Neile crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mcntre si le-vano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com'e tutta la vita e il suo travaglio in questo segurtare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. EI'CCAio GL-EERE H lASQSMr ::Ě':vlPS&^.: & , j , i f Ms Li. OSSI DI SEPPlA l v. 5. veccia: erba utile come foiaggio; vo-{ cabolo usato da Pascoli, in Myricae (Dia-i fc^o, 38), e da D'Annunzio in Alcyone {Le I opew e«giomi, 38). i v 6. ancbe questa immagine c ripresa pro ! babilmente da un passo dei Frantumi di J GiovanniBoine: «seguire [...] fntralapol-: ve il rossiccio carvanare delle incessanti ; formichea, in cui ricorre anche il verbo mcriggiare, nonchc l'immagine del muro (Spagnoletti, Mengaldo); ma v'e anclie una reminiscenza dancesca (Purgatorio, XXVI, 34-3S: «Cosi per entro loro scbiera bruna / s'ammusa Tuna con l'altra formica, / forse a spiar lor via e lor fortuna»). v. 7. ch'ora si rompono: e da notare che il modo infinitive scompare, per lasciar spazio all'indicauvo, solo nelle frasi subordinate (cosi ancbe al v. 11 e al v. 17). v. 8. biche: alia lettera: mucchi, cumuli; sono, qui, quelli di terra, che fanno da in-gresso al formicaio. v. 9. frondi: per fronde, «arcaismo morfo- logico di stampo soprattutto dannunzia-? no», ma anche pascoliano (Mengaldo). v. 10. scaglie di mare: «onde». L'immag£ ne, che ricorre anche in un'altra poesiajj degh Ossi ii seppia {Corno inglese), den-va probabilmente dal D'Annunzio di)i Alcyone, dove il mare «scintilla / intestaf di scaglia / come l'antica / lorica / del cfei tafratto» {Honda, 2-6). v. ir. scricchi: i canti delle cicale, che si li-% vano dalle alture prive di vegetazionef {calvi picchi). v. 16. seguitare: «segrrire, costeggiare» (la pri-% ma redazione recava «sfiorar stanco», con y la variante «seguir stanco»; Angelo Jaco-s muzzi ipotizza che l'inrmagine finale dt rivi dal Mystere dans les lettres ("Mistero nelle lertere") di Mallarme: «mur [...] les culs ue bouteilfeetlestissonsrngrats>> ("muro'...] i fondi di bottiglia e gli ingrati tizzooi"); ma ■ anche sul muro di recinzione dell'orto del- s: la Signorina Felicita di Gozzano si trovano ■ «cocci innumeri di vetro» (v, 17). |j|getto (che puó ricordare il mito di Orfeo, il suó sventurato voltarsi in-petro a guardare Euridice) e si riconosce come visione del nulla e del vuo-B a cui succede nella seconda quartina la ricomposizione della realtá nor-Ue e quotidiana, ddTinganno comueto in cui consiste 1'esistenza. In que-Etematica si sente uná strětta suggestione di Leopardi e piú in partico-fare della filosofia di Atthur Schopenhauer e della sua definizione del ■tondo come rappresentazione, dietro la quale si cela il nulla. Ma questa ri-Kpčnoné viene qui cbmé á čhiudersi neLTio dél poeta, che la custodisce Rjme un segreto e sente tutta la sua distanza dagli uomini normali, che non II voltano indietro; che, come l'«uomo che se ne va sicuro» di Non chie-Metci la parola, ignorano la propria ombra. Molto calzante ě il rinvio, fat-. to da Laura Barile, a un passo del filosofo russo Lev Scestov (1866-1938), lita le piú řmportanti letture del giovane Montale: «Quando (il miracolo) si leva dinanzi a noi, cí afíerra un terrore folie, Fanima spaventata si im-Kagina che il grande Nulla 1'inghiotta per sempře, ed essa fugge senza " guardarsi indietro...»; mentre Edoardo Sanguineti ha rícordato questo passo da UAdolescente di Lev N. Tolstoj (cap. XIX): «lmmaginavo che fuori di me nessuno e nulla esistesse in tutto il mondo, che gli oggetti non i-fossero oggetti, ma immagini, le quali mi apparivano solo quando vi fissa-Ivo 1'attenzione, e che appena cessavo di pensarci quelle immagini subito sváni; se:o. [,,.] Cerano momenti, quando sotto rinfluenza di questa idea | flssa arrivavo a rasentare la follia, al punto che rapidamente mi voltavo dal-la parte opposta, sperando di sorprendere il vuoto lá dov'io non ero». i; METRO: 2 quartine di versi composti (martelliani iw.i,(, 7), piú due endecasillabi (w. 3 c 41 con rime alterne alPintemo di ciaseuna strofa (ma quasi rimano ii primo e terzo ver-: so della prima strofa col secondo e quarto della seconda strofa). Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedro compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubtiaco. Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi case colli per l'inganno consueto. Ma sara troppo tatdi; ed io me n'andro zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto. Forse un mattino andando. Datato al luglio 1923 anche questo componimento, come quello nrece colo, del senso segreto delk realta, si da attraverso un voltarsi indietro del v. 1, Alis, di vetro: cristallina, limpida, ma anche tagliente, asettica: arida, come al v. 1. II vetro contiene in se un senso anche di «diaframma», che si svilupperä nello schermo del v. 5. v. 2. rivolgendomi: voltandomi indietro; il mtracolo — come verrä speeificato ai due versi seguenti - e solo negativo (il mani-festarsi del vuoto), v. 4. in Pianissimo, Sbarbaro aveva scrir-to dello «Stupor scioeco» delT«ubriaco» (Spagnoletti). v. 6. l'inganno consueco: della realtä, proiezione del nulla. v. 8. che non si voltano: Vio poetante inve-ce aveva osato rivolgersi indietro, guar-dando al di lä delle proprie spalle (w. 2-3), ENIO MONTALE, LĽ OCCASIONI Le occasion! Dora Markus Questa celebre poesia e costituita da due parti composte in momenti diver-9 si, anche con una singolare sovrapposizione tra immagini di figure femraini-li tutte convergent! nel persanaggio dell'ebrea austriaca Dora Markus. La => prima parte fu pubblicata snl «Meridiano di Roma» il 10 gennaio 1937 (come ^ . 5 «l'inizio di una poesia che non fu mai ne finita ne pubblicata e non lo sari' JanTdi figure mal Pih»), ma neU'indice delle Occasion! e datata 192(3: il nome di Dora femrainiirnel Markus e pero fatto per la prima volta piu. tardi, in una Iettera di Bobi Baz-i psi-sonaggio - len a Montale del 25 settembre 1928, a proposito di un'ospite di due amici cck diDom . mulj^ Gerti e Carlo Tolazzi: «A Trieste, loro ospite, un'arnica di Gerti, con ar us 1 delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus». In let-! ■ tere di poco successive Bazlen sollecita Montale a comporre la poesia per !' questa donna, che egli non vide mai (ed ebbe solo la fotografia delle sue gam-■■-; be): ed e probabile che tra la fine del 1928 e l'inizio del 1929 egli abbia messo ; insieme, dedicandoli appunto a Dora Markus, dei versi gia in parte compo sti (probabiknente propno nel 1926) per un'altra donna: forse lastessaGer- ■ ti - austriaca della Carinzia come Dora - alia quale del resto aveva gia dedi-- cato una poesia, Qarncvale di Gerti, pubblicata nel giugno 1928 su «11 Con-';, ;: vegno» e raccolta anch'essa nelle Occasioni. La seconda parte, datata 1939 (se: : ne trova infatti una prima traccia in una Iettera a Gianfranco Contini del v, f maggio 1939), venne scritta sottol'impressione dellepersecuzionirazzialina-j; ziste, come sguardo al destino della donna ebrea. Sotto il nome e la figura di Dora essa comporta in realta un riferimento a Gerti, inserendo pero dati che k non erano nella prima parte; dira Montale in una Iettera a Silvio Guarnieri del 29 aprile 1964: «In Dora Markus I, Dora non e ancora Gerti, non risulta:.. 