d 1 f°nti' A ma88ior ragione cio che importa nella I'alfinif f <> della luna piena non e la genealogia ma ~V\ A ^.^Oa vena comune dello «humour», consta-
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tando da un lato la sua qualita stcrnhna c dall'altro il suo cambio di prospettiva irSu0C0ITlniÍsi,ríH ' ciente ďinquadratura. Poiché, mentré Pentim '°V0 C°tfř'-stram si consuma nelPambito privatissimo delltma C'' Trt' delle sue peripezie stilistiche, quello del compacní?10'6 c lematizza un fatto di vita pubblica, con la corrcl',/ "Mcria di piů, della parola scritta al cibo e al potere dellaT"' 'X'r minante e con il rincalzo di una sottolineatura chc^^í!" mina il moyenteideolog^ oltre a J;
un intonazione, una franchezza da Giovannin Bongw N solo Sterne, dunque. ma anche_Porta: un accoppiamento" non vi ě dubbio, ardito e giudizioso per Iě7«Tischreden», pel le bevute conviviali di una collaudata locanda milanese.
Intanto, se si riprende il filo delPintreccio dialogico, la nuova replica di Renzo sostituisce al paradosso del giocatore quella che a suo parere ě la «ragione giusta» sostenuta dalla stessa logica, dobbiamo credere, che durante il primo scambio con 1'oste e 1'esibizione della grida 1'aveva condot-to a concludere, ďargomento in argomento, che «se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male». Ma il vino ci mette il suo «brio» e lo stile rimane piú che mai quello del paragone «balzano», anche nel momento in cui lo sostanzia il vero bruciante dei ricordi personali. Cosi dal-1'immagine delToste «con la penna in aria», attraverso 1 e-sclamativo di «sempre la penna per aria!», deriva un ragio; namento che somiglia a un emblema drammatico, dove «signori» tengono in mano «la penna» non per le prop ^ «parole», le~quáli infatti «volan via e spariscono>>, ma.£? quelle di «un pověro figliuolo», che subito «inhlpondaPn0 aria», appunto per mezzo della loro «penna», e «inc 10^ ^ sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo». E a de, lo strumento dello scrivere s'identifica .metom
1 mentě con unarma acuminata di violenza e dl ragg ^ anche, il senso bipartito dei milanesi «infilza» e «m ^ ^ ai danni degli «illetterati». di coloro che non sann ^q gere né scrivere perché non hanno «studiato». ^ ^ Renzo poi parla di «malizia» continuando l*esp?SlZ_Ho* che scherata della propria storia e passando all'«imbJ:08--^
/. 'osteria della retorica
1'altra faccia, di inserire «dentro il discorso
per M ne e gfinfondere e ingannare chi
qiialcne P ^ 0mhrc di don Abbondio e di Azzeccagar-222r^^rKTncl dispositivo prudente del sottinteso, visi IíTIbM lac i. 1« mímifíi fvnrativa dellu «nunta dcl-
nO HCl uuťv------ r
řisulta soltanto la mimica evocativa della «punta del-dice» contro la fronte e di un energico, piacevolissimo ' '"ffete*, dopo un «so io quel che voglio dire», che non per "•a te il Cherubíni definisce espressione di un atto che si fa 1116 to e con forza. Nessuna cautela invece, anzi un'osten-'azione di nnovo oratoria, quando subentra finalmente la certezza díchiarata di un mutamento, di una riforma di «ušlinze>> in modi legali, dopo quanto ě accaduto per le stradě «tutto in volgare, e senza carta, penna e caIamaio». Ren-zo coňtinua' á ilíudersi perché il peggio deve ancora venire e la «giustizia» gli riserva 1'attenzione insidiosa e rapace della «sconosciuta guida» su cui solo l'oste ha le idee chiare. Ma in questa dialettica rovesciata la sua antitesi finále non si limita a riproporre la tradizione di un Maggi deH'«imbroiá el volghaer cont i latin» o quella proverbiale del «dill in bon Meneghin». Essa pone anche in gioco il rapporto fra oralita e scrittura, schiettezza e calcolo, liberta e alienazione, nome e cosa, discorso e potere, lingua parlata e lingua autoritaria che «mette in carta» il pověro diavolo indifeso come in una sorta di prigione. NelPombra della parola s'intravede il no- / doprofpndodella mallzia e della violenzaTTordine ambiguo
qěTyai llí. [WUllU B L'illmiialO». —-1- 1
