Giovanni Pascoli PROFUO LETTER A RfO La vita La giovinezza Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mau-ro di Romagna (Forlr): il padre Ruggero, alia cui memoria il poeta dedicherä la sua prima opera, Myricae, lavorava come amministratore nella tenuta La Torre dei principi Torlonia; qui dal 1862 visse, con agiatezza, la numerosa fa-miglia (dieci figli, cinque dei quali destinati a una morte precoce). A interrompere bruscamente un'infanzia nel complesso Serena, l'assassinio del padre, che la sera del 10 agosto 1867 venne colpito a morte «nella strada del ritor-no (da Cesena a San Mauro), poco prima di arrivare a Sa-vignano» (cosi racconterä Pascoli stesso in lettera): non si e mai saputo, nonostante le ripetute indagini (alcune intra-prese dallo stesso poeta), se per ragioni di natura politica o per questioni legate al Iavoro. ! L'evento trasformd radicalmente la vita del-l'intera famiglia, che, costretta a lasciare la tenuta, si tra-sferi nella casa della madre Caterina Alloccatelli Vincenzi, nativa di San Mauro: la donna, cui il poeta dedicherä i Canti di Castelvecchio, morirä perö dopo pochi mesi, nel 1868, a soli quarant'anni, poco dopo la scomparsa della fi-glia maggiore Margherita (in precedenza erano giä morte altre due figlie). Nel 1871, anno segnato dalla morte per meningite del fratello Luigi (e qualche anno piü tardi, nel 1876, morirä di tifo anche il fratello Giacomo), Giovanni dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino, presso il quale nel 1862 aveva iniziato la propria camera scolastica; si trasferi a Rimini, dove prosegui gli studi liceali, che terrninö perö a Firenze, dopo essere tor-nato a frequentare come esterno un altro collegio dei padri Scolopi, che possono essere ritenuti i primi artefici della sua formazione classica. Grazie all'aiuto di un suo ex inse-gnante ottenne nel 1873 una borsa di studio di 600 lire che gli permise di iscriversi alia facoltä di lettere dell'Uni-542 versitä di Bologna, dove divenne allievo di Carducci e grande amico del futuro poeta e critico Severino Ferrari. Nel 1876 fu costretto a lasciare l'universitä dopo aver per-so la borsa (tra i motivi forse lo scarso impegno, ma anche l'aver partecipato qualche mese prima a una manifestazio-ne di protesta contro il ministro della Pubbhca istruzione); incominciö allora a frequentare l'ambiente socialista bolo-gnese, che lo portö ad aderire alia Prima Internazionale dei Iavoratori (guidata dall'anarchico Andrea Costa, con cui strinse amicizia) e, dopo il suo scioglimento, a un gruppo clandestino che ne continue) il progetto politico. Inizió intanto a pubblicare testi poetici su riviste (quali "Pagine sparse", "Nuovi gohardi", "Nettuno"). II 1879 fu segnato da una breve esperienza carceraria (da settembre a dicembre): Pascoli era stato infatti arrestato durante le agitazioni seguite alia condanna di un gruppo di militanti sostenitori dell'anarchico Passanante, che aveva attentato alia vita di Umberto I; fu accusato di oltraggio e grida sov-versive ma venne poi assolto, anche grazie alia testimo-nianza del maestro Carducci. Sollecitato da quest'ultimo, all'uscita di prigione decise di riprendere gli studi e nel 1882 si laureó con una tesi sul poeta greco Alceo, un sag-gio di sottile erudizione che colpi la commissione esamina-trice soprattutto per la sua qualitä letteraria. L'insegnamento e la rkostruzione dell'unitä familiäre Inizió quincli, per diretto interessamento di Carducci, il Iavoro di insegnante: a Matera dal 1882 al 1884, quindi a Massa, e infine a Livorno dal 1887 al 1895 (durante l'ulti-mo anno ottenne un distacco al Ministero, e a Roma co-nobbe e frequentó tra gli altri Gabriele D'Annunzio). A questa altezza cronologica prese il via la sua camera uni-versitaria: alia fine del 1895 ottenne infatti l'insegnamento di grammatica greca e latina a Bologna (ma Pascoli, che voleva evitare la cittä degli anni giovanili, avrebbe preferi-to Torino), nel 1898 la cattedra di letteratura latina a Messina, nel 1903 nuovamente quella di grammatica greca e Giovanni Pascoli ■ktina questa volta a Pisa, e infine nel 1905 a Bologna la cattedta di letteratura italiana che fu di Carducci (e un in-carico per l'insegnamento di lingue neolatine). 11 v , Nel frattempo Pascoli aveva chiamato a vive- te con sé, a Massa, le due sorelle Ida e Maria (Mariu), da poco uscite dal convento in cui erano entrate nel 1874 come educande. Ma nel 1895 Ida si sposô, nonostante la ge-losa opposizione del poeta, che nel matrimonio della so-rella leggeva un imperdonabile tradimento di quell'unitä familiäre spezzata dai molti lutti e che lui sentiva il dovere di ricostruire. Con la sola Mariů si trasferi allora a Castel-vecchio di Barga, in Garfagnana (Lucca), e con lei (la «so-rella-figlia» cui dedicherä i Poemetti) vivrä fino alia morte, dopo aver rinunciato a sua volta al matrimonio (sciolto nel 1896 il fidanzamento, giä reso ufficiale da uno scambio di anelli, con la cugina Imelde Morri); «viveva con la sua so-rella e col suo cane: lui, tozzo e grosso, con quel suo cap-pelluccio tondo; Guli al guinzaglio; e Mariů alia finestra che lo seguiva e aspettava nell'andare e tornare»: cosi un amico e collega di Pascoli, il critico e filologo Manara Val-gimigli, rappresentô quell'insohto e ambiguo