7 " ebrea. Non ho mai conosciuto Dora, nella seconda parte e presente solo t ,:cr-ti. ebrea [...] Io Dora non l'ho mai conosciuta; feci quel pezzo di poesia pet--.: invito di Bobi Bazlen che mi mando le gambe di lei in fotografia. La fede fe- ~ roce [v. 30 della seconda parte] coincide col ritiro di Gerti in una Carinzia : immaginaria. Non c e la condanna di ogni fede, ma la constatazione che pet jettutto ě finito e deve rassegnarsi al suo destino. jResta pur sempře uno lato If^la vita tnesplosa di Dora e la vita gia vissuta di Gerti. La fusione delle due ggure non ě perfetta, a meta strada qualcosa ě awenuto che non viene detto e che 10 non so». Ma gia in una Iettera del 7 maggio 1939 a Bazlen Montale gjggeriva di vedere nella donna della seconda parte «un pasticcio di quasi gerti con antenati tipo Brandeis», sovrapponendovi cosi anche Irma Bran-deli Clizia, la donna-angelo lontana e in fuga dalle rovine d'Eutopa. Su questo cosi complesso intreccio di riferimenti a figure femminili rea-" lie immaginarie si costruisce un'irrrmagine di donna dominata daľľansia '. della lontananza, dall'instabilitä, immersa in una sua inafferrabile solitudi-rie La prima parte si svolge a pattire da un emergere, nella prima strofa, delia memoria (sottolineato dal Fu iniziale), sullo sfondo del porto di Ravenna e del canale che conduce da esso alia cittä, con una malinconica pas-seggiata che ha luogo in «una primavera inerte, senza memoria» (con un pjradossale rapporto tra l'emergere del ricordo e quel senza memoria): in questo ambiente grigio e immobile la donna indica un luogo lontano, tma sua patria vera che si colloca altrove. La seconda strofa, piú breve, si lega strettamente alia precedente (grazie alľinizíale E qui) e collega lo spirito di Ravenna, proiettata per la sua storia verso ľ Oriente indicate dalla mano di Dora, al variabile guizzare delle parole della donna. La terza strofa pre-scinde invece da ogni riferimento aľľambíente e si concentra sutiirreqtne-tudine e suli'' indifferenza della donna, sul suo carattere tempestoso, sulla sua esistenza in cui resists streinata, priva di certezze. Il suo equilibno e la sua «salvezza» vengono alia fine affidati ad un amuleto, a un oggetto salvifico, un piccolo e marginale segno di soprawivenza (un topo bianco, / d'avono): fulminante immagine di un mondo in cui l'esistenza degli individui si affi-da, nella sua piú personále intimita, a piccoli simulacri, oggettí marginali e ' inessenziali che vengono ad acquistare un impensato senso e valore. La seconda parte ci trasporta nella Carinzia dove la donna ebrea vive : in una cittadina lacustre, rappresentata nella prima strofa e aľľinizio della seconda, come a specchio delľambiente ravennate rappresentato nella prima strofa della prima parte: dal suggestivo trascolorare della sera nel paesaggio lacustre si passa poi aľľinterno della casa borghese di Dora, dove la sua esistenza errabonda e priva di sicurezze appare come inscritta, qui dawero fissata nella memoria, in uno specchio annerito. La terza strofa collega la leggenda personále