A farně subito le spese nel piccolo teatro della luna pie-na, al livello delle interazioni immediate, ě naturalmente il «predicatore» Renzo, il quale, circuito dai ragionamenti .astuto Poliziotto, dai suoi «una meta onesta», «ruffa e
raffa», «in ragion delle bocche» di autentico agente provo-c«ore, si lascia estorcere il nome e tutto il resto senza nep-Pure accorgersi, come riferisce la voce narrante, che u «progetto» a cui aderiva «era tutto fondato su carta, penna e c* amaio», cioe su quello che lo aveva visto poco prima cosi diffidente. Dopo tutto non ci si puó aspettare altroda uno che ha perso il conto dei bicchieri e che grida, si sbraccia, Jne banco nonostante le frasi, a poco a poco, gh nescano 9 U tatlcose e sconnesse. Uscito di scéna «l'amico», il beví-
V osterie della retorica
tore superstite con la sua «gran voglia di n 1 «occhietti brillanti» non ha di meglio che apost?? 6 ' **i «in mezzo al chiasso della brigata», ancora a D ''°ste «nome, cognome e negozio», e dedicargli un nr°p0sitQ del gone», un «paragon» come diceva giá il Porta^0 iiPata' «poveri £igliuoli» che sono gli unici clienti delloster dei dunque «mandano avanti la bottega», mentre i"8-60** delle gride» non si vedono mai «a bere un b^chier?'8"0'' subito si riaccende il motteggio dell'uditorio. Uno «vicT E Renzo» mormora che ě «tutta gente che beve acqua» un^ tro soggiunge, piú esplicito, che «vogliono stare in'se pet" poter dir bugie a dovere», e Renzo infine torna a ripetere che chi ha parlato cosi ě per forza il «poeta», il cervello biz-zarro, l'ingegno libero e giocoso della buffoneria, che per appunto ribalta in «concetto arguto» il vecehio aforismadi '/^'uiťS© (<'n V^n° ver'tas>>- Ancora una volta il «Witz» va nel proton-'.^S.f.c' do, di la"cTalla congiuntura e dall'intenzione del personam gio. Non fa dunque meraviglia che in un museo della topica letteraria si possa allineare accanto all'iscrizione emblema-tica dell'Alciato «prudentes vino abstinent», al binomio dello Sterne «une fois ivres et une fois á jeun; á jeun, pour que leurs conseils ne manquassent pas de prudence; ivres, pour qu'ils ne manquassent pas de vigueur», all'innodi Rabelais alia «dive Boutelille» («toute verité enclose... forclose toute mensonge et toute tromperie...»), al pensiero de-1'Accetto che « il vinr, h mnltr. rnntrario alia dissimulaziony pVe^cTíeyflrfe»' r"^,ítr,n 9 faccěnto batte sulla menzogna, sulla falsificazione. ^ «• serve il potere dei «signori», sull'ethos di chi non j'j-^y ( Postěna ma il palazzo, 11 luogo del benessere e deUeaneUa zione. La parola chiama in causa una forma di vita e,^ ^ fattispecie, l'antitesi dialettica del romanzc' lingU1 ettendo esistenziale di Renzo. Occorre soltanto "cordare, ^g al suo posto padre Cristoforo, la sala da pranzo di jj drigo, il «gran frastono confuso di forchette, di co^ ^ bicchieri, di piatti», i «due convitati oscuri, c.^e e ap-
L 'osteria della retorica
------—* ^"niv, 1 WUUC L.U11 VltťltJL UJVf")
vano, altro che mangiare, chinare il capo, sorr. ^ provare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cui
ddicesse», e poi il «brindisi al conte duca» e tro non con tra AzzeCcagarbugli, «piu rubicondo del so-i„nin del UUL , , .. _____ _ ji ____„„__• t__• •
I clogio..°.^j|rjzzo del «liquore» e del suo propnetano I''0*' a nj «carestia». La sensazione alia fine, e Porecchio te vi aveva certo la sua parte, era quella di una «fiera» ' una «compagnia di cantambanchi, quando, tra una so-C e l'altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo n3'dere quan'to piú puó, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri». Niente di tutto questo, per contro, nella cucina della luna piena, dove, bene o male, circola'solo «quel guastamestieri del volgo» e Punico «buf-fone» appare Renzo, purché lo si guardi attraverso gli «oc-chietti» dell'oste, che lo condannano nello stesso tempo al marchio definitivo di «pezzo d'asino», prima e dopo lo stravizio deh«vmo^cj^x»>.