menage familiäre. Pascoli era, come scrisse argutamente un suo amico, Orazio Bacci, «un poeta quasi inedito e quasi celebre» quando nel 1891 pubblicô la sua prima raccolta poetica, Myricae, i cui testi piú antíchi risalgono al periodo bolognese. Nella casa di Castelvecchio, oggi sede dell'Archivio Pascoli, il visitatore puô vedere i tre leggendari tavolini, simboli-ca dimostrazione, pur nella riduttivitä delľaneddoto, della molteplicitä di interessi che, proprio a partire da questi anni fino alia morte, videro impegnato Pascoli in piú cam-pi. Accanto al tavolo su cui veniva componendo ľopera poetica in lingua italiana, ecco quello per gli studi dante-schi raccolti nei tre volumi Minerva oscura, Sotto il velame e La Mirabile Visione, usciti rispettivamente nel 1898, 1900 e 1902, in cui Pascoli analizza l'opera deU'Alighieri con gli strumenti della critica esoterica (di impianto misti-co-teologico), alia ricerca di quei significati nascosti che soli consentirebbero una lettura unitaria e compatta della Commeiia (con il primo saggio Pascoli concorrerä, senza successo, al Premio Reale dell'Accademia dei Lincei). II terzo tavolo ě quello destinato alia produzione poetica in latino: nel 1892 Pascoli vinse con ü poemetto Veianus il Certamen Hoeufftianum (dal nome di un importante clas-sicista olandese), un concorso cui continuerä a partecipare con quasi annuale regolaritä, presentando un totale di 30 componimenti e ottenendo in tutto 13 vittorie (e numero-se segnalazioni di merito). Gli ultimi anni Nel novembre del 1911, durante la campagna di Libia, Pascoli pronunciô al teatro di Barga un appassionato di-scorso, di impronta nazionalista, imperialista e populista {La grande Vroletaria si e mossa), che ottenne una notevole risonanza nei giornali dell'epoca. Nella guerra colonialista africana il poeta leggeva la dimostrazione della forza del-ľltalia (la «grande Proletaria» appunto), che in quell'occa-sione poteva finalmente conciliare le diverse regioni e clas-si sociali per la realizzazione di quella che a Pascoli, come a molti intellettuali dell'epoca infiammati dal nazionali-smo, sembrava una capitale prova di crescita politica e pa-triottica. U 6 aprile 1912, poche settimane dopo aver avuto notizia di una nuova vittoria al concorso olandese, mori a Bologna, dove era stato trasferito su indicazione dei medici per j'aggravarsi della malattia che ľaveva colpito (un tumore al fegato, ma da anni soffriva di una forma di cirrosi). Venne sepolto a Castelvecchio. La complessitá d'intreccio dell'opera poetica Una lunga tradizione critica, molto díffusa anche nella scuola, per un certo tratto di strada ha fatto emergere nel-ľinterpretazione pascoliana quasi esclusivamente la com-ponente autobiografica e la sua proiezione in alcuni temi e simboli ricorrenti, e con ciô ha corso il rischio di semplifi-care quella complessitä che nella poesia di Pascoli non sólo ŕnveste il piano ideologico e specialmente quello dei lin-guaggio (luogo privilegiato di innovazíoní e sperimenta-zioni), ma riguarda anche ľuso delle fonti e il confronto con la tradizione letteraria. Infatti, alľingenuitä anche esistenziale che caratterizza in apparenza il personaggio Pascoli, si oppone una notevole complessitä di costruzione riconoscíbile sia nella filigrána della sua opera, sia, in un certo senso, nella sua biografia: ľimmagine che Pascoli volle dare di sé, anche quella filtra- ta dalla testimonianza della sorella Mariü (sua biografa ufficiale), risponde alla scelta di fare di se stesso l'incarnazio-ne dei suoi principi poetici, offrendo lo spettacolo ideale di una vita isolata, fatta di studio e creazione, aU'interno dei rassicurante nido familiäre. E solo in una lettura nel segno della molteplicitä interpre-tativa che le soluzioni poetiche pascoliane si arricchiscono di significato: la ripetitivitä di temi, motivi e siruazioni, uno dei suoi tratti distintivi che molto contribuiscono alla creazione di una rete di rimandi interni fra raccolta e raccolta, per esempio, non appare piü solo come un filo che accompagna il lettore attraverso la sua opera, ma (come ha di recente dimostrato la studiosa Marina Marcolini) si rivela, alla luce delle letture d'argomento antropologico e di scienza delle religioni fatte da Pascoli, come un «corol-lario della fondamentale identificazione tra poesia e mi- 343 1267305^ ^07248160^37 Dal realismo al suubousmo to»; un'identificazione espressa in piů luoghi dal poeta in-teressato al recupero deglí archetipi collettivi ehe ľuma-nitá ha saputo esprimere nella tradizione mitica, Juogo per eccellenza della formularita tematica, oltre che espressiva. L'indagine crítí- ca, arricchitasi in questi ultimi anni di interventi decisivi, ha dimostrato come per un'interpretazione che sappia co-gliere la ricchezza di significati della poesia pascoliana sia necessaria innanzitutto la consapevolezza che ci si muove all'interno di un "macrotesto", cioě di un insieme unitario, dove il luogo occupato da una raccolta e da un singolo componimento ě il risultato non solo, come si vedra, di un lungo lavoro di revisione struttnrale, ma anche di una pro-gettualitá poetica complessiva che, nella diversita dei registri, dei generi e dei temi di volta in volta scelti, mira a ot-tenere un solido intreccio