FOSCO M A R A I N I OľvE GlÁPPONESI NUOVA EDIZIONE «Ore Giapponesi ě un libro magistrale» Claudio Magris •ť- -ť Fosco Maraini ORE GIAPPONESI NUOVA EDIZIONE Fotografie deü'autore CON UN SAGGIO DI GIORGIO AMITRANO CORBACCIO Prefazione alia la edizione (1956) Questo volume tratta d'esperienze vissute in una civilta profondamente divena dalla nostra, lungo il corso di parecchi anni, in un periodo di gagliardi rivolgimenti ed immani trasformazioni. Una visita prolungata, quando si tratta di paesi che appartengono alia medesima grande famiglia di quello in cui siamo nati e cresciuti, differisce da una piti breve soltanto perché fomisce la mentě ďun maggior numero di fatti, ďuna piú chiara visione dei particolari nel quadro dell'insieme. Se invece valichiamo i confini entro cui hanno operato per secoli le influenze e le tradizioni del mondo classico, del cri-stianesimo, del rinascimento europeo, tra semplice visita e lunga residenza pud anche aver luogo un salto qualitativo: possiamo anche penetrare in un altro ordine d'idee, in un mondo govemato da nuove dimensioni. L 'inviato speciále va e torna; vede le cose cogli occhi del luogo d'origine; conosce le categorie dell'esotico e vi si diletta. Ma chi vive, lavora, soffre, per un'importante parte delta propria vita, fra popoli la cui storia potrebbe essersi svolta sopra un altro pianeta, finisce per sentirsi piano piano trasformato; cio che sembrava a prima vista strano diventa normále, coloro che parevano figure esotiche si rivelano invece uomini, donne, bambini meravigliosa-mente veri ed umani. Per un verso si respira dunque la grande identita dell'awentura terrena, per un altro si capisce come sia legittimo vedere cose e vita con occhi del tutto diversi dai nostri. Percezioni ambedue important!, ora che il mondo sta dive-nendo sempře piú piccolo di spazi, sempře piú vasto di popolo. Come convivere senza conoscersi? E come conoscersi senza comprendere il cuore segreto degli altri? II viaggio di cut si parla in queste pagine mi ha portato alle fonti delta civilta giapponese, ad he (origini), a Nara (primi contatti con la Cina e col buddismo), a Kyoto (fiorire delle istituzioni, delle lettere, delle arti nazionali), a Nagoya ed a Nik-ko (citta dei Tokugawa, la famiglia degli shogun che govemarono I'impero dal 1600 al 1868), a Tokyo, meraviglia e mostro del nostro secolo, Questo viaggio mi ha cost offerto lo spunto per riassumere di tappa in lappa gli elementi piú importanti delta storia nipponica, intesa questa nel suo senso totale: politica, economia, religione, lettere, arti. Ho evitato di proposito la pedanteria di voter tutto includere; molte cose sono rimaste nell'ombra, quelle dette nascono da visite, incontri, ricordi, ma 5 I'essenziak credo non manchi e spew possa dare al lettore un'onesta visione d'i„. sieme. ,. . In due volumi pití brevi, mi propongo dt raccogltere pot, se ne avro tl modo, impressioni ed esperienze del Giappone del Nord, coi suoi barbuti aborigetii che van-no ormai scomparendo, e del Giappone meridionale, famoso soprattutto per un tra-gico nome: Hiroshima. «Licenziando alle stampe», come si diceva una volta, «questa lunga jatka delta penna» desidero jare i nomi di akune persone a cut il libro e profondamente legato, e quindi anche dedicato. Prima di tutto le mie figlie Dacia, Yuki, Toni, e mia mo-glie Topazia per le quali, poverette, VOriente in guerra riserbö pití dolori e patimenti che gioie e piaceri. Senza la presenza delle figlie, bambine allora, quanto sarebbe stato pití superficiale l'avvicinamento ad un paese di cosi difficile comprensionel At-traverso di loro, leggende, mitt, le doki favok della fanciulkzza, ci sono pertetrati nel sangue come k avessimo respirate, anche not adulti, sin da piccoli. E di Topazia non dimentichero mat il fermo coraggio col quak si tenne alia strada prescelta, nel settembre del 1943, anche di fronte alk miserie, alle umiliazioni, alia fame, ai peri-coli d'una lunga prigionia. Ne potrei tacere qui il nome di Miyazawa Hiroyuki, uno dei pití cari amici giapponesi, compagno di montagna e di studi, stroncato, ucciso con sottile e cieca crudelta dal regime militarista del stto paese. Hiroyuki rappresentava I'aspetto piti nobik, e pití prezioso per il mondo, dell'anima giapponese; la sensibilita squisita per il bello, intesa in un senso religioso forse pití vicino a quello degli antichi greci che a quello di not occidentali modemi; un impegno appassionato alia vita; una fratel-lanza sentita e sofjerta non solo cogli esseri umani, ma con tutti gli «aventi anima» (come dicono i tibetani), ed anche coi «non aventi anima», d'ogni continente. Di fronte a lui stava Valtra faccia d'una personalita in perenne lotta con se stessa, quella gretta, violenta, oscurantista, nella quale da secoli il Giappone si rode e si tormenta. Che abbia vinto, nel caso di Hiroyuki, quest'ultima, spew sia solo un gorgo beffar-do degli eventi. btfine ci sono due nomi a cui mi lega un grande debito di riconoscenza spirituále: quelli del professor Giorgio Pasquali (1885-1952) e del dottor N. G. Munro (1864-1941), un filologo ed un medico, un italiano ed uno scozzese, due luminose incamazioni di quello spirito d'Occidente i cui doni supremi al mondo sono la scienza e k musica. In ogni altro campo VOriente pud senza dubbio disputarcisi uguak o superiore: filosofia, religione, arti, sistemi di vita; ma la scienza e la musica sono creature assolutamente squisitamente nostre; figlie gloriose che ksceremmo, anche sparendo per sempre, alpianeta Terra. Sia Pasquali che Munro erano appassiona-ti cultori di musica: essa rappresentava per loro la comunione religiosa coi supremi segreti dell'invisibile. Di Pasquali dirö che, scrivendo, I'ho sentito costantemente vicino, come dietro alle spalk: per ogni pagina, per ogni rigo, avrei atteso le sue ertliche, ambito k sua appwvazione. E vero che non fui mat tecnicamente suo allievo, ma da semplice cakmitato nell'orbita degli amici ebbi modo d'ammirare sin da stu- dente ,1 suo atteggtamento verso k » V*^/H£UT di notomtsta insieme: ideak supremo, dtret, delk saggezza. Avvertenza I no mi c Ic parole giapponesi sono trascritti col sistema largamente adottato ncl campo de-gli studi orientali: vocali da pronunciarsi all'italiana, consonant! da leggcrsi alTinglese. Nel caso nostro specific© U sisiema prende U nome dall'americano Hepburn che lo propose nel 1867; oggi, leggermente modificato, e noto in Giappone come bebon-sbiki. ch é un'affricata (come italiano cena o Cina), dunque chotto leggasi ciotto g é velare (come gara o ghiro), dunque Gifu leggasi Ghifu h é sempře aspirata {Hiro Hito non ě Iro I/o) j é un'affricata, quindi Fuji va letto Fugi, e Genf: dicasi Gbengi s é sorda come in sasso, dunque bonsai va letto come fosse parola italiana sh ě una fricativa, come in scena, percio Sbinto leggasi Scinto e geisba dicasi gbeiscia. II macron sulle vocali (-) indica un netto allungamento, jötai ě quasi jootai. A rigore anche Tokyo, Osaka, Kyoto, Kyushu ed altri comunissimi nomi di luogo andrebbero scritti Tokyo, Osaka, Kyoto, Kyushu eccetera, ma parrebbe una pedanteria. Lo stesso dicasi per Shinto invece di Shintö. II lettore specialista, se mai ne capitasse, voglia perdonare 1'autore per qualche macron sfuggito e per le discrepanze che certo non mancheranno. Riguardo ai norrd di persona ho seguito l'uso tradizionale giapponese — cognome prima, nome poi — quando si trattava di personaggi storici: nel caso di celebrita moderně, ormai note da noi nella sequenza occidentale — nome avanti, cognome dopo — ho seguito l'uso corrente; avremo quindi Tokugawa Ieyasu (1546-1616), ma Akira Kurosawa, Kenzö Tange, Yukio Mishi-ma e simili. La soluzione non ě molto briliante, ma penso favorisca čerti ritmi fonetici a cui molti sono abituati. II nome, e termine, Buddha viene trascritto con la acca perché, come m'insegnö Giuseppe Tucci, andrebbe veramente pronunciato Budd-ba, quindi la acca ě sostanziale, quasi una consonants, e non puö trascurarsi. Viceversa ho considerato Buddismo come termine ormai assimilato dall'italiano. Forse avrei dovuto anche scrivere Scinto e Scintoismo... E dawero difficile in questo campo raggiungere una soddisfacente uniformita. Terno infine vi sia la piú deplorevole discrepanza tra i sistemi di traserízione pinyin e Wade-Giles riguardo ai pochi nomi e termini cinesi menzionati. II suffisso -san (onorifico -sama, diminutívo -cban) significa indifferentemente signore, signora, signorina. II suffisso -ko puö accompagnare, o meno, i nomi di donna. La parola Occidente non ha in questo libro ü significato politico che le si da spesso oggigior-no, ma quello piu propriamente storico; esso include tutti i paesi in cui la dviltä deriva dalla fusione di tre elementi essenziali: Mondo Classico Mediterraneo, Cristianesimo, Kinascimento euro-peo. Talvolta, tenendo conto di alcune importantissime somiglianze, che risaltano soprattutto in contrapposizione alle civiltä dell'Asia dall'Indo al Pacifico, anche il Mondo Islamtco ě stato incluso nell'orizzonte di un Occidente piú vasto e generale. fe\ OLTRE MEZZO SECOLO TRA DUE COPERTINE Mi perdoneranno il lettore, o la gentile lettrice, se qui presento loro un'ope-ra definibile ormai come una sfoglia, una pasta millefoglie, un'autentica lasagna di libro? Racconti, cronache, memorie, analisi di molteplici frequentazioni col Giappone, variamente scaglionate nel tempo, si appilano le une sulle altre gene-rando (in luce di speranze ottimiste) una geologia complessa e forse interessante di notizie, ma anche possibilmente (in ombra di pessimisti timori) una frana di confusi frammenti. II fatto ě che tra le due copertine restano impigliati echi d'eventi e di sviluppi ch'ebbero luogo durante oltre mezzo secolo (1938-2000), e che riguardano un periodo non solo fortemente caratterizzato, ma convulso e spetta-colare della storia giapponese. L'asse portante del racconto si riferisce agli anni 1953-54, ma genera ripetu-ti e consistenti rimandi ad uno strato piú remoto, al paleolitico di una prima lunga permanenza nell'arcipelago dal 1938 al 1946. Se in questo settennio ini-ziale, per varie ragioni (stato di guerra, divieti polizieschi ďogni genere, mesi e mesi di prigionia per mancata aderenza alia repubblica di Salö) furono possibili soltanto dei movimenti limitati, le visite degli anni Cinquanta ebbero invece per contrassegno delle gioiose scorribande su e giú, qua e la, per l'intero arcipe-lago giapponese, in un godimento panico di liberta riconquistata. II lettore tro-vera poi, sia nel presente appunto introduttivo, sia nelle Riletture che chiudono i singoli capitoli, sia infine nelle fotografie, per massima parte recentissime, nu-merosi richiami e aggiornamenti che riguardano il Giappone dagli anni Sessanta al Duemila. Diro subito che ho cercato, per quanto possibile, di non toccare il testo originale di Ore giapponesi, come apparve nell'edizione del 1956, nelle varie ri-stampe e nelle traduzioni. Potare, aggiungere, modificare intimamente il testo nella sua struttura, per adeguarlo ad una visione del Giappone com'e adesso, agli inizi del Duemila, avrebbe finito col generare un libro ibrido, possibilmente illeggibile, forse mostruoso. E bene che l'opera resti sostanzialmente quale fu alia nascita: il ritratto d'un Giappone come si presentava poco dopo la fine d'una guerra lunghissima, selvaggia, perduta, d'un Giappone ancora in buona parte disastrato e disorientate L'occupazione vera e propria degli alleati era terminata col 28 aprile del 1952, ma la presenza americana era ovunque massiccia e vistosa; l'ordine del paese pareva variamente minacciato da forze oscure d'estrema sinistra e d'estrema destra; il future si profilava ancora enig. matico e per molti piuttosto oscuro; nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe ar-dito prevedere, per i decenni a venire, gli esiti superbi d una ricostruzione di cui si scorgevano appena gli albori. . . . Ed e forse bene che il lettore trovi qui un Giappone nel quale i treni piü veloci raggiungevano appena i 60 chilometri orari di media, un Giappone le cui strade erano in condizioni di completo abbandono, nastn dl sassi e di buche fatti per fracassare macchine e rimestare budella, un Giappone in cui circolava-no pochissime automobili, per lo piü di marca straniera, un Giappone ancora povero, pitocco, gramo, meschino, popolato di gente che viveva in gran parte alia giornata stringendo la cintura, affollata in stanze e sgabuzzini da far pena, contentandosi di quel poco che riusciva a racimolare faticando dall'alba al tra-monto. La vita giornaliera giapponese agli inizi degli anni Cinquanta, i mestieri, le costumanze, gli attrezzi da lavoro, le barche da pesca, la casa, la cucina, in parte gli abiti stessi, erano ancora rimasti pressoche immutati, o avevano subito solo parziali modifiche, si puö dire dall'epoca Meiji (1868-1912), e per alcuni casi ed aspetti fin dall'epoca Tokugawa (1600-1868). Questo valeva, si capisce, mol-to piü per le Campagne che per le cittä. Certi scorci del Giappone rurale d'allora potevano benissimo trovare un riscontro immediato nelle stampe famose di Hi-roshige o di Hokusai. II Giappone degli anni Cinquanta — come del resto gran parte dell'Italia a quel momento — offriva insomma agli occhi dell'osservatore piuttosto la fase terminale d'un passato profondo e venerando, che l'aurora d'un futuro imminente, incommensurabile e diverso. Le cieche tempeste militari, i turbinosi mutamenti sociali, erano passati in alto, sopra le teste dei piü; in basso, raso terra, il vento delle novitä non aveva ancora spazzato via cose ed usanze. I veri sconvolgimenti nella vita d'ogni giorno ebbero luogo un poco piü tar-di, verso la fine degli anni Cinquanta, e cogli inizi del decennio successivo: spesso l'anno delle Olimpiadi di Tokyo (1964) viene definito un po' lo spartiac-que tra un "prima" con cui si concludeva un'epoca, ed un "dopo", ch'e poi quello nostra, qualitativamente, squisitamente diverso. Tutta una serie di ritro-vati ed invenzioni, alcune semplicissime, ha trasformato l'esistenza giornaliera fino ai suoi livelli piü basilari. II metano ha sostituito la brace e la legna in cucina, la plastica ha rimpiazzato metalli, legname, tessuti, carta, fibre vegetali, vi-mini, il motore a scoppio e stato applicato agli attrezzi da lavoro, gli elettrodo-mestici hanno invaso le case, i televisori sono ovunque finestre sul mondo e livellatori di pensieri e di gusti, il calcolatore tascabile ha cacciato in soffitta l'abaco e il pallottoliere, il telefonino ha soppresso la solitudine — e via di seguito. II panorama del Giappone agli inizi degli anni Cinquanta costituisce perciö un piano di riferimento rivelatore, talvolta sorprendente, e pittoresco o para-dossale, appena lo si paragona a quello d'un Giappone di oggi. Allora quasi tutti 10 erano poveri e lesinavano non solo sugli svaghi, ma sul vestire e sul mangiare; si avvertiva, quasi aleggiante nell'aria, una psicologia da squattrinati perenni, costretti a ricontare di continuo il proprio gruzzolo per non far passi piú lunghi delle gambe; oggi la vera miseria va cercata in giro col lanternino, la stragrande maggioranza della popolazione guadagna bene ed ha da spendere, spesso con larghezza; alcuni hanno da buttar via spensieratamente, stanno diventando i nuovi lords, pronti a scandalosi capricci nei loro Grand Tours mondiali. Allora prevaleva un certo atteggiamento d'inferioritä verso persone e cose di paesi stranieri, imperava ancora il bruciore della sconfitta; oggi si naviga sulľonda dei primáti industriali, commerciali, finanziari, ed ě ben palese una rinata sicurezza in sé stessi, un orgoglio di sentirsi giapponesi, che talvolta puô sfociare in lisce, sottintese, vellutate segnalazioni d'alterigia. Allora vivere in Giappone richiede-va pazienza e buon úmore, ché tante cose mancavano e tante altre funzionavano alia maniera del Terzo Mondo; oggi il paese intero pulsa come una smisurata orologeria oliatissima, di superba efficienza. Allora era bene prepararsi a vivere in modo stringato e spartano, oggi comoditä e lussi, talvolta esagerati, sono ovunque a portata di mano. E anche utile ed istruttivo per il lettore apprendere (se avrä la pazienza di notáre un particolare tanto minuto) che lo yen valeva a quei tempi lire una e centesimi cinquanta, mentre oggi vale lire sedici, diciassette, e punta a quote sempře piú esclamative. Siamo di fronte a un termometro a Mercurio ("dio dei traffici e dei commerci") che dichiara, piú d'ogni altro indice, ľascesa spasmo-dica del Giappone nella classifica di quelle perenni ed universali Olimpiadi del benessere e del fiorino d'oro, alle quali tutti partecipiamo da forzati compe-titori. Owiamente ľascesa dello yen rispetto alle altre monete del mondo, sta ren-dendo ogni mese piú opulenti i giapponesi nei loro viaggi alľestero, e per con-verso ogni mese piu poveri gli stranieri che si recano in Giappone. In questo particolare senso, "allora" (1954), vagabondare per le isole deľľarcipelago era, rispetto a oggi, scivolare tra canti e danze per le praterie d'un paese di Bengodi. Ricordo ancora il pemottamento in un alberghetto tra le montagne della provincia di Gifu, d'impeccabile pulizia, d'ospitalitä incantevole, dove ci furono servi-ti pranzo e prima colazione da principi, il tutto per 600 yen a persona, pari a lire 900, tasse comprese. Oggi con ogni probabilita per simile trattamento ver-rebbero chiesti ventimila yen, cioé lire 320.000. Un mio giovane amico italiano mi diceva poco fa scoraggiato: in Giappone tutto ě difficile, se non ě difficile ě faticoso, e se non ě né difficile né faticoso, ě carissimo. Terno avesse ragione. * * * Analizzando piú da vicino lo spettacolare divario tra un Giappone del 1954 e quello ďoggi, potremmo prendere in successiva considerazione vari settori. Partendo da uno dei piú semplici, potremmo parlare delle strade e dei mezzi di trasporto in genere: vedere per esempio come un tempo occorrevano due giorni 11 china da Tokyo a Kyoto, fracassando balestre ecI ossa, mentte oRRi vi si scivola comodamente in poche ore lungole autostráde. Potremmo de-scrivere le vistose trasformazioni avvenute nelle citta giapponesi, e pm ancora nelle Campagne. Donde potremmo passare ad anahzzare certe cospicue evoluzio-ni negli orizzonti della vita sociale, delia scuola, dello spettacolo, della cultura, dello sport, per risalire infine a nuovi lieviti e conflguraziom nel mondo delle mode, dei gusti, della politica, del pensiero. In ogni singolo caso perö, ci troveremmo costretti a fare l conti con una realtä basilare, quella ďuna prodigiosa e prestigiosa prestazione giapponese nel-l'economia. Ottime stradě ovunque, třeni tra i piú veloci e sicuri del mondo, che percorrono (in alcuni casi) le gallerie piú lunghe del pianeta? Ghirlande di ponti titanici che uniscono, in alto sopra i mari, un'isola dell'arcipelago alle al-tre? Si, ma perché vi furono i mezzi per affrontare queste, ed altre consimili imprese. Abbondanza di beni ďogni genere nei negozi e nelle case? Si, ma perché moltissimi poveri ďuna volta sono divenuti i moltissimi abbienti d'oggi. Mutamenti sociali e psicologici di cospicua entita? Senza dubbio, ma perché a portafoglio pieno si mutano binari di pensiero e tinte d'emozioni. Se il Giappo-ne fosse progredito passo passo, come numerosi altri paesi dell'Asia, adesso mo-strerebbe un volto non troppo diverso da quello di tre, quattro decenni or sono; la spina dorsale d'ogni aspetto d'un Giappone veramente nuovo e diverso, so-prattutto nelle apparenze esterne, sta nel successo