4 La nuova letteratura della Firenze medicea 3.4.1. La Firenze di Lorenzo il Magnifico. Dopo la morte del vecchio Cosimo de' Medici (1464) e di suo figlio Pie-ro (1469), il controllo di Firenze passö al giovane figlio di Piero, Lorenzo, a cuiben presto fu dato l'appellativo di Magnifico: fino alla morte (1492) egli guido con prudenza la vita politi ca della cittä, col metodo giä usato dal non-no Cosimo. Dovette affrontare momenti molto difficili, come quello della congiura diretta dalla famiglia aristocratica dei Pazzi e sostenuta dal papa, in cui trovö la morte il fratello minore, Giuliano (28 apríle 1478): Lorenzo reagí con una dura repressione, rafforzando il potere della sua famiglia e comportandosi sempře piú come un principe assoluto. Per mantenere il suo potere all'interno di Firenze, egli condusse una accorta politica diplomatica, rendendosi quasi un garante deU'equilibrio tra gli Stati italiani (cfr. 3.1.1) e imponendo, su scala nazionale e interna-zionale, il prestigio culturale e artistico della cittä. II suo palazzo fiorenti no e le varie ville medicee non lontane dalla cittä diventarono luoghi di in-contro e di raccolta di molti letterati e artisti: una eccezionale fioritura in-tellettuale fece sorgere un nuovo mito di Firenze, vista come centro supremo degli studi e delle arti, come «novella Atene». Oltre che per Ie ricchissime opere d'arte, la cittä si impone a tutta la cultura europea per l'intenso sviluppo degli studi greci (importanza fon-damentale vi ebbe l'insegnamento a Firenze del greco Giovanni Argiro-pulo) e per una nuova filosofia che si ricollegava a Platone e al platonismo. Ma Lorenzo sostiene anche la tradizione munieipale, prestando grande attenzione alle forme letterarie volgari piú legate alla vita quotidiana del Comune fiorentino: le usa come modi di comunicazione all'interno della «brigata» riunita intorno a lui (che, specialmente nei primi anni, fu un ti-po di corte assai singolare, per metä borghese e per metä aristocratica), e ne fa strumento di spettacolo per il popolo, in occasione di feste e cele-brazioni pubbliche. Intorno al 1470 si ha cosi una vivacissrma ripresa della letteratura volgare fiorentina: ci si riallaccia alle forme della precedente tradizione (soprattutto ai grandi scrittori del Trecento), mettendole a con-fronto con la nuova cultura umanistica e il nuovo culto degli antichi. In questo modo Firenze ribadisce la continuitä della sua cultura, imponen-dola come modello a tutta l'ltalia contemporanea. L'opera poiitka di Lorenzo de' Medici Firenze centro di cultura La tradizione comunalc EPOCA 3 IL MONDO UMANISTTCO E SIGNORILE 1380-1494 I.4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA 37 La difficile ricerca di tm cquilibľio II platonismo quattro-centesco 1 Matteo Pal mieri Crístoťoro Landino Gli splendid! risultatí della cultura delta Firenze laurenziana tuttavia non devono far pensare che in essa tutto fosse equílibrato e armonico, II controllo politico e culturale di Lorenzo sulla cittä non fu facile e tran-quillo: egli doveva tenere insieme le fila di una realtä carica di tensioni, di un sistema sociále ed economico che aveva basi estremamente fragili. In realta nella «novella Atene» non poté realizzarsi nessun sicuro equilibrio tra ľuomo e il mondo: si aspirô a quell'equilibrio come a un sogno, a un ideale inafferrabile, che si identificava con una bellezza fresca e Serena, ma sem p re minacciata dalle ombre di una realtä mutevole e ostile. E giä verso gli ultimi anni delia signpria di Lorenzo, la predicazione del Savonarola diffuse in Firenze una nuova, sconvolgente inquietudine, che esplose poco dopo la morte del Magnifico, dissipando per sempre quel sogno di regolata armonia (cfr. 4.2.1). 3.4.1. DalľUmanesimo «civile» al platonisme. Al consolidamento delia Signoria dei Medici corrisponde, nella cultura umanistica fiorentina, uno spostamento di interessi dalla problematica «civile» (cfr. 3.3.7) a quella filosofíca e metafisica che trova la sua espres-sione fondamentale nel platonismo del Ficino. Questo mutamento di interessi appare ben evidente nelle opere di matteo palmieri (1406-1475), che nella giovinezza scrisse i dialoghi Delia vita civile, in quattro libri, in cui si esaltano le virtú civiche e sociali, e nella vec-chiaia si dedico a un ampio poema in terzine, La cittä di vita, basato su vision! di tipo dantesco e su audaci concezioni teologiche. Mediatore tra cultura latina e cultura volgare, dívulgatore delia filosofia platonica e delia filológia umanistica, fu CriSTOFORO Landino (1424-1498), che svolse un lavoro di studio e interpretazione di scrittori classici e volgari (in primo luogo Virgilio, Dante, Petrarca): sostenne il rilancio della Iettera-tura volgare, dal punto di vista umanistico, affermando che «e necessario es-sere latino, chi vuole essere buono toscano»; esaltô la nuova filosofia platonica fiorentina nelle Disputationes Camaldulenses (Discussioni di Camaldo-li), scritte negli anni Settanta e stampate nel 1480. 3.4.3. La.put philosophia di Marsilio Ficino. Petrarca e i primi umanistí avevano guardato a Platone come a un maestro di filosofia morale, da contrapporre agli astrusi sistemi metafisici degli aristotelici; il platonismo della seconda meta del Quattrocento ricava invece da Platone una visione generále dell'universo, richiamandosi anche alia filosofia di Plotino, alia tradizione neoplatonica che aveva percorso tutto il Me-dioevo e ad altre antiche tradizioni orientali. Importante fu il contatto con i dotti greci del tempo, come il celebre Giorgio Gemisto, detto Pletone (1360 ca.1450 ca.), che aveva «costruito» una vera e propria religione neoplatonica e che tra l'altro soggiornó a Firenze nel 1439. Giä gli anni di Cosimo de' Medici vedono la diffusione in Firenze di un vivace interesse per il platonismo, i cui frutti vengono raccolti da Marsilio FlCINO (1433-1499). Studioso di medicína, mágia e astrológia, Ficino tradus-se in latino mold testi di Platone e della tradizione neoplatonica, tra cui Í co-siddetti testi ermetici (cfr. PAROLE, tav. 58), e voile fare della sua filosofia un modello di vita per gli intellettuali che si riunivano intorno a Lorenzo: si trat-tava di far convergere tutte le tradizioni religiose e filosofiche delľantichitä, considerate concordanti col Cristianesimo, in una pia philosophia. La sua opera piú importante c la Theologia platonica de immortalitate animae (Teológia platonica sulľimmortalitä dell'anima). Per Ficino ľuomo pud sfuggire alia desolazione dell'esistenza se scopre, attraverso la contemplazione, il si-gnificato autentico della vita dell'universo, se comunica con lo spirito divino presente in tutta la natura. L'amore ě fondamentale per il compimento di questo processo: ľuomo che ne ě posseduto comunica con la forza amorosa che circola Dell'universo, fino a identificarsi neli'amore supremo di Dio. La natura animata mossa dalla musica divina puô essere dominata dall'uomo, animale perfetto: la mágia e ľastrología sono strumenti essenziali per inse-rirsi nel suo flusso