di fili differenti. SuU'interpreta-zione di una poesia si riverbera necessariamente il suono e il significato di un altro těsto, di un'altra raccolta, magari coeva, forse anche temporalmente distante. Un intreccio ehe l'indagine filologica condotta sulle singole raccolte e sulla loro genesi ed evoluzione sta arricchendo di nuove conoscenze, poiché porta alia luce il metodo correttorio del poeta, ehe, dopo ogni nuovo inserimento o riorganiz-zazione, torna a lavorare anche sugli altri testi. Lopera di Pascoli ě segnata da quella ehe si potrebbe chiamare una sostanziale sincronia; impossibile infatti in-dividuare lungo Passe cronologico delle varie raccolte e, per alcune di esse, delle varie edizioni, uno sviluppo. Se ě vero che alcuni temi si affacciano piú tardi di altri (per esempio quello dei lutti familiari fa la sua comparsa nei primi anni novanta), per lo piú si assiste a una sovrapposi-zione di motivi e soluzioni formali che costituiscono un continuo reciproco richiamo: le date Stesse di composizio-ne dei singoli testi nelle differenti raccolte finiscono per intrecciarsi fra loro. Questa sostanziale sincronia di com-posizione ma anche di rielaborazíone spiega perché ogni opera presenti, accanto a tratti distintivi, echi comuni, per cui, per esempio, nel tono epico di una raccolta ricono-sciamo i tratti idillici di un'altra, in una sorta di rapporto dialogico fra i testi. Puô essere un segnale esplicito di questo ripassare per gli stessi luoghi anche il legame che Pascoh ha reso evidente tra le sei diverse raccolte accomunate da un'epigrafe che proviene dalla medesima fonte. Vincipit della quarta Buco-lica di Vírgilio, «Sicelides Musae, paulo maiora canamus. / Non omneš arbusta iuvant humilesque myricae» (O Muse di Sicília, eleviamo il nostro canto. Non a tutti píacciono gli arbusti e le umili tamerici) offre infatti lo spunto per le epigrafi di Myricae e Canti di Castelvecchio («arbusta iuvant humilesque myricae»), Poemi conviviali («Non omneš arbusta iuvant»), Primi poemetti e Nuovi poemetti («Paulo maiora»), Oii e inni («Canamus»). La diversitä dei frammenti di volta in volta isolati dai due versi virgilia-ni permette pero al poeta di sottolineare, nella trama co-mune, la differenza di genere e registra delle raccolte. 344 La centralitä di Myricae La prima raccolta, Myricae ( per un'analisi approfondita cfr. Uopera, pp. 350-351), accompagna il poeta lungo quasi tutta la sua vita, dal 1891, data della prima pubblicazio-ne, fino al 1900 (cui risale 1'edizione definitiva). Indiscussa ě la sua centralitä nella produzione di Pascoh, insieme ai Poemetti e ai Canti di Castelvecchio, cui Myricae ě stretla-mentě legata, persino, come si ě visto, nella scelta delle epigrafi. II titolo ě un'immediata dichiarazione di poetica e ri-vela la precisa scelta del basso, delľumile, della quotidia-nitä della vita bucolica. Gli elementi di questa tealtä pero, colti e descritti con una precisione che ě anche lessicale (come dimostra ľuso di tecnicismi e forme regionali), non vengono dati come parte di un bozzetto naturalistico, ma sono portati in primo piano, quasi isolati dal loro contesto, e dunque investití di una valenza simbolica. H simbolismo pascoliano, in cui sono riconoscibili modelli precisi (si veda oltre), assume tratti origináli in quanto il poeta, innovativamente, associa alia trasformazione di un oggetto in simbolo il ricorso a una lingua i cui valori fonici e ritmici vengono a loro volta sfruttati in chiave simbolica. I temi che incontriamo in questa raccolta sono quelli piú cari a Pascoli: il tema della morte, con il reiterato riferi-mento ai lutti familiari; del nido distrutto; di una nátura benevola e riappacificatrice; dell'infanzia come momenta sereno, ma anche come rifugio, come simbolo di una re-gressione che porta l'adulto verso un inizio, un nulla che puô coincidere con la morte stessa. Canti di Castelvecchio: continuity e divergenze rispetto a Myricae La critica ha da sempře riconosciuto una forte continuity tra Myricae e i Canti di Castelvecchio, testimonianza del passaggio dalla campagna romagnola alia Garfagnana dove Pascoli si trasferi e visse fino alla morte in compagnia della sorella Mariu. La raccolta, dedicata alia madre, usci in prima edizíone nel 1903 a Bologna, presso ZanicheLU, e fu se-guita, trascorsi pochi mesi, da una nuova edizione con ľag-giunta, dopo che alcuni lettori si erano lamentati per l'o-scurita lessicale di talune poesie, di un glossario finále di forme regionali propne della Garfagnana: da accia («lino o canapa filata in matassaw) a zeppola («bietta», cuneo di le-gno). II lavoro di revisione venne completato nella succes-siva edizione uscita nel 1905, cui seguirono altre ristampe nel 1907, 1910 e (postuma) 1912 (che vede 1'inserimento, per volontä della sorella, di altri tre componimenri). La maggior parte dei testi risulta composta in contiguitä con le poesie di Myricae, tra il 1899 e il 1902: nel permane-re della linea poetica, che continua a prediligere ľumiltä della vita della campagna e l'individuazione del sublime nel microcosmo, il cambiamento piú evidente riguarda la scelta di un respiro poetico piú ampio che affianca alia liti-citä di Myricae una narrativitä piú distesa. Ne ě riprova la stessa scelta del titolo «Canti», da