industriale, mercantile, fi-nanziario, nel balzo from rags to riches, dai cenci al censo, dall'ago al milione. Con simili considerazioni in mentě, mi sembra piú opportuno rimandare le note sugli aggiornamenti dei singoli settori, nel panorama generale d'un Giappone d'oggi, alle Riletture dei vari capitoli, trattando ciascun problema come sorge nel racconto, dal susseguirsi degli argomenti nel testo. Per esempio nel primo capitolo si accenna alia bruttezza delle citta giapponesi, e nella Rilettura che lo conclude si riprende il terna, ahimé — salvo eccezioni — ancora ango-sciosamente attuale. Nel terzo capitolo si accenna alia scarsitä di automobili lungo le strade d'un tempo, ed il quadro viene ripreso e corretto alia luce di molte strepitose novitä nella relativa Rilettura. Nel corso del capitolo settimo si accenna all'esistenza d'una classe di paria giapponesi, gli eta, i buraku-min: il discorso, purtroppo ancora attuale, viene rivisto, riesaminato, nella settima Rilettura. E cosi avanti. Nella presente nota introduttiva vorrei limitarmi a tratta-re brevemente il tema di fondo di questi fatidici quattro decenni, quello che ha condizionato, e condiziona, tutti gli altri: il percome e il perché del successo eco-nomico. * * * Premetto ehe non ho alcuna pretesa di conoscenze approfondite nei campi specifici ai quali dedicano le loro attenzioni gli economisti. Dirö solo ehe mi viene istintivo un richiamo al pensiero di Max Weber (1864-1920) nelle cui opere ho sempre trovato soluzioni particolarmente soddisfacenti dei problemi 12 economici, sociali, storici ch'egli si andava proponendo. Avvertiamo in Weber un'apertura illuminata verso ľuomo nella sua totalita e completezza, fisica, bio-logica, intellettuale, emotiva. U momento economico della vita (per usare senza impegni la terminológia crociana), non resta isolato e freddamente autonomo nellc sue operazioni, ma ě soggetto a magnetismi e pulsioni, oppure a remore e freni ehe gli derivano da altri momenti nella complessa nátura umana, sia indivi-duale, sia collettiva. Le interpretazioni ehe seguono il pensiero di Marx e della maggior parte dei suoi esegeti, traseurano in modo fatale, mi ě sempre parso di capire, i potentis-simi, e forse irriducibili, coeŕBcienti della nátura umana, com'essi si rivelano in tutti i problemi d'economia e d'organizzazione sociále, nonché nelľanalisi stori-ca dei medesimi. Una chiara dimostrazione si ha dei resto dai numerosi decenni lungo i quali il suo pensiero, modificato in vari modi dai successori, ě passato dalla teória alla pratica. Le regole dei gioco sono state rivoluzionate a fondo, su questo non c'e dubbio, ma la nátura umana, nonostante propositi e speranze, ě rimasta immutata. Si desiderano le medesime cose di prima, le ambizioni hanno cambiato mete, non sostanza o intensita, si prováno i medesimi timori causati da altre minacce, e come sempre si nasce, si ama, si lavóra, si muore. La povera nátura umana, depressa in aleune delle sue aspirazioni fondamentali, ě rimasta coneussa, seremata, con riflessi deleteri tanto sulla produzione di beni ehe sulla cultura. II caso giapponese ě di straordinario interesse in quanto offre un classico esempio di ostinata impermeabilitä alle interpretazioni marxisté, di luminosa trasparenza a quelle weberiane. Ma lasciamo questa brevissima eseursione teorica. Veniamo al nostro tema. Riassumo in due righe ľipotesi ehe propongo ai lettori, ed ě questa: ehe il Giappone, paese indubbiamente recettore della civiltä moderna, per un cumulo ca-suale di fattori positivi, h piú adatto di noi tutti popoli occidentali ad incarnare ľuomo di successo nelľéra tecnologica (')• Cosa dobbiamo intendere per "civiltä moderna"? H termine moderno ě ab-bastanza antico, inoltre ě pericolosamente ambiguo. Ha pero il vantaggio di spostarsi in avanti con il trascorrere dei tempo. E un contenitore utilissimo ehe puô riempirsi di decennio in decennio, d'anno in anno, di nuovi materiali, signi-ficati, configurazioni, registri emotivi. U moderno dei 1910 includeva cose, mode, valori, per noi, vecehi e sorpassati; il nostro moderno sarä vieto e ridicolo, un mondo da satira e museo, nel 2020. Ad ogni modo, quando parliamo di civiltä moderna, di uomo moderno, sappiamo tutti con notevole approssimazione ciô ehe vogliamo dire, anche se nelľeloquio aceademico il "moderno" vada di-stinto dal "contemporaneo", e si pongano date precise a delimitare i due dominii temporali. Nel discorrere comune, ehe volentieri facciamo nostro, si evitano (') Ho gia espresso queste idee in altra sede. Vedere: F. Maraini, Japan, the essential moder-nizer, in "Themes and Theories in modern Japanese History. Essays in memory of Richard Stor-ry", London, Athlone Press, 1988. 13 le distinzioni eccessivamente pedanti. Avvertiamo d Wtinto che Napoleone non mentre siamo gia nel "moderno" con la guerr. d> Cnme. (1854), empľdi treni e di fotografia. II moderno si fa sempře pm moderno col ,elegra. fo con I'illuminazione prima a gas poi elettnea con la d.namo c .1 motore a scoppio, col telegrafo e ľaereo, con ľanestesia e la vacc.nazione, inf.nc con e. lettroniča, i computer, i laser, le spedizioni sulla Luna ed .nnumerevoli altre cose del genere. In altre parole sentiamo che il moderno davvero moderno coincide con ľcspandersi delia tecnologia in tutti i campi e tutti gli aspctti della vita, con l'introduzione di nuove fonti d'energia a sostituire le braccia umane, il cavallo, il mulo, il cammcllo, la vela gonfia di vento. I nostri tempi non sono distinti, da tutti quelli che li hanno preceduti nella storia umana, per superioři conquiste etiche e morali, per ordinamenti politici mai visti prima, per organizzazioni sociali di nátura assolutamente originále: le repubbliche, i regni, le oligarchie, gli imperi, le federazioni, gli stati democratici o tirannici, liberáli o bigotti, perfino gli esperimenti comunisti, erano realtä gia note da lunghissimo tempo, in čerti casi dal mondo greco e romano, certo dai tempi rinascimentali, nonché in India, in Cina e altrove. Siamo invece radical-mente diversi dai nostri antenati per lo straordinario ventaglio di possibilitä che si sono attualizzate, che si continuano ad attualizzare, nella nostra vita d'ogni giorno, individuale e collettiva. Ci distingue per esempio il fatto che possiamo prendere in mano una cor-netta di plastica, comporre un numero, e parlare all'istante da Roma con qual-cuno che risiede a Tokyo, a San Francisco, a Calcutta; che possiamo salire su di un ordigno meccanico e volare in poche ore (politica permettendo) ovunque sul pianeta, da Aberdeen a Zanzibar, da Zurigo all*Alaska; che possiamo vedere in diretta, a distanza, un suicidio avvenuto in America, una gara sportiva in Nuova Zelanda, un'operazione di guerra nel Libano o nell'Iran; che possiamo — almeno potenzialmente, come specie — recarci sulla Luna e tornarne sani e salvi; che, se occorre, possiamo lasciarci tagliare a pezzi e pezzetti, sventrare e ricucire, con buonissime speranze di sopravvivere e riemergere in ottima salute, e che in ogni caso restiamo vegeti in gran numero oltre quegli anni 70, i quali prima costituivano un limite riservato a pochi privilegiati o fortunati. c'i distingue infine il fatto che i nostri orizzonti mentali riguardo alia storia umana, al-ľ archeológia, alia geológia, alia fisica, alia chimica, all'astronómia, al mondo dei fenoméni vitali e via dicendo, si sono smisuratamente ingranditi e precisati. Tutti sappiamo che tali scienze, come le conosciamo oggi, nacquero in Európa nel corso dei secoli tra il XV e il XVII. Intuizioni straordinarie si riscon-trano gia nelle opere frammentarie di Leonardo da Vinci; poco dopo di lui, con Copernico, Galileo, Keplero, Bacone, Cartesio ed i loro discepoli e seguači le nuove conoscenze vennero a costituire un corpus sempře piú cospicuo autore'vo-le ed organico. Ioseph Needham ci ha recentemente spiegato con immensa dot-trina come la scienza, intesa nel senso che le diamo oggi, sia stata vicinissima a tionre nel mondo íslamico prima, ed in quello cinese r 14 ! poi, senza, per varie ragio- ni, raggiungere una vera maturita. L'Europa fini dunque per cssere la culla principále della scienza, e per godere, dopo circa un secolo e mezzo, i frutti prodotti dalle innumerevoli teenologie che ne derivarono (')■ Va qui notato un fatto storico ricorrente e spesso di grande rilievo. E avvenuto piú volte che importanti innovazioni tecniche, movimenti, dottrine, fedi, sorte in un punto particolare del pianeta, siano poi andati a diffondersi, a cre-scere (talvolta inaspettatamente) altrove. La polvere da sparo, inventata in Cina e laggiú principalmente impiegata per i fuochi d'artificio, ha conosciuto in Europa una sua micidiale filiazione guerresca. Passando a tutt'altri livelli: la filoso-fia comunista, le cui origini stanno tra Germania e Gran Bretagna, rifiutata da questi paesi, ha poi conosciuto una sua straordinaria fioritura presso i popoli slavi; il Cristianesimo, sorto in Palestina, ě maturato in Europa e nelle Ameri-che, il Buddismo, predicato in India, in seguito sparito dalla patria d'origine, ha dominato l'Asia centrale ed Orientale, nonché il sud-est del continente. Mi pare inoltre difficile negare che certe specifiche particolaritä ďorganiz-zazione politica e sociale, ďeconomia, di pensiero filosofico e religioso, perfino di gusti letterari (fantascienza), di mode artistiche (futurismo, surrealismo, ľa-stratto), di scuole musicali (dodecafonia) caratteristiche dei nostri tempi, siano in qualche modo collegabili con le straordinarie potenzialitä tecnologiche di cui disponiamo, con le idee innovatrici ch'esse ci propongono di continuo. Di co-munismi arcaici se ne sono avuti molti, da Sparta alla Cina di Wang An-shi (sec. XI), ma quello pienamente sviluppato che ci ě stato sorto gli ocehi sarebbe stato quasi impossibile a concepirsi senza ľesperienza delle grandi fabbriche sorte con l'Ottocento, senza la rivoluzione industriale, senza gli angosciosi ed urgenti pro-blemi che questi fenoméni posero alla mente dei pensatori. In altre parole, ancora una volta, la modernita, come la s'intende comune-mente, ě data dal diffondersi della nuova tecnologia. Una čerta tecnologia b sempře esistita: Vhomo faber si distinse, e V homo sapiens si caratterizza, proprio pel fatto di essere generatori di tecnologia. Chi tiene fra le dita una daga di pietra scheggiata del Chelleano, resta senza fiato dinanzi alle capacitä manuáli e visive delľantichissimo maestro. Ma quella era tecnologia episodica, in lentis-sima evoluzione; la nostra ě sistematica, continuamente feconda, in perenne espansione. Perché? Perché non ě piú affidata a colpi di fortuna, a geniali intuizioni, alla bravura del singolo, ma sorge dal terreno fertile che le scienze della natura gli hanno preparato. Ed ě lí — nelle scienze della natura — che dobbia-mo dunque cercare le radiči ultime, qualitativamente nuove, della modernita. Fenoméni di questa natura, ed altri consimili, ci presentano il quadro ďun centro creatore, inventore, emittente, ed una periféria che invece riceve, acco-glie, sviluppa, fa suoi gli stimoli pervenuti da fuori. Se il centro ě per forza di cose ristretto nello spazio, la periféria puö essere vastissima, in certi casi conter-mine all'intero globo terracqueo. Gli stimoli emessi dal centro d'origine incon- (') Needham, Ioseph, Science and Civilization in China, 7 voll., Cambridge University Press, 1954 e segg. Vedere soprattutto il volume II. 15 mo perciö sostrati geografici, climatici, cultural!, social!..politici assai di-versi, alcuni favorevoli alia loro recezione, altn meno, alcuni fertih e benígni, altri neutri o addirittura negativi. Nel mondo moderno prima l'Europa sola, poi 1 Europa e 1 America unite, hanno funzionato come un potentissimo centro diffusore d idee, di tecmche, di gusti e costumi. Va perö ricordato un aspetto molto importante di questo gran-dioso fenomeno storico. Mentre le arti, le lettere, le filosofie, ll diritto, le religion!, molti atteggiamenti e scale di valori dell'Occidente, sono legati in modo quasi indissolubile alle qualita modali, alle caratteristiche indivíduami delia nostra civiltá, le scienze della natura, e le tecnologie ehe ne derivano, si presenta-no nella maggioranza dei casi come universali, e nella pratica della vita come neutre. Le leggi che governano la gravita, la termodinamica, i fenoméni elettri-ci, la circolazione sanguigna, la trasmissione dei caratteri genetici delle specie, una volta riconosciute ed accettate, valgono a Roma come a Tokyo, a Yellow-knife come a Semipalatinsk. La scienza ě nata in Europa, su questo nessun dub-bio, ma e solo storicamente, incidentalmente occidentale, essa porta in sé mol-teplici caratteri di squisita universalita. E lo stesso va detto della tecnologia. Si rifletta un istante su alcuni fatti semplicissimi ma esemplari: il medesimo aereo puö trasportare pellegrini cattoli-ci a Lourdes od a Roma, islamici alia Mecca o al Cairo, induisti a Varanasi o jaina al Monte Abu, buddisti a Bodhgaya od a Lhasa, puö servire da veicolo per commissari politici che si recano a Pechino, azionisti della General Motors diret-ti a New York od a Chicago, per mafiosi che viaggiano tra Partinico e Broccolino. Ľapparecchio vola, fende ľaria, mačina chilometri, ciô ehe pensano, fanno, eredono o tramano coloro ehe gli stanno in ventre non lo riguarda per nulla. Le medesime pillole o le identiche iniezioni guariscono cavallari buriati o monsignoři vaticani, impiegati giapponesi o play-boys californiani, senza fare distinzioni. Le Stesse luci al neon possono rendere visibili croci, falci e martelli, mezzelune, stelle di David, lettere latine, cirilliche e greche, ideogrammi sino-giapponesi, sillabari tamili, bir-mam, thailandesi, pubblicitä della Fiat o delia Toyota, inviti a bere Coca-cola, vino o vodka. Esempio classico di neutralita tecnologica ě quello de di questa preziosa materia ha luogo in Cina, sembra nel corso del primo secolo doDO CrUtn CrA t-*.—~----1 ... Esempio classico di neutrality tecnologica e quello della carta. L'invenzione di questa preziosa materia ha luogo in Cina, sembra nel corso del primo secolo dopo Cristo. Col terzo secolo se ne fa gia uso nel Kansu, all'estremo nord-ovest del paese, col quinto la troviamo in Asia centrale, nel 768 raggiunge Samarcan-da, col nono secolo fa il suo ingresso a Bisanzio, nel 1109 e nota in Sicilia, poco dopo la si produce a Fabriano ('). In questo smisurato e millenario pellegrinag-gio trascontinentale la carta ha servito alia registrazione di testi scritti in cinese, mongolo, tanguto, tibetano, uiguro, arabo, persiano, greco, ebraico, latino, a diffondere documenti confuciani, taoisti, buddisti, nestoriani, manichei, islamici sunniti, islamici shiiti, ebraici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici — e chis- (') Vtdere il celebre studio di T F farr^r 77. t —, „ cd, riVedUta da 0-4S^nS?4ÄftSS * *-16 ' sä quanti altri ancora. La carta era un impassibile supporto, una materia total-mente neutra, pronta ad essere vergata da ideogrammi, sillabari, alfabeti, dalle cifre di conti commerciali, da comandi militari, da meditazioni religiose, dalle tracce ardenti di parole d'amore. La carta ci offre l'esempio di un'invenzione che migra da est verso ovest. Le tecnologie moderne, nate in Occidente, hanno percorso il cammino inverse In ambedue i casi, ed in molti altri del genere, le tecnologie, proprio per il loro carattere neutro ed universale, tendono con grande facilitä a diffondersi dal ter-ritorio d'origine verso i punti piú distanti del globo. Come giä osservato, in si-mili casi alcuni recettori presenteranno un sostrato culturale benigno, favorevo-le alle novitä che provengono da fuori, in altri casi le condizioni saranno meno brillanti, negative, o addirittura di rigetto. Prendendo dei casi estremi, t ovvio che i Chukchi della Siberia, gli Arunta dell'Australia, i Gondhi dell'India saranno ricettori zoppicanti ed impreparati a dar slancio alia cibernetica, oppure a perfezionamenti di meccanica quantistica. Ma vi sono anche societa evolutissi-me, come quella indiána, che a livello ďélite producono grandi poeti, direttori ďorchestra, štatisti, nonché letterati e scienziati da premi Nobel, ma presenta-no poi nella loro intima struttura un sostrato il quale, per varie ragioni, frena il diffondersi della tecnologia e rende difficili le sue applicazioni. Nel caso indiano, per esempio, un ostacolo che sembra ancora adesso quasi invincibilmente ossuto a superarsi h costituito dall'esistenza delle caste; pare impossibile, ma la modernizzazione, anziehe dissolverle come ci si attendereb-be, ne ha spesso rafforzato strutture ed impatto, trasformandole in gruppi di potere e di pressione (tipo sindacati), fornendoli di nuovi potenti mezzi di co-municazione ed aggregazione. Altro fiero ostacolo ě rappresentato dal culto della vacca, d'altissimo valore spirituále e morale se si vuole, ma deleterio come spreco di risorse. E qui va inserito un breve commento su di un aspetto dell'intera vicenda al quale raramente si da la dovuta attenzione. Avviene che l'Europa, madre della rivoluzione scientifico-tecnologica stessa, sia stata tutto sommato una recettrice poco brillante del proprio parto. In questo senso il sostrato culturale europeo, ed occidentale in genere, non puö dirsi tra i piú favorevoli e benigní: fortissime resistenze interne hanno ostacolato e frenato, a varie riprese, lo sviluppo delle idee scientifiche. Ě ben noto che, lungo il corso dei secoli, interi campi ďinda-gine e di sapere si sono grado a grado affrancati dalla sféra religiosa per aequi-stare una loro autonómia. In tempi remoti la medicína, ľarchitettura, la guerra ed akre attivita, a seconda dei periodi e dei luoghi, costituirono momenti del-1'onnipresente sféra religiosa. Nel Giappone antico il termine matsurigoto ("affa-ri del culto, dei řiti") significava tanto religione quanto governo. Fino al secolo XVII-XVIII la cultura religiosa dell'Occidente aveva sue idee ben chiare riguar-do alia cosmogonia, all'astro.nomia, alla storia umana nei suoi grandi lineamenti, e riguardo a tanti altri settori dello scibile. Ancora oggi, senza pensarci, diciamo «il sole sorge», pur sapendo benissimo che in realtä «la terra scende», scopren- 17 ,,mnp diurna il sole sulľorizzonte. Nel Cinque e Seicento ^^liS^S^un sister planetario eliocentrico al po. ľd cuelo canonico geocentrico, poteva cost.tuire pencolosa eres» II cele-irrimo P ocesso a Galileo (1633) puntualizza uno scontro frontale tra due con-« oni inconciliabili, scontro ehe si é soltanto nsolto in temp, lunghissimi tra accuse, imbarazzi e penose recriminazioni. Un altro terremoto culturae lo s.eb-be con ľintroduzione ďun principio evolutive in biológia (Lamarck, 1801; Darwin e Wallace, 1859), idea che cozzava senza speranza di compromessi col crea-zionismo biblico. Se oggi nessuno pensa piú alia Terra come centre dell univer-so, i creazionisti ehe si riferiscono al racconto biblico nel suo contenuto lettera-le'esistono ancora, ed in alcuni circoli statunitensi sono oltremodo potenti e battaglieri. Insomma ogni cambiamento negli assetti basilari del pensiero euro-peo ed americano pub dirsi abbia rappresentato una crisi spirituále torturata e dolorosa, spesso protratta nel tempo, con effetti ďinsabbiamento e di disorien-tamento nella diffusione delle idee scientifiche, e di forte menomazione del loro prestigio. A questo punto vorrei dire alcune parole su di un'altra questione, ehe puó sembrare di semplice terminológia, ma che ha implicazioni di grande importan-za per comprendere a fondo il mondo in cui viviamo. La diffusione in ogni con-tinente della tecnologia, degli usi, delle abitudini, di concetti, costumi, gusti, vocaboli, mode, provenienti dall'Europa e dali'America, viene spesso definita come un grandioso fenomeno di "occidentalizzazione". Altri parlano di "mo-dernizzazione", ed é facile riscontrare, nella pubblicistica meno awertita e co-sciente, che i due termini fungono da sinonimi. Invece — e questo mi sembra un punto basilare — sinonimi non lo sono affatto! II problems ě complesso, difficile da riassumere in poche righe. Ma sempli-ficando al massimo potremo dire che, per occidentalizzazione, deve intendersi il fatto di aderire in profondo, non solo alle usanze ed ai costumi esteriori del-l'Occidente, bensi ai suoi modi di pensare, alle sue scale di valori, a sue conce-zioni importanti, ai suoi atteggiamenti particolari verso la vita, la materia, la morte, i sentimenti, il denaro, la guerra, il suicidio e via dicendo. In questo senso ľoccidentalizzazione precede di gran lunga, nel tempo, la modernizzazio-ne. I magiari furono occidentalizzati col Rinascimento, forse prima. L'America centrale e meridionale, almeno nelle sue classi dirigenti, fu occidentalizzata (spesso con la violenza) secoli or sono. Certe regioni, certi strati sociali delle Fihppme, sono notevolmente occidentalizzati. Owiamente la conversione al Cnstianesimo segna un passo importante (ma non poi del tutto decisivo) nel processo d'occidentalizzazione. Per modemizzazione deve intendersi invece il processo per il quale si adotta no ovunque nel mondo, particolari tecnologie e procedimenti operativi derivati dalle scienze, per la loro ovvia convenienza e praticitä senza alrnn iZlS ■ terore. II con.adino del Bengala ehe vende i bufali e corľp un tľaľoľeTuna semtnatnee pel nso, o una macchina da cucire per la mogfi.'