Quanto ;unarřatore/l"a sua registrazione dei fatti si al-terna alle proteste di obiettivitá, alle note di un moralismo bonario e comprensivo, magari con il ricorso al buon secen-tista («Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che puó contare...»), proprio per avere via libera nel seguire e nel rappresentare la discesa del suo personaggio nella regione incerta di una allegria biologica, di un riso che invade tutto il corpo e lo possiede, sino all'«ultimo moccolo» della coscienza. E vengono cosi a tiro, con un esito che non ě solo comico, la «pronunzia lenta e solenne» di una sillabazione barcollante, P«arsione» acuta da < come a poli incrociati. E il pezzo for-r. straordinaiio della retorica della luna niena, tutto
con
(quas li' esclamazioni, reticenze, ossessioni, simmetne alla Matte Blanco), in un parlato di sostanzioso e
jeru^iujia^rjigna antitesi sottintese,
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L oiteria della retorica
schiene impasto dialettale. Non re se si deve rinunziare alia velocitä del neslf^
Tutto
icatlo —- iitssi e dei pjjj comincia in un'aria di familiarita popolare con^' parizione negata di un galantuomo come Ferrer «a f * brindisi, e a spendere un beeco d'un quattrino» e conl'^ cazione imprecante e anonima del suo contrario, «que^ assassino di don ...». Segue ora un atto fatico di i u,K zione («sto zitto, perche sono in cervello anche
cui si lega immediatamente
tropp0
«tomando altema del
e qui l'in-
galan-
tuomo, l'abbinamento di Ferrer e padre Crr.. terruzione del significante onomastico da origine aunan schera acustica) mentre vi si accoda anche la postilla rifle, sivacbe^^^ rinfdrzaTa Yp'red
sarOal^pliratfo^^ intanto, perche
riemerga di colpo il ricordo tumultuoso della piazza in let-; mento e della folia vociante, dapprima nell'«hysteron pro-teron» della soddisfazione che «non si sia fatto sangue», piii che mai a ricalco di un idiomatico «fa sangu». Poi riediej-giano alte e festose, insieme con la sensazione tattile degli «urtoni» dati e ricevuti, le parole d'ordine deU'entusiasmo collettivo, da «pane» a «largo», da «abbondanza» a «viva», sfiorate appena dal disappunto, nei confronti dello stesso Ferrer, del «maledetto vizio» di «qualche parolina into no»: Renzo pero nel citare il suo esotico «sies baraos trapo-lofum» non solo deforma come l'attore buffo di una corn-media l'«ox! ox! guardaos» del gran cancelliere, manec^ tamina lo spagnolo ormai senza senso con un sinti^ maccheronico che denuhcia di fatto la mistificazione suona gcmello del «latinorum» buttato in faccia al cap ^ latino di don Abbondio^ner'primo colloquio in can^ ^ D'altro cantVPTmmaginazione del parlante, at r medio linguistico di «giustizia» e «pane», in una ^"e!i. lantuomini», si e gia spostata da Ferrer al prete e tura notturna"3el matrimonio mancato a < fra'e tori ton ton, e poi ancora ton ton ton» che molt ^ g ^ cadenze dialettali di «scappo fuori», «ve», <> udito da io a chi penso!», il quadruplice «ton, ton, ton, ^ tutti nella versione originaria e diretta del risaiire paesano. Ma per rendersene conto e necessario
L 'osteria della retorica
ia del personaggio, dal melodramma del suo «aecora-
metn0 cosi svenevole, cosi sguaiato», alia memoria della
me-n!°,o e alia sua virtuosa ironia architettonica. Esiste an-scrittura c Vl-/eliissiJdichiarata in an-ticipo serve naturalmente a defmlFP Un comportamento verbale oramai sciolto dal controllo della ragione, ma, a pensarci bene, suggerisce anche l'idea di una sfida per colui che racconta, di un rapporto, sia pure parziale, con la^po^, terizialita informe della bizzarria e dell'ass.u^dja, con ciö ehe sf-riascoh^esotto l'armatura della coscienza, tanto piü nel caso di Renzo e delle sue frasi trascritte, «senza misura ne regola». La stessa allusione finale al «libro stampato» e alia sua «condizione necessaria» di «far vista», che e come dire far finta, di «avere senso», implica di lä da un'arguzia d'oc-casione I'autqreierenza ironica di un interrogative piü radikale intorno al limite o all'apparcnza di una parola che, or-dinandosi nella paglna, mfilzata~dalla penna, dialog^Qa;
•tre Parnlg." quasi che il romanzo scruti il proprio intrigo e i suoi presupposti mentre sembra scherzarvi sopra in un mo-
0 C0,S1 ovvio. Ecco perche, si puo soggiungere, gli accozza-ddJ1^ c.ors*vi della luna piena non si fermano al comico
C a retorica e alle sue icastiche stravaganze. Nel luogo de-
^utato del vino e del gioco, del simposio grottesco e dell'u-rebb Conviviale> del libertinaggio da tavola, come di-ter e "acntin, che abolisce ogni barriera gerarchica, la let-;f:—ya mettp in rHcnr^jnnr Jietro i fantasmi che iriventaT
wo
1 ££QWio senso e il proprio yern. il diritto a «manomettere .^parole^sapendo che la finzione non liquida ne accantona -J^^- Cosi dell'uditorio di Renzo, all'osteria, fa parte
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L 'osteria della retorica
anche uno sbirro, m uomov.