armonico. Lapia philosophic j L'amore e la visione di Dio ERMETICO / ERMETISMO / NEOPLATON1SMO Uermetismo ě una tradizione fiiosofico-religiosa che coneepisee la realtä come un tutto divino, percorso da un'infinita forza spirituále, e che ha come massimo ideale umano una sapienza segreta, capace dl comunicare con la veritä attraverso l'esperienza mistica, la magia, lo studio dei movimenti degli astri. Le origini di questa filosofia, legata al culto del Sole come suprema immagine della divinitä, si trovano in testi greci risalenti al secolo ii-iii d.C, attribuiti a Ermete Trismegisto (cíoě "tre volte grandissimo") e creduti un tempo molto piú antichi. Essi erano considerati depositari dell'antica sapienza egizia. Nel Quattrocento e nel Cinquecento questi testi furono ampiamente indagatí e venerati da autori come Ficino, Pico della Mirandola, Giordano Bruno e, fuori d'Italia, dal tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535). L'ermetismo si lega spesso alla pratica della magia, delle scienze occulte come Yalcbimia, e della cabala ebraica (cfr. PAROLE, tav. 8); ha stretti rapporti col neo-platonismo, filosofia elaborata dal greco Plotino (204-270 d.C), secondo la quäle la forza dell'amore di Dio circola in tutta la realtä, e il culmine dell'esperienza umana consiste nell'ascesa alla contemplazione dellassoluto bene divino. II neo-platonismo ě una componente fondamentale di molte filosofie cmquecentesche, oltre che dell'ermetismo, e si diffonde nella societa cortigíana anche in forme este-riori e mondäne, confondendosi spesso con piú generici motivi platonici, special -mente nella trattatistica d'amore (cfr. 4.4.14). L'aggettivo ermetico, ancora oggi molto diffuso, qualificava ogni chiusura capace di irnpedäre il passaggio di una sostanza: il sigillum hermeticum indieava giä nel tardo Medioevo il sigillo dei recipienti impiegati negli esperimenti degli alchimisti. Da questa nozione di «chiusura totale» i termini ermetico ed ermetismo sono pas-sati a indicare l'oscuritä linguistica, I'indeeifrabilitä: nel secolo XX si ě cosi parlato spesso di ermetismo a proposito della poesia e della ]etteratura che rifiutano la co-munieazione convenzionale; e in Italia negli anni Trenta il vocabolo é stato usato per designare una ben identificabile tendenza poetica (cfr. 10.7.14 e sgg.). 7368 La tradizionc | fiorenlina popolare Ai confini della misciedenza La brigata medicea ii Morgante EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E S1GNOKILE 1380-1494 3.4.4. Un «itfegolare» nella Firenze laurenziana: Luigi PuicL Mentre Ficino mirava a far convergere la nátura, la storia, le religioni, le tradizíoni in una sintesi assoluta animata dalľunico impulso delľamore, la ricerca di una continuitä con la tradizione volgare fiorentina dava vita a un modello opposto, basato su un linguaggio «basso», radicato nel mon-do quotídiano. Questa ricerca si ispira alia poesia del Burchiello, okre ehe alia tradizione dei cantari (in auge nel Quattrocento) e ad altre forme della cultura comunale fiorentina. Nei primi anní della signoria di Lorenzo, LuiGI pulci rappresenta in modo assai originále questa continuitä, opponendosi al composto fervore platonico del Ficino e presentandosi come un personaggio burlesco, sempře pronto a mettere in luce i lati deformi e grotteschi delia realtä. Pulci si mantiene ai confini della miseredenza, delľambiguitä ideologica, addirit-tura dell'eresia; del resto non conduce una tranquilla vita di studioso, ma un'esistenza agitata e disordinata ehe lo porta a scontrarsi con mille pro-blemi e difficoltä. Nato a Firenze il 15 agosto 1432 da una nobile famiglia impoverita, ehe vi-veva sulle magre rendite di aleuni poderi agricolí, Luigi ricevette una normále educazíone letteraría, basata sulla conoscenza del latino e dei maggiori poeti volgari. Dopo una giovinezza di espedienti, incominciô intorno al '61 a frequentare il palazzo dei Medici in via Larga, ricevendo incarichi e favori. Lí fece valere il suo gusto per I'espressione vivace e aggressiva, per un linguaggio comico legato al gesto immediatq, per le forme gergali e rusticali e per i vari dialetti regionali. Anche nei rapporti con i Medici aveva modi bru-schí e scherzosi, trasformando ogni scambio quotidiano in occasione di gio-co. Amava recitare in pubblico, divertendosi a manipolare il linguaggio fino a farlo «esplodere». Alia cerchia di amid e intellettuali che si andava for-mando intorno al giovane Lorenzo egli comunicô il suo istinto giocoso, pro muovendo una poesia di gruppo. Nacquero cosi operette d'occasione, scrit-te a piú mani, le cui diverse stesure rendono spesso difficile riconoscerne ľautore. Tra queste ě celebre la Nencia da Barberino, scritta dallo stesso Lorenzo, a cui Pulci replied con la Beca di Dicomano, un'affettuosa paródia e deformazione della Nencia (paródia, a sua volta, del linguaggio rusticale e della poesia amorosa). Pulci rnirava a fare di questa letteratura giocosa, che molto doveva all'o-pera del Burchiello, I'espressione tipica della cerchia o «brigata» medicea, e almeno fino al 1473-1474 lo stesso Lorenzo m Íl sostenitore principále di scel-te letterarie cosi orientate. Del rapporto con Lorenzo sono interessante te-stimonianza le hettere che Pulci scrisse durante alcuni viaggi. Pulci diede la massima prova del suo ingegno in un poema eroico, an-ch'esso in ottave, puilulante di elementi comici e satirici, il cui titolo, Morgante, deriva dal nome di un gigante che vi svolge un notevole ruolo. Si guardava allóra corT rinnovato interesse ai cantari popolari, special-mente a quelli centrati sulle gesta di Carlo Magno e dei suoi Paladint che 3 4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA rappresentavano 1'immagine del trionfo cristiano contro gli infedeli, assai suggestiva nel momento in cui, dopo la caduta di Costantinopoli, l'Euro-pa cristiana sentiva allora la crescente minaccia dei Turchi. Nella scelta del terna e nella stesura del suo lavoro, Pulci venne sollecitato da Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo. II testo completo del Morgante si compone di ventotto cantari, risultanti dall'insieme di due parti separate, scritte in fasi diverse, che si presentano come due poemi dai caratteri molto dissimili. La prima parte (di ventitre cantari) fu scritta nel corso degli anni Sessanta. Nel 1478 se ne ebbe probabil-mente la prima edizione a stampa, poi perduta; ci sono giunte, invece, due edizioni apparse nell'82 (mentre veniva puhblicata una piccola edizione separata, anch'essa perduta, dei cantari con 1'episodio di Margutte). Nel feb-braio dell'83 usci una nuova edizione, col titolo di Morgante maggiore e con l'aggiunta della nuova parte costituita da cinque cantari. Intanto il Pulci aveva piú volte manifestato la sua insofferenza verso quei personaggi che svolgevano un ruolo sempře piu importante alia corte medicea, come il poeta Matteo franco (1447-1494) e Marsilio Ficino (tra Taltro egli scrisse un sonetto irriverente e blasfemo contro l'esaltazione ficiniana dell'immortalita dell'anima). Lorenzo, d'altra parte, lo lasciava ormai sempre piú ai margini delle sue iniziative politiche e culturali. A partíre dal '73 il Pulci fu al servizio di Roberto Sanseverino conte di Caiazzo, capitano militare, col quale compí numerosí viaggi. Cercó di far rinascere in Lorenzo l'antica benevolenza, ma subi varie accuse di pratiche magiche, di empietá e di ere-sia. Mori a Padova, nel novembre del 1484, mentre si trovava in viaggio in-sieme al Sanseverino. Venne seppellito come eretico, a lume spento e in terra sconsacrata. 