^^^ 18 lontanamente d'occidentalizzarsi (o di nipponizzarsi!), si munisce soltanto d'u-no strumento di lavoro piú efficiente, piú "moderno", ehe gli dä migliori risul-tati. Del resto basta riflettere al nostro immediato orizzonte per comprendere la situazione: ci sentiamo forse piú giapponesi perché cavalchiamo una Honda o una Kawasaki, perché fotografiamo con una Nikon o una Canon? Piú inglesi perché i convogli ferroviari viaggiano tenendo la mano sinistra? Piú francesi perché misuriamo la distanza in metri anziché in miglia, e le campagne ad ettari e non a tumuli? Oppure parenti degli Inca perché mangiamo patate e pomodori, etiopici perché beviamo il caffé, cinesi perché facciamo uso di carta, e magari andiamo a curarci con l'acupuntura? Certo si presentano casi e problemi delicati, talvolta difficili a dirimersi. Ve-stirsi all'occidentale, come dobbiamo considerarlo? Nel 1880 la cosa poteva es-sere ancora dubbia, ma nel 1980 o 2000 ě chiarissima: non rientra affatto nella sféra delľoccidentalizzazione, é una semplice questione tecnica d'abbigliamen-to. In qualche occasione, il fatto di non vestirsi all'occidentale (Khomeini e i suoi seguaci, emiri arabi, guru indiáni, maestri di arti tipicamente giapponesi, lama tibetani...) puó indicare una resistenza ostentata all'occidentalizzazione. Neppure l'adozione dell'alfabeto latino (vedi Kemal e la Turchia dal 1924 in poi) ě decisiva. Piú impegnativa parrebbe l'adozione del calendario gregoria-no, con la serie numerica che parte dalla nascita di Cristo; ma anche questa sta rivelandosi un'illusione. II fatto é che il colonnato interno e segreto che sostiene ogni civiltä, ogni importante cultura, ha una resilienza prodigiosa contro qual-siasi sorta d'aggressione esterna. Si osservi come francesi e tedeschi, confinanti da secoli, in parte provenienti da un medesimo ceppo ancestrale, riaffermino ad ogni generazione una consapevole, quasi immutata, loro identita etnica e cultu-rale. Esempi consimili sono facilissimi a trovarsi in ogni continente. Venendo adesso al Giappone, potremo affermare ch'esso ě altamente, splen-didamente modernizzato, assai piú modernizzato di noi per molti aspetti, ma poco, pochissimo occidentalizzato. Numerosi e continui malintesi tra stranieri e giapponesi hanno luogo proprio perché, visitando ľarcipelago e notando tanti segni di somiglianza con l'Occidente nel vestire, nella casa, nel mangiare, nel lavoro, nei giochi, nelle abitudini piú comuni della giornata e della notte, il viaggiatore conclude: ma allora sono come noi! Niente affatto, sono diversissi-mi: in molte cose meglio di noi, in altre peggio, pero sempře diversissimi. Rego-la basilare dunque: non si scambi modemizzazione per occidentalizzazione. Allora dobbiamo concludere che non esistono affatto fenoméni d'occidentalizzazione tra i giapponesi? Anche questo sarebbe un errore; esistono, ma sotti-li, frammentari, spesso difficili a rilevarsi. Casi individuali di giapponesi che sono stati per anni alľestero, e sono italianizzati, anglizzati, parigini onorari, o piú tedeschi dei tedeschi, piú americani degli americani, ne conosciamo tutti, ma non fanno regola. Nella vita giapponese normále puó avvenire ognitanto di cogliere a volo qualche suggerimento, in genere isolato, o stranamente trasfor-mato. Per esempio ľuso di chiamare Dio, il buon Dio d'Occidente con barba e 19 po «a dfCe ehe adesso yiene spesso usato nel senso piu genenco di "arnote umanitario", quasi di "carita". .. Occidentalizzazione abbastanza profonda puo notarsi nelle opere di čerti scrittori ed artisti, per esempio in quelle di Sóseki Natsume o dl Yukro Mishi ma leggendo le quali avvertiamo benissimo che la cultura euro-americana ě sta ta ássorbita e assimilata in profonditä. Un'occidentalizzazione particolare, dicia-mo di sberleffo, mi sembra sia quella di Akira Kurosawa; il gran volpone capi benis simo cosa piaceva agli occidentali, ciô che li mandava in visibilio, e glielo forniva a ripetizione con vasti arazzi cavallereschi, quali Kagemusha e Ran — ma nel fondo dei fondi come la pensava? Ai giapponesi molte delle sue opere non sono piaciute: «Roba da gaijin, da forestieri!» esclamano. A questo punto occorre dedicare almeno alcune righe ad un altro fenomeno che sta prendendo qualche sembianza di forma sotto i nostri occhi, e che diven-terä sicuramente sempře piú vistoso, impegnativo, dominante nei decenni futu-ri: penso (scusate ľorrendo neologismo!) alla mondializzazione. Come occidentali ci compiacciamo di continuo nel riscontrare in ogni continente dei nostri in-flussi, e ci viene da esclamare: vedi, inevitabile, la nostra pasta ě la migliore, siamo i piú bravi, i primi delia classe, tutti ci imitano!... Non dobbiamo pero dimenticare le correnti, di sempře maggior forza e penetrazione, che agiscono in sensi inversi. Esistono un'africanizzazione dell'Occidente, un suo abbeverarsi a sorgenti Inca, Quechua, Azteche. Piú fořti, determinanti, penetranti sono i flussi che provengono dali'Asia. Come suggerito prima, ciascuna civiltä puô as-sorbire non solo brezze, ma venti, rovesci, tifoni da parte ďagenti esterni, senza perdere gran che delia propria identita. Quindi, nonostante gli Hare Krishna, la Soka Gakkai lo Zen, il reverendo Moon o il guru Maharishi, ľorienta-lizzazione delle terre di ponente ritengo che resterä fenomeno marginale, curio-so, spasmodico. Ma la mondializzazione no. In un certo senso mi sembra ľine-vitab.le direzione spirituále d incontro delle genti, nelle grandi prospettive del futuro. Tu rinunci a qualcosa, 10 rinuncio a qualcos'altro tu mi daľauesto io ti do quelle, e tutti ci ntroviamo accomunati affratellst íi„ • q llňltai ecumenico, mondiale ('). ' attrateUatl. m un gigantesco kunltat Riprendiamo 0 filo del nostro discorsn Akk;__ . , -i moderno come centro natale e diffusľre ddleti con^derato ľOccidente che ne derivano, ed abbiamo acceľnatcal ftoT" ""T" 6 dcUe te, recettori di questa ondata evolu iva saränno !/ P°P°H,eSterni alľOcciden- - "va, saranno alcuni piú adatti, altri meno, C) Chiamavansi kuriltai quei periodici raduni dei m„„ i- • sedí verso un punto determinato delle steppe nelľintent $ '} fisiolo8Ía dÍ C°rP'' te un dualismo cosmico ČEnlT8^ La Creazione istituÍSCC f'Tn loro che sono effetto delia Z™' W lat0 sta colui che voile, dalľaltro cone coinvolge radici e fronde in ľľ"2'0"6' del suo Pian° occulto. La genera^ tana. Scegliere ľuna o ľaltrá teľn;0'8*™"10 la Cui essenza fondamentale e un; mu;, ha profonde, sminir ™ ca cosmogonica, fosse pur solo nel regno del vdti ra* conseguenze lung0 tutto ľasse storico ďuna * Nel mondo occidentals •» i -entali, strutturalmente rigJA?0 conc«ioni chiare, distinte, compar". 24 ' qUeUo ^Ponese ě dominate da concezio"1 moniste, panteiste, strutturalmente fluide. In Occidente Dio crea mondo, natura, cose, piante, animali ed uomo: i tre poli delľessere, Creatore, natura, uomo, restano in eterno loro stessi. Dio non diventa mai pietra né eipresso, ľessere umano non sarä mai Dio, ma neppure airone o cristallo, ľulivo o ľistrice non saranno mai né Dio né fanciullo. Ciascun binario delľessere ha suoi ministeri e ruolini universali e perenni. Sussiste un'impermeabilitä ontologica assoluta. Vie-ne fatta una sola eeeezione, momento culminante d'un dramma augusto e supremo, quella per cui il Figlio diventa uomo e s'immerge nella natura, nel divenire, conoscendo la morte. Ma é ľeccezione irripetibile che conferma tutte le regole. Nelle coneezioni tradizionali giapponesi, děi, natura ed esseri umani sono ipostasi momentanee di un'immensa circolazione cosmica, se non sempře in at-to, sempre idealmente Potenziale. Uomini storicamente vissuti, che si ritengono comunemente trasformati in děi ve ne sono innumerevoli: da Sugawara Michi-zane (845-903), protettore delle lettere e delia calligrafia, patrono degli studenti, a Tokugawa Ieyasu (1542-1616), l'unificatore del Giappone, venerato a Nik-kö ed altrove come "Luminosa manifestazione divina d'Oriente", da vari imperátori antichi e recenti, ai morti delle tante guerre onorati nel sacrario di Yasu-kuni a Tokyo. Esempi di divinitä che si manifestano come alberi, cascate, rupi, fenoméni celesti non mancano. Meno frequenti sono i casi di cose, piante o animali (vedi pero la volpe e sue trasformazioni) che acquistano forme umane, e quindi si avviano alio stato Potenziale di děi. Ma qui, almeno nella religione popolare, in cui Shinto e Buddismo si fondono in un intimo abbraccio, soccorre la dottrina del somoku-jöbutsu, secondo la quale anche le erbe e gli alberi posso-no divenire Buddha. La grande circolazione insomma si chiude, l'anello cosmico si salda. Dal sasso all'assoluto, lungo una catena smisurata di entita piú vive o meno vive, il catasto dell'universo manifesta la propria unitä. Mentre le coneezioni tradizionali dell'Occidente sono delineabili in un triangolo (vedi qui sotto scarabocchio n. 1), quelle giapponesi rispondono me-glio all'immagine d'un circolo. f. /í M / Un terzo aspetto di grande rilievo nell'ottica dello Shinto ě un atteggiamento vigorosamente positivo ed affermativo nei riguardi della vita. Ancora oggi con i riti dello Shinto si presentano i neonati al sacrario di famiglia, inserendoli 25 uHicialmente nella ^J^^^^^^^ S3:3SS5o Pont, U* fabbnche, teatr,, S*rSostr«fc, aeroporti, moü, nei cant en si var.no navu II sacerdote Shinto (Lnushi) on le sue vesti blanche, celest, v.ola a seconda delle arco-stanze ě presente ovunque si dia l'awio ad attivitä produttive. Onginanarnen-te lo Shinto comprendeva, e in parte comprende ancora adesso culti esphem della fertilita. Uno dei momenti piú important! dl quello straordinario ciclo di riti svolgentesi lungo l'arco di un anno e piú (il Daijö-sat), che ha luogo alia consacrazione d'ogni nuovo sovrano giapponese, consiste in una íerogamia not-turna ormai da secoli soltanto simbolica, la quale sembra intesa a garantire tan-gibilmente la fertilita delle risaie, degli animali terrestri e marini, del popolo umano, per gli anni del regno a venire (')• Famosissimi sono i festeggiamenti (matsuri) che hanno luogo ogni anno il 15 marzo nei sacrario Shinto di Takata, nelle campagne vicino a Nagoya, nei corso dei quali vengono portati in proces-sione tra le risaie dei sacri falli eretti di legno, di monumentali proporzioni e minuzioso realismo, nonché stendardi con smisurate vulve sante a colori, tra corone di cartigli benedetti. AI termine delle funzioni ha luogo un casareccio lancio di crocchettoni in riso battuto (mochi) alia folia festante. Le credenze a monte di questi, e tanti altri consimili o dissimili riti dello Shinto, possono sussistere o non sussistere tra la gente come articoli espliciti di fede — la maggior parte dei giapponesi si dichiara agnostica, areligiosa, atea — ma hanno lasciato tracce culturali profonde, diffuse, ricorrenti, che si rivelano nei modi di pensare, nei linguaggio, negli atteggiamenti emotivi, nei gusto che permea le arti e che governa tanti aspetti della vita quotidiana (riferimento con-tinuo alle stagioni, culto dei fiori, dei sassi, degli alberi). Quando venne preso Okamoto (uno dei terroristi responsabili anni or sono di una strage all'aeropor-to di Tel Aviv) egli dichiarö alia stampa: mi meraviglio d'essere ancora vivo, ero sicuro di morire nell'impresa e di diventare una Stella. Non intendeva "Stella" nei senso di protagonista cinematografico, bensi in quello letterale (hoshi), un lontano punto luminoso nei cielo. La circolazione dello spirito per i mondi umano, animale, vegetale e minerále, viene intesa come possibilitä latente, ma-gari solo poetica e simbolica, da moltissimi giapponesi, terroristi inclusi. I riferimenti al nostro discorso d'origine sono ormai chiari. Innanzitutto po-tremo dire che la venerazione della natura, intesa un tempo in regime fideistico come presenza costante del divino, si trasforma, in un regime piú moderno di razionalitá, nei richiamo spontaneo, continuo, universale, alia natura come norma ultima del vero. Siamo dunque in un clima estremamente favorevole, non solo all accettazione della scienza, ma al suo ulteriore sviluppo, e — si capisce - ad una glorificazione, che spesso diviene smodata e frenetica, della tecnolo- (') Secondo altri D memento culminantc della misteriosa cerimonia consisterebbe in una comunione spm.uale con la dea solare Amaterasu. in una sua speciale consacraztone del nuovo sovrano Sul DaZ> vedere: F. M.nun,, Vigape «fe«e, t ritii, comacrazione dei sovrano papponesc, Milano, Schriwilk" ml 26 gia in tutte le sue manifestazioni. In secondo luogo lo Shinto ě portatore di un'accentuata filosofia vitalista, non teorizzata, ma vissuta in riti, simboli, atteggiamenti emotivi. E proprio al vitalismo Shinto va riferita moltissima parte di quella frenesia produttiva, diciamo pure di quell'aggressivitä industriale e commerciale, che contraddistingue gran parte dei giapponesi di oggi. Ho notato in altra occasione (') la straordinaria consonanza che traspare quando si accostino le parole d'un famoso canto corale d'azienda del XX secolo, a quelle d'un inno liturgico offertorio (norito) probabilmente dell'VIII secolo, forse piú antico ancora. Dice il canto mattutino d'apertura della giornata lavo-rativa negli stabilimenti della Matsushita Denki (Elettrodomestici): Per edificare un nuovo Giappone uniamo le nostre menti e le nostre forze, impegnamoci a produrre inviamo le nostre merci ai popoli del mondo senza posa, continuamente, come acqua che sgorga dal monte... Cresci industria, cresci, cresci! O armonia, o sinceritä! Dicevano gli antenati, oltre un millennio prima, dedicando le loro offerte ai sacrari: Ecco i tesori divini, i nostri doni: specchi, spade, archi, lance e cavalli abhiamo provveduto... Vesti di Stoffe colorate, Stoffe radiose, e semplici Stoffe, Stoffe grezze vi presentiamo... E le primizie dei campi E i frutti dei monti e delle valli E vino di riso in vasi alti e snelli, vasi senza numero, colmi fino all'orlo. Offerte su offerte sono qui cumulate simili a giogaie di monti! Nei secolo VIII l'abbondanza era vista in ottica religiosa, il tributo degli uomini ai kami invisibili delle grotte e delle selve, nei secolo XX in ottica di mistica industrial-commerciale. Ma lo spirito che anima i due canti ě similissi-mo. Fertilita, abbondanza! Specchi, spade, cavalli, brente di vino! Fertilita, ab-bondanza! Televisori, obiettivi, moto, giocattoli, auto! (') Maraini, F., Japan, Pattems of Continuity, Tokyo, Kodansha International, 1972 (13ma ristampa 1989). 27 ~ ■ ■ n. mrntr anche altri punti in cui lo Shinto, e l'ereditä ^u^^a^^^^r cŕaspetd del mond° culturale che ne aer'va' , dell'uomo nella natura, cosi caratteristiCa dXKľL'p^rr- un abbassamento dellospirito a. materials smo quanto il sucľcontrario. Non é lo spirito che cala nelle cose e y, perisce, sono piuttosto le cose che s'animano e s'llluminano di spirito. In questo oriz-zonte va situato prima di tutto quel pragmatismo giapponese (gen^u-shuy) che serve di guida, piú ďogni teória o principle astratto, alle azioni individual! e collettive. Da noi il pragmatismo é filosofia, tutto sommato, di rinuncia; un ad-dio al nobile prestigio della teória e del pensiero per lasciarsi dominare dal bruto linguaggio dei fatti. In Giappone, specie se lo definiamo in termini nativi come hara-gei "arte del ventre", suggerisce un atteggiamento positivo, una saggia im-mersione nel flusso degli eventi per carpirne le occulte linee magnetiche di torza, che poi guidano uomini e cose nelle loro diuturne sarabande. Alio stesso orizzonte possiamo assegnare quella straordinaria intimita con la materia, quella squisita sensibilitä per tessiture, superfici, epidermidi, consisten-ze delle cose, che si nota nelle opere di molti artisti e nei prodotti dei migliori artigiani giapponesi. I grandi ceramisti, per esempio, non cercano mai d'imporsi alia terra, agli smalti, al fuoco, ma ambiscono di collaborare con tali elementi. Richiesto con quale spirito decorasse i suoi vasi, il famoso maestro Shoji Hama-da rispose: «Guardo semplicemente la cuccuma e le chiedo cosa vuole» (Leach, B., Hamada, Tokyo, Kodansha, 1975). Alla medesima fratellanza con le cose é forse lecito ascrivere anche il gusto col quale la maggioranza dei giapponesi affronta il lavoro. Ovviamente l'impe-gno delľartigiano, che spesso cura l'oggetto da materia bruta a prodotto finito, con tutte le soddisfazioni che questo puô dare, é ben diverso dalla fatica di chi pena in fabbnea, anonimo, assordato e spremuto; eppure si direbbe che qualco-sa sia stato trasmesso da un'epoca alla successiva, soprattutto se riflettiamo che in Giappone la seconda s e sviluppata cronologicamente quasi a ridosso della SÄc*0?? aVere perfinoJcerti *™ mitologici che stanno alle aviskareSan Pet ôniľ, R?'0™' "COrdo' COnducev° alcuni a™i 8^PPonesi ^Í^ÄHÄ^ delle mirabli suture ed Eva nel paradise terrestre Oui aL ■, f" cattedrale- «Ecc° Adam0 te, vengono cacciati dal p^isÄ * ^ Pr°ÍbÍt°- E qUÍ' ^ e lei col dolore del parte ľ «Com » ľ" A PCS° ed 11 sudore del IaV°r° «pervoiulavoroéunapunizione>» T.I*' " ° Sub"° uno dei 8iaPPones1' do. II lavoro puó essere pesante antmlť C°nCett.