alla
«ccia perfida e ostlnata di
55,
píima delle grandi digression! del Femn quella suli amore che introduce al mm—.-gnora, al principio del torno se _prese con le obiezioni di un «p( \ va a scoprire le sue carte dichia^ Vsero aver per fine di divertire quella classe'TCninTcSr fa quasi aitro che divertirsi, sářebbero la piú frivola la " servile, 1'ultima delle professioni. E vi confesso che ťrcJrei qualche cosa di piú ragionevole, di piú umano, e di piú de. gno nelle occupazioni di un montambanco che in una Bera trattiene con sue storie una folia di contadini: costui almeno puó aver f atti passare qualche momenti gaj a quelli che vi-vono di stenti e di malinconie; ed ě qualche cosa». Non vie dubbio che la sua confessione vada poi correlata con il sag-gio, questa volta storico, che chiude lo stesso torno e ilri-tratto di Federigo Borromeo, a proposito dell'origine fran-cese del «risorgimento» culturale italiano dopo il secolo della «buffoneria», con la «idea ďuna letteratura nutrita di ricerche importanti, di ragionamenti serj, di discussioni sincere, ďinvenzioni che somigliassero a qualche cosa di umano, e di reále, diretta a far passare nell'ingegno deilet; tori una persuasione ragionata di chi scriveva, a condurrej molti ad un punto piú elevato di scienza, di sent^nent0^st erano giunti alcuni con una meditazione particolare». ^ invece l'attenzione si appunta sulle «storie» del < et qui, parmi tous les maux qu'elle entraine, ne m avez )amais laisse connoitre les soucis. —Jamais vous obi ? 3VeZ abandonn^; jamais vous ne m'avez teint les dan S Cn n* en pa^es couleurs — Au contraire, dans les yon8ejS' y011^ avez toujours dore mon horizon avec les ra-frap V esPerance; et quand la mort elle-meme est venue si " a maPorte, vous l'avez congediee d'un ton si gai et suoel08e' Ti'e^? 3 Ctu s'^tre trompee». Ne suona diverso il benign8^. p << oancno-ranca un royaume ä choisir je ne ch I
gloire ni les richesses; je demanderois un royaume °'S du matin au soir. - Les passions bilieuses et méUr par le desordre qu'elles apportent dans le sane et T1' humeurs, sont ordinairement aussi contraires au co ^ tique qu'au corps humain. Mais comme 1'habitudeTl" vertu peut seule les contenir et les vaincre: "Seigneur ď rois-ja a. Dieu, faites que mes sujets soient toujours aussi sa ges qu'ils sont gais; et alors ils seront le peuple le plus heu-reux, et moi le plus heureux monarque de la terre'Y Certo tanto piü quando vi confluisce insieme il sospetto, la perce-zione dell'incertezza e della fallacia della parola («Quelle source intarissable ďobscurités pour le passé, le present et le futur! l'inconstance et la mobilitě des mots ont toujours jeté dans l'embarras l'entendement le plus subtil, le plus penetrant, le plus élevé. On croit concevoir une chose... Un mot survient, et vous voilä arrété tout court»), la lezione comica di Sterne non ě passata invano nella ricerca laborio-sa e audace che tra il Fermo e Lucia e i Promcssi Sposi, dope la crisi del tragico e Ta congiunzione di Shakespeare con Walter Scott, muove verso quello che la Lettre a M. Chauvet^ designava, ancora tra piu di una riserva, «le melange ^ plaisant et du serieux», la mescolanz* dei Sffleri, 11Iitr" «du grave et du burjesqueT^^uch^nt et. du bas». ^ jj stal'traclä'matura la f ine del «romanesque» e si comply ^ missione del comico quotidlanOj^ddi^viia.ieria e ^ groTtesco spes'so dolo'roso, nel pathos della st0.^a' manCe» degli eventi e dei possiblft, sa'crificando anche "^..^ e ja tragico del Fermo e Lucia. Ciö che s'impone e la va gjg. frammentarietä del mondo, come le mille «strade t\\\i te» del paesaggio familiäre a un curato di CiimP^0>> della resa dei fatti, per agire davvero il «montantam ^ ^ digressione ha Promessi Sposi,
perché infinito. t0 caso w.