di Dora at suoi antenati, al mondo ebrai-co ottocentesco: e qui si affaccia lo sgomento della storia contemporanea, il bmo che si addensa e minaccia, ľessere tardi di fronte alia minaccia del nazismo, non direttamente nominata. Questa minaccia si affaccia piú esplicita nell"ultima strofa, che affida il resistere di Dora, della vita sua e - della sua gente, a un altro oggetto marginale carico di valore, il «sempre-i verde / alloro per la cucina»; poi in uno scorcio rapido si sottolinea la di-stanza dall'ambiente della prima parte (Ravenna é lontana) e si accenna al veleno del nazismo, all'aggressione che esso rivolge aľľidentitä della donna. Di fronte al buio tremendo e alľorrore che in quel 1939 stava calando sulľEuropa, la poesia si chiude, riprendendo il finale della strofa precedente, con una disperata constatazione della prossima fine («Ma ě tardi, sempře piú tardi»). 627 Una iigiira di daiia prowls orieta e dKĽ i-olaiEieoto Ľoggetto cbe saJVa 1Í mando ehraico e l'accesino alia mi naccia íiaaísía EPOCA lo GUERRE E FASCISMS) 1 "n endtc METRO: strofe di varia lunghezza, composte di versi di metro differenie (e com in Montale, dotati di fitte rispondenze interne ed esterne); la prima parte é com tre strofe di versi liberi, con notevoie presenza di endecasillabi e con pocbe ri:/T' stinguono le rime e quasi rime delia terza strofa.- pensare/fari/appardrari)- quasi r! la seconda parte, costituita da quattro strofe di 8 versi con ľeccezione delía seconds' é di 3), ottonari e novenari con ľunica eccezione di un settenario (v. 18) e di t sillabo (v. 14, sigmficativamente: alio specchio annerito che ti vide). Fu dove il ponte di legno mette a Porto Corsini sul mare alto e raii uomini, quasi immoti, affondano o salpano le reti. Con un segno della mano additavi alľaltra sponda invisibile la tua patria vera. Poi seguimmo il canale fino alla darsena della cittä, lucida di fuliggine, nella bassuľa dove s'affondava una primavera inerte, senza memoria. E qui dove un'antíca vita si screzia in una dolce ansietä ďOriente, v. 1. Fu: Accadde v. 2. Porto Corsini: il porto di Ravenna, col-legato alia citta da un canale di circa died km; Wponte di legno da accesso al molo proteso ml mare alto, in mare aperto. v. 4. salpano: tirano su. w. 5-6. la donna indicava la sua patria lon-tana, verso la sponda opposta dell'Adria-tico, doe verso Oriente: si tratta probabil-mente di Trieste, dove si trovava prowi-soriamente Dora secondo la letters di Baz-len citata nell'introduzione; 50I0 dopo l'aggiunta della seconda parte questa patria pud essere identiftcata con la Carinzia, regione montuosa dell'Austria, della quale e originaria Dora. Ma, considerando la sovrapposizione di phi figure femminili, accomunate dalTessere ebree, «la direzio-ne vet so cui punta il dito [... ] e la sua ter ra d'origine, la "patria vera", doe la terra promessa degli Ebrei della Diaspora, luo-go di una nostalgia senza ritorno» (Isella). v. 7. Poi: non esprime durata, continua-zione; ma riapre su un altro tempo: «un'altra volta accadde che...»: darsena: la parte phi interna e chiusa del porto, ■ piü vicina alla cittä (che dal mare si rag-giunge attraverso il canale). v. S. lucida: come impastata nella tuliggl-ne (riferito alla danenä). v. 9. bassura: la zona di pianura bassa e piatta, sopra il mare. v. 10. c'e forse un'eco, in questa primavera, di quella di Rebora, stagione dell'«ac- : casciamento» (cfr. p. 507), nonche del , proverbiale