° parve> lo caP" subito, assur-puô scorgervi tinte d'una maledizione (' .Ug8I0S0' °diatissimo, ma nessuno intima bandiera. Di norma lo si conce"16' con8enita — e farsene volendo dei vari cieli vitali (giorno, anno ^iJ^ C°me momento naturale, legittimo, ' bmenza). come un'estrinsecazione delle pro- prie abilitá di mano e di mentě. Bravo ijózu) significa, in giapponese, "superiore di mano"; maldestro (hela) "di mano inferiore". Rivelatore ě perfino il fatto che il nostro vocabolo "lavoro" pare sia da con-nettersi etimologicamente con 1'idea di fatica penosa, ďopera servile e dolorosa — in inglese labour significa tra 1'altro "doglie del parto". I giapponesi fanno uso invece ďun termine del tutto neutro, shigoto, "la cosa-del-fare". E qui po-tremmo anche aggiungere un'osservazione marginale: la lingua giapponese man-ca sostanzialmente dei due verbi ausiliari essere e avere: il primo viene diluito su vari vocaboli, disperso sopra un ventaglio ďideogrammi, il secondo significa in sostanza "tenere" (motsu). L'autentico verbo ausiliario giapponese, ch'ě sempře lí a disposizione per dar vita ad un numero stragrande di composti, che torna ognora a galia per creare termini nuovi e strampalati, unendosi magari a vocaboli stranieri, ě sum, cioě "fare". Nota che forse puó gettare qualche lampo di luce sopra un paesaggio nel quale miriadi ďomlni, simili ad api o formiche, si dedicano senza soste "alla cosa del fare". Al pragmatismo ed al vitalismo Shinto va collegato infine un atteggiamento energicamente positivo nei riguardi del profitto. Divinitá popolarissime, quali Inari, un tempo dio delle risaie, oggi divenuto protettore dei commercianti e degli industriali, Daikoku, dispensatore universale di riechezze e di buona fortuna, Ebisu e Kompira, originariamente numi di pescatori, delle genti di mare, oggi anche loro patroni di trafikanti, bottegai, ditte e societa, sono tutti franca-mente, direi svergognatamente, santi patroni del guadagno, del successo negli affari (shóbai-hanjó), della bottega colma di merci, della casa ricca e ben fornita — come poteva essere patrono di simili cose, pei nostri lontani antenati, Mer-curio. In questo lo Shinto si allinea su posizioni che ritroviamo nel mondo giu-daico ed in quello protestante, nei quali il successo terreno, il nutrito conto in banca, testimoniano un compiacimento celeste per 1'opera delTuomo giusto, e si pone in contrasto col mondo cattolico che annusa il profitto con sospetto, ed owiamente con quello comunista che lo condanna come peccato originále — salvo i difficili e pericolosi aggiustamenti oggi in corso nella Cina di Deng e successori. Ponte di passaggio verso un brevissimo discorso riguardo all'eredita confu-ciana, puó essere dato da un'osservazione che riguarda quella fondamentale e notissima caratteristica giapponese: lo spirito di gruppo (shudan konjó). Da un punto di vista generále possiamo dire che, mentre in Occidente quasi tutte le linee di forza nella storia del suo sviluppo spirituále hanno teso, e tendono, a dar rilievo, a rinforzare, a garantire 1'individuo nella sua indipendenza e dignita di persona, in Giappone ě avvenuto Pesatto contrario. Salvo in questi ultimissi-mi anni, l'individuo é rimasto costantemente un'entitá subordinata al gruppo, alla famiglia, alla comunita, allo stato. Fino a metá Ottocento l'individuo cono-sceva solo doveri. La parola stessa "diritto" mancava nel vocabolario. Furono i filosofi delTepoca che si misero a tavolino ed eseogitarono il termine kenri, in uso tutťora, un connubio non troppo felice o geniale ďideogrammi, in cui si 29 uniscono na ě le idee di autorita e quelle di profitto, vantaggio. II concetto dl perso-;^vo forestiero fragile: non ha vocaboli sicuri su cul appoggiarsi. Perfino iiVoncet o'd ipra o (^0|«) sconfinava, e forse sconfina ancora, >n quello di Vgoľsta" denota qualcuno o qualcosa che, in qualche modo, s, allontana, s. sottrae, alia santissima collettivitä. I culti piú arcaici delle isole, che sopravvivono quale parte integrante dello Shinto, si manifestarono e si manifestano come fenoméni d i gruppo, come liturgie comunitarie. II singolo esprimeva semmai i propri sentimenti místící nella poesia, in varie forme artistiche, linguaggi che hanno spesso un protumo religio-so. Lo Shinto era, ed é in gran parte ancora, un culto della famiglia, del clan (uji), prima inteso in senso strettamente genealogico, poi divenuto anche territoriale (villaggio, paese, quartiere cittadino), un culto del mestiere, della profes-sione, della regione, infine del popolo-paese intero. I riti piú tipici (matsuri), che consistono essenzialmente in un'agape alia quale gli děi vengono inyitati a partecipare insieme agli uomini, sono squisitamente eventi comunitari, di gruppo. Del resto basta dare un'occhiata, di nuovo, alio scarabocchio n. 1 per intui-re come in Occidente l'individuo, inchiodato per ľeternitä al proprio destino di beato o dannato che sia, coatto alia perenne identita con sé stesso, venga garantito nella sua qualita di monade indistruttibile dalla piú alta e sofisticata metafisica. Nel cosmo giapponese, sia sotto l'ispirazione prevalentemente shin-to, sia sotto quella prevalentemente buddista, l'io, l'individuo, la persona, si configurano come realtä impermanenti, mutevoli, soggetti a dissolversi in cicli di metamorfosi varie. L'assorbimento nel gruppo fa parte della piú ovvia fisiolo-gia sociale. II Confucianesimo, sorto e fiorito in Cina nei secoli VI-III avanti Cristo, con importanti sviluppi oltre un millennio piú tardi (Neo-confucianesimo), si diffuse in Giappone fino dall'awento del Buddismo (VI secolo), ma il suo periodo di maggior gloria ed influenza si ebbe in epoche piú vicine a noi, tra i primi del Seicento e la metä dell'Ottocento, quando divenne filosofia di stato dei reggenti militari (shögun) di casa Tokugawa. II Confucianesimo presenta nu-merose facce, scuole, tradizioni, dinastie d'esegeti (e come potrebbe essere di-versamente con 2.500 anni di storia alle spalle?), ma in sostanza si presenta co-stantemente come una grande filosofia sociale, fermamente ancorata alle realtä del mondo in cui viviamo ed operiamo, ai fenoméni delle relazioni umane, poli-tica inclusa, che segnano limiti precisi ai nostri comportamenti. Quando' il di-scepolo Chi-Lu chiese a Confucio che gli parlasse della morte, il Maestro rispo-se: «Ignoriamo cosa sia la vita, figurarsi se potremo conoscere la morte!» (Ana-lecta, XI, 1). II Confucianesimo classico ě anti-metafisica per eccellenza e forse per questo ha potuto abbastanza serenamente convivere nei secoli sia col Buddismo, fiore di sconfinati uniyersi, sia col Taoismo, mistica di contestatori e di maghi. Le br.ciole á un catechismo confuciano sono rappresentate da uno studio delle cinque relazioni fondamentali (gorin): sovrano-suddito, padre-figlio manto-moglie, fratello magg.ore-fratello minore, amico-amico. (Tra paremesí 30 potremmo osservare come sia stato una vera tragédia, per la storia mondiale, il fatto che Confucio non abbia considerato una sesta relazione — quella che an-drebbe definita "cinese-straniero"). Oggi, in Giappone, salvo corsi specializzati nelle universita, il Confucianesimo puô dirsi morto e sepolto. Ma questo non significa gran che. Anche in Cina ed in Corea (dove domino incontrastato il mondo intellettuale e politico per secoli) ě ormai solo un ricordo. In tutti questi paesi esiste pero una fortissima, invisibile, onnipresente ereditä confuciana, che si manifesta sia attraverso il lin-guaggio, sia attraverso il predominio indiscusso di čerti valori ideali e morali, sia attraverso usanze e costumi che fanno parte integrante della vita quotidiana. In Giappone concetti d'uso giornaliero, quali giri, obbligazione morale, dovere, gimu, lo stesso ma in senso piú generále, on, debito di gratitudine, fin, benevo-lenza, umanitä, reigi, cortesia, etichetta, formalita, buone maniere, e tanti altri ancora, sono fermamente ancorati nelľereditä confuciana. Briciole, tracce a volte curiose di "olio confuciano", che serve a lubrificare le mote della convivenza civile, sono alcuni usi che colpiscono subito chi visita il Giappone; per esempio gli inchini profondi e cerimoniosi con i quali la gente si saluta incontrandosi o dicendosi arrivederci, i tanti regali che si ricevono e vanno poi con precisi crite-ri restituiti, forse anche i biglietti da visita che tutti si scambiano, e certo il curatissimo aspetto cerimoniale che prende ogni incontro o raduno. Per restare nell'ambito del nostro discorso, ľereditä confuciana mi sembra particolarmente rilevante agli sviluppi della societa moderna su tre versanti del suo orizzonte. II piú cospicuo, e forse il piú importante, riguarda un senso vivis-simo dello stato, dell'autoritä, in qualsiasi forma si manifesti o s'incarni. Esso si unisce ad un'accettazione della societa come organismo intimamente e minu-tamente organizzato, in cui ciascuno ha il suo posto (mibun). Ancora una volta la maestä del gruppo viene sottolineata e fortificata. Se a livello dei culti arcaici dello Shinto il gruppo traeva linfe dai legami biologici, da parentele e genealogie, dalle emozioni primordiali della consanguineitä reále o supposta, dalla vici-nanza topografica, a livello confuciano acquista prestigio teorico e filosofico, fa parte di un augusto sistema di pensiero, ha risonanze internazionali, universali. Si park spesso dell'ordinamento verticale della societa giapponese ('), configu-rando con ciô una societa in cui, piú che le classi (stratificazione orizzontale), contano le affiliazioni a svariatissimi gruppi gerarchicamente strutturati, a societa e grandi ditte, ai vari servizi dello stato e delle regioni, alle universita, ai maggiori giornali, e simili. Tale immagine viene spesso criticata e derisa, specie da sinistra, ma vivendo a contatto prolungato coi giapponesi se ne avverte facil-mente la correttezza. Identita sentite sul piano orizzontale indubbiamente esi-stono, mestieri, professioni, partiti, associazioni religiose, culturali, sportive, al-cune appartenenze (vedi nota sui buraku-min a pag. 300) hanno tragica rigidita, ma in generále i giapponesi trovano la loro piú soddisfacente e rispettata identita aggregandosi ad una qualche piramide, a cui letteralmente "si uniscono in (') Nakane, C, Japanese Society, Univ. of California Press, 1972. 31 za ('), ďaltra parte il codice dei segni (almeno 2.000-2.500) ě pesante: 1'alfabeto ed i sillabari sono poco trasparenti, rimandano di continuo al piano dei suoni, ma si fondano su codici elementari. In sostanza, nella pratica, i due sistemi si equivalgono: donde lo stallo millenario. In piú non va dimenticato che gli scola-ri giapponesi e cinesi, studiando gli ideogrammi, con tutte le minute variazioni e differenze che spesso li distinguono l'uno dall'altro, affinano le proprie capa-citá di percezione visiva, di abilitá manuále, predisponendo retině e dita a tutti quei ricami di materia, spazi, disegno, richiesti dalle moderně tecniche di preci-sione. In ultima analisi, quanto poteva sembrare una palla di piombo legata alla caviglia, risulta invece un'altra iniezione di ottani nella miscela propellente del sistema. L'ultima apertura sul panorama degli influssi confuciani, quali forze deter-minanti del processo di modernizzazione, riguarda un campo che alcuni riter-ranno metafisico, ma che in realtá ě di sostanziale importanza. In Occidente, ormai da quasi duemila anni, l'etica e la morale correnti trovano le loro fonda-menta nella rivelazione divina. Nei paesi eredi di una lunga tradizione confucia-na, l'etica e la morale sono radicate, non tanto in rivelazioni celesti, quanto in un secolare dibattito fdosofico. Come l'etica cristiana puó sublimarsi nella tavo-la dei 10 comandamenti, cosi il Confucianesimo puó restringersi al succo delle 5 relazioni. Si rifletta adesso su questo rilevantissimo punto: fin quando la religione, nella quale la rivelazione s'inserisce, ě sostenuta da un'autentica fede, gode di un alto ed intimo prestigio, tutto va bene; ma cosa succede quando la fede vacilla o viene perduta, quando la religione non risponde piú alle esigenze spirituali del tempo, quando si sfalda, decade, crolla? L'etica e la morale, prive di qualsiasi base, nella migliore delle ipotesi soprawivono come abitudini e con-formismo, nella peggiore lasciano libero il campo ad un panorama di caos — come vediamo awenire sotto i nostri occhi in molti paesi ďalta affluenza e sofi-sticatissima cultura materiále. Un secolo fa Dostoevski faceva esclamare ad un suo personaggio: Dio ě morto, dunque posso uccidere, rapinare, stuprare a mio comodo e diletto' Di-scorso perfettamente valido per chi aveva collegato l'etica con Dio e con le sue rivelazioni, ma un non-senso per i popoli eredi delle tradizioni confuciane In questo secondo regime di pensiero la gente puó benissimo perdere qualsiasi fede rehgiosa, senza per questo perdere la bussola morale. I principi delletica non erano intzialmente radicati nella fede, bensí in una tradizione di ragionamento e di persuasione razionak Non uccido perché un nume m'ha detto di non farlo ma perche capisco che, ció facendo, rendo difficile, impossibile, una vita asso- (') Vedere pag. 323 del těsto. 34 ciata normale e produttiva. A questa preziosa ereditá confuciana va, almeno in parte, ascritta la rilevante stabilita sociale, e quindi anche politica, del Giappo-ne; com'e possibile ascriverle quei bassi indici di criminalitä, e quel generale clima di sicurezza, che caratterizzano la vita in tutto il paese (Tokyo, simile per area e popolazione a New York, registra circa dieci volte meno omicidi annuali della gemellata metropoli americana: nel 1983, arrotondando, 180 contro 1800). Qualche parola infine sul Buddismo. Se avessimo parlato di lettere, arti, ar-chitettura, musica, giardini, e naturalmente di pensiero giapponese nel suo svol-gimento secolare, un discorso su questa religione avrebbe richiesto, ed imposto, una parte da leone. La maggioranza delle opere in cui si manifesta lo spirito giapponese, dal VI secolo in poi, ě impregnata dalla linfa vivificante di questa grande fede nata in India, ed arricchitasi nel suo cammino attraverso l'Asia di un patrimonio culturale indicibilmente variato e profondo, talvolta sorprenden-te. Echi di un lontanissimo ellenismo greco e romano, penetrati fino alla regione indiána del Gandhara, hanno impresso segni indelebili sulla scultura e sulla pittura, il Taoismo s'e innestato in profonditä nello Zen, ricordi lontani di con-tatti con l'Iran pre-islamico sono riscontrabili nelle scuole Amidiste, ed in quelle che a loro s'affiliano. Non per nulla i giapponesi stanno oggi vivendo un inna-moramento lirico per la Via della Seta; ritrovano nelle tappe di quella straordi-naria carovaniera lanciata, nei suoi vari rami, attraverso l'Asia intera, le tappe della loro storia, delle loro successive illuminazioni. Nel contesto del nostro specifico discorso, pero, il Buddismo ha un posto di minore rilievo. In qualche caso, come abbiamo visto, per esempio nella difesa di un sistema geocentrico, col Monte Meru (in giapponese Shumi-sen) inteso come asse del cosmo, i buddisti hanno rappresentato le fasi di una, fosse pur de-bole, resistenza interna alia diffusione delle idee scientifiche. In altri casi il loro pensiero ě stato indifferente o assente, trattandosi di materie ch'esulavano dai campi metafisici e morali nei quali erano abituati a muoversi. In due direzioni, del tutto involontariamente e casualmente, essi hanno pero contribuito a creare condizioni favorevoli alla spettacolare trasformazione moderna. La piú importante ě quella nella quale il Buddismo fa sentire gli effet-ti d'un suo insegnamento metafisico basilare: che tutto passa, tutto decade, che nulla ě permanente, nulla deve considerarsi duraturo. «Le cose del mondo sono un sogno», scrive Ichien MujO (1224-1312) nella sua incantevole raccolta di mi-ti, credenze popolari, ricordi, osservazioni, omelie, chiamata Shaseki-sha "Raccolta di sabbia e di sassi". E nel dramma Nö, Aoi no XJe (sec. XV), troviamo un passo caratteristico: «Non ve scampo dalle Sei Vie e dalle Quattro nascite / siamo fragili come le foglie dell'albero di banano / effimeri come le spume sulle 35 \ ''•li,, onde de. mare» C). Sůnfli ,uggerimen,i sono difíusi » ^JJ^^" go B corso di quasi tutta la letteratura giapponese, dal dian dl corte del Mule, ai canti popolari dellultimo dopoguerra. . . , La domin, delťimpermanenza ha certo de, lat, negativi, depnmenti he potrebbero, in un diverso contesto culturale, spingere al fatalismo, all abulia, ďakra parte puó anche fomire una grande e segreta torza in temp. di cnsi: queUa ďessere sempře spiritualmente pronti alla mořte, alla sciagura, al d.sa-stro, a qualsiasi sconvolgimento che interrompe la vita coi suoi ntrni amati e le sue consolanti abitudini. Non so se indovino giusto, ma ě stato abbeverandosi allacqua di questa fonte che i giapponesi hanno trovato la forza dl superare, con minimo spargimento di sangue, la crisi straordinaria del 1868 — parallela nell'ambito nazionale al 1789 per i francesi, al 1917 per i russi — ed a ripren-dersi prontamente dopo il terremoto del 1923, nonché dopo i disastri del 1945. L'altro contributo del Buddismo possiamo riscontrarlo, quasi paradossal-mente, nella dottrina del karma, del riporto di meriti e demeriti da un'esistenza alTaltra, che dovrebbe poi esaurirsi nel raggiungimento del nirvána, "lo spegni-mento". Sia la dottrina del karma, sia quella concomitante del nirvána, disciol-gono, diluiscono, polverizzano l'io, ne disperdono le sfilacciate rimanenze in una successione di ritorni imprecisabili sulla scéna del mondo. In akre parole anche il Buddismo, okre allo Shinto innatamente fede di gruppo, ed oltre al Confucianesimo, filosofia dello stato e della societa, serve ad impoverire, an-nientare 1'individuo, la persona, favorendo il suo assorbimento nelle collettivitá, di qualsiasi nátura e genere esse siano. Ad onor del vero va ricordato che le dassiche dottrine buddiste indiáne hanno subito nelle scuole piú spiccatamente giapponesi (Zen, Amidismo) modifiche sostanziali, facendo intravedere la possi-bilitá per tutti di raggiungere lo stato di Buddha in una sola esistenza, la presen-te. Potremmo forse qui vedere una segreta ribellione al predominio, alla tiran-nia del gruppo? Unimprowisa visione del paradiso come fuga dalle sue stret-toie? Anche questa ě una tesi sostenibile. Ma ormai dobbiamo concludere. E lo faremo dicendo: un culto della nátura che prepara ad unaccettazione entusiasta della scienza e della tecnologia, un culto del sapere che spinge ad informarsi sempře ed ovunque ďogni cosa' che fa per di piú sopportare un sistema scolastico crudele, spietato, ma ďinnegabUe efficacia, un culto del gruppo e della comunita che appare sulla scéna al memento giusto della stoná, infine un'etica laica, indipendente da fedi relisiose che assicura stabilita politica e sicurezza nellesistenza giornaliera, ecco in počne ri-ghejajormula duna miscela propulsiva di formidabile potenza. Fine, a poco Cl Ichien MujO: Colleclion de sable el de merres ítrad HP. „ „ 1979 W-lry. A., The NoPUy, of]am, London, Al^d únwinVST^"'' ^ 36 tempo fa mi sentivo spesso dire: i] Giappone? Ma ě una bolla di sapone! Vedrai, una ventata che passa, non ťilludere! Perfino il famoso Brzezinski, citatissimo consigliere economico di presidenti americani, si lasciö ingannare e serisse un libro sul Giappone dal titolo "II fragil fiore" ('). Altro che fragil ťiore, qui siamo di fronte ad uno di quei cardi, bellissimi pero muniti ďogni difesa in forma d'aeulei e spině, che neppure 1'inverno cancella dai pascoli! Meglio prenderlo sul serio, U cardo. E qui per starci. -rT^zinski, Z., Tbejrvle Blossom: Cns.s and Changes in lapán. New York, Harp.1 «,d Row, 1972. TRE TOKYO IN CENT'ANNI Campi di luce in fiore Per un tempo indeterminato, ma lunghissimo, l'aereo parve scivolare vagan-do, ad un'altezza imprecisa, come un uccello che riposa nel vento, sopra un tap-peto di luci colorate fiorite improvvisamente nella notte. Aiole di buio, d'un nero sontuoso, tangibile, apparivano circondate e intersecate