Ma giova di nuovo tornare a Sterne, e in qu -n£ che 51 sua poetica gioiosa del raeconto come conver
etmélancoCí
,cratico
^N-i lain, il^UC UaVVClU 11 SMUV«*—-
digressione ha bisogno del narratore astuto ~ -Promessi Sposi, convinto, per giunta, d'essere ümi
lolo
L'osteria della retorica
autorappresenta all atto stesso della propria genesi, come movimento progressivo e digressivo di una stravagante e r5pl5dTca' -«amplificatio» romanzesca. II Tristram Shandy ci elargisce s\h\to, a guisa di spkndido e efficace sommario il paragrafo che apre il capitolo XI del volume II, che passa poi quasi intatto^ salvo qualche piccolo ritocco, nella tradu
ifftr- Hp '» conversation a,
francese- «Ecrire ne diffěre de la conversation que par leTom, surtout quand on menage; cet_^comme je
le fais. e qu il pense en
la décence II doit re-laisser
Un'homme de bon sens ne dit jamais causant, et un auteur, qui connoit les limites de et de la politesse, sait aussi ou il doit s'arreter. specter la penetration et le jugement du lecteur, et lui 1 toujours le plaisir d'imaginer et de deviner quelque chose. Je deteste un livre qui me dit tout, et Ton voit bien que j'e-cris le mien d'apres ma maniere de penser. J'ai toujours soin de laisser a l'imagination de ceux qui me lisent, un aliment propre a la soutenir dans une activite qui egale la mienne. C'est a present leur tour». Ora, per quanto in modo piu discrete e con un altro tipo di pudore, si deve dire che un principio dialogico abbastanza simile vale anche per i Pro-mew: Sposi. A differenza di quanto accade nel Fermo e Lucia, dove le digressioni e le postille intercalate mirano a dire tutto, dall'etica della storia all'artificio del romanzo, non lasciando vuoto nessuno spazio all'interno di una narrazio-°e gia tesa e gremita, il lettore dei Promessi Sposi deve fare i c°"n con una voce narrativa che aTTude, commenta a meta, .jDoozza un lacc^iismo digressivo, introduce una congettura 0 una masjSMatt^ in cui spesso si annida
!In a tra e piu sottile ironia. L'affabilita pub nascondere al-'oralaprovocazione.
