Svevo e la malattia delia parola 121 la ehe, nel linguaggioji Pirandello, si sarebbe detta unftaaone una.pajQJajeatrale^che non dá testimonianza di qualche cosa al dífuonai sé, ma dichiara solo sé stessa,,ě- specchio unieamente delľintenzione ehe opera nel momeiito in cui Zeno paria. Da questo punto di vista il protagonista ě a tutti gli effetti un teatrante,*che gestisce consapevolmente il pro-prio molo, anzi i propri molteplici ruoli, gioeando sulla sorpresa indotta dalla dialettica ehe si instaura tra le diverse prospettive, le facce nascoste delľio ehe emergono dal profondo. Il paradosso, alia fine, ě ehe moltiplicando e aceumulando le falsificazio-ni. Zeno dice la veritä su di sé: esibendosi come commediante rappresenta laveritä delia sua maschera. E probabile ehe in questo modo Svevo coniu-ghi, non piú nella dimensione del superuomo, il principio nietzschiano se-condo il quale ogni uomo ehe conta deve avere una maschera da indossare nel teatro delľesistenza. Ma ě un istrionismo opposto a quello dannunzia-no, ehe si nutre delľillusione delia grandezza: la teatralitä di Zeno ě non solo drammatica ma esistenziale, come mostrano i suoi comportamenti, i tie, i manierismi nevrotici ehe uno psichiatra come Binswanger potrebbe aseri-vere tra le forme di esistenza mancata.Xastrione maschera il disagio e nello stesso tempo lo annuncia, e il suo riso assume una strana, sgradevole infles-sione, mentre assiste, come sdoppiandosi, agli effetti deí suoi gesti e soprat-tutto delle sue parole. Nel momento in cui comprendiamo ehe Zeno ě un commediante, impariamo a diťfidare delle sue parole, a percepirne ľineli-minabile ambiguitä. II testo ritorna piú volte, come si ě giä visto, sul problema delia parola, dei suoi moventi e dei suoi effetti. A proposito delia risposta data a Carmen, 1 amante di Guido ehe aveva rifiutato le sue avarices, Zeno osserva: «le parole bestiali ehe ci lasciamo scappare rimordono piú fortemente delle azio-ni piu nefandě cui la nostra passione ci induca». II rimorso ě la coscienza ri-spetto alle ragioni etiche, e dunque ci riporta ancora una volta al titolo del romanzo, i cui significati si moltiplicano e si complicano nel movimento del racconto. Ma soprattutto Zeno ritorna al rapporto tra le parole e le azioni: H «Naturalmente designo come parole solo quelle ehe non sono azioni, per-ché so benissimo che le parole di Jago, per esempio, sono delle vere e propne azioni». Le parole non sono semplicemente atti linguistici, ma azioni Vere e proprie, e per giunta piú ambigue. La citazione di Jago, uno dei per-sonaggi piú inquietanti del mondo shakespeariano, non ě owiamente ca-suale. Comunque lo si voglia interpretare Jago resta una sorta di genio del male che non solo travisa e deforma, ma contamina: ě lui in fondo il gesto-re terribile dell' intrigo di Otello; ě lui che per invidia, forse per risentimen-t0> Porta Otello alia rovina, e con Otello anche Desdemona. E uno dei A.