da collane argentine, e queste, per il nostro movimento che ora le nascondeva e ora le rivelava, sembravano spengersi e accendersi con pulsazioni da sostanza vivente. Di quan-do in quando si scorgevano zone o nuclei piu fantasiosamente rischiarati, e fe-stoni, grovigli di colori, rosso, verde, arancione; giungle spettrali. La pressione era bassa, si annunciava un tifone; nuvole e brandelli di nebbie nempivano il cielo; ognitanto sparivano in un gassoso nulla (con un sussulto del vehvolo nemergendone pochi istanti dopo. Ma il tappeto di luci in fiore era sempre h sotto d. not, sof ice, voluttuoso, appena vero quel tanto da sembrare zionerntaviZl'Th * ^ V°'avamo su Tokyo notturna. Che appari-zione meravigliosa! E che strana sorpresa1 * da t^?Pirgiorn^rtTh'?iSOen^aPere che in GiaPP°ne le d"3' ?» Osaka, NaXq^^fSr,e ^tte tanto le maggiori come Tokyo, piu affascinanti del mondo) neU ° P°' f'mSCe per rivelarsi uno del '"T delude amaramente. aspett0 g^nerale, al primo colpo d'occhio, Come si spiega questo fattn in i sue forme? Bisogna por mente nlr• KX tant0 senstbile al bello in tutte le fondamentali degli universi imerin^Vf ^ ad alcune differenze nei pilastrl - "tenon d Asta e d'Occidente. Da noi la belled Campi di luc* >« n— ~ casi, per Ii situato presso ticabi" lincc ' ^fe-tSot^ ^ *'S£SW0'atÍ' d— -Ha maggioranza >J« visione cli Tokyo nolre„lr';,,:ord-«' * Tokv"° 'd un ™°v° grande aeroporto -• mterne, che ,i apV ™ dali aIt0 puo J£*>. q»«i in aperta campagna. Vind^ ^ ° d' Haneda, in riva al nSe, non ton»«> ha un non so che d'essenzialmente solare e radioso, per cui celarla sarebbe un controsenso; essa s'aecompagna quasi necessariamente ad una certa esigenza di fulgore; ě il sorriso delľessere. Quando Hegel dice che «das Schöne ist wesentlich das Geistige, das sich sinnlich äussert» (il_Bello ě in essenza lo Spirituále che si esterna materialmente) interpreta nel modo piu squisito una fede profonda dell'Occidente. Un altro aspetto lo interpreta Keats quando grida: «Beauty is truth, truth beauty». II bello non solo deve splendere, ma ě legato da sottili, antiche e pro-fonde vene sotterranee con Ia veritä. Tutto il nostro pensiero estetico, da Aristotele a Croce, verte in ultima analisi sulle relazioni del bello col vero. E cosi Ie nostre cittä si proclamano in piazze e viali, colonnate e palazzi, archi catte-drali ed esedre. La loro bellezza si espande al sole, ě costruita, organica. Sono figlie dell'ordine sociale e delia teenica, ma anche delia dialettica e delia geometria. In Giappone invece la bellezza ě iniziatica, la si merita, ě il premio d'una lunga e talvolta penosa ricerca, ě finale intuizione, possesso geloso. II bello ch'e bello subito ha giä in sé una vena di volgaritä. Le radici storiche di questo concetto, piuttosto che al vero ed alľintelletto, ci portano all'intuizione-illumina-zione {satori), al gusto (shumi) ed al cuore (kokoro). In un certo senso puô dirsi visione romantica della bellezza; da un altro punto di vista puö dirsi che lä il bello, essendo per lo piú recondito, ě necessariamente aristocratico. Accostare dunque la cittä, il luogo dove tutti vanno e vengono, il territorio pubblico per eccellenza, all'idea di bellezza sarebbe un controsenso. Le cittä giapponesi sono semplici strumenti di vita e lavoro, enti provvisori che servono i loro fini solidamente pratici. La bellezza naturalmente e'e, ma bisogna prima desiderarla, cercarla, e forse finalmente sarä dato scoprirla; poi, una volta con-quistata, essa ti disseta con raffinatezze inimmaginate altrove, tra giardini se-clusi e templi, o ville, dove si realizza davvero la comunione piú perfetta del-l'uomo con quanto lo circonda. E bellezza come isola, momento, parola sussur-rata, attimo; ě qualitä pura, ebbrezza di cui resterä poi eterna la nostalgia. Notevole per esempio il fatto che neue cittä giapponesi manchino quasi del tutto le stradě eleganti: voglio dire quei luoghi come via Veneto a Roma, via Tornabuoni a Firenze, via Montenapoleone a Miláno, i dintorni di place Ven-dôme a Parigi, quelli di Berkeley Square a Londra, la Quinta Strada fra le tra-sversali 55 e 60 a New York, dove ad una certa ora si puö essere sicuri d'incon-trare i gingilli piú raffinati e deliziosi della locale giovinezza dorata a passeggio, con o senza canini o canoni a seconda della fantasia e del momento, con o senza macchinini o macchinoni a seconda di segrete esigenze di sfoggio, di swank, di blague, impersonando gli ultimi squilli delia moda, I'ultima linea del bello evane-scente, pionieri negli inesplorati territori d'inedite gioie per glj occhi e per l'im-maginazione. Tokyo ha una grande strada commerciale, la Ginza ('), con vari (') «La Zecca». II nome deriva dal fatto che nelle sue immediate vicinanze, sin dal 1636, si coniavano monete d'argento. (9 suoi proseguimenti, Kyoto ha la sua Kawara-machi, f a San-,o e Sh,-,o ma nor, si possono dire vere vie eleganti, nel senso occ.dentale del termine, per quanto sia duaro che tenderanno col tempo a divenirlo. In Giappone es.stono quartieri eleganti di residenza, con vialetti silenziosi dove mura e cancelli lasciano appena indovinare giardini e ville dun solido lusso che non rischia ll minimo sfoggio — che incarnano the overstatement o\ understatement, l'enfasi dell attenuato, come si potrebbe dire con quasi intraducibile espressione inglese — esistono quartieri eleganti di piacere i quali, pur essi, suggeriscono ed indicano piú che dire e mostrare; ma le vie sono organi di smistamento del traffico, fisiologia urbana, non complemento e continuazione del salotto e del teatro; talvolta dell'alcova. Tutto questo apre spiragli inattesi su abitudini d'esclusione, di mistero, di timi-dezza, anche di signorile disprezzo del lusso, su riunioni che aborrono la pubbli-cita, sopra una vita che si isola in cricche, circoli, chiesuole per gli iniziati, gli eletti, i titolari di speciali privilegi. La strada? Ma ě di tutti! Quindi non puó essere elegante, fine, civile; quasi per definizione. Nessuno mi leva inoltre dalla testa che nei giapponesi ci sia un involontario compiacimento di sciatteria quando costruiscono le loro citta: quasi a circonda-re ed a proteggere di brutto i loro veri tesori. Bisogna vedere cosa sono di laido quelle strade, ora fiancheggiate da casermoni di cemento armato accanto a casi-pole miserevoli, ora racchiuse da filari di baracchette provvisorie, d'ogni imma-ginabile stile, coperte dalle scritte pubblicitarie, accompagnate e deturpate da pesanti palificazioni che sostengono grovigli disordinati di fili della luce e del telefono. Eppure stanotte ho scoperto una silenziosa bellezza delle cittá giapponesi che nessuno ha pensato mai di nascondere; quella che dal buio della notte sale dalla terra al cielo; i campi sterminati di luci in fiore, i prati profondi dove sbocaano segret, carnevali. Che dolce e gradita sorpresa! Grazie, Giappone, per questo primo saluto! ťť ' ť «77 place che tuffo subito vero Giappone?» Fra scrosci terrificanti d'acqua, illuminati dai fari dell'aereo e risuonanti sulla struttura metallica che ci racchiude, atterriamo. Francamente, sollievo! Con tutta la fiducia che si puö avere nell'elettronica e nei suoi misteři, sapersi in balia della notte e della tempesta su decine di tonnellate sospese nel cielo ě sempře poco gradevole. Ma ora siamo a terra. Aprono la porta. Scendiamo. Ed < i primi odori. le nrime »™-< i primi odori, le prime voci e parole giapponesi Dn CCC0 1 Primi suon1' ě pregno d'evocazioni. Mi sento assai comm™ Se"e anni d'assenza tutto silluso. Molte persone mi hanno detto- «Non t- CPPUre ° paura di venire di" ventú si ě buttata in brarrin .IP A" troverai piú nulla di bello la gio- ventú si ě buttata in br^io ^Amerká " tr°Ve' sgustati e pensano solo a fare denaro» SartTeíl? 1°™^ & anzi™i sono&ďi- Sara fals°? Intanto respiro a 40 pieni polmoni, senza pensare, l'aria della mia seconda patria, della terra dove ho vissuto e sofferto a lungo, dove sono nate le mie figlie, l'aria di quest'EUade d'oriente che ha il magico dono di stregare per sempre colui che l'ha amata una volta. — Ehi Fosco... Maraini-san! — Giorgio! Bamba-san! Come state? Shibaraku desu ně, quanto tempo che non ci vediamo! — E giú abbracci, inchiní, espressioni consuete, o straně, di gioia. Giorgio Bernari — piccolo, segaligno, bruno (si definisce «cafone della parte di fuora») — ha trentacinque anni. Dopo un brillante inizio come studioso di cose d'arte in Italia, la vita randagia dell'archeologo lo ha portato in Estremo Oriente. Conclusasi la guerra, rimasto isolato, ha dovuto darsi agli affari; fortu-natamente la consuetudine delle cose morte ed antiche non gli aveva affatto diminuito il senso di quelle vive e presenti, cosi in pochi anni ě riuscito a crearsi una invidiabile posizione finanziaria. Adesso regna sopra un proteiforme impero nella capitale nipponica. Casualmente vieni a sapere che possiede un terreno qua, una casa lä, ch'e cointeressato in quel ristorante, in quella galleria d'esposi-zioni, in quell'agenzia. Dai giapponesi ha preso il gusto e il culto del mistero, non riesci mai ad afferrare qualcosa di preciso. Si delizia di sorprenderti escla-mando «come, non lo sapevi?» di fronte alle scoperte piú sensazionali. Qualche anno fa sposö una giapponese, scrittrice assai nota, che poi mori dopo una lunga malattia. Adesso vive solo con un figlio, il piccolo Enrico-Nobuo di 6 anni, in una casetta giapponese fra ville e giardini, in un quartiere periferico di sobria distinzione. I Bamba, marko e moglie, ambedue sulla cinquantina, sono carissimi amici. Lui dipinge, lei scrive. Li trovi sempre insieme, sempre allegri e sorridenti, sempre entusiasti come fanciulli per tutto ciö che e bello, umano, vero; qualcuno ha detto giustamente che incarnano molti degli ideali buddisti. Quando stava-mo vicini, a Kyoto, vivevano in una casetta, quasi una capanna, fra gli orti universitär!, in un angolo dotto ed agreste della cittä, dove studenti occhialuti con provette e camice bianco lavoravano insieme a giardinieri e contadini. Non hanno figli. Sono poveri, vegetariáni, innamorati, adorano la natura; alio stesso tempo coltivano innumerevoli amicizie e sanno tutto riguardo ai libri piú recen-ti, a mostre d'arte, concerti, spedizioni scientifiche, scoperte archeologiche. Sic-come son piccoli, raggrinziti, asciutti e glabri Ii abbiamo sempre chiamati i Bambini. O anche, perché saltellano, si muovono a scatti, cinguettano, vivono in case che sembrano nidi, gli Uccellini. Lei parla italiano abbastanza bene: 1'ha imparato da sola per leggere Dante. Con Giorgio scambiamo notizie delle nostre famiglie. Intanto sbrigo la visita ai passaporti e la dogana. Che gentilezza, adesso! I tempi sembrano molto cambiati. In pochi istanti tutto ě fatto; nessuna osservazione, neppure riguardo le varie macchine foto e cinema, e le molte scatole di pellicole che ho con me e che serviranno per girare dei documentari. Come fu diverso il mio primo arri- 41 .i iQiai Allnra dovemmo subire ispezioni intermina vo in Giappone, nel lontano 1938! ^ medkhe minuzio bili, interrogatori, perquisizioni doganali lungnissime c v se persino esame delle feci); bisognava d.chiarare il nome di tum i propr pa renti vicini e lontani; guai poi se risultava che uno »ws*'°J"^ mi con qualsiasi esercito o partito, o con qualunque organizz azione n ernazio nale. Inline ogni passeggero doveva compilare un elenco pteciso del libri e delk pubblicazioni che teneva con sé. Appena fuori saliamo in auto. — Dove mi portate? — chiedo. ... ,, — Zitto, a cuccia - mi fa Giorgio sorpassando una lunga hla di macchine in lento movimento (guida come un folle, ma sicurissimo). «Portato» ě proprio il verbo adatto al mio caso, molto meglio di «condotto». Seduto in fondo alia macchina, sotto una valanga di pacchi, sacchi e fagotti, sono nelle mani dei miei rapitori. Dopo mezzora — tanto ci vuole da Haneda («Campo delle Ali») ai quartieri del centro — ci fermiamo davanti ad un ristorante giapponese. «Irasshai» — entrate, benvenuti — dice un ometto, ch'e venuto ad aprire, piccolo e contorto come un albero nano di cinquecento anni. La massima parte dei ristoranti giap-ponesi serve solo una o due specialita, con vari contorni; qui siamo da un ka-bayaki-ya, dove la portata principále e costituita da anguille arrosto su riso bianco, in salsa di shay u. E anzi il kabayaki-ya piú famoso e venera-■ý^ bile di Tokyo: l'ingresso ha un non so che di raffinatamente agreste (benché ci si trovi al centro della metropoli) come po-% trebbe riscontrarsi da noi in qualche villa toscana. Una lanterna Palaľzo 5^ CÍÍ Carta e bam'3li rive'a su' suo franco illuminato i due caratteri Sicrario del nome, Miyagawa, scritti in impeccabile stile: Palazzo-Fiume, Principe due dei piú armoniosi fra gli ideogrammi, per l'equilibrio fra spazi vuoti e tratti di pennello. Fuori della palizzata di legno scuro, che delimita il breve spazio occupato dal ristorante e dal suo giardino, abbiamo la-sciato una strada chiassosa dove sfrecciano veicoli e sferragliano tranvie in infernale frastuono *, ma qui dentro regnano tran-qu llita e quasi-silenzio, una penombra di suoni; poi tutto ě piccolo, dehzioso raffinato; ogni materia che potrebbe suggerire spiacevoh, violente sensazioni ě completamente esclusa restano soltanto il legno, la carta, dei vetusti sassi resi lucidi Hal m!l es?us Y"* T natezza giapponese é la piú persuasiva che esi al mond V^ L* " verso cui si esprime sono i piú puri, umiľi, natUrSi ' P°'Che ' meZZ1 """" — Maraini-san ti piace che tuf f n o,k;ř~ A-B^e. suo cUrioSoPitalianho; ÄS^^Ä^ f' *** * Tali arcaici veicoli non esistono piú 11 rnihW t v Je d'un esercito di ottimi (m. c.ri) „ss(: Moltissimi i r "ľ-0 T"3"5' della «««terranea, o $i 42 cciisti, anche sui marciapiedi. fiume — Yoku kangaeta, ne (magnifica idea) — e la nostra conversazione continua cosi a sbalzi, ciascuno parlando nella lingua delľaltro. Appena oltrepassato il cancelletto ďingresso eccoci in un giardino piccolíssi-mo, ma cosí sapientemente irregolare che sembra possibile smarrirsi tra i cespu-gli ed i pini contorti. Gli Uccellini saltellano avanti a noi in avanscoperta, cin-guettando. Lungo i sentieri si aprono gli ingressi di sei o sette capanne-stanzet-te, disposte come a caso, ciascuna pronta per un gruppo di ospiti. Le stanzette sono leggermente rialzate, per entrarvi bisogna togliersi le scarpe, ľimpiantito ě coperto dai tatami, le soffici stuoie imbottite di paglia lucida e regolarissíma. Tatamu in giapponese significa avvolgere, e certo in epoche remote i tatami erano semplici stuoie che si svolgevano e deponevano per terra; col tempo perö si sono trasformate in una specie di materasso vegetale, lucente, pulito, profuma-to, e fisso al solaio di legno. E tardi, sono rimasti pochissimi clienti; vedo soltanto che una delle capan-nine ě occupata da alcuni giovani che cantano in rumorosa allegria. La fochu-san, la «signorina cameriera», sopraggiunta correndo, ci conduce ad un padiglio-ne in fondo al giardino. Ci sfiliamo le scarpe e ci accucciamo a sedere. — Maraini-san vieni qui, siediti al posto ďonore. — Ma no, Bamba-san, tocca a te, prego. Bisogna riprendere ľabitudine ai complimenti. II posto ďonore in Giappone va considerato in modo speciale. Ogni stanza ha un'alcova detta tokonoma, riserbata ad una o due cose belle — una pittura, una poesia tracciata in delicati geroglifici, una scultura antica, un vaso — ed a qualche fiore sapientemente di-sposto. Quando il padrone o la padrona di casa sono persone di gusto tutto ě legato da segrete armonie; opera d'arte e fiori si completano, come note d'un canto armonizzato, spesso ad evocare od a commentare un dato stato d'animo od un dato evento: arrivo, gioia, primavera, partenza, amore, natura, tristezza, montagna, congratulazioni, l'infinita ricchezza dei modi del cuore e dei volti del mondo. II posto ďonore ě quello dinanzi al tokonoma; non di faccia, ma di schiena; il posto cioě in cui l'ospite appaia agli altri commensali come incorni-ciato dall'alcova sacra al Bello. Dopo una breve lotta di sorrisi ed una danza d'inchini debbo arrendermi ad essere incomiciato di bellezza. «Sei appena sceso dal cielo — conclude Giorgio — non vorrai mica venire trattato come gli altri mortali». A proposito di Giorgio; adesso lo posso guardare meglio, no, non ě invecchiato, a parte alcuni ca-pelli grigi alle tempie, i quali del resto gli donano; s'e fatto perö piú deciso nei movimenti, si sente in lui una sicurezza che prima non aveva. Di tanto in tanto riprende alcuni gesti da studioso (per esempio la pulitina lenta ed accademica degli occhiali); saranno quelli che impressionano gli ignoranti quando devono concludere con lui un affare? Con l'eta si diventa tutti un po' registi di noi stessi. Sette anni, circa, che non ci vediamo: gli animi ed i loro motivi son di-ventati tanto piú trasparenti d'una volta, almeno per me. Sara cosi anche per lui, no? Com'e importante il non detto, una volta trascorsa la giovinezza! Ě 43 indubbio che G.orgio ha saputo prendere sostenerle. Lo si vede dalla sicurezza de. g«U ^.non^amm^^ che nelle piccole umili cose, come ora per esempio: . rt- h_ j: sakiy> sake ni-hon motte koi, vorremmo due bottiglie d. sane*... tJ^S^^^T^sono di terragUa, contengono měno Íun quáSo dl Mtro ďunrino trasparente di riso, sui d.c.otto grad., d quale va bevuto caldo in tazzine poco piú grandi ďun guscio d. noce Finalmente siamo sistemati: il luogo ě intimo, raccolto, d una squisita raff.