a ^ ne voglia un esempio adeguato non ha che da porre Rod m° ^ ^Ue versioni del pranzo che l'erede di don delle'l80 °^re ag^ sPosi e a don Abbondio, in occasione COj ^°T° n°2ze, su al palazzotto del tiranno libertino. Ec-_ onimett^116' ^'mtavo^atura piu antica: «Non possiamo perb drone "na cjrcostanza singolare di quel convito: il pa-, si confa°n ^ Sed^' ^B3"^0 cbe il pranzare a quell'ora non Ser'a um^ ^ SU° stomaco- Ma la vera cagione fu (oh mi-ana!) che quel brav'uomo non aveva saputo risol-
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L 'ostcria della retorica
versiasedereamensacondueartigiani- v , recato ad onore di prestar lore i p ül a? 1 che si« malama. Tanto anche a chi é esercŕl , Servi8Í' i >ni ě difficile il vincere ZSll^^
passioni e airticile il vincere una piecok'ľk-^V6^ Jgiuctoao, quando un dôvere inflessibile e !? ne ^ P (manch la vittoria>, II testo definitvoiltZ r quadro: «II rnarchese fece loro una gran fc«a 11 ^ PS, 1 un bel tinello, mise a tavola gli SPosi. c« ÄĽ°ndu^
Trebbe
fořti pre-
i i. °----'""i a cor
tavola gh sposi, con Agnese
in
e con la
IP
-------~ &il jjjusi, con Agn
mercantessa; e prima di ritirarsi a pranzare altroveconc Abbondio, voile star li un poco a far compagnia agl'invitati e amto anzi a servirli. A nessuno verra, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa piu semplice far addirittura una tavola sola. Ve l'ho dato per brav'uomo, ma non per un originate, come si direbbe ora; v'ho detto ch'era umile, nongia che fosse un portento d'umilta. N'aveva quanta ne biso-gnava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari». Come emerge immediatamente alia prima ispezione, la differenza piu forte, a parte la crudele finezza aggiunta del «tinello» e di don Abbondio alia mensa del marchese, riguarda proprio il commento del fatto nar-rato: che nel Pe.rmn p j.ur.m spie^esattarn^nt^JLmeccam-smo dell'incongruenza mentre nei Promessi Sposi lo rimette al paradosso del «mettersi al di sotto» e dello «stare in pari>> quando non si e un «originale». E tocca dunque aljettoredi «deviner», di sciogliere la figura obliqua dell'enunciato. di giungere al riconoscimento del «pregiudizio», al pensiero vero di colui che strive. E come se una traccia venisse cultata o confusa da una «penetration» che attende la p pria controparte ermeneutica, cioe il «jugement» di un terlocutore attivo e curioso. D'altro lato la stessa cosa bra avvenire anche alia superficie della tessitura un^u^,nz0 poiche nel passaggio dafia storia di Fermo a quella dl 0 tendono a scomparire quasi tutti i dialettisrni man -e vistosamente esibiti, sul genere, poniamo, di «glin j. je[ navigati (son costretto a prendere entrambi i v?c.ajej]'una dialetto del mio paese, il quale non manca d'uomint ^ ^ e dell'altra specie)», ma rintonazione milanese sl ^Q-n0\e nel corpo semantico del slgniFicante e delle sue ar ^ ^ parlate unltarie senza alcun tratto distintivo, tanto
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L 'osteria della retorica
■ vvertita se non si mobilita l'«imagination» verbale Sfe gttoŕe a parte del gioco, quello della bivocalitä sot-«;i e visto come il dialogo della luna piena ne insegni
a-^hTTemosse. j. . ,
Secondo un sagacissimo esperto di microscopie e deci-I :~ni harocche quale Giovanni Macchia». il romanzo manzoniano trova nel Seicento non solo la materia su cm costruirsi, ma anche il senso inevitabile delľavventura nar-^tiváfa'élla teatralitä dell'esistenza, delle contraddizioni del vivere, della veritä che puö farsi tenebra e menzogne fra paura, follia, desiderio, speranza, alia presenza continua della morte, questo superlativo, come ha scritto Canetti, che ě il piu reale che ci sia tra le cose dell'uomo. Si capisce perché dalľipotesi iniziale di un romanzo storico alia Walter Scott, con qualcosa anche di Fielding, sulla trama di un melodramma popolare e lombardo, venga fuori una strut-tura problematica e spregiudicata, sotto ľapparenza di una registrazione attenta e tranquilla, che muove dalla linea er-ratica e pluriprospettica di Cervantes e di Sterne, se non addirittura di Swift e di Diderot. Ed ecco cosi le_parodie, i «pastiches», le contraffazioni, le anamorfosi laconiche, i ta-gli caricaturali, le controfigure satiriche, i recitativi disso-nanti in falsetto ai margini o alľinterno del documento, LÍĽiTa polifonia monumentale della storia. Il barocco ě il segno trionfante della retorica e della stravaganza ingegnosa, dell acume combinatorio per cui l'anonimo pub comporre il suo «angusto Teatro» di «luttuose Traggedie ďhorrori e cene di malvaggitä grandiosa, con intermezi d'Imprese üchU0Se ^ ^uonta angeliche, opposte alle operationi diabo-^c e», e il suo trascrittore o amplificatore moderno si fer-' Pens°so ma pronto anche a un ossimoro ontologico, sul spetttraPlP0St0 ^ ga*e e di cenci> di superfluitä e di miseria, co nen 0 ordianrio de' tempi ordinari». Ma forse il baroc-ľjp^. a sÍ2TÍa di Renzo e del suo viaggio di antieroe ě anche cf^jSilS läFtotFdellä vita," il travestimento di una realtä che äff08"3 gua^are a distanza per non venirne bruciati, crudeltaSCi!na C .msieme spaventa, al pari delľeros e della PerVie-0§ni gi°rno nega l'amore dell'uomo.