3.4.5. II Morgante. Per il suo poema Pulci fece diretto uso di cantari precedenti. In parti-colare egli trasse la materia che avrebbe costituito la prima parte da un anonimo cantare, scritto forse intorno al 1450, ritrovato solo nel secolo scorso e intitolato dagli studiosi Orlando. Seguendo gli schemi narrativi propri dei cantari, nel Morgante si ripe-te tutta una série di formule fisse che servono a chiamare in causa gli ascol-tatori. La parola del poeta si trasforma cosí in una sorta di «parola pub-blica», che mira a suscitare una immediata meraviglia. II mondo degli eventi narrati si presenta come un grande spettacolo, dove tra rapidi mo-vimenti, apparizioni sorprendenti, seontrt e duelli, ogni gesto appare ec-cessivo, sproporzionato. Accumulando e svolgendo situazioni schematiche e precostituite, la narrazione sfugge cosi a ogni misura e coerenza; spesso risulta confusa e incongruente e ha momenti di stanchezza. E im-possibile raccoglierne le fila, individuarvi un percorso unico e progressive, in quanto gli episodi scaturiscono l'uno dall'altro in modo casuale. E i personaggi agiscono secondo stereotipi, come marionette: Gano ě il tradi-tore maniaco, che si ostina fino all'assurdo a ordire inganni, Carlo Magno Gomposi/io-nc e diffusione La fOttura con la corte Lo schema narrativo I personaggi Una sct-ittura della dismistira 11 gigante Mojgante ů gigante Margutte Sperimen-lazione e deformazione linguistica EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNORILE 1380-1494 ě un vecchio, ormai semirimbambito, che perdona senza motivo i tradi-menti di Gano, e í Paladini (in primo piano i cugini Orlando e Rinaldo) sono immagini di forza e valore sovrumani, ehe si divertono a fare a pezzi stuoli di nemici; i pagani appaiono ottusi e maligní, ma capaci di improv-visi sentimenti di cortesia e di lealtä. Qualitä positive e negative si mesco-lano e cambiano continuamente di segno, rapporti di amicizia si stringo-no e si sciolgono con disinvoltura. Ľautore non ha alcuna intenzione di cercare giustificazioni psicologiche per i comportamenti dei suoi personaggi, ma aspira a mettere in risalto at-ti fuori da ogni misura. In realtä la funzione di questo farragŕnoso materiále narrativo ě di fornire situazioni che stimolino la passione linguistica di Pulci e permettano alia sua voce di awolgersi attorno alle cose, ricavando-ne effetti stráni e bizzarri. Lo spettacolo del tnondo consiste tutto nel ripe-tersi di movimenti meccanici, come in un caos vorticoso. La violenza degli eroi ehe disintegra i corpi degli uccisi rende il mondo simile a una enorme macelleria, dove la materia organica viene schiacciata, tagliata, manipolata. Con perverso divertimento Pulci insiste nella descrizione di scene di batta-glia con una sovrabbondanza di immagini legate al cibo: tutto diventa com-mestibile, pasta e trippa, vino e sangue, farina e cervella. La sproporzione domina- tutto il poema. Non a caso il gigante Mor-gante ě il personaggio phi caratteristico delľopera: pagano sconfitto da Orlando, convertito al Cristianesimo e divenuto fedele scudiero del pala-dino, ě armato di un battaglio di campana e si fa protagonista di una serie di awenture segnate da fúria distruttiva. Immagine di ciô che ě eccessivo e smisurato, Morgante partecipa tuttavia alia piú umile reakä quotidiana, Anche il racconto deUa sua morte (nel cantare XX) si regge su una sproporzione; dopo aver salvato da un naufragio í Paladini, sostituendosi al-ľalbero della nave, e aver ucciso una balena, egli muore per la puntura di un granchio. Sulla dismisura ě basato del resto anche ľepisodio piú cele bre del poema, nei cantari XVLTI e XIX: quello dell'incontro di Morgante con un gigante-nano (gigante la cui crescita si ě arrestata a meta), doe Margutte. I due vivono awenture dominate da una esplosiva voracitä alimentäre, vagando per le strade del mondo fino alia morte di Margutte, causata da un attacco di risa per una «bertuccia» che si ě impadronita dei suoi «usatti» (stivali). Margutte presenta una sua esplicita «confessione di fede», basata su una contromorale furfantesca ehe esalta i piaceri della go-la, il vagabondaggio, la miscredenza, il furto, la frode e tutti gli imbrogli possibili; la sua figura ě la proiezione fantastica di una vita aperta al caso e all'imprevedibile, immersa negli appetiti materiali, negli aspetti sordidi e oscuri dell'esistenza, estranea a ogni ordine e razionalitä. Questo materiále composite fa leva su una lingua in continua ebolli-zione, legata alia piú autentica tradizione popolare toscana, ricca di espressionj immediate, di termini stráni e inconsueti. Molte le elencazio-ni, minuziöse e virtuosistiche, ispirate al mondo gastronomico, o le lunghe catalogazioni, come quella degli animali effigiati nel «padiglione» che la bella Luciana dona a Rinaldo; abbondano le ripetizioni di formule, le stanze in cui ogni verso inizia con una stessa parola, le riprese parodistiche dei piú svariati schemi letterari. , 4 LA NUOVA LETTEKATURA DELLA FIRENZE MEDICEA Pulci usa un linguaggio di chiara origine «popolare» (quello dei cantari e della tradizione comíca e realistica toscana) per trasformarlo in un og-getto «colto», piegarlo a un'insistente sperimentazione e deformazione e creare una poesia in cui tutto puö essere visto a rovescio, in cui il mondo appare governato dalla sproporzione, dall'eccesso, dalľirrazionalitä. Con i cinque cantari aggiunti all'edizione dell'83, Pulci intese passare al contrattacco nei confronti delľambiente culturale dominante a Firenze dopo il 1473-74- In primo luogo orientô la narrazione in modo piú organi-co, centrandola sul supremo tradimento di Gano e sull'agguato mortale subito da Orlando a Roncisvalle. Pur tenendo ancora conto di vari cantari popolari, voile immettere ambiziose digressioni e fitti riferimenti erudi-ti, che confermano il carattere disordinato della sua cultura. 