-natezza. Ě dolce parlare di ricordi con Giorgio e con gh Vceelhm; dl tanu anm fa quando stavamo a Kyoto ed andavamo con Somi, coe Adriano bomigli, a bere stráni miscugli giallí nell'antro di Noma, cantando poesie giapponesi ínsie-me a cori di montagna. Noma, un gigante dalTanima fresca come un filo ďerba, poeta e minatore, vasaio e barcaiolo, personificazione della řollia Zen, del bud-dismo piú estremo, antilogica, antigeometria assoluta... — E Somi che fa? Dammi notizie di lui — chiedo a Giorgio. — Sta bene, arriva alla fine della settimana da Kyoto. — E il suo endocosmo? Sempře in ebollizione? E cristiano o buddista adesso? — Non ho informazioni recentissime sul suo cosmo-di-dentro, come dici tu... L'ultima volta che Somi venne a Tokyo stava dai frati. — Significherebbe poco... — Gia, vero; non resta che chiederglielo quando viene. Sai, ormai siamo su stradě cosi diverse, finisce che ci si vede per poco quando passa da Tokyo, si beve qualcosa insieme, si parla degli avvenimenti correnti, al massimo di qual-che libro uscno di recente; non c'ě mai tempo per le cose série. Maledetti affari. Ancora tre anm poi rm ntiro. A Martina Franca, in Puglia; mia madre ha una £rra da quelle parti. Mi nadatto un trullo. Che delizia una casa tonda- Si direb-be un utero. Fimre come si ě cominciati. Saegezza che ne jr5n j ad Oxford. Caro mio un affare che, se lo concfudo\ZITi , S?1^, V^ grande libreria orientale aJTunivers tá e me ne faccin l"3^1'050- C^o la mia beUa con buco, che ne dici? ° nominare curatore. Ciam- Mentre parliamo sorseggiando il sakě i queste cose piccole, nudefpulite1 Non veX8,^0 glra Quanta serenita in lisce piallate, genuine niente vernici, nu^a che confab ' getah; e niente metalli. Silenzio. Ognitanto s'im i A" porte fragili di legno e di carta) che si anrono n ,i ,u- j frUScfo dei /*""«<* MSa Palazzo-Fiume. dromi, dogane, alberghi, conversazioni in tutte 1,"? *' doP° uffici. aer0" c.eh mi sembra di vivere un sogno. * hnW e tempeste in tutti i H'r0shl Bamba mi aiut» a tradurre la scritta cne 3 Che camP=ggia a grandi ideo- • Ncgli anni Cinqu.nu, ^ che volavanQ '"«wompete il viaggio a Delhi od due giorni per raggiungere Tokyo dall'Europa E 44 »0 « circa 400 chil omctri l'ora, occorrevano grammi spigliati su uno stendardo appeso nel tokonoma (la scritta ed un fiore di cardo non c e altro nell'alcova). Sono quattro caratten. E difficile capirli a prima vista. Forse la migliore traduzione e questa: «Liberati dall attaccamento alle cose inutili». Una massima prettamente buddista. II cardo, fiore aspro umi-le e fiero, non fu messo a caso nel tokonoma'. Mentre stiamo bevendo il sake arrivano le anguille deposte a fette su del candido riso, in quattro scatole rettangolari di lacca nera. Libenamo le stecche d'odoroso legno di sup daU'involucro di carta ed assaggiamo l primi bocconi. Semplicitä, ele&inza, purezza, un leggero tocco d'ascetismo Ieri sera Giorgio ed io siamo tornati a casa tardissimo, dopo avere accompa-gnato i Bamba. La cena d'anguille era durata a lungo; avevamo bevuto ™ i Albeggiava. Siamo andati in cucma a farci una tazza di caffe e latte. «Sai _ ha ripreso Giorgio - non t'impressionare ognitanto se non mi vedi qui Ia sera Be', capisci? Dormo a Shibuya, a dieci minuti da qui con la macchina». — Anche lei giapponese? — ho chiesto tirando un poco ad indovinare. — Giä. II destino. Incantano. Non so neppure io cos'hanno. Sono deliziöse. L'essenza di tutto ciö ch'e femminile nell'universo. Be', sai che ti dico, ne riparleremo domani sera. Ě tardi. Ciao, ciao, dormi bene. Läsciati governare da Abe-san, vedrai che non ti farä mancare nulla. Ti coccolerä come un figlio. Ě brava, ma ě uno strazio. E la padrona lei, qui. Adora Enrico; per Enrico ě una seconda mamma. Se non fosse per quello! Ogni due o tre mesi decido di licen-ziarla; ma come si fa? Mi sentirei un mostro, col bene che vuole ad Enrico. Ciao. Preso da una furia improwisa ě sparito. Fuori impallidivano le ultime stelle. Stamani mi sono svegliato tardi, con un raggio sottile di sole nella stanza oscura. I viaggi aerei stancano i nervi e ci si accorge soltanto in seguito di dover pagare improvvise cambiali di spossatezza. Abe-san ě venuta ad aprire gli ami-do, gli sportelli di legno che chiudono all'esterno la casa giapponese durante la notte, e mi ha portato una tazza di tě. «O-furo dekita yo, l'onorevole bagnoě pronto», ha detto, poi si ě inginocchiata accanto ai miei futon (i coltroni fra cui uřr2 f ha,apert0Tll1 uoc° di ffla di domande suUa mia salute, sul viaggio, iositä imD; ní 7a 6 da Mi Si evitano P«ché sembrano frutto d'una cu- ™^Z2:^™Tte} vi dispiace di non aver wmaschi?) "£ verso nnterroTato vTx, dlm°strano Interesse deferente deU'interrogante Tipico tSSiS^J* ™° esige affatto una risposta ^ chi s'incontra per la TtrsZ A <> che rivolge quasi sempre (mah, cosi, in la ) sXanH' f puö ^nissimo rispondersi «eh, chotto-* tebbe abbia trent! e sono san, cioě signore, signora, signorina) « brutta ma í. ------L ' n •____i.i assol .oluta che di ciö che in tempi auiarchiri T""" ma ě sPr°wista nella maniera piu a"0 Per molti anni ě stata la .du-et^6!)3 Chiamarsi ^ssappello. Mi dice subito ra Mineko le voleva un ££££ ddla ú*™* Mineko' ^t ^ tutto che la signora Min?ko ]e t' k S*no™ Mineko era la perfe*0"6 lel "on lo lascerä per nulla ffl ra«°™ndato morendo il bambino, e &l e mezza» (noto che lo chiama col nome giapponese, non con quello italiano). Abe-san dev'essere una bravissima donna di casa. Basta guardarsi attorno per accorgersi che qui tutto fila come un cronometro; mai un granello di polvere che si posi impunemente sulla minima superficie, mai un oggetto fuori posto. Ogni funzione della vita dev'essere regolata come un rito. Eppure manca calore in questa casa. In Abe-san c'e come un'ostilita concentrata. Verso chi? Contro cosa? Dopo un ultimo sbadiglio ed un'ultima stirata mi alzo, mi copro con un yu-kata (un leggero kimono di cotone) e vado al bagno. Che delizia di nuovo il bagno alia giapponese! Ecco uno dei tanti elementi in cui le abitudini nipponi-che sono infinitamente superioři alle nostre. Intanto, primo punto, la stanza da bagno non e — come troppo spesso avviene da noi — un luogo freddo, con oggetti di metallo, dalle pareti rivestite di porcellana o di marmo, che contenga una vasca, ma puó dirsi un'estensione della vasca stessa, e per quanto possibile ě rivestita di legno, sostanza affettuosa, cordiale, riposante, profumata. Anche la vasca in genere ě di legno (che riscaldandosi emana uno squisito odore di conifera, di bosco) *; dentro ci si sta seduti, non sdraiati; ě come una minuscola piscina. Sembra impossibile che un particolare di cosi poca importanza faccia tanta differenza! Ci sono forse ragioni fisiologiche per le quali stare sdraiati nel-l'acqua calda, o starvi seduti, hanno un effetto diverso sulla circolazione, e quindi sul benessere generále? Fatto sta che alia quasi totalita degli occidentali in Oriente il bagno giapponese piace infinitamente piú di quello europeo. Se ne esce rinfrescati, riposati, sereni, in pace col mondo. Del resto ě bene ricordare lo spirito del tutto diverso con cui in Giappone si affronta quest'umile episodio della vita quotidiana. In Occidente il bagno, dopo quasi due millenni di guerra da parte delle varie chiese, si era ridotto — poco prima dell'epoca contemporanea — al suo misero aspetto igienico e medico; serviva a scrostare il corpo dalle sporcizie, quando gli effluvii diventavano un pericolo per le narici dei vicini, e serviva a curare da certe affezioni. Mi sbaglio se penso che lo stare sdraiati nei bagno, come usa in Occidente, sia col-legato in qualche modo alia funzione prevalentemente medica dell'operazione stessa? E vero che da quasi un secolo stiamo reagendo a vecchi pregiudizi, eppure le cose in questi campi cambiano lentissimamente. Oggi il bagno riprende importanza nella nostra vita, ma come concessione appena tollerata, come sfida a profondi atteggiamenti emotivi; lo si circonda di serrature, di vetri appannati e si ě sempre pronti a nasconderlo nell'angolo meno assolato, meno ridente della casa. La stanza da bagno ě ancora disegnata con 1'idea che vi si entri vestiti, vi mnnrU --""""blu morenao u Danuši -°nd0- <<0ra Nobuo é a scuola, ma tornerä . * Ahime, come in tanti altri casi, quello che un tempo era oggetto normale, riferibile addi-rittura alia civiltä contadina, oggi e divenuto un lusso per ricchi o per raffinati. L'impianto generale della stanza da bagno giapponese non e cambiato gran che, ma le vasche sono ormai quasi tutte di plastica, talvolta di metalli inossidabili. La profumata vasca in legno di hinoki (una sorta di cipresso molto pregiato) si trova solo nelle case d'amatori fedeli delle cose rare e ncercate, o in certi alberghi alia giapponese (ryokan) di gran lusso, e quindi carissimi. 47 • iMtito ali abiti per il breve tempo necessario a ca si resti vestiti, toghendosi soiwnis llana 0 di metallo, dove cuocersi larsi in una specie di cassa da morto P rs, in un brodo di sporcizia e di sapci ^ fe ^ luogQ che Per i giapponest invece la anz da 8^ jnibire in qualsiasj g£ aWs^bedi«ttivoguto»ttreMrs^ riscaldament0 delľacqua avviene il disciogliersi nposante Tíľd T 4 PlaStiCa' con i ™& llba8"°-gabine,to consiste addirittura » 1 ca oí 8ruuneU'aPPosito dtaÄT? ra2Íonal"™e disp°s", che il cos.ru alia casa come <,macchma da °B8amento tra le pareti. Anche in Giappone siamo g""1" Simbolo e metafora del Giappone stesso, il monte Fuji, alto 3776 m., e qui visto in luce di pomeriggio invernale, riflesso nel ghiaccio vivo del piccolo c remoto lago Motosu. II Fuji e vulcano spenio dal 1707. Pagine segiienth pini e rocce sono i grandi protagonisti dei drammatici paesaggi costieri giapponesi. A sinistra, rupi della penisola di Izu; a destra, una gola tra due faragliom nella movimentata e scolpita cosla d'lwami. ,i pic i u It- nenn .ilinriiU', in delta, o hi niatlinii o hi st- in, c molti.ssimc persone tociiitio I'iki|u.i .iss^ii di 1,1(1(1. <(!'', Iii l).i|;nii>. scmbrn (|ii.i.si dovcrsi act'ompagnarc din IVsprcssionr «pcriloiuitelo poverlno», I iKi.iM uii .iliiiH'inari, die riialgono it dctinc di geiicruzioni addietro, sono ben ultrimenti fissi t-cl univcrsali. I'crdic ilrllc aliiiiuliiii diventino parte integrale d'una ctiltiiru occorrono sei, scttc, otto M1MI.i/ioni. In OcddcnCI il btgno diffuio a tutte le classi £ ancora tin fatto di hi du venue, c nelhi hnrghesia non Im die due, trc, al massinio quattro genera-zioni di vita. In (iiappone invece Ic ore che vanno dalle cinque alle sette del potneriggiu sono saiTosantatiientc dedicate .il bagnn, da parte di tutti. come p.i re avvenissc dd resto nella Grccia anticii cd a Roma. Si torna a casa, ci si lava con conuxiitd a screnita, ci si cambiu vestendo di ampi abiti orientali dalle belle picghc, poi liiinlincnte si cena. E ciö ugualmente fra i ricchi che fra i poveri. Nci mici liinghi giri pd Giappone ho visto case d'ogni possibile condizione; an-clie le barucche piti miscrc di contadini o di operai avevano il loro o-juro, il loro onorcvolc biigno. Magari un pentolone (Goyemon-buro) col fuoco sotto... Del rcsto, chi vuolc, ha a disposizione i bagni pubblici. II sistcma giapponcsc del bagno (immersione nella vasca a corpo completa-mcntc pulito) offre infine un altro notevole vantaggio: permette che tutta la famiglia usufruisca dclla mcdesima acqua calda, con evidente risparmio econo-mico. In genere prima entra nella vasca il padrone di casa, poi la moglie con i bambini piccoli, infine tocca ai figli; seguiti per ultimo dalla servitd *. II bagno £ anche naturalmente un'occasione sociale. Non parlo di quegli innumerevoli bagni pubblici che intorno alle cinque del pomeriggio costituiscono quello che, ad ore diverse, sono da noi il caffe, l'osteria o (nell'Itdia meridionde) il salone, ma ricordo che anche in casa, fra persone dello stesso sesso e circa della stessa etä, usa di lavarsi nella medesima stanza chiacchierando del piü e del meno, dando a questa funzione giornaliera quel tono di agape fraterna che possono avere i pasti. Naturalmente non bisogna dimenticare che va sottinteso un atteggiamento verso il nudo assai diverso dal nostro; un atteggiamento piü sano, piü sereno, meno morboso. Ma su di ciö mi prometto di ritornare tra poco. Dirö soltanto che mentre per noi (come civiltä occidentale) il nudo nella vita risveglia generd-mente responsi emotivi pertinenti alia sfera del sesso, in Giappone lo si accetta senza tante complicazioni. Uscito dal bagno sono tomato nella mia stanza. Che nido incantevole, questa casa! Un padiglioncino di legno e di carta, dal tetto di lucenti tegoli quasi * Quest'accenno, oggi, fa quasi senso! E dimostra quanto siano cambiate le circostanze del-la vita d'ogni giorno nello spazio d'una generazione. Durante gli anni Cinquanta era usanza comune, forse piü in Italia che in Giappone anche allora, tenere delle persone di servizio fisse in casa: oggi in ambedue i paesi e divenuta esigenza assai dispendiosa, che poche famiglie possono permettersi. Ma ancora una volta l'ltalia, assai piu sibarita, ha trovato almeno temporaneamen-te una scappatoia impiegando filippine, somale, eritree, o donne d'altri paesi in via di sviluppo: i giapponesi piü spartani si sono adattati a vivere da soli, od a valersi al massimo d'un aiuto a ore di quando in quando. 49 ■ j- • .d alheri ai piedi ďuna collina: come nelle antich,. ■ neri' rtÄi qui Giorgio e Mineko. Ma p^?^ cinesi. Dovevano essere b 4 ^ ^ fc ^ ^ ^ p che Glotgio ?ffiÄTd«Se,t»o per i quartieri di Tokyo? Ě v^ Sj li Quanto ha bisogno ďamore questo luogo, d una donna che lo riscaldi Con a sua presenza! La disposizione delle stanze intorno al piccolo giardino é ind° vinata in maniera perfetta. La casa ě tuttora protesá m fuori yerso la * Non si notano quelle barriere inesorabih, tipiche delia casa occidental, la qué sembra dire: tu nátura sarai bella, ma stattene la; 10 proteggo ľuomo che abita dentro di me; fra lui e te ci sono i miei solidi muri, ed anche le finestre e le porte hanno valide serrature, potenti spranghe. Qui no: con la stagione buona gli sportelli esterni di legno (amado), e quelli piú interní di legno e di carta (shô-ji), si possono levare del tutto e le stanze allora si aprono sulle foglie, i fiori, gij alberi che le circondano. Sembra di trovarsi in un romitaggio, lontano da tutto; eppure siamo abba-stanza vicini al centro di Tokyo. II rumore dei veicoli giunge appena, attenuate) dalla fortunata disposizione delle collinette circostanti. Tokyo non ě solo una delle cittä piú popolose del mondo, ě anche una delle piú estese. Fra i sobborghi estremi di Kawasaki e Kawaguchi vi sono okre trenta chilometri (a Roma fra Tor di Quinto e Tor Marancia appena dieci); questo perché i giapponesi, se ac-cettano di lavorare in scatoloni di cemento a molti piani, accettano a malincuore di viverci *. II giardino che ho dinanzi a me ě tipico di migliaia ďaltri; eppure, ogni volta che lo osservo, resto di nuovo colpito dalla sua raffinatezza. Da noi cosa f* nnT pľ' aVeSSlm° Un C0rtilett0 a disposizione ed i mezzi per erearvi un giardi-un'a iol úľ"'05" lnonderemm° lo spazio di geometria. Qua un vialetto, lá pmľt o ľ ""ľ Panchma °d una fomandla, poi vaši, rivasi, stravasi dap-mentato' OniTn centimetre risultasse costruito, ogni elemente irregi- gia ed aitrettamľr archltett0 ed 11 giardiniere hanno speso altrettanta ener-vista sembra ditrovľľ0 T.' Ia*}[m&"e fi™ diametralmente opposti. A prim* chiostri tuIL luce e ľ neU/ ta,dura d'un bosco, che so io, in uno di quei ta* arbusti, nei tomboli ľ ľ S aprono' suI breve spazio ďerbe fra cespugl" ed "'^delľuomoesiľrľ ""'^ C0Ste tirrene ed adriatiche. Poi ti accorgi che 5 la "«ura con ľZ^?0™1 ma ''ideale ^'artista ě stato quello di rifl* Nonvisonolinnees^'«« c semplicitä, senza farsi né vedere né ricord£ Um«* non-euclidea -^T^ °Ppure sí- c'ě una geometria intima, ug ~~ľuZnrt Un "rmonia segreta che ľanimo-a dispett° SSSfi?^"-Äŕ^-"° T L,'»^a— * fond. non h, .£ ' ,r"H'n'"" Caland,, ■' íml""*e 1111 """'"o Krandissimo di fanugb* * »U ' Honclni "mtmc * (alanV I ,""0|H)rI0 di Narita verso Tokyo, si traversano Jo " "'UCln"n,i * blocchi alti c possen.i piechiettati da sobbo'' fines'^ mente, avverte subito. Tutto ě irregolare; la forma del praticello centrále verde e soffi'ce come una pelliccia misteriosa di mostro marino, il disegno dei blocchi piatti di granito amorevolmente prelevati da un greto di torrente montano, lisci per carezze di flutti lungo i millenni, la disposizione delle azalee, dei gelsomim, delle gardenie, dei cespugli che salgono piano piano verso i pini e gli aceri, ai quali ě affidato il compito di nascondere il muretto di cinta, le case accanto, e d'incorniciare il cielo. L'armonia dell'insieme colpisce subito. E opera umile, raffinata, civile. All'interno la casa di Giorgio ě quasi del tutto giapponese. In ogni stanza ci sono i latami. Nella mia che, ai tempi di Mineko, doveva costituire il salotto bono, e'e un bel tokonoma con un vaso coreano antico ed una veduta di monta-gne a'ltissime sopra un bosco di bambú. Noto anche i libri scritti da Mineko ed alcune delle molte riviste a cui essa contribuiva articoli e racconti. Concessione speciále all'Occidente sono un tavolo ed una sedia per lavorare; e questo confes-so mi fa piacere, con tutto l'amore per le cose d'Oriente non sono mai riuscito a scrivere o leggere a lungo stando accovacciato. Le masserizie e le suppellettili casalinghe, nonché i molti oggetti d'arte della collezione di Giorgio, stanno, come usa, chiusi in armadi a muro. Semplicitá, purezza, eleganza, un leggero toc-co d'ascetismo, ecco la casa giapponese; essa ě l'espressione vivente, da secoli, di moltissime idee che noi riteniamo appena scoperte, cose quasi dell'awe-nire (')• — Vuole qualcosa da mangiare? — ě venuta Abe-san a chiedermi — sono giá le dodici e mezza. — Si, grazie, ordini dei sushi (crocchette di riso con pesce crudo) e della frutta. — Telefono subito. — E il danna-san (il signor padrone) quando torna, in genere? Abe-san, che stava allontanandosi, s'ě fermata di scatto. — Non ne ho la minima idea. Quello viene, va, entra, esce, h il padrone lui, no? Glielo chieda lei, ch'e suo amico. Io non ne so nulla, proprio nulla. Appena posta la domanda mi sono accorto del mio errore; ma ormai era come se avessi lanciato un sasso, non restava che star fermo pregando gli děi che non andasse a rompere un vetro. II vetro invece s'e rotto. Certo dovevo pensar-ci prima. Ora tutto mi sembra chiaro, Abe-san adora il piccolo, ma odia Giorgio. E una gelosia indiretta, cognata, per procura della padrona. Vorrebbe vedere Giorgio tranquillo qui in casa, a vivere di memorie; e quello invece se ne va di nascosto nel bel mezzo della notte a dormire con chi sa chi, chi sa dove. Oppure, forse anche piú probabile, Abe-san s'immaginava che Giorgio dovesse sposare lei, dopo la morte di Mineko. Non era stata lei Abe-san a curare la po- (') «Tuiti qucgli dementi ncl disegno della casa moderna per cui noi architetti abbiamo combattuto — la strctta correlazione fra esterno cd interno, le division! a slitta fra le stanze, «1 altre cose ancora — eccoli qui nclla casa giapponesc». W. Groimus, intervista conccssa alio Asabi livening News, Tokyo, 16 giugno 1954. 51 a ««„'ultimo? Non era stata lei a chiuderle gli 0cchi> N vcrasignor^alatafmo^ul^ raccomandato ,1 plccol0? In Q ľa l*i che U «gnoHM meto de, matrimonl0) ie de, PP°* „ í,.dizionjlmence: udea cos^ ^ ^ & ^ ^ ^ ^ at„m nioďonvedovo cne aveva contlnuato a trattar,a a Abe-san in tutto q0l. J divenuta isterica. normale governance, e lei n era U puma dei sassi verdi Otti primo giro per Tokyo, Innanzitutto ho diversi amici d'un tempo da salutare poi debbo risolvere urgentemente čerti problemi prattci, trovare pct esempio una macehina a nolo, reclutare alcuni collaborator! per girare i docu-raentari cinematografici, e cosí via. Ma in questa prima mattina m'interessa proprio Tokyo, la cittä. Appena sceso dal kokutetsu (la ferrovia circolare) resto sorpreso dal numero delle nuove case e dei nuovi palazzi in cemento armato. Come hanno fatto presto i giapponesi a ricostruire! Come son piene di vita le strade! Che impressione di benessere, almeno cosi a prima vista, forse superfi-cialmente... Eppute non riesco a scacciare dalla memoria ľimmagine di questa cittä come la vidi subito dopo la guerra, alia fine del 1945. Vi giunsi ai primi di settem-bre, da Nagoya, poco dopo aver lasciato il campo di concentramento dove ero stato rinchiuso per due anni, con moglie e tre bambine. Lo spettacolo che mi aecolse tu desolante, terribile. Intorno a Marunouchi, il centro finanziario della metropol, restavano in piedi aleune grandi costruzioni di cemento armato (sem-fid TJ' aveSSero aPP°sitamente risparmiate per non mancare di uf- nú'quaZľľ,rerTe,effÍCÍentemente ü Paese al loro a»ivo), ma i vastissi- í^áTZ0^uz^da piccoli n^da ™s™ini>della To' «le montaane di mľ ■ ? í,ompletamente rasi al suolo. Non restavano neppu-me«fumo lasciand , ' átA tedesche; il legno si era consumato in fUo-^ospaziavaMrettari Jrľen0<íSparso di Polvere nera e brace sPenta' T degli stráni sass „ľ^?" , desert0 bigio> dove ognitanto trovavi de, ta ««Pwa appena d C ,1 di botti8lie fu^), dei pezzi di latta contor- ee™ogüarefra^nbda2che rampkante fiorito, che aveva fatto in tempo* rm°gl,are fra un L„k 7 rampicante f Div«amenteÍtardamentoeľaltro. asazz ni , "?tevole Spiccavan^ „aI*— 3^ ?fom» Kt P('ľaVfn° S0ltant0 t« cose: prima di tutto i P«*j * 2ľ fuoco- Ctľ1 costruite di ma»°ni odi cemento e f á ^ ch í"' SCatdin«e, Ste tengOn0 le loro cose di valore> P0' "í ^d&avan°ilp ntoin'rarrii88inite- dall'aspetto di mostri fosaj « ^S^A i num "'i51310 Un ™Z°™> edificio, la Sari^ApeseňneUa>ntasiadeÍBnereV011 '«chette di cemento che avreb* 5J **** incendioedi aJlora, a contenere ľacqua ne . 