leggersi anche come omaggio a Leopardi cui lo awicina la predilezione per il tema della memoria e del rapporto tra ľuomo e la nátura GlOVANNl PASCOU (oltre che una sorta di proiezione autobiografica nelLinfe-licíta giovanile del poeta recanatese). I testi sono piú lunghi, i metrí scelti sono per lo piú diversi dai precedenti e quelli comuni presentano fořti variazioni. Si attenua il frammentismo che caratterizza la modalita di rappresentazione del mondo della nátura del primo volume: 1'intera raccolta si struttura come una sorta di "ro-manzo lirico", organizzato intorno al ciclo delle stagioni. Ne parla lo stesso Pascoli in una lettera del 1902: «Prima emozioni, sensazíoní, affetti ďinverno, poi di primavera, poí ďestate, poi ďautunno, poi ancora un po' ďinverno mistico, poi un po' di primavera triste, e finis». In realtá -come ha messo in rilievo il critico Giuseppe Nava - nella raccolta si va, cíclicamente, «da autunno ad autunno», se-guendo finche, anch'io > chio). Vi e poi in Pascoli una sperimentazione "dopo" la grammatica, che si realizza nell'uso di linguaggi speciali, tecnici o gergali, che vanno appunto oltre la norma linguistica, e si spinge fino all'utihzzo di una struttura grammatical "diversa", rappresentata dal latino. All'interno di questa sperimentazione incontriamo il dialetto, le kngue speciali, un lessico per pochi, o perche tecnico o perche alto; le forme letterarie come «aulente», «desio», «albori»; i latinismi quali «glaueo», «nembo», «procella»; il lessico speciale come «faggete», «abetine», «elitre»... Se nessuno dei fe-nomeni sopra elencati e in se nuovo (in particolare nella poesia simbolista francese e italiana), la novitä che fa di Pascoli un vero rivoluzionario e la compresenza di tali scelte, Sul piano sintattico risulta evidente la predilezione della paratassi, per lo piü per asindeto; altra caratteristica e l'an-damento spezzato del periodo, interrotto da frequenti in-cisi, o segnato da inversioni e prolessi. Si e detto che lo sguardo del poeta (o del fanciullino) si sofferma non sul tutto, ma sulla parte: la veritä colta dal suo sguardo si traduce dunque, sul piano dell'espressione, in una forma a sua volta frammentaria, impressionistica, ellittica, che precede per aecostamenti di sintagmi e per analogie, ricorrendo a una lingua che sappia magicamente aderire alia cosa. La sperimentazione metrica II livello metrico e nella poesia pascoliana oggetto di un'ef-ficace sperimentazione con esiti che hanno lasciato una traccia importante nella poesia successiva. Grande e innanzitutto 1 attenzione rivolta dal poeta alle soluzioni ritmiche, che trova singulare espressione nel ri-corso a quello che, sulla scorta delle analisi di Bigi e Pazza-glia, viene definito il "doppio ritmo" pascoliano: da una parte il ritmo apparente del verso prescelto, dall'altra il ritmo "riflesso" che infrange la norma metrica mediante dia-lefi, enjambements, cesure forti, dislocazioni, accenti in posizione insolita. Lncisi, versi franri o che travalicano la giusta misura, arri-vano a nascondere la rima, «spesso celata o inclusa in una scansione ritmica che non coincide piü con il metro» (Bec-caria). Si tratta insomma di un ritmo che scardina lo schema normativo dell'unitä metrica per cogliere la voce della realtä profonda, come volesse riprodurre il balbettio del fanciutlo che solo e capace di cogliere la veritä nascosta delle cose. Sempre a livello ritmico, Pascoli e inoltre attento alia ricer-ca di simmetrie e regolaritä, ottenute, per esempio, utiliz- Giovanni Pascou zando una cadenza per i versi pari e una per quelli dispari, oppure alternando versi di differente misura ma con un niedesimo andamento ritmico (per esempio un decasillabo Jj 3" e 6" e un novenario di 2a e 5a, che dunque ha lo stes-so ritmo del precedente, tolta la sillaba iniziale). L'altro ambito in cui si esercita la sperimentazione pasco-liana ě quello della scelta delle forme metriche (per le quali Lmportanti risultano gli studi di Mengaldo): originale ě in Pascoli l'utilizzo del novenario, che si infittisce nei Canti di Castelvecchio, un verso marginale nella tradizione precedente (ma giä utilizzato da Carducci), che nella poesia pascoliana risulta variamente combinato (novenari allorit-mici o associati ad altre misure) con differenti effetti melo-dici che risolvono la rigidita cantilenante che gli ě propria. Ma ľaspetto per čerti versi piů innovativo ě rappresentato dalla compresenza defľomaggio alia tradizione e delia rot-tura sperimentale. Pascoli ricorre ai metri tradizionalí ap-portandovi significative variazioni ehe introducono continue eccezioni e possono giungere fino al camuffamento delle forme Stesse. II sonetto minore caudato, per esempio, viene nascosto da una disposizione dissimulante (nel-lo schema abab abab cdd dccc4 eeí; la struttura del madrigale viene rovesciata (la sequenza aba ebe dede diviene abab ede ede); la strofa saffica viene utilizzata nella forma rimata; la terzina, forma aperta per eccellenza, ě riportata alla misura chiusa della strofa, cosi come accade spesso al-ľendecasillabo sciolto. Anche uno dei lasciti pascoliani piú significativi, ľuso della rima ipermetra, ě un chiaro esempio di questo essere dentro e insieme fuori della tradizione: ľipermetria infatti infrange