Montale 1925* di Sergio Solmi inunciare un libro di poesia, ed un primo libro per di piü, non ě certo compito molto frequente per un re-censore, al di d'oggi. Tanto piü che il libro di Montau non consiste giä in una delle solite raccolte di comode effusioni liriche, intelligibili soltanto in virtu di una formula (il piü delle volte ďimportazione), opere che sembran nate su di un terreno improwisato e non so-no spesso che riecheggiamenti generici dei pochi mo-tivi di canto che l'atmosfera delusa e morta del nostra tempo ancora permette. La prima impressione che colpisce il lettore anche meno aweduto ě del modo con cui il Montale elude ogni tentativo di ruga dalla ateria e dai toni che gli sono connaturati, lasciando parte le tentanti approssimazioni e trasposizioni a cui ci hanno awezzi molti degli scritton doggi. be n creare poesia, adesso piü che mai, ě ^*u™f™; no dure e irrevocabili responsable, il totala^ue-ste responsabilita non isfugge, accettando ^anum tequei problem! di formae dl«««^ come la croce della nostra modernita t , ,5febbraiol926,conilti-Pubblicato in «Ii Quindicinale», 1. 1 . contemporanea a tolo Ossi di seppia; poi in La letterat^ ^ ^ (edl. Cl*a di G. Pacchiano, vol. I. Adelphi. Mi - ^one che qui si riproduce). . Tnrin0 1925. Eugenio Montale, Ossi di seppia, ^ 261 In altre parole la poesia del Montale, come quasi tut-ta la migliore d'oggi, nasce da un profondo travaglio di formazione e di scelta critica. Ma altri ha detto meglio di me sul valore di questa espressione, che fa paura a tanti, perché metta conto d'insistere. Certo troppe voci stanche e disfatte sono neH'atmosfera del nostra tempo perché la poesia, nascendo, si salvi dall'adeguarsi al pri-mo ritmo trovato, dimenticando nelle parole conosciu-te il motivo individuate che la fa sorgere. Perció la con-sapevolezza e la misura artistica del Montale, pure adoperandosi nei modi e nelle forme ancor disgregate e germinali della poesia moderna, danno alia sua ispira-zione un tono profondamente intimo e compatto e ne-cessario chencercnerernmovana^^ Fasi del tempo, aspetti del mare e delle terre di Li-euria, e le labili esperienze d'una vita rassegnata e ah-bandonata al fluire dei suoi minuti spersi, che nelle cose ritrova a volte rispecchiati i segni della propria sconsolata fatalita, questi sono in genere i temi delle liriche qui raccolte. Questi «ossi di seppia» scintillanti e duri ci giungono ancora intrisi d'azzurro marino e diffondono la perduta malinconia dei rottami che il mare rigetta sulle sponde del suo abisso ignaro del trapasso dei giorni. Questo mare, se non ě certamente il tranquillo specchio decorativo delle cartoline illustrate, non ě neppure un concetto o un supposto me-tafisico. E un mare vivo e cangiante nei suoi multitor-mi aspetti, che corrode la terra col salso delle sue maree e impregna del suo fiato gli olivi e i limoni delle ripe ardue. Se chiudiamo il volume ne udiamo, dietip le parole che lente si scancellano dalla memoria, ' battito contro le scogliere e l'infinita musica. Quest a-perto soffio šalino dá l'aroma a tutto il libro, ne evoca lo sfondo e gli dá una sorta ďideale unita culminant*-in «Mediterraneo». Qui lo sfondo equoreo scende in primo piano, effonde nelle parole il suo rombo instan 262 te, e si rivela al pensiero del poeta come 1'eterno «re-servoir» delle forme, che accoglie indifferentemente le vuote larve dell'essere e l'informe vita ancora da confi-gucausiinaspetti sehsibili,Jimite estremo che regge e confonde il destino dell'anima e quello di tutte le cose. Un'atmosfera di arida e riflessa desolazione sem-bra mordere d'ogni parte la materia di questa poesia. Sotto questo clima lucido e deluso le apparenze na-turali prendono tinte accese e incantate, volti defini-ti e f issau cor ne in soste stupefatte del tempo, i modi dell'animo una smarrita evidenza sensuale: Ci muoviamo in un pulviscolo madreperlaceo che vibra, in un barbaglio che invischia gli occhi e un poco ci sfibra. La materia verbale si fa ricca e scabra, i ritmi ral-lentano in sonoritä dure e insistite, come di risacca che si franga sui ciottoli delle sponde marine, o s'am-pliano in passaggi aperti, in luminose e ferme prospet-tive dove sembra che la voce si distenda lenta e som-messa per raggiungere l'altezza tutta intima del tono: Pure colline chiudevano d'intorno marina e case; ulivi le vestivano qua e lä disseminati come greggi, o tenui come un respiro della terra od il fumo di un casale che veleggi la faccia candente del cielo. II poeta sembra spesso isolare