8eneratl da"e bombe. Qua e lä degli albert carbonizzati levavano al cielo le loro braccia monche. Lontanissimo un tranvai, visibile come in aperta campagna, correva attraverso la pianura di rovine. Trascurando i micidiali incendi del 1601, 1657, 1772, Tokyo, durante il ventesimo secolo, ě stata distrutta quasi completamente ben due volte; espe-rienza massacrante per una cittä. La prima volta fu nel 1923, a causa del Kanto-daijishin, uno dei piú violenti terremoti che la storia ricordi; la seconda fu nel 1945 per opera dei bombardamenti. Le case che risalgono ad anni anteriori al 1923, e che abbiano superato i due cataclismi, sono talmente rare che i turisti vanno a visitarle. Sul terremoto del 1923 ě stato scritto moltissimo; basterä ricordare come vi perirono 142.807 persone ('), la massima parte delle quali finirono orribilmente bruciate vive, non schiacciate dalle case in rovina. II terremoto infatti sconvolse la cittä pochi minuti avanti il mezzogiorno del primo settembre, quando ogni cucina aveva un fornello acceso per far bollire del riso; non erano trascorse due ore che la metropoli ardeva come un gigantesco rogo. Quante volte ho sentito parlare di questa immane catastrofe, da persone che la vissero direttamente! Voglio qui soltanto ricordare un episodio. A Yokohama qualcuno notö dei ca-pelH di donna che sporgevano da terra come delle erbacce. Cos'era successor Una spaccatura s'era improvvisamente aperta lungo la via; un bambino vi era caduto dentro; la madre era scesa per raccoglierlo e salvarlo; la terra s'era improvvisamente richiusa. Riguardo alle distruzioni del 1945 pochi sanno che gli inesorabili bombardamenti a tappeto, fra marzo e maggio di quelľanno, fecero piú danni e piú vitti-me della bomba atomica a Hiroshima. II bombardamento del 9-10 marzo, per esempio, cominciô la sera verso le 10,30 e durö tutta la notte: varie centinaia di «B 29» (ora sembrano giocattoli, ma allora erano i bombardieri piú potenti del mondo) riversarono sui quartieri bassi della cittä migliaia di tonnellate di bombe dirompenti ed incendiarie. II fuoco, favorito da una tempesta di vento, divampö infernale: il giorno dopo, di quelia ch'era stata la parte piú popolosa di Tokyo, tutto un folto di case, botteghe, magazzini, edifici pubblici e stabili-menti d'industria leggera, restava soltanto una pianura sconvolta, carbonizzata, fumante. Contare i morti era sempre difficile in queste occasioni; quanti corpi venivano ridotti a una mera macchia di grasso dallo spaventoso calore? Docu-menti ufficiali parlano di 124.711 fra morti e dispersi, una cifra notevolmente superiore a quella dell'ecatombe di Hiroshima (J). Dal 24 novembre 1944 al 15 agosto 1945 Tokyo subi settanta incursioni; in tutto restarono uccise, o si dovettero dichiarare disperse, 136.698 persone, (') Fra morti e dispersi per tutto il territorio battuto dalle scosse. Vedi: Lmamura, A., The Great Earthquake of S.E. Japan of Sept. 1, 192) - In Scientific Japan, Tokyo, 1926, p. 141. (2) R. Guillain, il quale era presente al disastro e ne dä una impressionante descrizione nel suo volume Le Peuple Japonais et la Guerre (Parigi, 1947, p. 205), parla di 197.000 fra morti e dispersi, secondo documenti segreti giapponesi. Vedere anche: Hoito, Edoin, The Night Tokyo burnt, New York, St. Martins Press, 1987. 53 9 760 000 case (su 1.377.000); in altre parole gran efuronodistrutte ctrca W Bisogna tener presente che la comUnt deUa metropoli di legno (il muratore e ptuttosto u„ ca di cartas rispetto ad una costruzione di ■i cosa. Ě vero che ha il vantageio di ™ deUe modrne,c—Si i:í _..u;«;mn circa un decimu, ť ...... , ntmiti i>... e * ha il vantage^ * ecoli e P0^1"'. van0 delle moderne costruzioni urb (circa un deamo, p«^. ^ fragüe ^ t Urb«, ! un pice Parte : cas, «ntie. pochisamo (aru -» co[) do)cezza nella sua tragile intimita l'uomo e n0i)(*'C Tě er che resiste magnificamente ai terremoti, col telaio che Tt Wkamente e si sfascia soltanto agh urti piu violenti, ma ě anche Ve tXSS^ unaiogiia rr ďestatde-Lo spauracchi,° if1 inc- d sempře e dovunque vivo dinanzi alla mente dei giapponesi ed ,1 forestiero noterä dappertutto, in campagna, in dttä, campane per dare 1 allarme, stazioni di pompieri, torri d'osservazione (')**. _ Ijna volta che gli americani si furono insediati nelle isole del Pacifico piú vicine a! Giappone, le grandi cittä dell'arcipelago vennero a portata dei bombar-dieri e cominciö l'opera metodica di distruzione, contrastata sempre meno vali-damente da una difesa che andava sgretolandosi del tutto. Gli americani sapeva-no benissimo che bastava lasciar cadere dei fiammiferi per dar fuoco a quelle distese di scatoline in legno e carta: i loro bombardamenti furono infatti per massima parte delle piogge di bombe incendiarie. La popolazione civile soffrí pene lnenarrabili per l'incoscienza dei militaristi al governo. Non volendo am-mettere che la guerra andava male, che il nemico avanzava, con la scusa che 1 ÍT e?"tilMe la Popolazione, si evacuarono le famiglie ^pS^T?'- a m0 d0P° k n0tte d'inferno del 10 marzo fur°no pre-imenti p,u decis. per mandar via i civili dalla metropoli. Ma quanti mtti, bolliti, torturati nelle morti carbonizzati, inutil- maniere piu atroci, »ati, dilaniati mente. Quando arrivai a Tok A M Pudere. Se la donna non d;ľ 8°ya' 0rmai la vita aveva incominciato a Or ''"^nondimeľtica^^ľľi56 '? ,pene del Pa"o non si farebbero po ZZit *' St^t^* A"™, delle inondazioni, dei ter-n owbe mai * Fortunat" erfbbe che tornare " boschi: la civilta non ^SZ^^^^f meraoria fe labile;»bambini giocr iCtT* "ollati- Moki tnnam°rati si siedon° a"™ra una volt, lungo la Propria „"°C0,nqualchep42? ".ttano c°st^ti delle baracchette n!2^to, fiU^r^^ando lastrr;;rtetlca> sul terreno dove una volta sorge ^ 4 fetr° rugginoso sacchT * metaUo> Pezzi di leg"° seffli?A (,f$**ft*» 'Saccru di terra, ir involucri di bombe incend Iforidi^»«ndi ctano«" » onecapit0, cambiamenti. si chiamavano E^o onsi-azione ,T CQ * Pap» ň*"?'."^ Prlma del 1868), e ver"" 'le ca™Pane sono^1 Quattro Terrori! ! ,0tri d'°C!;f "S Prima defl868). e quasi ovunque spárite. bidoni di carburante. Poi erano nate spontaneamente erbe, fiori e tutti avevano piantato qua e lä satsuma-imo, delle patate dolci, dal cui tubero nutriente ger-moglia un rampicante verde e vigoroso. Lungo le strade centinaia di rivenditori spargevano la propria merce sui marciapiedi; i piú intraprendenti avevano giä costruito dei negozietti di legno, simili alle cabine balneari lungo le nostre spiagge in estate. La gente vagava come in un sogno: l'incubo della guerra era durato cosi a lungo, ed era stato tal-mente cupo, che tutti stentavano a creder veri dei fatti semplicissimi come quel-lo d'essere di nuovo liberi, di poter comprare senza esose restrizioni un etto di pomodori, di parlare senza guardarsi attorno, di sedersi al sole e far nulla. La folia aveva ancora un aspetto ben misero — c'erano vecchie coi capelli discinti che tenevano per mano bambini mocciosi, uomini di tutte le etä in calzonacci sbiaditi, con mezze uniformi militari, scalzi, seminudi, c'erano mold feriti ancora fasciati ed altri con cicatrici deturpanti — ma in complesso era dignitosa, ordinata e, ripeto, sembrava si movesse in un sogno. In questa folia sarebbe stato impossibile scovare una donna giovane. Giä le bambine di 12 o 13 anni erano scarse; poi ecco un vuoto assoluto fino alle mas-saie attempate, alle vecchie, ed anche queste sembravano coltivare l'arte di re-pellere il prossimo per la miseria ostentata nelle vesti, il disordine delle chiome polverose e la bruttezza d'un'espressione inerte. I giapponesi, insieme alia gioia della pace improvvisa, stavano vivendo le ultime ore d'una paura quasi peggiore di quella dei bombardamenti, una paura piú profonda ancora, piú arcaica e finale, quella dei vinti d'ogni tempo per l'arrivo fisico del nemico vincitore. Per anni la propaganda aveva dipinto gli americani come belve assetate di sangue, come diavoli rossi dalle mani gigantesche fatte per sgozzare bambini, come esseri incomprensibili, dal fitto pelo dei démoni buddisti e dagli occhi gri-fagni che si accendevano solo alia vista della distruzione. Per mesi la radio, i giornali, i capi gruppo, i capi strada avevano continuato a predicare «se sbarca-no qui taglieranno la testa a tutti gli ex-militari, violenteranno le donne, porte-ranno via i bambini» *. Ormai il momento era venuto. L'imperatore aveva rac-comandato di accogliere bene le truppe del vincitore, e le facce dei giapponesi avevano l'espressione di chi ě pronto ad affrontare ancora un'ultima e piú terri-bile prova chiamando a raccolta recondite forze della volontä. I primi americani avevano messo piede sul suolo giapponese il 28 agosto, pochissimi giorni avanti il mio arrivo nella capitale. Si vedevano infatti qua e lä per le strade dei gruppetti di vincitori, in uniforme da guerra ed ancora arma-ti. I giapponesi facevano finta di non scorgerli, con l'aria compunta dello scola- * II tema delle immagini che giapponesi ed americani si facevano gli uni degli altri nella pubblicistica, nei film, nella letteratura popolare, nella propaganda, durante gli anni della Se-conda Guerra Mondiale, viene sviluppato a fondo, su documenti provenienti dalľuna e dall'al-tra sponda del Pacifico, nell'opera di John W. Dower: War without Mercy, London, Faber & Faber, 1986 (anche edizioni americana, Pantheon Books, e canadese, Random House). Si tratta di una lettura affascinante. La ricchissima bibliografia occupa ben 18 pagine. 55 . lare questo storico incontro di due popoli. Gli amencani pensavano: « Whatih-hell are these )aps up to? So quiet, so sullen. When are the hidden nationalists p» to start their last banzai charge?» (')• Ed i giapponesi a loro volta rimuginavano: «Hen desu nil Ada wo utanai no ka?» P). Io, conoscendoli bene ambedue, sapt-vo che si trattava d'uno smisurato equivoco. Gli americani erano dawero jbar-cati in Giappone con il fermo intento di dare un memorando esempio di civika ad un popolo governato per tanti anni da una banda di facinorosi, ed i giapponesi erano dawero convinti di aver sbagliato tutto e di rimettersi alia saggeza dell'imperatore. Ma nessuno dei due riusciva ad immaginare che questi nobQf propositi fossero sinceri! Avrei voluto gridare ad alta voce trala folia: «Non fate piu gli sciocchi, via quelle espressioni di reciproco sospetto. E la pace dawero, non lo sapete?». Mi poi una certa timidezza mi obbligava a continuare zitto la passeggiata, inrena-mente osservando quanto aweniva intorno a me. Notavo appena un rarefani ddk gente al mio passaggjo; come capita forse ad un malato infetto, od a qnaV ™ importante, non so. Fin quando non parlavo tutti facevano il naao deuosbtrim-kao, «faccia di chi non sa nulla*. Spesso perb mi fermavo per oa* brew comemzione con quakuno dei rivenditori lungo la via, a propofflo & ^oqKffoggettoeiposto. Dopo le prime parole in giapponese le facer** J~«oo quasi atrofizzate; non avevamo sperimentato che I'angrwria, 1'odio, la : la malinconia, la paura, 1'unriliazjone, adesso volevamo rivirere le male L dokezze della vita d'ogni giorno, gustare la serenita, rispondere al sorriso r P) Propoo ooo Kabi lopco, «nfi— '0 E ooate an Pap* e m T natura. kritici Olli«» ncl SrMS0 ll0llT llÍ ,r,l,C,,m,ZU 1*1 sour U vinci. ri"liitori «tu u) ''"In íXst'nuMcmivTokvo si «mnu\ divcnnt; guiu, Ml„lsi los,osu: , ,ir im......»o di ^cvcia.1. allot... s, vuk-.o , pnntt solda.i „,„„■ ' t .....„nUv-nn con Ir Wl»«»™ nl'" P™" «;nU' '"'K (|'„„| „Koni di proliitatori ďogni gmcrr s. s,iľehl>cio i-isvc-Kliui i m■» m |„,llu|(, torr rivclatosi fin troppo benevolo e sprovveduto, Innumerevoll sí uvrrlilxTu Utio iiK-ctta cli giovani rimaste sole per ollrirlc in vi-iulim ul |0I(.M 10, la prost iluzionc sitrebhr diliiguiii, intortu) tú iiitnpi satclihcn. sorte- dcllc V'C mostrtiosc cilia tlrl merailo nrwr tlel vi/.in, nm in quel pľiino iiuinit-nio vivt",' mo un'ora pulitl di serenitä c di gioia, comc non In ricordavamo dl anni c con non la dimenticheremo per molto tempo. Fu veramente la pace ncl senso ni bello; vincitori e vinti si trovarono nclla comunc umanitk c intardarono al futúr i t . t i ■ i i * p 1 * li i uro come bambini che riacqiiislano la salute. Salvati dal nuvolaio jcdele Durante questo periodo tornö tra noi, annunciata da un breve telegramma, Mtki, la man «la sore IIa maggiore» delle nostre figlie, la loro bambinaiaduní volu, veniva dal suo vtllaggio delia provincia di Hiroshima ed aveva affrontato Iľri ^n°W V,ag8I,°- Quante feste a "ncontrarci! Quanti piecoli, innocenri, &TInCar,-ngal1 ^°rtati da ^ dalla terra del pikadon, deUa bomba mZ deKÍ -°' T'"10' Si era trovato a Hiroshima proprio alle rettaľent ľtí at°m'C° * ***** le radia*°ni non !o avessero colpito di-i denti Ĺ íľ™ f™™1*'' aveva P«so tutti i capelli, gli andavanoca-«hanto qualc'he riľn ""'«"«mMtte prostrazione. Miki voleva restart «me fe« Yuki ílľnľ, ^ " ,fci' ^Wiare le piccole e portarsi poi v* b-rona delia camoiľľ* T™**' nata in Hokkaido) «per farle respirare T** fo«ero enató „i?' Mikl C1(* e di ™° - e che d reSnn0,tra ^ M <** un 8*°™ ce Ii trovammo in ^ «ötudini alľ^trior Lei era /=° suo marito, non saprei dire bee • casa- ^ni per anni ed" SdTb^oh^.1*' simpatko. an fannullone caa I*g STÍ P« i'amore deu'arte e del romanzesco rľ! í7* 3CTPre estremi del 1 aveva ereciítato una dísereta i ř»* a»rva tentato dí -Ši"* : tri In di omítko um, «onorcvole Iiiih iiilore di giidi ('( idonlc alľopcia poľ il lavíne iiidiscio.su i lio ^odo piosso nitlo lo (lassi delia popoliiziono, il sikícsso degli allori vielio sotlolinoato non tanto dai biittiinatii qiiiinto da ocrli gridi d'itKoniggíamcnto, di lode, di meraviglia, lan-oiuti |>et lo piti dal log^ione. ľan- sia dilfic ilissimo '.cegliere il momento protiví per liusi sentire, oecorre molta espcrien/.a c finc intnito; gli omuko-san nono perció (|iiasi dei professionisti, íanno parte ďun círeolo, ďun «mesticre» a cui lu direziotie dei tcatro passa un certo numero di biglietti di favore. D'altra parte ci vuolc anchc una čerta cultura, questi «incoraggiatori» sono perció in generale dei piecoli negozianti, dei fígli di famiglic abbienti, dclle figúre note e popolari ncl quartiere. Gli attori stessí dicono che recítano mcglio sc sono bene appog-giati dagli omuko-san, c si sussurra sempre dí accordi segreti fra le due catego-rie. Malte imasbita, ťaspettavo!, ě uno dei grídi piú in voga. Un altro é: umai-zo, bravissimo! Qualche volta non manca pero ľatroce daikon, rapa!, quando un attore fa una pápera o recíta fiacco, impacciato, male. Parlo cosi a lungo dei nostro buon Uriu poiché rappresenta un tipo abba-stanza comune di giapponese dei tutto in antítesi con le ímmaginí stereotipe che circolano sul popolo nipponico. E vero che in genere i giapponesí sono laboriosi, metodici, obbedienti a tutte le immagjnabíli ípurché costítuíte ed investitel autorita, le quali hanno sempre per essí qualcosa di numinoso. Sono appunto que-ste doti che, nelle náture piú nobili e generöse fe rare), portano alľeroísmo, al sacrífício, e nelle piú grette e pítocehe íe frequenti) alla pedanteria, alla stupidita poliziesca, al conformismo. Ma quanti altrí aspettí presenta questo popolo! Uno dei piú comuní e piú simpatici tipi di giapponesí, dirô fuori serie, ě quello appunto dei nuvolaío sfaticato, dei trovatore imprevidente e spensíerato che ha sempre la sua canzoncina per ogní gioia o dolore, la sua sentenza consolante per ogni tristezza, che a ma i prati, í ciliegi in fiore, le « serte erbe deü'autunno», gli aceri dalle foglie rosse, le gite in barca, il sake, le donne, le compagnif aüegre, e pur proponendosi ogni giorno di mutar vita ľtndomani, noo k muta mat; finen-do per scendcre in miseria, ma sempre cantando, nefla tomba. — Quando i pinsa (í poliziotrij vi ponarono via, quella marrina di ottobre dei 1943 — d disse Miki appena potemmo sederd per bere una tazza di o-cbt, d'onorevole tě — toccarono un muerhio di guaí anefae a not. Cí chtamarooo al Keisatsusho (ufficic di pobzia), d separarono, mío marito da aoz pane exi io !•■ ..a zi ;c.:c:í^£:.: i :r:;~ ie_ che lei non s'era mai mischiato. di queste cose. Stavamo perdendo davVero, esta, almeno io, anche perche d. mio maritc, non sapevo piu nulla, quand'°'« provvisamente ci rimandarono a casa col fogho di via. Che gente stranai M * male ora tutto e finito! Saremo poveri, ma almeno non dobbiamo pi,', vj n° come belve che si azzannano fra di loro. Eh, che ne dice? Apprendendo queste notizie ci sentimmo commossi; capimmo chiarame di dovere la nostra salvezza agli Uriu. Se loro infatti avessero firmato qu"i|e famosa dichiarazione la polizia avrebbe potuto fare quello che voleva di rne ' per il noto principio orientale secondo cui la famiglia del colpevole deve soffri* pur essa... Basta, non pensiamoci piu. Dopo qualche giorno di riposo Miki riparti per il suo paesetto nel Sud no tandosi Yuki legata sulle spalle, come usano in campagna. R1LETTURA, OGGI Bruttezza delle cittä giapponesi (pagg. 39, 40 e altrove) — Salvo Tokyo, ma sok, per alcunezone, prospettive, angokzioni privilegiate, ľaspetto delle cittä e citu-imegmpponeu resta immutato, nonostante il passaggio di decenni: cioé laido, con-'""T0' ^re.°>\^™one duno spirito utílitario spietato e strajottente. rionid'^l Arhaúno possono d™ emblematiche riguardo alle rea- scZe °r* in tím babil°™ nipponica. .Tokyo - toVasmodtnTZ™ °mda: U% A"*ele5 *» Pe&°' ^chéilsovrajfolkmen-^Zls^nJT Um Stm"Ura kstrade e le autostráde at- •lluminati fmľall?!" '9°*?* fr" umenši grattacieli duffici tremendamente mente afjollatissil f r * mÍinetti ^cchi, e negozi sparsi, e vie improwisä-"V" SA kmente rurali, e costruzioni fatte con maternit desolazione che noľhľr U®!0'>"etalli smunti, cemento che si sbriciok, in um da sorride, Einaudi 19%*r l/freftwto ^mtato si rivela Cesare Brand, (Bud-* e ť piú hrutta del ľ,; T f una cittä ^ventosa — scrive - k piú f* leggende maArWi lurbani^" i caotica, non esiste. Come i b& cenda e sembrano ' i7cen,T ^n)lonali< * ^ade sopraelevate ú scavakano a * "ňcatura di alcune ossesLTČ ,' arÚva a ave™ f™ « sopra k ,. V^bmo Plu avaTZ'!"*0!" di ^anesh, - uiiune oit«t«,„ • • .