aprile con cui si apre la Terra : desolata di T.S. Eliot, che «confondeme- : moria e desiderio» (cfr. CANONE ETTRO- : PEO, tav. 254). L&primavera inerte e quella della «vita inesplosa» di Dora. v. 11. qui: riferito ancora alla cittä, a Ra- ; venna, e non alla darsena: si noti l'impre-:' ciso flurruare degli eventi, in un andamen-to onirico-memoriale o meglio ancora im-maginario (si tratta, ricordiamolo. di«ri-:.; cordi» di eventi che non ebbero luogo o che almeno non videro come protagonista . la vera Dora Markus, che Montale aveva : visto, e parzialmente, solo in fotografial, v. 13. nostalgia, e insieme attesa. d'un EUGENIO MONTALE. LE OCCASIONI le tue parole iridavano come le scaglie della triglia moribonda. La tua irrequietudine mi fa pensare agli uccelli di passo che urtano ai fari nelle sere tempestose: ě una tempesta anche la ma dolcezza, turbina e non appare, e i suoi riposi sono anche piú rati Non so come stremata tu resisti in questo lago ďíndifferenza ch'e il tuo cuore; íorse ti salva an amuleto che tu tieni vicino alia matka delie labbra, al píumino, alia lima: un topo bianco, ďavorio; e cosí esisti! Ormai nella tua Carinzia di mirti fioriti e dí stagni, china sul bordo sorvegli la carpa che timida abbocca o segui sui tigli, tra gl'irti pinnacoli le accensioni del vespro e nelľacque un awampo di tende da scali e pensioni. Oriente che e presente, a Ravenna, nei : snot tnosaicibizantini oitre che accessibi-: le hsieamente appena oltre l'Adriatico. w. 14. iridavano: divenivano iridescent!, cangianti, mutavano continuamente, tra-scorrendo da un pensiero all'altro (effet-to cromatico che allude anche alio splcn-dure dei mosatci di Ravenna), v. 17. uccelli di passo: gli uccelli migrato-ti, Ji passaggio, diretti altrove. v. 21. i riposi in. cut si placa la teinpesta in-tenore della donna sono piu rati di quel-li naturali. w. 23-24. lago ... cuore: remiriiscenza dantesca, d^A'Inferno, 1,19-20 («Allor fu la paura un poco queta, / che nel lago del cor m'era durata...»), ma forse ancor piu dal sonetto di nsposta a Giovanni Quiri-ni, attribuito a Dante, ove 51 parla di «congelato lago» (questo sonetto riveste particolare importanza in Montale, in quamo connesso al mito di Clizia). w. 27-18. topo ... ďavorio: é íl campione, legato all'intimita della donna, agli stru- ; menu del suo trucco, di una serie di amu-leti e talismani ai quali Montale affida un'immagine e una speranza Ji salvezza, come sarä la «cipria nello specchietto» di Piccolo testamento (cfr. p. 651). w. 30-33. si noti il gioco di allitterazioni che conducono da mirti ad irtt (in rima interna) e si distendono in una insistente presenza di í e dii. v. 34. pinnacoli: quelli dei fabbricati della cittadina della Carinzia, dai motivi rococo, con guglie e torrette. vv. 35-36. un awampo ... pensioni: «un fiammeggiare di tende (per illoro colore) da scali (per le barche) e da pensioni»: si immagina Dora in una cittadina lacustre della sua Carinzia, come risulta da una let-tera di Montale a Bobi Bazlen del maggio A-}0 EPOCAio GOERREEFASasMo: 40 45 5» Í5 60 La sera che si protende sulTumída conca non porta col palpito dei motorí che gemiti ďoche e trn interno di nivee maioliche díce alio specchio annerito che ti vide diversa una storia di errori imperturbati e la incide dove la spugna non giunge. La rua leggenda, Dora! Ma ě scritta gia in quegli sguardi di uomini che hanso fedine altere e deboli in grandi ritrattí ďoro e ritorna