si la struttura metrica ma per rientrare subito nel verso successivo, dove tutto ě riportato all'ordine (cfr. per esempio, i w. 21-22 del Gehomino notturno, p. 369, dove ľipermetria viene recuperata grazie alla sinalefe tra la sillaba finale di «petali» e «un» nel verso seguente). Si ě giä detto ehe nella poesia di Pascoli la trasformazione di un oggetto in simbolo si accompagna innovativamente aľľutilizzo in chiave simbolica degU stessi valori fonici e ritmici della lingua: da qui la frequenza delle soluzioni fo-nosimboliche e, nella struttura dei componimenti, il erear-si di una continuity che estende, come ha dimostrato Bec-caria, alľintera hrica la «sostanza sonora di una parola-te-ma», determinando una sorta di «orchestrazione fonica non referenziale» dove ě lo spunto di un suono iniziale a determinare le scelte lessicali successive. La mitizzazione dei temi biografíci Molti dei motivi ehe attraversano la produzione di Pascoli, quello delia siepe, del nido, della famiglia, delľorfano, del- la vergme, del lutto, del sogno, della solitudine, delľeroti-smo negato o dissimulato (per aleuni dei quali rinviamo al-le Analisi dei testi) sono immediatamente leggibili in chiave autobiografica. Qui ei interessa sottolineare come il poeta abbia saputo trasformare questi elementi, attinti alla propria biografia, in simboli, in quelle immagini archetipi-che ehe hanno giä trovato voce nei miti e ora la trovano nella poesia, facendo loro assumere un significato "altro" da quello individuale, immediato e contingente. Ciô ehe é nato alľinterno della recinzione delľio pud di-ventare čosi eterno e collettivo; se la poesia prende spunto dagli oggetti ehe inerociano lo sguardo del poeta, questi ultimi subiscono poi un processo di mitizzazione ehe li rende simboli universali: esemplare quanto accade, per esempio, nella poesia II lampo (cfr. p. 359), dove ľoccasio-ne iniziale (ľagónia del padre) viene intenzionalmente ta-ciuta perché ľimmagine si trasformi in un simbolo esisten-ziale. Accanto alla ricerca dei légami misteriosi tra le cose, del segreto del mondo ehe si nascon-de al di sotto della realtä apparente, un aspetto ehe svela a noi lettori ďoggi la modemitä di Pascoli é quello ehe vede in lui ľiniziatore di una tradizione poetica ehe giunge ai nostri giorni. Gli stessi poeti ehe di un Pascoli per molti aspetti immerso nel clima culturale deľľOttocento non potevano certo amare ľinsistito ripiegamento sulle proprie sventure biografiche, o talune convinzioni politiche (tra nazionalismo e imperialismo), o il forte spazio concesso al-ľemozione quale momento ďawio delľespressione poetica, fanno della sua poesia, nonostante tutto questo, un modello operante nei propri testi. Giä Pasolini, nel 1955, aveva individuato con precisione una linea di discendenza (ma si potrebbe anche dire ehe i successori hanno gettato a ritroso luce chiarificatrice sul-ľopera del loro preeursore: «Senza Montale non capirem-mo Pascoli» postilla lo stesso Pasolini) ehe va dai erepu-scolari, ehe con Pascoli condividono la scelta del parlato e delle umili cose delia quotidianitä, a Sbarbaro, a Saba, per la violenza espressiva, a Govoni, per la scelta comune del-ľimpressionismo, a Ungaretti, per il procedere analogico, alľermetismo, ehe condivide aleuni tratti della poetica del fanciullino, fino a Montale, neľľuso di taluni «moduli co-struttivi e lessicali pascoliani» (Mengaldo) e per la poetica degli oggetti. E piii in generale, ha lasciato sieuramente traccia, al di lä dei riscontri testuali, 1a concezione della poesia come «una forma di conoseenza ehe aveva nella vitá piú profonda del soggetto, ossia nella sua vita emozio-nale, le proprie radici» (Curi), 349 IIIIII Giovanni Pascou Myricae II titolo II titolo delia prima raccolta poetica pubblicata da Pascoli, ricavato (come si é detto piú volte) da un verso delia quar-ta egloga di Virgilio («arbusta iuvant humilesque myricae*: piacciono gli arbusti e le umili tamerici), é carico non solo di valore simbolico, volendo rappresentare gli aspetti piú semplici, propri dell'umile mondo bucolico, ma anche affettivo. Spiegando il titolo in una lettera del settembre del 1892 alľamico Pietro Guidi, Pascoli infatti ricorda ehe le tamerici abbondano nella natia San Mauro, cosi come nella prefazione ai Canti di Castelvecchio (un'o-pera ehe va letta in continuitä con la prima raccolta) par-lerä delle proprie poesie come di tamerici ehe si augura fioriscano intorno alia tomba delia madre. Dati compositivi ed editoriali Lunga e complessa la storia delia raccolta, ehe, tra il 1891 e la versione definitíva del 1900, ha visto ben cinque edi-zioni, in cui si registra il progressivo inserimento di nuovi componimenti, il cambiamento nell'ordine dei testi e dun-que delia struttura generale, oltre ehe una serie di varianti testuali. La prima edizione, un esile libretto stampato in occasione del matrimonio dell'amico Raffaello Marcovigi, esce a Li-vorno da Giusti nel 1891, in 100 copie, e raccoglie solo 22 poesie (quelle di data piú alta risalgono agli anni bologne-si), giä edite in rivista. Ľanno successivo esce una seconda edizione ehe porta a 72 i componimenti: si articola in due sezioni, ľuna di so-netti incentrati sul terna delľinfanzia e delia famiglia, ľal-tra di madrigali