3.4.6. Lorenzo il Magnifico, signore e scrittore. Della personalita di LORENZO de' Medici (1449-1492) colpisce la varieta di interessi e atteggiamenti. La sua stessa formazione - legata da una parte agli insegnamenti dell'Argiropulo, del Ficino, del Landino e dalľal-tra alle consuetudini e agli esercizi comici della «brigata» animata dal Pulci - risentí di influenze diverse. Dall'ambiente familiäre gli venne la con-sapevolezza dell'importanza della cultura in ambito politico. Per i Medici, e per il vecchio Cosimo in particolare, sostenere il lavoro degli umanisti si-gnificava controllare il senso stesso del presente, vivere il potere come su-prema espressione dell'uomo. Quando nel 1469, a soli vent'anni, Lorenzo si trova improwisamente ad avere nelle mani lo Stato fiorentino, egli ha giä maturato la propria passione letteraria, alia quale, nonostante gli impegni di governo, non rinun-cera per il resto della vita. A questa passione ě connesso in fondo l'obiet-tivo principále della sua politica, volta a fare del prestigio culturale di Firenze il punto di riferimento per un accorto equilibrio tra gli Statí italiani. II suo non ě semplicemente l'atteggiamento del principe che protegge artisti e letterati, ma che non coglie il senso del loro lavoro o lo compren-de solo in modo esteriore e superficiale; poeta e scrittore in proprio, Lorenzo ě infatti un signore che ha piena coscienza dei significati e delle aspi-razioni di quella cultura che egli sostiene e promuove: con lui l'Umanesi-mo entra da protagonista nella vita sociale. Da questo punto di vista, tut-ta la cultura della Firenze laurenziana appare come ľespansione del sogno umanistico, garantita da una grande personalita che fa coincidere in sé il signore e ľintellettuale. Ma - come giä in parte si ě accennato - questo sogno si rivela precario, non trovando le condizíoni per affermarsi appieno. Su di esso pesano le insieurezze ehe agitano la vita politica della «novella Atene», i conflitti e i dissesti ehe lo stesso potere di Lorenzo deve affron-tare, il presentimento ehe quanto ě stato faticosamente costruito si possa rapidamente consumare e distruggere (e negli ultimi anni di vita Lorenzo, provato dalla lunga malattia ehe lo condurrä alia morte, sente questa mi-naccia sulk sua stessa persona). Tutta ľattivitä letteraria del Magnifico va valutata sullo sfondo di que- Ľedizione del 1483 Funzione politica della cultura La passione letteraria Firenze «novella Atene» Una produzione diversificata Cronologia e íliffusione La prima fase La Nencia da Barberino EPOCA J IL MONDO UMANIST1CO E SIGNOR1I-E 1380-1494 sto ambizioso progetto, in cui la cultura tende a identificarsi col potere. La sua produzione é varia, fatta di esperienze maturate in stretto rapporto con i maggiori intellettuali operanti a Firenze, ma spesso lasciate incom-piute. Egli mira sostanzialmente a rivitalizzare la tradizione volgare fíorentina, risalendo ai grandi autoři del Trecento e cercando a un tempo vie nuove, rese possibili dal culto umanistico dei classicí. Notevole ě la sua abílitá nel passare da uno stile alTaltro, da un genere all'altro. Come signore e come scrittore egli vuole identificarsi con tutte le varianti della let-teratura fíorentina contemporanea, recita tutte le parti. Ma, sotto questa disponibilita, si awerte pur sempre I'insoddisfazione di non avere una voce propria e autenticamente originále, come nell'impossibilita di afferrare effettivamente se stesso. 3.4.7. Le opere dl Lorenzo: tra generi e stili diversi. Molto incerta é la cronologia delle opere di Lorenzo, alcune delle quali furono piu volte da lui corrette e ritoccate, senza raggiungere mai una re-dazione definitiva. Poche circolarono in veste manoscritta e pochissime furono stampate vivente l'autore e nei primi anni del secolo xvi. Un'ampia edizione, comunque incompleta, delle Poesie volgari apparve solo nel 1554. Nella rapida rassegna ehe qui ne diamo, seguiremo un ordine cronologico basato sulle ipotesi piu credibili formulate dalla critica. La prima fase, assai ricca, si svolge per Io piu prima del suo awento alia Signoria, ma con caratteristiche che persisteranno fino al 1472-73. In essa si notano due direzioni fondamentali: quella di una lirica di ascendenza pe-trarchesca e quella di una poesia comico-burlesca, stimolata dall'amicizia col Pulci. Giá nelle rime petrarchesche (legate aU'amore per Lucrezia Donati) si possono scorgere í risultati di un'abile e rigorosa educazione letteraria; gli scritti giocosi, invece, seguono lo stile srravagante del Pulci nella prediiezio-ne per le forme dialettali e rusticali, ma al tempo stesso danno prova della ri-cerca di un rapporto diretto con la lingua poetica di Dante e Boccaccio. Que-sti scritti comprendono la celebre Nencia da Barberino, poemetto in venti ot-tave sul modello della satira del villano (cfr. GENERI E TEC NICHE, tav. 59), di cui si sono avuti in seguito ampi rifacimenti da parte di altri autori. Presentando il canto d'amore del villano Vallera per la sua amata Nencia, esso fa il verso al dialetto del Mugello, giocando su forme iperboliche, roz-ze, sproporzionate; il mondo contadino viene qui visto con occhio distacca-to e divertito, assunto a pretesto di deformazioni linguisticbe che volgono in parodia la lirica d'amore. Immagini Iudiche della vita fíorentina ispirano i due poemetti Simposio e Vccellagione di starne. L'influsso del neoplatonismo del Ficino, che gia nella prima meta degli anni Settanta ridimensiona l'interesse di Lorenzo per la poesia di Pulci, si sente nelle Orazioni (capitoli relígiosi in terza rima) e nel poemetto, anch'esso in terza rima, XAltercazione. In una prospettiva ficiniana, Lorenzo puó direttamente accostarsi ai poeti del «dolce stil novo», molto amati dal Ficino per il loro carattere filosofico e intellettuale. Fin dal 1473 egli , 4 LA NUOVA LETTEK-ATURA DELLA FIRENZE MEDICEA SATIRA DEL VILLANO É la rappresentazione negatíva della figúra del contadino {villano, perché abi-tante della villa, doe delia campagna), elaborata in genere da una cultura cittadina e rivolta a un pubblico cittadino: il contadino vicne descritto come un essere be-stiale, rozzo e avido, immerso nella físícitä píú cieca, ostile a ogni valore spirituále e civile, minaccioso per lo stesso equilibria del mondo urbano. Le origini di questo stereotipo si ritrovano nella cultura feudale c cortese, che sempre aveva rappre-sentato í contadíni in un contesto comico e «basso», ma i violenti contrasti creati dalla crisi del secolo XIV e i durí rapporti tra proprietari cittadíni e mondo campe-stre instauratisi nei secoli successivi inasprirono questo cliche. Attraverso la satira del villano, tuttavia, la cultura cittadina fa proprie le imrnagini piu concrete della vita campestre e ricerca un linguaggio realistico in cui si impone ľuso del dialetto: cos) la rappresentazione aggressiva del mondo rurale si rivolge spesso comicamen-te contro le forme della letteratura illustre; íl linguaggio attribuito al contadino, che deforma i modi della comunicazione colta, diventa paródia del linguaggio «alto», proponendo un continuo confronto tra realtä materiále e astratto artificto verbale. La satira del villano entra in forme e generi letterari diversi e si sviluppa con vi-gore nella novella toscana (giä in alcune novelle del Decameron e poi con singola-re violenza nel Sacchetti e nel Sermini, cfr. 3.2.3 e 3.2.4). A essa si collega tutta una letteratura rusticale che, rappresentando il mondo dei rustici (cioe dei contadini), oscilla tra un'acre polemica contro quell'uníverso e la sua esaltazione comica e scherzosa, tra la manifestazione di superiorita nei confront! dell'ignoranza