l'emozione germina-le che da vita al suo canto come in un trasognato e tra-sparente alone di esausta tristezza. E questo atteg-giamento complesso da alia sua poesia un sapore di compiutezza e d'oggettivitä, di materia dominata e in- 263 timamente esaurita da rawisarvi - e vorremmo qui che le parole s'intendessero nel loro vero senso - una parvenza dell'unica classicitä compatibile colla nostra epoca difficile. Non mi sembra, a questo proposito, che siano stati del tutto fortunati quei critici che, all'apparire del libretto, hanno situato senz'altro il Montale nella fa-miglia dei poeti liguri, da Ceccardo a Boine e a Ca-millo Sbarbaro. A me sembra che, a parte l'aspetto locale e paesistico che il Montale ha senza dubbio in comune con costoro, egli abbia d'altro ben poco a spartire. La poesia del Montale non si esaurisce quasi mai nel sensualismo naturale o nei motivi di pae-se, ma anela il piü delle volte a risolvere l'immediata materia della ispirazione in un fundamentale tono riflessivo e misurato che oltrepassa le esigenze di un atteggiamento vagamente impressionista e occasional. Ii sapore e il colore della parola, la sensibilita del verso e del ritmo, l'evidenza icastica delle evoca-zioni naturali, piü che ad insistere su ciö che nella sensazione ě di fuggitivo e insieme presente, vale a rendercela lontana, come indicibilmente fissata at-traverso un vetro di lucida e implacabile malinconia. Queste parole, se valgono per tutta la poesia del Montale, in particolar modo valgono per la parte composta di brcvi liriche che da il titolo al libro. Qui, oltre che in parecchi dei «Meriggi» noi ritroviamo il nucleo piü schietto e la piü intima natura di questa ispirazione. Lo spunto lirico si esaurisce nella sua pienezza senza sper-dersi, e trova la sua forma piü adesiva in uno sviluppo di modi ritmici estremamente attento e sinuoso, come sc essenzialmente si imperniasse sulle parole piü incisive ^ e scabre, distendendosi poi secondo una sua intima leg-gc, quasi a modo delle pennellate dei pittori. Si direbbe che il verso, invece di investire direttamente la materia del proprio motivo musicale, si attardi a seguire la ma- teria stessa in tutti i suoi anfratti e meandri, facendosi dento^torruoso e scabro e rotto e ricercando altrove pin ^n^nseiapropnalm^ura. Veda ad esempio il lettore la breve poesia che co-mincia: Gloria del disteso mezzogiorno quand'ombra non rendono gli alberi e piu e piu si mostrano d'attorno per troppa luce, le parvenze, falbe. In tutta la lirica il paesaggio e reso nel suo senso d stasi, con larghe indicazioni temporali e spaziali, co un sapienle uso di pause che sollevano la visione in una musica inawertita e blanda, quasi senza movimenti. Ma di tutte le brevi composizioni di cui parliamo non sapremmo veramente quale scegliere. Veda il let-tore da se. Valmorbia, in cui si delinea, con uno stacco di trasognata fantasia^l paesaggio d'un lontano ricor-do di guerra; «Meriggiare pallido e assorto...» il doloro-so smarrimento dei sensi assopiti nella calura; «11 can-neto rispunta i suoi cimelli...» il dissolversi delle forme nella bruma che nasce dal mare, mentre solo permane un desolato e rattenuto richiamo d'amore. Qui il poe-ta si esercita sopra le fuggitive esperienze d'una vita decaduta e mortificata, assaporandone volta per volta la sperduta monotonia e riducendone gli attimi ad un senso tondamentale di manchevolezza e di delusione. Questi «ossi» intendono essere le inutili macerie ab-bandonate lungo le spiagge aride, le morte memorie di cid ch e stato solo una desolata velleita di esistere. Poesia fatta di sotterranei trasalimenti, di silenziosi distacchi, di rassegnate riflessioni: Mia vita, a te non chiedo lineamenti fissi, volti plausibili o possessi. Nell'inquieto tuo giro ormai lo stesso sapore han miele e assen/.io. 264 265 In altra parte del libro si direbbe che il Montale, senza tradire la nativa schiettezza dei temi del suo eanto, intenda ampliarli e fissarli in figuře piú dram-matiche, in toni piú elevati e mossi, in uno sviluppo di modi ritmici piú aperto e dichiarato. S'intende che qui si parla, e colle dovute cautele, di uno sviluppo ideále, e non temporale. E ció s'intenda non solo senso formalistico. Certo il poemetto «Mediterra-ippresenta uno di quei tentativi che nella liri-ca contemporanea dovrebbero segnarsi a dito, e chiamarsi piú unici che rari. Tuttavia mi sembra che alla casta eloquenza in cui la vena del Montale qui si distende non siano per qualche punto estranei quei toni di alta e musicalissima