ultima volta bisogna ridiscendere all'osteria della
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l.'oitenadellare,
Umca
luna piena, al momento in cui loste, dopo aver m mentě a letto il suo avventore alticcio e loquace 7h • guardarlo, ormai addormentato, «in quell'atto a Cd so che vien spinta Psiche quando sta a spiare furti ^ le forme del consorte sconosciuto». Lasciamo staJT""* catura impagabile dell'immaginario neoclassico, con tellino, accanto, di un furioso e irridente «pezzo d'asinot Interessa di piü, infatti, l'inserto del narratore, prima dd gesto del personaggio, a chiarire che la sua origine vacerca-ta in «quella specie d'attrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggettod'a-more, e che forse non ě altro che il desiderio di conoscert ciö che opera fortemente sull'animo nostro». L'ultima pro-posizione non riguarda piü Toste, il quäle ha tutt'altro da pensare, ma colui che racconta e riflette. Non resta allora che attribuirgli la stessa specie d'attrattiva ambivalente an-che quando l'oggetto diviene il barocco, la «scena del moo-do» cara all'anonimo. E se si continua ancora, come richk-de il testo, si deve parimenti dedurre che quanto piü osserva il «perpetuo ricamo di Attioni gloriose» del vecchio secen-tista, amico poi di Renzo, tanto piü il narratore dialogacon se stesso ed esplora, conosce la propria identita e il senso e suo rapporto con l'ordine e il disordine del mondo. Nonp« nuUa, a detta di Milan Kundera, uno scrittore che an» Cervantes, Sterne e Diderot, il m^nanzo e un índagm l'enigma dell'io, una meditazione süll esJiW«22i
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Capitolo scsto
Le imprecazioni travestite
Al termine del capitolo IV dei Promessi Sposiji conclu-
sione déHTstoria retrospettíva di padre Crístoforo.. di suono cosiopposto a quelia dl don Abbondio nella prima scena deJ romanzo, il ritratto del personaggio interiorizza
chi^^avatT^i^^i^^^^c^e cavalli bizzarri, condotti a da un cocehiere [...] con una buona tirata di morso» — nel-1'ethos di un comportamento, di un abito linguistico. L'o-perazione diagnostica ha luogo in due tempi. Dapprima ě la volta del narratore con il suo ocehio eritíco di moralista moderno: «11 suo linguaggio era abitualmente umile e posází to; ma, quando si trattasse di giudizio o di veritá combattu- ' ta, 1'uomo s'animava, a un tratto, delTimpeto antico, che, secondato e modificato da un'enfasi solenne, venutagli dal-I uso del predicare, dava a quel linguaggio un carattere sin-golare. Tutto il suo contegno, come 1'aspetto, annunziava una lunga guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una vo-ontá opposta, abitualmente vittoriosa, sempře alTerta, e 'retta da motivi e da ispirazioni superiorji^Poi interviene, ^uas'a ^orpresa, un testimone interno al racconto che ri-2jCn 1 analísí linguistica ma la trasforma in una compara-PerH l urat'va- ^ fenomeno tecnico, k maschera acustka sona C°v Canetti- diviene 1'immagine profonda del per-confrat°n mbIema v'vente di fra Crístoforo: «Un 50^ g0nata e °. cne lo conosceva bene, Paveva una volta para- \ nátura] * q?e^e Egrole troppo espressive nella loro forma -m^j-^j che aleuni "aňche bene educati. pronunziano, '^"HUai^,pasS1°P-e rr~a^YTa. smozzicate, con qualche lette-c°rdare d'lfY0^ Che' in que' travisamento, fanno pero ri-
nucleo f0 j sostituzione e attenuazione assunto come rte della similimdinp ř> nnello che eli studiosi del
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