e della grossolanitä dei villani e la parodia della cultura «sería» (tra i vari esempi: la Nencia di Lorenzo il Magnifico, 3.4.7, il Baldus di Folengo, 4.5.4, il teatro di Ruzzante, 4.5.8, quello dei Rozzi di Siena, 4.6.8). Le Rime lavora, a varie riprese, a un ambizioso Comento sopra alcuni dei suoi sonetti, in cui, ricollegandosi alia Vita nova e soprattutto al Convivio, intende spiega-re i complessi significati morali di alcune Rime. I risultati migliori delle Rime si hanno in alcune descrizioni delicate e idilliche {nelle quali si awerte giá il fascino della poesia del Poliziano) ferme in una rasserenante bellezza. In una serie di altri scritti di difficile datazione appaiono molto fořti i contatti col nuovo classicismo volgare del piú giovane e originále poeta della corte medicea, il Poliziano appunto: Lorenzo si incanta a seguire immagini primaverili, nitide e solari, a contemplare con appena accennata sensua-litá una nátura dai toni equihbrati e misurati, fino a trasformare il paesaggio toscano in qualcosa di mitico e primigenio (forte era del resto la sua passio-ne per i soggiorni campestri). Ě un mondo naturale e insieme ideale, tuttavia insidiato da un sottile struggirnento per lo scorrere del tempo e per la mi-naccia di distruzione che esso comporta. Ricordiamo le ecloghe in terza rima Corinto e Amort di Venere e Marte; Tincompiuto poemetto in ottave Ambra; le Selve d'amore, sparse riflessioni amorose in forma di rispetti continua-ti (cfr. 3.4.9), che in parte seguono il modello delle Silme di Stazio, autore latino messo in voga dal Poliziano (cfr. GENERI E TECN1CHE, tav. 62). Intorno al 1480 il classicismo volgare domina Pesperienza letteraria di I IlVjUIťllldllK-Lorenzo. Egli, pero, manterrá sempre un atteggiamento molto disponibile i reLgiosa Naturalismo classicistico I canti carnascialeschi La Canzone di Bacco EPOCA 3 IL MONDO UMANIST1CO E SIGNORILE 1380-1494 e negli ultimi anni teso alia ricerca di una letteratura capace di circolare per tuna Firenze ed essere presente addirittura nelle vie cittadine. La sua parola fa propri i contrast!, i timori, le attese che percorrevano la cittá e che tro-vavano efficace espressione nella predicazione del Savonarola (cfr. 4.2.1). Lorenzo partecipa alia nuova inquietudine religiosa, in parte col proposito di controllarla politicamente, in parte perché vi trova conforto alia propria Lnsicurezza; si impegna perfino in una letteratura di devozione popolare, con varie laude e con una Rappresentazione di san Giovanni e Paolo, messa in scena dalla compagnia del Vangelista nel febbraio 1491. Ma la vita quotidiana della citta accoglieva anche celebrazioni colletti-ve di tutt'altro tipo, festose e goderecce, che culminavano nel carnevale; Lorenzo da parte sua, per accattivarsi le simpatie del popolo, non manea-va di organizzare spettacoli e divertimenti di massa. Un genere letterario legato a questi festeggiamenti ě quello dei canti carnascialeschi (cfr. gene-rie tecniche, tav. 60), che Lorenzo favorí e scrisse egli stesso in buon numero. Tra questi c'ě la celeberrima Canzona di Bacco (detta anche Trionfo di Bacco e Arianna), scritta probabilmente per una sfilata di personaggi rappresentanti il corteo di Bacco nel carnevale del 1490, nella forma me-trica della ballata e con la celebre ripresa «Quanťě bella giovinezza / che si fugge tuttavia». Qui la voce del poeta-signore si fa spontaneamente voce collettiva; l'in-quietudine per il consumarsi della «giovinezza» esprime il timore e lo smarrimento di un'intera societa per il minaccioso trascorrere del tempo; la poesia erompe in un grido di ebbrezza e di piacere, in un invito a gode-re del presente, delle gioie fisiche e, in primo luogo, della libera gioia del-l'amore. Anche per il suo linguaggio questa Canzona si trova al limite tra il classicismo piú raffinato e un ritmo piú cantabile, facile e popolare. Un'intera societa qui dimentica se stessa, i propri difficili equilibri, la dura e complicata realtá quotidiana, nel vortice dionisiaco. II sogno umani-stico della Firenze laurenziana sembra sfuggire cosi a tutto ció che po-trebbe insidiarlo e si trasforma in un grido distruttivo, proprio alTopposto di ogni misura ed equrhbrio umanistici. CANTI CARNASCIALESCHI Componimenti che venjvano recitati da cortei mascherati in occasione del carnevale {carnasciale) a Firenze tra il secolo xv e i primi decenni del xvi. La maggior parte di essi ě anonima, ma altri sono opera di personaggi assai attivi nella vita po-litica fiorentina (ne scrisse anche Machiavelli). La loro struttura metrica era in genere quella semplificata della ballata (cfr. epoca 8, tav. Ballata I Romania), in cui la ripresa esibiva il terna centrále del canto. Ogni canto era dedicato a un oggetto o a una consuetudine o a un lavoro della vita quotidiana (e i personaggi che lo can-tavano erano mascherati di conseguenza). A questa materia veniva pero attribuita sistematicamente una significazione oscena: qualsiasi cosa diventava pretesto per un ossessivo gioco di doppi sensi erotici. Ai canti carnascialeschi si awicinavano t tnonfi, in cui le maschere e Í temi era-no ricavati da soggetti mitologici e in cui la componente erotica era ridotta (un trionfo ě la celebre Canzona di Bacco di Lorenzo il Magnifico, cfr. 3.4.7). j 4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA 3.4.8. Angelo Poliziano, intellettuale mediceo. Angelo Ambrogini, detto il Poliziano dal nome latino della cittä di origi-ne (Montepulciano, cfr. dati, tav. 61), nacque nel 1454. Dopo la morte del padre (un notaio filomediceo ucciso per vendetta nel '64) si recö a Firenze, stu-diando alia scuola di maestri come l'Argiropulo, il Ficino, il Landino e fa-cendosi ammirare per 1'ingegno precoce. Nel 1473 entrö nella cancelleria pri-vata dei Medici, e dal '75 ebbe l'rncarico di istruire i figli di Lorenzo, dal pri-mogenito Piero a Giovanni (il futuro papa Leone X). Molto presto intrapre-se la camera ecclesiasrica, e nel '77 divenne priore della Collegiata di San Paolo. Poeta e filologo, il Poliziano ě certamente l'intellettuale mediceo piú prestigioso ed esemplare. Di spirito vivace e spregiudicato, egli si dedica interamente a esperienze e studi centrati sul culto della parola, un culto che non coincide con un formalismo esteriore e superficiale, ma che si apre a possibilitä diverse e rivela un senso molto avanzato delle differenze storíche e un eccezionale rigore critico. Anzitutto ě per lui essenziale preservare uno spazio autonomo per lo studio; cio, del resto, ě perfettamente compatibile con la sua posizione alia corte di Lorenzo (il quale ne ammira la vasta cultura riconoscendovi un'affermazione di dignita, di prestigio, di piena coscienza del presente, e gli garantisce la piú ampia liberta per il suo lavoro); un'ulteriore garanzia di tipo economico ě data dalla sua condizione di chierico, che egli vive preoccupandosi solo delle rendite che ne ricava, comportandosi in modi del tutto laici se non «pagani» (numerosi, tra l'altro, i suoi amori). Nell'attivitä del Pohziano e nei