ďargomento agreste. Vi compare la dediča «a Ruggiero Pascoli mio padre» e aleuni frammenti del poemetto in terzine II giomo dei morti, ehe, nella sua inte-350 grŕtä, aprirä la raccolta a partire dalla successiva edizione, la terza, del 1894. Proprio la terza edizione presenta una nuova e definitiva prefazione, e vede passare a dodici le sezioni in cui sono distribuiti i testi (saliti a 116). Come serive Giuseppe Nava, ľautorevole studioso cui si deve nel 1974 ľedizione critica dell'opera, Myricae rappre-senta nelle prime edizioni «una raccolta mobile, un work in progress [lavoro in corso], continuamente modificato non soltanto nel numero dei microtesti ma anche, e so-prattutto, nella struttura del macrotesto, nella sua fisiono-mia». E del 1897 la quarta edizione, ormai molto vicina alia definitiva (con 152 componimenti e una suddivisione in 15 sezioni), ma solo con la quinta edizione del 1900 si giunge al totale complessivo di 156 testi, articolati in 15 sezioni, in-tervallate da «liriche ponte» (Nava) e precedute dal poemetto iniziale II giorno dei morti, posto prima del titolo. Nelle stampe successive, rispettivamente del 1903, 1905, 1908 e 1911, non si registrano altri cambiamenti nel numero delle poesie né variazioni di ordinamento; nella sesta edizione (1903) h importante ľaggiunta delia nota in cui il poeta informa sulle date di composizione e di pubblicazio-ne dei testi (notevole anche la versione in dialetto ladino della poesia Orfano). ľarchitettura 5TRUTTURALE e le s celte tematiche Accanto al principále criterio organizzativo rappresentato dalle scelte metriche (per cui cfr. piú oltre), giä i titoli delle quindici sezioni (nell'ordine: Ľalľalba al tramonto, Ri-cordi, Pensieri, Creature, Le pene del poeta, Ľultima passeg-giata, Le gioie del poeta, Vinestra illuminata, Elégie, In campagna, Primavera, Dolcezv, Tristezze, Tramonti, Albert e fiori) suggeriscono la presenza di una struttura determi- Gtovanni Pascoli nata da forti e riconoscibili légami tematici: tra la seconda e la terza sezione {Ricordi e Pensieri), la quinta e la settima (Le pe"e e Le gioie dei poeta), la deeima e la quindicesima [In campagna e Alberi e fiorí), la dodicesima e la tredicesi-jna (Dolceue e Tristaze). La raccolta, che presenta elementi tematici che, come si é visto, segneranno tutta l'opera di Pascoli, é attraversata in particolare da un vasto repertorio di immagini e situazioni che per lo piú appartengono alla biografia dei poeta e al mondo della campagna. II dato biografíco e quello natura -listico vengono perö sottopostí a un processo di trasfor-mazione che Ii carica di sovrasenso simbolico, tramutando un'occasione individuale in una vicenda universale. Cosi nella rappresentazione di quadri naturali lo sguardo dei poeta si concentra volentieri su un particolare minimo, in cui pero é possibile riconoscere il tutto, poíché, come si legge nella giä citata prosa dei Fanciullino (elaborata, ri-cordiamolo, dal 1897 al 1907), il macrocosmo si riflette nel microcosmo e nell'umile oggetto della quotidianitä si puö incontrare il sublime. Lo sfondo su cui si staglia il particolare é destinato invece a rimanere sfumato, indefi-nito, anche grazie a precise scelte formali come, per esem-pio, il ricorso all'mdeterminatezza di sintagmi poetici quali «nero di nubi», «soffi di lampi»; in questo modo l'oggetto, nel suo isolamento, si carica di una valenza simbofica ed evocativa che, riuscendo a convivere con la preeisione realistka della rappresentazione, si fa allusiva della soggetti-vitä dei poeta. Fra i temi piú ricorrenti, tanto insistiti da essere persino ossessivi, quelli della memoria volontaria (in un trascorre-re continuo tra passato e presente); dei nido, simbolo di una sicurezza spesso minacciata; della siepe, elemento che isola e protegge dal male, dal dolore e dalľintrusione di elementi ostili; della riflessione sulla stessa poesia, unica forma di consolazione e rifugio; dei morti, spesso "incon-trati" in situazioni oniriche e visionarie (motivo tematico che si insedia con progressiva chiarezza e stabilita nella poesia di Pascoli fino a diventare centrale, e che ritrovere-mo molto spesso nella poesia novecentesca, da Montale agli ermeüci e oltre). Nella prefazione dei 1894 Pascoli, ri-chiamata l'attenzione dei lettore su quest'ultimo aspetto, rappresenta la morte come un'esperienza che deve spinge-re, paradossalmente, a riflettere sulla bellezza della vita. Se quest'ultima appare segnata dalla sofferenza - spiega il poeta - é solo perché ľuomo ľha rovinatá, mentre la natura, considerata «madre dolcissima», in poleixiica con Leo-pardi, «sa quello che fa, e ci vuol bene». La forma oell'espressione: simbolismo e sper1mentalismo metrico Lo Stile decisamente nuovo di Myricae é segnato dal ricorso in chiave simbolica al fonosimbolismo e alľonomato-pea, che rivelano la conrinua ricerca-illusione di una per-fetta adesione della parola alle cose (cfr. a p. 348 il riferi-mento all'analisi linguistica compiuta da Contrni). La novitä di Myricae investe anche il piano lessicale, se- gnato dalla polisemia tipica della poesia simbolista. II valore simbolico dei testi ě inoltre rafforzato dalľuso frequen-te di un lessico teenico che, da una parte, risponde a un'e-sigenza di preeisione (in opposizione alla