ad ogni accordo che esprime Tarmonica guasta nell'ora che abbuia, sempře piú tardi. Ě scritta lá, II sempreverde alloro per la cucina resiste, la voce non muta. Ravenna ě Iontana, distilla veleno uiia fede feroce. Che vuol da te? Non si cede voce, leggenda o destino... Ma ě tardi, sempře piú tardi. I r939> che informa come in una prima re-I dazione si parlasse di «pensioni sui laghi». v. 38. umida conca: quella del lago. v. 39. palpito dei motori: di battelli, : w. 40-45. al paesaggio lacustre esterno (con Yavvampo deile tende, i motori delle ; barche e gli schiama2zi delle oche sul Iago) ' succede ora l'interno della casa di Dora, ' con la sala in cui campeggiano oggetti di ceramica biatica {nivee maioliche); e l'intemo stesso della casa sembra parlare allo specchio un po' consunro, che ha visto giä Dora nella sua giovinezza, raecontando la storia dei suoi errori imperturbati, del suo vagare da un paese all'altro ndl'irreqtäetu-dine e neU'indifferenza di cui si e detto nella parte I: e questa storia viene incisa in una memoria che non puö essere cancella-ta (metaforicamente denrro lo stesso specchio, nel suo nero che resiste alla spugna). w. 46-53. la leggenda di Dora e inscritta nei ritratti dei suoi antenati, montati entro cornid duratc CcfejK:: sniiolc lipiche ha-sette iunghe, che andavano di moda nel-l'Ottocento); e viene riproposta dagli ac-cordi che un'armoníca rotta diffonde nel-la casa, nelle ore serah (c'ě qui tutto uri riaffiorare di ambientazioni crepuscolarij. v. 56. la voce: della razza, del sangue (Spa- , v. 57. Ravenna: il luogo in cui la protagonista si trovava nella parte I. v. 58. lede feroce: «la fede nazista>>, come confermato dallo stesso Montale (rispon-dendo a un questionario di Silvio Guarnie; ri); tanto piúfemce in quanto la protagoni--:s staěebrea. v. 59, Che vuole da teľ: retto da Jede feroce. $ v. 60. La tradizione razziale e familiare, che la fede feroce vorrebbe cancellare. v. 61. cit. nelľintroduzíone la lettera á Guarnieri: «Non c'ě la condanna di ogni fede, ma la constatazione che per lei tutto . ě finíto e deve rassegnarsi al suo destino*. ?.'•), EUGENIO MONTALE. l.E OCCASIONI K II ramarro, se scocca Mella seric dei Mottetti, datato 1937, questo componimento fissa una série '. fpstantanee, «ciascuna immagine (non impressionistica, ma allusiva; ďa-WLfs nature, ma anche culturale) fissata al millesimo di secondo, sorpresa 'm una folgorante momentaneitá» (Isella); si tratta di vere e proprie «me-Eore dell'esistente» (Macrí), di un affacciarsi di presenze improvvise e Bgttanti, che appaiono e scompaiono immediatamente nelle brevi strofě: jfcesenze visive nella prima (il ramarro) e nella seconda strofa (la vela che Kpaiisce dietro la roccia), due opposte configurazioni del rumore nella ter-11a. Queste presenze si contraggono fulmineamente e conducono alla fine I ad evocare la huče dt lampo, come immagine suprema e improvvisa del- 1'iHuminazione: ma nessuna di queste rivelazioni della realta, nessuna epi-;.fanía degli oggetti, riesce ad avere 1'intensitá e il valore assoluto della don- na. di Clizia, che resta assolutamente incomparabile, rappresentando qual-Kcosa di assolutamente uhro rispetto alla negativita del presente. "METRO: 3 strofette (di tře versi le prime due, di quattro la terza) in cuí sono disposte le jauattro immagini, seguite dalla sospensíone indicata dai puntini, cuí segue un verso iso- lato e un distico finaie. Le strofette sono