suoi rapporti con i Medici occorre perö distinguere due momenti diversi, separat! da un breve intervallo negli an- La formazione Un chierico cortigiano I rapporti con i Metlici LA NOMINAZIONE UMANISTICA L'amore degli umanisti per tutte le forme della vita e del linguaggio classico li indusse anche ad adattare i loro nomi a modelli antichi o a latinizzarli in vari modi: quest'uso era del resto favorito dalla relativa instabilitä che i nomi delle perso-ne e delle famiglie avevano nella societa del tempo. Ancora nel Trecento e nel Quattrocento (e in certi casi anche nel Cinquecento) i nomi oscillavano spesso (particolarmente nei documenti ufficiali) tra le forme latine e le forme volgari, e i cognomi delle famiglie non erano ancora fissati in modo definitivo. La scelta di nobilitare la propria identita portera poi addirittura aH'assunzione di nomi totalmentc fittizi: un uso che sarä proprio delle Accademie. Ricordiamo alcuni tra i piú notevoli esempi di nominazione umanistica: PETRARCA: forma nobilitata di Petracchi. PANORMITA: palermitano, nome assunto da Antonio Beccadelli. GRJLIO POMPONIO LETO: nome tutto fittizio modellato su nomi romani antichi. FICINO: nativo di Figline in Valdarno. POLIZIANO: nativo di Montepulciano (Möns Politianus), nome assunto da Angelo Ambrogini. 164190 Li ballate Laprodu2ionc latina greca EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNORILE 1380-14,4 W1479-80 in cui eglí si distaccó prowisoriamente dai suoi signoři. Per tat-O gh anm Settanta egli lavoró presso i Medtó e concentro la sua attivitá S-terana nella poesia, sia in latino che in volgare, guardando con distacco gli onemamenti filosofe di impronta neoplatomco-ficmiana; success S&ŽSSSSÍ StUdl° ■ ***** * 3.4.9. Liríca latina e volgare del Poliziano. II primo esercizio poetico del Poliziano fu ľawio di una traduzione in latino déľlliade, che gl i valse íl titolo di «homericus adulescens» ("adolescente omerico") e che egli continuö piú tardi saltuariamente come esercizio di stile. A questa traduzione si affiancö una ricca produzione poetica in greco e soprattutto in latino (odi, epigrammi, elegie), che durö per tutti gli anni Settanta e in parte anche in seguito, caratterizzata dai prineipi della voluptas {"piacere" che si sprigiona dalle cose e dalla parola) e della docta varietas ("dotta varieta", che guarda a modelli vari e diversi). II Poliziano conforma agli stessí principi anche la sua lirica in volgare, prodotta in vari generi e in diverse fasi nel corso degli anni Settanta. Essa comprende rispetti continuati (serie di ottave legate tra loro) e rispetti spic-ciolati (ottave autonome, separate tra loro), canzom a hallo e canzonette (variamente costruite sullo schema di base della ballata). La lirica in volgare del Poliziano risponde in parte al proposito di Lorenzo di far nascere una nuova letteratuxa legata alia tradizione toscana, ma si mantiene assai lontana sia dalľespressionismo del Pulci (e dal riferi-mento di questi al Burchiello e ai modelli comico-realistici), sia dai grandi modelli della poesia amorosa del Duecento e del Trecento. U Poliziano guarda invece alle forme piú delicate, píú lievi e cantabili della lirica d'a-more popoíare. Di quelle forme lo attraggono la semplicitä dei ritmi, il re-pertorio di situazioni, il riferirsi a un orizzonte collettivo, la naturale pro-pensione per la musica e la danza. A questi element! il dotto umanista so-vrappone poi la sua sapienza letteraria, con rimandi alia poesia latina e ai grandi scrittori in volgare. Costruisce cosi immagini di nitida e semplice perfezione, graziöse figure in movimento, gíoehí di scherzoso e ingenuo abbandono sentimentale, maliziosi inviti a godere la dolcezza delľamore, lontano da riflessioni ideologiche, nelľorizzonte di un naturalismo elementare e paganeggiante. La famosa ballata Ben venga maggio! ě appunto un invito entusiastico ad afferrare la gioia della primavera e delľamore. Ancora piú affascinante la co-siddetta «ballata delle rose» (ľ mi trovai, fanciulle, un bel mattino), che ri-prende con sorprendente freschezza l'arttico motive della breve vita delle rose. Una figura femminile che incede armoniosamente tra Í hori, tra Í loro ac-cesi e molteplici colon, esalta la loro rigogliosa bellezza ed esorta ad afferrare ľora che fugge («cogliän la bella rosa del giaxdino»): un invito che sembra rivolto a un'intera societa. 3 4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA F1RENZE MEDICEA 3.4.10. Le Stanzeper la giostra: sogno umanistico di una sintesi tra potere e bellezza. Nelle Stanze per la giostra del magnijico Giuliano de' Medici il Poliziano voile intrecciare in modo ambizioso il rilancío della letteratura in volgare con un'esplicita celebrazione dei Medici. Si trattava di un vero e pro-prío poema medíceo, che intendeva celebrare la vittoria ottenuta dal fra-tello minore di Lorenzo, Giuliano, in una giostra militare tenutasi a Fi-renze nel 1475, secondo unusanza ancora diffusa. Tuttavia 1'autore attri-buiva a questa occasione un valore politico, umano e simbolico, legando-la aila vicenda dell'amore di Giuliano per la bella Simonetta Cattaneo, sposa a Marco Vespucci e morta nel 1476. L'elaborazione del poema fu lenta e aceurata: subí una brusca interru-zione quando Giuliano restó ucciso nella congiura dei Pazzi (28 aprile 1478): le Stanze rimasero cosi incompiute, con sole 171 ottave, 12.5 del libro I e 46 del II; vennero date alle stampe soltanto nel 1494, Le prime ottave esaltano Firenze, i Medici e Lorenzo, con la cui glorifi-cazione si identifica anzi la poesia stessa, trattandosi di Lorenzo-lauro (come per la Laura del Petrarca, viene chiamato in causa Falloro, simbolo di Apollo e della poesia); quindí appare la figura di Giuliano (ríbattezzato classica-mente Iulo), immersa in una giovinezza «acerba», tutta dedita alia caccía in un rapporto rude e spontaneo con la nátura, estranea a ogni esperienza amorosa. Per «vendetta» il dio Amore, durante una spedizione di caccia, conduce Iulo lontano dai compagni e «in un fiorito e verde prato» lo fa incontrare con Simonetta, apparsa come una nínfa o dea. II breve incontro, la bellezza della donna e le parole con le quali Simonetta si presenta, provocano nel gio-vane un turbamento amoroso fino ad allora sconosciuto. Amore si reca in-tanto a Cipro, nel regno della madre Venere: il poeta deserive con dovizia di particolari il giardino e il palazzo della dea. Nel libro II Amore esalta Lorenzo, come innamorato e poeta; Venere dispone che Iulo, per conquistare l'amore di Simonetta, dia prova del proprio valore nelle armi. Il poema si in-terrompe con I'invocazione di Iulo all'Amore, alia sapienza e alla gloria. Nel tessuto del poema si possono rintracciare numerosi e oscurí signi-ficati simbolici. Di recente si e suggerito di vedervi una rappresentazione, di origine ficiniana, del cammino delTanima (rappresentato da Iulo) verso la vita contemplatíva, attraverso lesperienza amorosa. In realtá il molo del simbolo nelle Stanze ě molto piú índeterminato: i significati si orientano