generická che Pascoli rimprovera, per esempio, al leopardiano «mazzoli-no di rose e viole», cfr. p. 376), dall'altra, grazie alla sua estraneitä alle forme correnü, contribuisce a creare un ef-fetto evocativo. Decisamente minoritarie le scelte "alte", i latinismi («aureo», «divo», «pampineo»,..), le forme lette-rarie («eilestro», «mirare», «oblio»...), le forme sincopate («opra»), la prima persona dell'imperfetto in -a, le prepo-sizioni doppie («in sul»): forme che sono si presenti, ma che Pascoli stesso andö eliminando, come dimostra il lavoro correttorio (visibile neľľedizione critica di Nava). Sul piano sintattico risulta nettamente prevalente la scelta della paratassi e di uno Stile nominale che, con la frequen-te abolizione dei verbo della principále, conferisce rilievo proprio ai nomi (si ricordi che al fanciullino-poeta ě asse-gnato appunto il compito di "rinominare" il reale). I nessi logici figurano per altro spesso allentati in un discorso che procede per analogie, Lo modo frammentario e impressio-nistico, con il ricorso alle sinestesie, care ai simbolisti, do-ve a costituire un tessuto unitario sono piuttosto i continui legami fonici (allitterazioni, consonanze ecc). Pascoli rinuncia frequentemente alla corrispondenza tra metro e sintassi, grazie a un uso intenso dell'interpunzio-ne, AtW'enjambement, della tmesi, della cesura: una scelta, come le precedenú, di forte rottura nei confronti della tra-dizione cui peraltro appartengono le forme metriche pre-scelte. A livello metrico, principále elemento organizzatore della raccolta, incontriamo, come ha messo in luce Pier Vincen-zo Mengaldo, una molteplicitä di strutture, tutte apparte-nenti alla tradizione letteraria: sonetti, ballate, madrigali, strofe saffiche, strofe di senari, ottonari, novenari o ende-casillabi, terzine di settenari e di endeeasiüabi, quartine di endecasillabi e di decasillabi e novenari alternati, ottave di endecasillabi. Ciascuna di queste forme, su cui si esercita la forza innovativa della sperimentazione metrica pascolia-na (cfr. su questo aspetto piú generale pp. 348-349), risulta dominante e/o esclusiva in una sezione secondo un preci-so progetto di corrispondenze e distribuzioni: incontriamo cosi (secondo il censimento operato da Mengaldo) tutte le combinazioni di versi brevi nella prima sezione; sonetti nella seconda; strofe saffiche nella terza; ottave, nella forma dello strambotto, nella quarta; madrigali nella quinta e nella sesta; ballate piecole nella settima; madrigali nell'ot-tava; quartine di decasillabi e novenari nella nona; un'an-tologia delle varie forme metriche nella deeima; ancora sonetti nell'undicesima; strambotti e sonetti nella dodicesima; forme varie nella tredicesima; quartine di novenari nella quattordicesima; saffiche nella quindicesima. Dun-que, grande varieta di metri, con notevoli innovazioni e variazioni interne (perciö si park per Pascoli di "speri-mentalismo metrico"), e altrettanto rigore e scrupolo nella distribuzione dentro la raccolta. 351 2573608257 Dal realiSmo al simbolismo Giovanni Pascou Aľora Da Myricae Pascoli in questa breve poesia, ricorrendo a una messa a fuoco progressiva che da un generico «Allora» passa a «Quell'anno», quindi a «Un giorno» per concludere con «Un punto», da una parte denuncia l'irrimediabile fugacitä dei momenti felici, dall'altra sembra voler sottolineare il valore consolatorio della memoria che per-mette di consen/are in sé la felicitá di un momento. La poesia fu pubblicata sul "Marzocco" nel 1896; inserita nella quarta edizione di Myricae, appartiene alia sezione Dalľalba al tramonto. Allora... in un tempo assai lunge felice fui molto; non ora: ma quanta dolcezza mi giunge da tanta dolcezza d'allora! Quell'anno! per anni chepoi fuggirono, che fuggiranno, non puoi, mio pensiero, non puoi, portare con te, die quell'anno! Un giorno fu quello, ch'e senza compagno, ch e senza ritorno; la vita fu vana parvenza si prima si dopo quel giorno! Un punto!... cosi passeggero, cfie in vero passo non raggtunto, ma bello cosi, che molto ero felice, felice, quel punto! Metro Quartinedinovenaria nmaaltemata, second, lo schema abab; in ogni strofa la parola finale nprende quella di inizio. 1 lunge "lontano". Anausi del Testo iL TEMA DELLA MEMORIA Le scelte retoriche Lopera pascoliana e attraversata dal tema della memoria, in cui addirittura si identifica la poesia stessa, secondo quanto si legge nella prefazione, datata 1897, ai Poemetti; «H ricordo e poesia, e la poesia non e se non ricordo». Alia memoria, in particolare, viene affidato da Pascoli il compito di garantire la continuitä tra i morti e i vivi, tra il passato, cui i defunti ormai appartengono, e il pre-sente di chi e ancora in vita: una continuitä che sola sembra in grado di attenuare il dolore dell'esi-stenza. In questa lirica e chiamata a rivestire una funzione consolatoria, in quanto il poeta riesce a mettere a fuoco, in un progressivo restringimento di campo, un raro momento di gioia che, anche solo nel ricordo, gli dona serenitä. (Altrove la memoria sarä destinata a colorarsi di tonalitä negative, poiche il ricordo che si spinge fino all'infanzia rivela un passato che non da consolazione, anzi svela le tracce della prima ferita, 1'inizio di una soffetenza che si estende all'etä adulta.) Si tratta di una dellepoesie retoricamente piü costruite della raccolta. II primo segnale in questa direzione e quello offertoci dalla stessa circolaritä delle singole strofe che si aprono e chiudono con la medesima espressione: Allora / d'allora; Quell'anno / quell'anno; Un giorno I quel giorno; Un punto I quel punto. Si tratta delle quattro parole chiave che ricondu-cono alia brevitä di un fuggevole attimo 1'esperienza della felicitä. Le altre figure retoriche riconoscibili nel testo sono quella deH'antitesi {Allora / ora / allora; fuggirono I fuggiranno; prima I dopo), del patallelismo (quanta dolcezza J tanta dolcezza; che I che; ch'e senza compagno / ch'e senza ritorno; si/ si), della ripetizione {non puoi [..,] non puoi; felice, felice). 