retorica di cui la poesia moderna ha in qualche lirica di Leopardi e Baudelai-re alcuni classici esempi. Diciamo in senso tutto par-ticolare di una caratteristica disposizione dello spirito poetico moderno, e per nulla di derivazioni, che non ci sono. Ció ě evidente soprattutto in alcune ri-soluzioni concettuali e gnomiche, che si salvano pero spesso per la schiettezza della loro segreta ispi-razione patetica. II temperamento del Montale, ri-flesso si, ma piú inteso a cogliere, anche attraverso la riflessione sostenuta del tono, sensi e moti dellani-ma psicologicamente immediati, in questa specie di cosmica e sinfonica trasfigurazione dei sacrificati motivi della sua poesia, cade qualche volta, fatto ra-ro in lui, in immagini e sviluppi approssimativi. Mentre in Fine delVinfanzia o in Crisalide lo sviluppo piú ampio e mobile dei modi lirici, pur attraverso squarci bellissimi, si dimostra ancora un po' rotto e disgregato, mi sembra faccia la sua piena riuscita in Rivieře e in Casa sul mare. In quesťultima composi-zione sadombra con intima evidenza un terna caro al nostro, del senso di una vita fallita e chiusa, dispe-rata ormai di adeguarsi al suo ideále originario, che si placain uno stanco sacrifice perché altri 1 tura amata, esca dal «Iimbo delle monche l^ giunga a v.vere p.enamente e si salvi. Ma £3T Nulla disvelaVT * flussi-ui^veja se non p grj fumi '-niannachetraman/dico^e '-ffi'enUde rare che appaf nella bonaccia muta tral'isoIedeJIariamigrabonde 'a Corsica dorsutao la Capra/a. Tu chiedi se cosi tutto vanisce m questa poca nebbia di memorise nell'ora che torpe 0 nel sospiro del frangente si compie ogni destino Vorrei dirti che no, che ti s'appressa 1'ora che passerai di la dal tempo: forse solo chi vuole s'infinita, e questo tu potrai, chissa, non io. U secondo motivo riprende e s'innestasuJprimo con la miracolosa inevitabilita di certe frasi muskali che si svolgono l'una dall'altra senza che in effetti ab-biano nulla di comune - salvo una interiore e segreta rispondenza di tonalita. Il verso, nella sua mobile e nuova compiutezza, prende le misure dell'endecasil-labo, senza tradire per un attimo la nativa aderenza alia materia che gli e sottesa. Il poeta riceve qui il pre-m»o giustamente dovuto alla facolta di rinuncia, che nelle liriche brevi sopra esaminate vedemmo consi-stere in una pertinace kdelta ai suoi toni nativ., nbelJi ad ogni vdleita di trasfigurazione letteraria e intellet-tiva dei primi e piii schietti element! della ispirazione. 267 Qui i motivi che negli «ossi» brevi ci apparivano come congelati e fissati con una incisiva e minuziosa attenzione, che a volte conferiva loro una specie di insistita atonia, e, nei tratti deteriori, una mancanza di stacco lirico, vengono disfiorati e lentamente fusi in un soffio di musica tanto piú aperta quanto piíi rattenuta e sommessa. I modi tradizionali, libera-mente e quasi inconsapevolmente ripresi, acquista-no qui un timbro vergine eppure antico, che puó far pensare perfino a un involontario e felice ritrova-mento delle nostre origini poetiche. Nella casta e ac-corata ascesa delle linee del canto, che disegnano, sopra unjampiatramadipaesaggio, un intimo rasse-gnato moto del cuore, trovuuno la riprova di quanto si diceva poc'anzi circa ľaspirazione classica che vi-ve al fondo di questa originale natura di poeta. Si perdoni alla frettolositä di queste note se ho trascurato ciö che si sarebbe potuto pretendere, cioé una sistemazione, una "messa a punto" del libro nel-ľattuale geografia letteraria. Vi son critici specializ-zati nell'uso del sestante, che ritengono d'essersi sbrigati di un'opera o di un autore quando ne hanno indicato il grado di longitudine e latitudine, i confini e le isoterme annuali. Non diciamo che anche questo non sia utile. Soltanto, il nostro é un libro che saprä situarsi da sé. Come ogni poesia schietta, anche quella del Montale deve trovare lentamente il suo cli-ma. Né ci mancherä certo ľoccasione di tornare su questi Ossi di seppia, e, possiamo giurarlo, saremo quel giorno in buona compagnia. 1926 Indice 268 v Lopera in versi di Eugenio Montale di Pier Vincenzo Mengaldo LXXiii Cronologia Lxxxi Bibliografia cxiii Introduzione di Pietro Cataldi e Floriana d'Amely OSSI DI SEPPIA In limine 5 Godi se il vento ch 'entra nel pomario.. Movimenti 11 Iiimoni 16 Corno inglese 18 Falsetto 23 Minstrels POESIE PER CAMILLO SBARBARO 27 i. Caffě a Rapallo 32 Ii. Epigramma 34 Quasi una fantasia SARCOFAGHI 38 Dove se ne vanno le ricciute donzelle... 41 Or a sia il tuo passo...