in direzioni diverse e non sempře coerenti, in quanto al poeta ínteressa soprattutto creare una atmosféra allusiva, un continue rinvio a ideali nobili e superioři. II Poliziano si serve di temi neoplatonici assaí diffusi nella cultura fio-rentina (come la ricerca di valori «divini» e nascosti nella poesia), ma non per costruire un poema neoplatonico in senso stretto: egli intende piutto-sto delineare una successione di movimenti, di figure, di immaginí, che esaltino la gloria del suo eroe piú con la loro esemplare bellezza formale che con i loro significati nascosti. Un poema meílkeo Redazione e diffusione L'amore di Iulo e Simonetta Simboli e allusLoni 73082582 La dimensions initica Un linguaggio prezioso delia rinascita Fragilita dej mito umanistico Gli anm (lella crisi riorentina EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNORILE E380-1494 L'eroe e le sue vicende si collocano pero nello spazio del mito, in un mondo distante dalla realtá quotidiana, dove trionfa una nátura splen-dente. E una nátura carica di risonanze, dai contorni nitidi, lussureggian-I te. Ma questa freschezza, cosi sicura della sua perfezione originaria, rivela I qualcosa di eccessivamente rigoglioso, come un sotterraneo fremito sen-, suale che la consuma, destinandola a una mořte precoce. La malinconia 1 che si connette a una bellezza perfetta e insieme fragile ed effimera affio-ra nell'apparizione di Simonetta, nei suoi gesti misurati di dea e di cittadi-na aristocratka. Nello stesso tempo dalla sua figura superba e delicata J emana una forza rasserenatrice, che riassume in sé tutto il vibrare delle i energie naturali (e si nota di solito che il ritratto di Simonetta ricorda da 1 vicino alcune immagini femminili dipinte dal Botticelli). Lo stile e il linguaggio delle Stane muovono verso una misura «classi-; ca» del tutto nuova nella letteratura volgare. II Poliziano usa una materia i verbale di varia origine, passando dal corrente linguaggio toscano a sottí-li riprese da Dante, Petrarca, Boccaccio (Boccaccio ě anche il punto di ri-ferimento per il lavoro che Poliziano compie sulTottava, da lui arricchita di nuove preziose sfumature, di una sicurezza sintattica e musicale ignota alia tradizione dei cantari e alio stesso Pulci). Numerose sono poi le cita-zioni «umanistiche» da autoři greci e latini, dei quali vengono riprese immagini, metafoře e talvolta sempliri giri di frase. Questa compresenza di elementi linguistic! eterogenei dá al volgare del Poliziano toni preziosi e splendenti. Questa poesia cosi rigogliosa e carica di sapienza letteraria sa nello stesso tempo presentarsi come una scoperta giovanile, come qualche co-sa di assoluto, di originario, che si trova a rinascere al di la di una lun-ghissima storia culturale: in questo senso si adatta a essa, moko piú che alia poesia del secolo xvi, il concetto di Rinascimento (cfr. 3.1.2). Una poesia di questo tipo non poteva prolungarsi in piú ampie misure narrative: doveva realizzarsi necessariamente nella successione di «quadri» perfet-ti. In essi si fissava il sogno della Firenze laurenziana, di una coincidenza perfetta tra valori umani e potere, tra parola poetica e dominio signorile. La societa fiorentina veniva sublimata in un sopramondo mitico, eterna-mente giovane, e al poeta di corte spettava il ruolo essenziale di affer-mame ed esaltarne la vitalita. Sia per i suoi caratteri che per le reali con-dizioni storiche, la poesia del Poliziano non poteva avere seguito: il mito umanistieo di Iulo/Giuliano, giá turbato dalla precoce morte di Simonetta, veniva spazzato via dalla congiura dei Pazzí; e si apriva cosi una crisi che avrebbe portato il Poliziano a vivere diversamente la propria con-dizione di intellettuale. 3.4.11. Lontano da Firenze: la Favola d'Orfeo. M'indomani della congtura il Poliziano sostenne la causa di Lorenzo, ma nel dtcembre H79 « dlontanô improvvisamente da Firenze, per raglonrf 3.4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA Probabilmente a Mantova, nel giugno dell'8o (ma vi sono ipotesi di da-tazione cornpletamente díverse), compose per uno spettacolo di corte la Favola d'Orfeo, primo esempio di una nuova letteratura drammatica che avrebbe conoscíuto un rapido sviruppo nelle corti delľltalia settentrionale (cfr. Si tratta della messa in scéna della vicenda di Orfeo, il mitico poeta delle origini, caro a tutta la cultura umanistica e in particolare al neoplatonismo fiorentino, che lo assunse come emblema della nátura divina della poesia. Se-guendo Virgilio e Ovidio, il Poliziano rappresenta la morte di Euridice, il do-lore di Orfeo e la sua discesa aglí Inferi, dove egli ottiene dagli déi infemali la Hberazione delľamata, a condtzione che non si volti a guardarla prima di aver raggiunto il mondo dei vivi. II mancato rispetto di questa condizione fa sí che Euridice ritorni per sempre alla morte. Orfeo, disperato, rinuncia al-ľamore, ma viene punito dalle Baccanti, che lacerano il suo corpo e si scate-nano in un canto in onore di Bacco. Scritto dal Poliziano in brevissimo tempo, in un período incerto della sua esistenza, il testo appare come una prowisoria critica alla fiducia nella po-tenza delia parola poetica, nella sua capacítä di fissare un sogno di amore, di glória, di potere, In Orfeo possiamo scorgere lo stesso poeta, nella perdita di Euridice quella della bellezza e della giovinezza, nello scatenamento dionisiaco delle Baccanti ľesplosione di una forza irrazionale che mette in dubbio, per il bre-ve spazío di uno spettacolo, ľequilibrio umanistico di bellezza, poesia, storia e glória. Orfeö cd Euridice 3.4.12.. Ritorno a Firenze: il Poliziano filologo e umanista. Nell'estate 1480 il Poliziano, per volere di Lorenzo, torna improwisa-mente a Firenze, come professore di eloquenza greca e latina nello Studio. I rapporti col signore sono di nuovo eccellenti, ma di natura diversa: egli non ě piú il precettore della famiglia, né il poeta di corte degli esordi, ma un grande intellettuale che gode di uno spazio personale del tutto auto-nomo e che con i suoi studi e il suo insegnamento rafforza il prestigio dei Medici. Egli divide il suo tempo tra i corsi universitari e gli studi nella sua villa di Fiesole, ma continui sono i contatti con Lorenzo e i viaggi di rap-presentanza, di ricerca e di studio. Egli non rinnega certo la sua esperienza precedente, ma ormai ha ri-nunciato al sogno di un mondo poetíco ideale e perfetto, e manifesta Interesse per studi piú concreti, spinto dalla volontä di indagare le molteplici componenti di una tradizione culturale che non si identifica con la sola poesia. Con un rigore critico che suscita ammirazione anche fuori d'Italia, il Poliziano applica ora il metödo filologfco umanistico alla ricostruzione e interpretazione di molti tesri greci e latini, convinto che in ogni parola delľuomo, compresi i testi filosofici, giuridici, medici, sia depositato un profondo sapere storico. Lo entusiasmano le realtä linguistiche piú diffi-cili, piú dense di particolari da decífrare, da ricondurre al loro contesto