composte prevalentemente da settenari, piú un f novenarío (v. 7), due quadrisillabi (w. 3 e 6) e, nel distico finaie, da due endecasillabi (w. ř 12 e 13. quesťultimo indicato dalla forte dialefe tra strano e Altro). I quadrisillabi sono | pero da comporre co] settenario che a ciaseuno di essi precede, dando cosi un endecasil-dabo. Lo schéma, tenendo conto delle assonanze (che quasi regolarmente in Montale :: prendono il posto delle rime), puó ricostmírsi nel modo seguente: aba aca defe gFG (ave le rime vere e proprie sono in e, in/e ir> g). Ii ramarro, se scocca sotto la grande fersa dalle stoppie - la vela, quando fiotta e s'inabissa al salto della rocca - il cannone di mezzodí S31 Fmmagini fotsoraniíí w. 1-2. Citazione del ramarro dantesco [Inferno, XXV, 79-81: «Come '1 ramarro sotto la gran fersa / dei df canicular, can-giando sepe, / folgere par se la via attra-versa»); fersa vaie «sferza, calore arden-te»; se ha valore temporale (come quando al v. 4); scocca (sfreccia) e anch'esso dantesco, e lancia il motivo della fulmi-neitä, che (attraverso la sequenza aperta delle immagini) giungerä fino alla con- trazione assoluta della Luce di lampo. v. 4. fiotta: ondeggia (Mengaldo rawisa \ qui un'orígine pascoliana, mediata da Boine, che usa moltissimo il verbo). w. 5-6. la vela scompare alla vista dopo ! aver superato un grande seoglio, nelľim- 1 prowiso cambio di vento (salto), e pare cosi inabíssarsi. w. 7-8. «Clizia ě termine di un confronto impossibile, che destituisce ogni cosa a í 032. EPOCAlo GUERRE E FASCISMO' piú fioco del tuo cuore e il cronometro se scatta senza rumore - e poi? Luce di lampo invano puô murarvi in alcunché di ricco e strano. Altro era il tuo stampo un livello diminutivos (Isella): ma c'e qualcosa di misteriosamente ambiguo in questo paragone tra il suono fioco del cannone e 1 battiti del cuore della donna, v. n. il lampo del fulmine (che rornera ne La bufera, 10-12: cfr. p. 642); ma anche il flash d'una macchina fotografica: inlinea con quello che e descrivibile. v. 12-13. citazione daila canzone di Ariele, nella Tempesta di Shakespeare (atto I, scena 2): «But doth suffer a sea-change / into something rich and srrange» (versi citati giä da Shelley, e riecheggiati; in D'Annunzio sempre con la mec ne di Shelley): «che non tolled che re lo converta in qualcosa di ricco no». II vi di mularvi ě riferito ag menti precedentemente evocati (r ro, vela, cannone, cronometro), Clizia, che ha stampo incomparabi tro) a quello di tali elememi, per q essi si trasfigurino nella fissita eter del lampo (che sara Veternita d'i< della poesia La buf era). EUGENIO MONT ALE. LE OCCASIONI Sradossalmente dominato dalľoscuritä, che fa pensare alia figura del «so-||pero>>, angosciosa immagine della malinconia molto amata dalla lettera-ýira romantica: a tal proposito Dante Isella ha ricordato un verso delle Meurs du mal di Baudelaire: «La froide cruauté de ce soleil de glace» ("La jjedda crudeltä di questo sole di ghiaccio", De profundi's clamavi, 10). E in questo scuro mezzogiorno la presenza salvifica della donna resta ignota (iigli uornini che non sanno, chiusi nella loro inconsistenza di ombre. .jIEIRO due quartine di endecasillabi, privi di rima ma folti di assonanze e quasi rime, in cm é possibile ricostruire uno schema esterno di questo tipo: ABBB AACD (ma C é le-Bato al secondo dei tre A daíľesser sdruccioli ambedue, oltre che dalľtterativitä delle o). Ti libero la fronte dai