--- " uver ne inu a ne wf" -ww ptú avantľT P"gf0m di P™»esi». fcambi.re, e ,„ lS/2-ľ Z Tok>°> k Prospettive parrebbero sulf^ Lľ ParVe ^^ntetiT° "'P"™ delle eccezioni. II problém ***** ZZfľT* "WurZzIlhT™'" ™*»*»>ente a proporsi nel19» to «mdnk al belh? nza del bello tra gente, per altri verši innumerevoh, & nkune raiioni 60 ' 'ľintuito, soggettiva, ispirľta dalk ' Giappone. Ii ovvio che prendendo k natura a magtstra ■.uprema dt veritä e belkzza, l'urbe, in quanto artejatto cd arlificio, si trova costituzionalmente gravata d'un pec-cato originale indekbik. Im bella cittä diviene una contraddizione nei termtni, un errorc jilosojico irrimediabik e senza speranze. Im cittä, in quanto calpeita k natura, elimina con cid stesso ogni possibilitä di belkzza; k natura, se rhpettala nei suot termini, manijeslazioni c limili, non potra mai essere cittä. Ma altre considerazioni, akune generiche, altre di \ondo, mi sembra non vadano Irascurate. Innanzitutto un partieokre semantico. Mentre k linyte occidentali, almeno quelk ispiratc al ktino, pongono ptuttosto l'accento sulk "comumta deyj.i abitanti" (civitas, cittä, city, che, ciudad...), // giapponese scritto si vak di un unico uUo-tjamma, assai rivektore, per indicare i due concetti di mercato (ichö e di cittä f»hi), legeendolo nell'uno o nell'altro modr> a seconda delk circostanze. In altre parok k cittä viene coneepita essenzialmente come br/rgo d'affan. rilrovo per scambi, centro di produzioni, joce di smerci. Se k citta e una macchina nuda, basta che junzioni bene; inserirvi dei valori estetici esulerebbe dal contesto speeifico, striderebbe costituzionalmente con l'oggetto. Ogni edijkio e un sistema per trasjormare energia, ma-teria, dati, idee, per scambi di merci e di danari, risolve insomma un delerminato e pratico problema. La cittä (jatta eeeezione molto limitatamente per k capitak) non e tanto un organismo, quanto k somma di tali pratkhe circoscritte soluzioni, manifeste sotto forma di edifici, e raggruppate alk meglio per miriadi. E qui si projik addirittura un altro paradosso: in una societa tanto ordinata e composta, strutturata a piramidi (come ha ben descritto k sociologa Sakane Chie), amante dei plotoni e delk congreghe — che perö si fanno k guerra tra di loro — l'urbe si rivek per forza una pkiade caotka d'iniziative scarsamente, o del tutto, prive di coordinamenti. Rkordo che una fase importante delk storia giapponese. tra fine Quattrocento e metä Cinquecento, viene chiamata Sengoku Jidai "epoca del paese in guerra": era infatti il tempo dei condottien praticamente indtpendenü, i quali si combattevano l'un l'altro per ingrandire i propri possessi. Per adesso le cittä giapponesi fioriscono, crescono, riboUono in uno stato di Sengoku architettonico. La struttura sociak a piramidi molteplici viene rappresentata visibilmente e tridi-mensionalmente dallo svettare dei palazzi Mitsui, Sumitomo, Somura, Mori eccete-ra, nonche da ministen e sedi di organizzazioni varie, ckscuna a suo modo "un regno". Altro partkokre caratteristko delk cittä giapponesi, dal quak gU occidentali anche in visita breve non mancano di restare colpiti, e l'assenza pressoebe totale di piazze, esedre, circhi, krghi, campi e simili, in ultima analisi delFagori- Le cittä yapponesi sono composte quasi esclusivamente di strade, e se per fortuita occasione si presentano degli spazi liheri, questi vengono immediatamente occupatz da staziom per gli autobus. Salvo dove s'irraggia ilcarisma impenak, si vioe in regime dhonerr vacuL Ci si sente quindi costantemente spinä ad andare, andare, senza soste o npou, senza mai un invito alk contemplazione. £ k cittä come macchina, come mostruo-sa catena di montaggio. Lo spazio e mdefinito, amorfo, isotopo; rtiente lo modula. 61 ,. it vaiori «Quando lasse di una strada epriva dun „ „H da ritmo o gerarcma Yoshinobu Asbihara, un architetto partico^11'1 cbeserveaconclukrh'^n ^ 0) - & ***** dello spazio tej^> «mtbik VuTpaesfove la stragrande maggioranza delle strade urbane ^ "SJoJsiba, proprio seguendo tlpenstero dt Ashthara, un «generale«fcjj* mmTclTc^tpüetüS^ „e Duati secoli del regime feudale degh shogunUtcasaTokugatoa (um$ auindiino a tempi recentissimt la gran massa della popolaztone appa^ Zttoclassi: quella del samurai (uomtnt darme) quella degh agncoltori, deglx , ffi de, commercianti. Mentre samura. (eltte d, govemocontadwi (Produ,t0n dicibo) ed anche gli artigiani (creatort d oggettt uttlt e bellt) erano considerati im portanti e rispettati, chi si dedicava alia mercatura (ntenuta tmproduttiva) subiv, numerose, spesso umilianti, discriminaztoni. Ora lo svtluppo delle cittä giappones, dalSeicento in poi, fu dovuto in gran parte alle attivitä dei mercanti. Ecco profikn, a monte delle cittä Stesse un grave pregiudizio, un secondo peccato originale. Se il primo precludeva al borgo la bellezza autentica in quanto anti-natura, il secondo lo irrorava di volgaritä per le sue origini plebee. Ancora oggi, appena il bilancio familiäre lo permette, la maggioranza dei giapponesi ama vivere neue zone residenziali, dove le ville sono appena visibili tra parchi e giardini, ben lontano dalle vie e da$ incroci dove si trattano gli affari. La mancanza « Vresero la caratteristica forma delk nm^,r;nS ' , >urono at P**zza", ma presem la carattensttca ;on i*lLlS^,f^.*a"™ lu k P«™ * decÚerel, oppure «il potere cadde ««SSS/Ä10-? *» Vynese; occorre rendered M„ „; . ' ctrco"locuzioni varie JAS torse di piü sZe e r. non Ma al ľ '-"'■""'ocuzioni varie "otrascZtiíSít™ dÍ ?iÜ SOttik e mmo cl*morosa ^portanza: »0 ""tie fomLZ^T,l,mon costa»« dei terremoti e dei tifoni, nccha sempre costruito in leclTfi 7 mma in °Per") ' Wpponesi hanno ovunf o tegole di cottoU^Tend° ' *"° * con scandole, paglia, erbe pal«« --^ ptetra ventva generalmente guardata con sospetto («se U c* 0 Ashihar», Y Fm~i . - De»m in Architecture, Tokyo, 1970. addosso ti schiaccia» — osservava un mio conoscente carpentiere). Di muratura si facevano i kura, i magazzini, i depositi, le tesorerie: in caso di crollo per movimenti tellurici si rovinavano le cose, non perivano gli esseri umani. Di pietra vennero fatti talvolta i ponti (celebre quello di Nikkó), impiegando pero il sasso con disegni e rifiniture da manufatto di legno. Ľunico impiego spettacolare della pietra lo si ebbe nella costruzione degli spalti delle fortezze; ma il mastio ed altri edifici erano sostan-zialmente di legno, come si pud ancora oggi vedere visitando la rocca di Himeji, il monumento maggiore e meglio conservato deWarchitettura militare feudale (sec. XVII). In altre parole i giapponesi, fino a poco pití ďun secolo fa, hanno dato vita ad una millenaria e grandiosa civiltä del legno. Si e venuta perciô formando una mentalita, una psicologia, un pensiero del legno; una tradizione calata nei cuori e nei meandri della těsta che non é certo facile superare nel corso di poche generazioni. Quaľé la caratteristica principále del legno, della paglia, della carta, materie usual-mente impiegate nelľarchitettura isolana? La deperibilitä, la fragilita! Incendi, tifoni, trombe ďaria, alluvioni, terremoti, Vinvecchiamento stesso delle sostanze, esigo-no ricostruzioni continue. In čerti casi (templi d'Ise) si smantella e si riedifica addi-rittura secondo periodi previs ti e programmati, ogni ventina ďanni. A parte čerti casi particolari (templi, edifici storici) si ritiene di norma che una casa duri due o tre generazioni umane, meno ďun secolo dunque. Senza contare ilfatto che un edificio pud venire considerato antico, ma indagando con eura si scopre che la copertura ě stata rifatta varie volte, che molti pilastri, od altri elementi costruttivi importanti, sono stati rinnovati o sostituiti. Gli amici giapponesi si meravigliano sempře quando dico loro che vivo in una casa, ritengo, vecehia ďun paio di secoli — e che molti conoscenti, specie nei centri cittadini, alloggiano in costruzioni che risalgono al rina-scimento od al medioevo. In una civiltä del legno, sotto ľimpero ď una psicologia del legno, gli edifici, i borghi, le cittä stesse, sono costituzionalmente entita effimere, transitorie, continua-mente rinnovabili. A queste imposizioni di nátura ambientale, va poi aggiunto Vin-flusso profondo ed onnipresente del Buddismo, uno dei cui fondamentali e piú ripe-tuti messaggi riguarda ľinanitä del mondo sensibile, ľimpermanenza fatale ďogni cosa. Al Buddismo saccompagna come unaura, la dottrina delle vite plurime, con-cezione che diluisce in coni di tempo, in oceani di mistero, ľidentitä delľio, il senso oggettivo delia realtä sensibile. Infine non va trascurato ľuso che accompagna il Buddismo, di cremare i morti. Una tomba lascia in genere ai posteri qualcosa di solido e di tangibile, delle ossa; dalla pira non escono che ceneri. Nel contesto di una civiltä strutturata intomo a simili concezioni ed attcggia-menti, ě difficile pensare alle cittä come vasti e solidi monumenti, mirabilmente e finemente organizzati, che si perpetuano nel tempo, oggetti se non immobili, per lo meno a lentissima e calibrata evoluzione. II verbo essere la cedc per forza al verbo divenire. II verbo essere gioisce di pietra, marmo, travertino, porfido, mattoni, me-talii, e lascia con spregio al collega divenire legno, carta, bambú, erbe palustri, 63 A auesto punto, senza voler ponttftcare, ami inclinando all utnore delle fMb,. in volo libera, potremmo delineate il seguente prospetto: Gitta occidentali tradizionali mattoni pietra, marmi caratteristiche le piazze presenza di archi, obelischi, fontáne Cristianesimo: una vita mondo (di qua), paradiso-inferno (di lä) uomo come centro del panorama co-smico inumazione, ossa Parmenide; dominio del verbo essere Dante: poema mandala cittä -cosa, inamovibile, perenne Cittá giapponesi tradizionafí legno, paglia, carta caratteristiche le vie tessuto ininterrotto d'edifici Buddismo: vite plurime Samsara, "illusione" (di qua), nirvana (di lä) natura come centro dei panorama co-smico cremazione, fumo e cenere Eraclito: dominio dei verbo divenire Murasaki: romanzo fiume citta-fluido, accampamento sulle rive dei tempo Qualche anno ja, camminando per Tokyo, mi dicevo: ecco, tniei cari giappone-si, siete finalmente inciampaú nel vostro destino! Costruite alľimpazzata uno accan-to alľaltro edijici solidissimi, in acciaio, cemento, vetro e sitnili, ma con ľimmutata mentalita di carpentieri titanici, quasi si trattasse ancora di castelli da jiera, di barac-coni effimeri, destinati a perire nel juoco, nei turbini di vento, ad essere consumati dai tarli e dalľumido. Ma non vi accorgete che le vostre cittä si stanno adesso solidi-ficando, che le dovřete subire per secoli? Non vi accorgete che v'occorre ormai um coscienza urbanistica? Magari costruite di meno, ma pianificate di piú, con eura ed ambizioni estetiche. Poi ho dovuto riconoscere che nemmeno la soliditä litica, geologica, delle nuove babúome garantiva una čerta stabilita urbanistica. U psicologia dei legno impa»i ancora, ú concetto ďeffimero i permanente. I giapponesi sono prontissimi a tirarP* domam quasi convoluttä, ciô che avevano costruito ieri con immensi dispef°e Come 1:7 ľ ' k Chtä giapP°neú ™°»° <» «»° Mo di perenne subbugh* PeUioZaltlV1 TĽt0m 6 rivestono ďorizzonti, simili a serpacci che semtn** ch Z C!' "n b0Kľ- Stai via due' »e «™< omi e riconosci a stento ú W licZZtľvZ QTd° Pe?0 alPf°W° di ňrenze, immobile piú o meno i* LostZ Trnití di g!0ia' 0 hM d' terore - non so. luaľaZadZľ r"* arch^nica, e spesso urbanistica, h "»Poss,bile, omoltTltl TT realizzare nelle mpponesi ciô che sareo ndparco diYoyo° ft/ ^ Eminenti maestri come Kenzó ^"f&ó m Cattedrale "Holiča, l'Hotel Nuovo Akasaka Prince), W 64 Kurokawa (il palazzo Wacoal a Kňjimachi, la Torre Nakagin, il palazzo delle Assi-eurazioni Daidó...), Arata Isozaki, Fumihiko Maki ed altri ancora, hanno dato a Tokyo aleune caratteristiche ďuno splendido museo ďarchitettura contemporanea in reale funzione, pienamente inserita nella vita. La fortuna degli architetti giapponesi, esc lama un mio giovane amico del mestiere (Paolo Riani), «e che non hanno il Partenone sepolto nei eunicoli del cervello!». Ottima cosa quando si tratta di cervel-U e ďocchi ďeccezione: disastro e sciagura quando comanda la massa dei mediocri, quando siamo alla mercé di studi tecnici anonimi, di ditte costruttrici che si lasciano trascinare da echi fraintesi di mode lontane, o che scambiano ľidiotico col fantasti-co. A Hora nascono quei bussolotti insensati che si coronano magari ďun trattore smisurato, o del testone ďun cuoco in papalina bianca, quegii accoppiamenti casuali di stili opposti e maldigeriti che imbrattano quasi ovunque gli orizzonti. Con tutto ciô, almeno a Tokyo — come ho lasciato intendere al principio di questa Rilettura — stanno da qualche anno sorgendo, oltre a numerose costruzioni d'indubbio interesse individuate, dei complessi, dei nuclei, i quali possono forse jar prevedere sviluppi futuri d'insigne nobilta, di forte bellezza. Penso all'ARK Center, vicino a Roppongi, un gruppo di toni modellate con ardire ed ocehio sieuro, rivestite di porcellana che invecehia con grazia, senza le have e striature piovane del cemento, penso alla selva di grattacieli che si levano a levante di Shinjuku, penso ai dintorni di Akasaka Mitsuke, dove alti castellieri di forme inconsuete (che poi sono alberghi di lusso) s'inseriscono negli spazi verdi senza soffocarli. Non so perché, nonostaňte tutto ciô che ho detto con un certo tono di sdegno, e che vale per il presente, che vana per un buon tratto di futuro, ho fiducia nel gusto estetico dei giapponesi. Sor-gerä pure il giorno in cui non sopporteranno piú di vivere in giungle mostruose di cemento e di metallo. Certo si trattera di passare da una psicologia del legno e del-ľeffimero, ad una coscienza del solido e del permanente, evoluzione che richiederä tempi lunghi, acuta sensibilita, e la fortuna di poter vantare una successione ďinsigni maestri. Se per Tokyo mi sembra sta ormai lecito intravedere un avvenire di metropoli, non solo ruggente e sensibilissima ad ogni alito culturale dei continenti vicini e Ion-tani, ma bene accettabile anche sul piano estetico, Kyoto mi lascia totalmente dub-bioso e depresso. Sarebbe ďobbligo rimandare questo particolare discorso alla Rilettura del relativo capitolo, visto pero che stiamo parlando di citta preferisco concen-trare in un solo těsto le osservazioni che le riguardano. Kyoto non fu mai una "bella cittä" nel senso europeo del termine, ma indubbiamente tanti anni fa emanava nel suo insieme un gran fascino. La ricordo come si presentava nei tardi anni Trenta, ed anche subito dopo la guena del Pacifico: ti trovavi allora dinanzi ad un vasto lago di casette, che rivelavano in variazioni innumerevoli, ma fondamentalmente consi-mili, una loro grazia borghigiana, quasi rurale; i tetti erano ricoperti da tegoli ďun cotto nero lavagna, leggermente lucente, e la loro distesa considerevole aveva per confini le ripide colline dei dintorni, verdissime di selva, rigorosamente disabitate. Sopra il livello quasi inintenotto delle machi-nami no ie (delle "case a schiera dei borghi", come si chiamavano e chiamano ancora tali edifici) sorgevano imponenti, 65 _j akte di chiocce giganti, i tetti kggermente ricurvi d'alcuni ^ Jig&k* dt tum quellt delkHigasb*'Honganj, I pocbi edtfici ^ RS Comune. U Kyoto Hotel, le sedt dakune banche e di akun/Z*. sotili t groppe« akt*ne M societa. raggxungevano altezze modeste; m pratica awentva d: notame k solo passandoci vidno. Dopo k guerra. nelk joga d una ncostruztone generale del paese. e in n* sotto k spinta delľascesa economic* vertiginosa degli anni Sessanta e Settanta v nuoxo benessere degli anni Ottanta, le gentili, modeste, graziöse casette di kgno ■'. schien, dei borgbi", sono state in gran parte sfondate, sven trate, schiacciate, distnu te. La strage non ha seguito alcun piano, alcuna norma, col risulíato ehe ogp qua e k quakhe via ancora intatta, moltisstme altre nelk quali la fila delk veccbk case é ripetutamente interrotta da repellenti scatoloni del piú miserando cemente altre ancora in cui quakhe casuccia tapina, soprawissuta alľeccidio, serve sok t mettere bene in mostra non tanto k bruttezza, quanto la balordaggine degli edihe che k circondano. Ecco una viUetta da bambok delľOttocento, tutta fronzóu í ricamvú bianebi, stretta tra una bieca torre rettangolare in mattoni violacei ed mm specie di birillo moltnconico. anebe se multkolore. Piú in la noti maldigeriti ricač d'mm Beaubourg provinaak, oppure un palazzo con seak es terna ehe si direbbe u «**w»» con k lom ilbmňnazioni pazzesche. klarem* mZmJ£^^^Pm° *ľ, tOCC° Ä sfacciata ed aggressha a molie ** iTľr^T Ymm ú <*>**"> ľarebitettura gotica, e qma&* 3«LS^^*J?,*tó, " V** ™e™io stzk come una «mskdzzxmeä bexmcofc,; ^TZir °*8parte una smisurata malediaooe 4 * •ooaata mfmmmc hm eOmri, dmmmOň f—** - ^^^m^mmm^ľm^iŽ^L^0 i"fi*it**^P*fbôde delk nostre, mwm* 1 sotgjt mtostn •^^^Stmmmtm * Pmmbmsomom ä pobi predpUore. Chip***** -CKpmFrpdnmddifi^rmMkMSom**" *^*0***&elmmccommcmitmttísono ciare esteticamente i resti miseri ďun poetko, ma ormai inuúk passato. Come i giustrficazione di tanto sfacek potremmo osservare che é quasi impossibik trmsfor-mare k tipka casetta kiotense ďuna volta in un palazzo o in un coniamnmto. Le nostre case cittadine. anche di secoti or sono. possono. volendo. prtmmnmmctare il grattacielo: il salto tra k une e ialtro ě almeno m parte sok quantitatwo, storno sempre nel dominio delk "scatok con finestre". Ma k casetta machi-nariii eprmáco-mente intraducibik. del tutto refrattaria ad ingrandtmenti o recuperi. O la si comer-va come reliquia. o muore. soccombe, svanisce. lasciando k spazio a successor! d'ol- tri pianeti. _ . Per adesso i dintomi di Kyoto sono ancora im pan parte saki. mm esempt mt totak insensibilita estetica non mancano. Come awkne anche im mat, i peggjon sconquassi del paesagg/o sono spesso causati dot preti delk vmrie rehpom; samém quasi che k santitd insita nel fine di edificore umo semok, mm semúmoňo^ ■» trofio e simili, giusúfkbi (o sotúbnente žmponfo) k sceka ďmm progetto bnttobnente utilitario. sfacciatamente mgombrante. Come dire: eori signoiint. vot pemrnÉe pmre alk squisitezze, se vi pare. noi facciamo smi seno. mom possimmo period mei ricm-mi... Perdurando cosi Vandazzo non restera che kneiore mm griio omgpsamto ol r— do: se vokte ancora ammtrare e ffomae qmakoso ieOo famosa. secolare. Kyoto, fate presto. Domottina potrebbe essere troppo tonü. Straek eleganti (pagg- & — com'am ptuiMiie fmeemiok kmo comptrso A TokyommaieOephicospiemeěcostamäoiommeibeitnmimKsMtm*x vagamer.te pangino. di name Omote-sandö, che meite at lüHMiumr ti d'Aoymmo col patrn deisocrmrio Metp. U mmJe Omote-sando, Immgocwcamm (M- re: .t ^u^U i; ~ ---V.' .::.c j:'.-; o.: íí"K che to fmmcbeggamo tmnmo iol mosbmoso al memtmx ed m mmmk*r tmam tu. TťiJrr ol notevok. oITinteressante. al quasi Wh. mm met ctmufksso a offmmmt mm a*x> esem^forsemmpo'pmÍTmx*&idso*o. Sametem* Jíl ř» !.m cá*^ mvts siacezato rx tnOe le atti ffmfpomcsL Im mmmmlo m gngX r«íraffiBa*i e **-riosi cfcDa locale giovinezxi iorata sr ne r&s- - v- rgg: -Cťsv rt-r cox tltri gmffS ialTaspeao t*-? ha tenú e collc/umenli profondi. Ma nellc falthpecíe nm-mali ľtm Uwe. La morte e un muro, un macípto. Occorre iopperirc con la jede, quahúii jede. Anche te le fedí umo eventi ^//endocotmo? Tone... Ctra e riýn ti riloma tempe al Gran MUtero delľEio. /: nel mhtero delľeto tom, ýa da qualche tempo, tvanili i Bamba. Una pere % per me perujnalmente, e per 3}, altri tantissimi hro amici, del tutto trrefarabíle. Utrei quasi che ,1 Cmppone non e piú un vero Cíappone, ora che i fíamba te ne VaZb! !''.>m^edi,ť'»"t>íli, meroú, entuúasti! Arrivavi a casa l>*<>. TLlTa Mq'r" all'"mbra d'un hanan" <■' ďun kaki, e subito ti mctlevan» W^T"*' °"nCertÍl Uairi' nuovi liM> nuovt Wdizioní in terre fontáne. U ITauT? '',7 m™í™™í, "rítloú, musicísli, viamatori, Mr^rZTr) mdkL Uk^"n" WM»* e risquillava. Ti senttvi f Per ľXľtí'ŕrľ Uman'- - P'- Ü «telkW^ Vper tit al,*,,»,., , an'' « eu.mom, Uu n uv..„-, ....... , . ■Munia'tZwmZ uŤ '■H"mam: <" e <««"> «» volume di testimonial duna LnZ 77ť 'k * tanieri: ,li autorn '■he 1 fíamba hanno t Z k, }<"> >">*»<■'■ "»« l>Má« idea ád Z :l, A;.„~.. r' "Kuto m un mon.b. U.,„.,i___.....u......... il...„„„ ronsum> ■to dopmVď, Z'numm!ľoml^lt' ^TmmteaJlreUato, ďhtralto, co i v>*o u-r, nom, Hwew> "ostro. 1 íatU'^eSachíhZ^JiTÍk'' 'k'" e Y"»e ««»■ Makino. Ilo ««enM» « -«* or vm <-AtX?T """"T m ľ"' d''^"" I*" lernte Dante, W<« ' l)af . C"""*>Wl m luny/,, -ZuTaiT "n1"' ^«"">. SM' CJ "' rl o 70 MU Al>" l'wJia, dal Cáráno alla Sardeypa e perlt»' prewi la ca\a Kodansha (')■ wa aoi WM dtali«. CMÍ* MW»). Tokyo Riron.h« 1979 3 vol r, Yonekíchi, ScíbuUu C,a>hu (Raecolt, d, diwRtu d «mm* e d C) Itaríya C) Makino, . Yonckichí Makiw», Tokyo, Kodan»ha, 1 )M .11. di piante dovuti a