originario. Allontanatosi sempre piú dal neoplatonismo dominante a Fi- Una nuova stagione La parola e il sapere storico j" üiiiniiiiiiMii] Le prolusion] accademiche II Miscellanea Cose vulgare Le Epistttlae SuL concetto di imitazione EPOCA 3 IL MONDO UMANISTICO E SIGNORILE 1380-1494 renze, sotto l'influenza di Pico della Mirandola egli si impegna inoltre nel-lo studio della filosofia e della logica aristotelica. Abbiamo una ricca serie di appumi manoscritti dei suoi corsi universita-ri e di prolusion! accademiche in versi e in prosa, Quattro di queste costitui-scono le Sylvae, poemetti in esametri che si rifanno a Stazio (cfr. GENERI E TECNICHE, tav. 62): Manto, Rusticus, Ambra, Nutricia. Egli stesso decise di rendere noti i risultati dei suoi nuovi studi in una grande opera filologica, i Miscellanea (Cose miste), la cui prima centuria (una serie di cento questioni) fu stampata nel settembre del 1489. Mentre Poliziano vedeva giungere al punto piú alto il proprio prestigio di studioso, nell'agosto 1494 usciva a Bologna, a cura del discepolo Alessandro Sarti, la prima stampa delle sue Cose vulgare (con le Stanze e VOrfeo). Si parlava di una sua possibile nomina a cardinale, quando moří improwisa-mente, in circostanze non chiare, il 28 settembre 1494. Aveva appena conclu-so la sistemazione di una raccolta di Epistulae in dodici libri, con le sue let-tere e quelle di altri umanisti, che forniva un ampio quadro della cultura de-gli ultimi anni. Tra tali lettere va ricordata quella inviata al giovane umanista romano PAOLO CORTESI (1465-1510) e la risposta di questi. Le due lettere im-postano una discussione sul concetto di imitazione nella scrittura latina (cfr. 3.3.6), in cui il Poliziano rifiuta il modello ciceroniano, rivendicando la ne-cessitá di studiare e comprendere autoři diversi, di farli propri per cercare di essere se stessi fino in fondo (per il Cortesi invece occorre imitate un solo modello perfetto, perché l'eloquenza piú autentica ha una sola forma e una sola immagine). SILVAE/ SELVE Nella letteratura latina, col termine sihde si indicavano raccolte di materiále eterogeneo (messo insieme appunto come la varia vegetazione di una selva): la piú impoitante opera di questo genere ě costituita dalle Silvae di Stazío, poeta del se-colo i d.C, che in cinque libri raccolgono liriche di argomenti e metti diversi (ma con grande prevalenza dell'esametro), in un orizzonte di raffinata cultura ed eru-dizione. Scoperte nel 1417 da Poggio Bracciolini, le Silvae di Stazio ebbero grande fortuna nella letteratura umanistica: le predilesse il Poliziano, che ne seguí i modi nelle sue liriche latine e che adottô il termine aba (anche nella grafia sylva) per designate i suoi componimenti latini di carattere piú intellettuale ed erudite co-struiti in forma di conversazione culturale. Col termine selva, modellato sempře sul titolo dela raccolta di Stazio, si defini nel Quattrocento anche un tipo di componimento volgare costruito su una libeta successione di endecasillabi e settenari: alcune Selve furono composte da Lorenzo il Magnifico e tale schema fu seguito piú tardi dal Tasso neWAminta; successi-vamente divenne un modello per gran parte della poesia teatrale, specialmente per la favola pastorale e per il melodramma, il cui reátativo piú consueto ě basato su questa struttura. 3.4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDtCEA 3.4.13. Pico della Mirandola. II sapere prodigioso raggiunto in una vita btevissima, l'audacia intellettuale, la passione con cui impiego le sue ricchezze nella ricerca di libri e nel-1'organizzazione dello studio fecero di GIOVANNI PlCO DELLA MIRANDOLA, gia ai suoi tempi, un personaggio mitico - e il mito si ě andato dilatando nel tempo, facendo di lui I'incarnazione suprema del dotto «rinasctmentale», teso a scrutare nel fondo piú oscuro e difficile del sapere. Nato il 24 febbraio 1463 a Mirandola, cadetto della famiglia dei signoři di quella cittá emiliana, fu destinato alia camera ecclesiastica e studio diritto a Bologna e filosofia a Padova, Ferrara, Parigi. Ma fu attratto soprattutto dal la Firenze medicea, dove si recó piú volte e dove si stabili nel i486. La sua ricca cultura aristotelica si ricollegava per mold aspetti alia tradi-zione scolastica, ma egli ne amplio l'orizzonte con le sue ptodigiose acquisi-zioni linguistiche (oltre al gteco, studio iebraico e l'arabo). Egli introdusse nella filosofia occidental la conoscenza della cabala (cfr. PAROLE, tav. 8), i cui sim-boli e le cui combinazioni numeriche gli offrivano la possibilitá di connettete nozioni e culture diverse. Miro infatti a stabilire alcune verita generali, ricava-te dalla convergenza di tutte le filosofie deH'urnanita, sulle quaH pensava po-tessero accordarsi tutti i dotti, in un ideale di pace e sapieoza universale: a tal fine organizzó un convegno, che doveva tenersi a Roma, per discutere nove-cento tesi da lui elabotate e stampate a Roma alia fine del i486. Introduzione al convegno doveva essere la celebre Oratio de baminis dignitate (Orazione sul-la dignita dell'uomo), che riprende temi diffusi nel pensiero umanistico, nel neoplatonismo e nell'ermetismo, ma enuncia un originále concetto di liberta umana: tta tutti gli esseri - afferma Pico - solo l'uomo non ě predeterminato. Alcune delle sue tesi suscitarono la condanna della Chiesa e lo costrinsero a fuggire in Francia, dove fu imprigionato; venne liberato per l'intervento di Lorenzo il Magnifico, che riusci a farlo tornare a Firenze sotto la sua protezione, nella primavera del 1488. Li Pico visse il resto della sua vita, in una febbrile at-tivitá di studio, circondato dall'ammirazione dell'ambiente mediceo e in stret-tissima amicizia col Poliziano. Pico scrisse numerosissime opere, ma non gli riusci il progetto di un lavoro che realizzasse la «concordia» - in cui fortemente credeva - di tutte le filosofie e di tutte le religioni. Importante per la storia letteraría ě la discussione che egli intavoló col fi-loiogo Ermolao Barbaro (cfr. 3.5.7), nelle lettere con lui scambiate nel ^85 e raccolte poi nelle Epistulae del Poliziano (cfr. 3.4.12). Fingendo di impegnar-si in una semplice esercitazione tetorica, Pico difende qui la filosofia scolastica dall'accusa di barbarie linguistica che solevano rivolgerle gli umanisti, e separa nettamente la ricerca della veritá, propria della filosofia, dalla veste linguistica, che e per lui meramente strumentale. Desideroso di tradurre la sua ricerca di verita in attivo íntervento sul mon-do, di concorrere alia costruzione di una vita e di una societa piú vicine agli ideali della sapienza, Pico si accosto al Savonarola: fu lui a chiamare il frate do-menicano a Firenze nel 1489, e arrivó lui stesso a vestire l'abito domenicano po-co prima di moříte, probabilmente awelenato dal suo segretario, il 17 novem-bre 1494, lo stesso giorno dell'ingresso in Firenze dei Francesi di Carlo VLH. Un personaggio Un ideale di Concordia universale I.'Oratio de hominis dignitate Superiorita della filosofia Awicina-mento al Savonarola