ghiaccioii che raccogliesti rraversando Fake nebulose; hai le penne lacerate dai cicloni, ti desti a soprassalti. Mezzodl: allunga nel riquadro il nespolo l'ombra nera, s'ostina in cielo un sole freddoloso; e l'altre ombre che scantonano nel vicolo non sanno che sei qui. 633 La donna che salva aetraverso i'amore Ti libero la fronte Inserito tra i Mottetti nella seconda edizione delle Occasioni, dopo essere stato composto intorno al gennaio 1940 e pubblicato poco dopo sulla rivi-sta «La Ruota», questo componimento «inaugura all'interno delle Occasioni [...] il mito della donna salutifera», che sarä piü ampiamente svilup-: pato ne La bufera e altro (Isella). E il tema del visiting angel, Tangelo visi-tatore, la poesia d'amore rivolta alia donna lontana, che trasmette il fuoco dell'amore nel gelo della distanza e che, col nome mitologico di Clizia, si identifica con l'americana Irma Brandeis, la studiosa incontrata nel i933,V che viveva ormai sul lago Ontario. II poeta immagina di ricevere la visita di questa donna-angelo, che ha attraversato in volo l'Oceano, e in un ;;e-sto affettuoso e intimo le libera la fronte dal ghiaccio che ha raccolto nel ■ volo turbato dal gelo e dal vento: le piume delle sue ali sono state lacerate I dal vorrice dei cicloni che ha attraversato (nei quali possiamo riconoscere ■ ri| un'immagine dei disastri che incombono sul mondo, in quel 1940 in cui j aveva giä avuto inizio la seconda guerra mondiale). A questa immagine delft la donna data nella prima quartina, della sfida che essa rivolge a quella distanza cosmica e alia lacerazione del mondo, succede nella seconda uno , scorcio di immobile realtä invernale, sotto la sinistra presenza di un sole I f freddoloso, dove si staglia Yombra nera di un nespolo, in un mezzogiorno v. 1. ghiaccioii: il ghiaccio Ě, assieme al ; fuoco, il principále segno distintivo di Clizia, v. 3. nebulose: gli ammassi di materia co-smíca, su cuí si proietta il volo di Clizia : (ma ce anche chi interpreta nebulose per : nuvole: Elio Gioanola); ě possibile anche che la parola alluda, per índiretta asso-ciazione, alla nebulosita di un sonno, da cui la donna stessa si risveglia (come fa supporte il successivo ti dešti). Si noti il forte enjambement tra alte e nebulose e la rima interna entro í w. 2 e 4, raccoglie-stiJdesti. v. 5. riquadro: ě io spazio vuoto dehmita-to da una finestra, o da una porta; o for-se: il settore di un terreno (distinto dai circostanti per il diverso tipo di coltiva-zione). Nella redazíone in rivista i w. 5-6 si leggevano: «Mezzodí: allunga 1'ombra nera il nespolo / nel riquadro...», v. 7. freddoloso: invernale (ě la giornata ad essere fredda, non il sole): ma 1'ossi-moro (sottolineato dali'enjambement) h rin'uheriore variante sul lean di Clizia, i cui tratti distintivi e dicotomíci sono il fuoco e il ghiaccio (come il suo cognome anagrafíco: il germanico Brandeis, da scomporre in Brand: incendio, e Eis: ghiaccio); scantonano: svoltano. Le altre ombre, che non sanno, sono quelle deglí «altri uomini che ígnorano la possibilitá di shnili eyenti* (come dichiara Monrale stesso). «E il tema delfígnoranza-esclu-sione e della íniziazione-conoscenza che oppone i "pochi" alle "orde ďuomini ca-pre" e i veggenri ai riechi* (Isella): un t ™ ma giá ben presente nella prima raccolta (ě quello degli «uomini che non si volta-no», řn Forse un mattino, o di coloro che non si curano della propria ombra, in Non chiederci la parolu).