352 Lavandare getro Madrigak con rime ABACBCDEDE.Sinott che la rima D [frasca: nmasta) č una rima non perfecta, adottata da Pascoli pet una volontä di allusione anche metrics alia poesia popolare, qui rappresentata dai due srornelli. 1 mezzo grigio e mezzo nero la meta grigia é quella non ancora arata, mentre la metá giä arata ě nera. 4 gora "canale" (di mulino o cJ'ir-rigazione). 5 lo sciabordare il rumore dei panni battuti con forza nell'acqua. 7 nevica la frasca "cadono le fronde"; cfr. lo stornello, che reca I'equivalehte marchigiano «neve-ga Ii frunna». 10 maggese campo lavorato in maggio e lasciato poi a riposo, cioé non seminato, fino alľautunno o addirittura fino alľanno seguente. II poeta ascolta il canto di un gruppo di lavandaie al lavoro: un canto triste, che accen-na a una situazione di abbandono e solitudine la quale sembra trovare corrispondenza nello spoglio paesaggio autunnale e soprattutto nell'aratro dimenticato in mezzo alia campagna. Nava ha osservato che la quartina finale ha una fonte precisa in due stor-nelli raccolti in Qanti popolari marchigiani, a cura di A. Gianandrea (1875): «Retorna, Amore mie, se ci hai speranza, / per te la vita mia fa penetenza! /Tira lu viente, e neve-ga li frunna, / de qua ha da rveni fideli amante»; e «Quando ch'io mi partii dal mio paese, / povera beila mia, come rimase! / Come I'aratro in mezzo alia maggese». La poesia, inserita nella terza edizione di Myricae, appartiene alia sezione L'ultima pas-seggiata. Nel campo mezzo grigio e mezzo nero testa tin aratro senza buoi, che pare dimenticato, tta il vapor leggeto. E cadenzato dalla gora viene 10 sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: 11 vento soffia e nevica la frasca, e tu non tomi ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come I'aratro in mezzo alia maggese. RlFERIMENTI E CONFRONT! Le prime fasi della composizione di Lavandare Uedizione ctitica dí Myricae curata da Nava, 1) mostrandoci le vatie fasi della composizione di .................................................fitrme ogni poesia, consente di individuare gli elemen- ............................................maggese ú tematici, immaginativi, linguistici che ne han- ................................................brume no determinato piú di altri la nascita. Ecco per- ...................................................nero ché riproduciamo qui (prendendolo appunto dalFedizione ctitica) un foglío autografo pasco-liano che testimonia le prime fasi della composizione di Lavandare, Esso contiene, nefforcline: 1) quattro parole-ri-ma, soltanto due delle quali saranno poi utiliz-zate nella poesia («maggese» e «nero»); 2) un abbozzo dei prirni due versi e mezzo; 3) parole 2) C'ě presso il fiume un campo mezzo bruno nero e mezzo grigio: e c'ě un aratro; e pare abbandonato..................................................... 3) uua utilizzate ai w. 4-6; 4) una stesuta della ...........................................■■.....viene poesia, articolata in tre momenti: a. i pritni sei ..........................................lavandare versi, b. i w. 7-10, c. il rifacimento dei w. 7-10.............................................cantilene 353 Dal realismo al smbolismo 4) II campo E presso il fiume un campo mezzo nero e mezzo grigio; e v e un aratro e pare senza bovi dimentieato tra il fumar leggiero triste de la nebbietta, e giu dal fiume viene 10 sciabordare de le lavandare e.............de le cantilene. Cantano: E si parti dalmio paese, 11 vento soffia e nevica lafoglia. 10 faccio la ragazza montagnola da che partisti dal mio paese: come.....e.....son rimasta sola come l'aratro in mezzo 11 vento soffia e nevica la frasca: quando ritornerai nel tuo paese? Quando partisti, come son rimasta! Come l'aratro in mezzo alia maggese Notiamo che, pur nella prowisorieta di questi primissimi abbozzi incompleti, il v. 5 («lo sciabordare delle lavandare*) nasce gia nella sua forma definitiva dalla parola-rima. Nella stesura finale, cadra il verso «Io faccio la ragazza montagnola», che rimanda alia raccolta di Canti popolari marchigiani di Gianandrea e precisamente alio stornello Ho fatto la ragajxa montagnola (Nava). A livello metrico, la rima imperfetta frasca: rimasta e la spia piu evidente, ma non la sola, di una volonta di allusione anche metrica al canto popolare: nella stessa direzione si situano le rime interne dimentieato (v. }): eadenzato (v. 4) sciabordare: lavandare (v. 5) e l'identita delk vo-cale tonica nelle rime -em, -ene, -est?; e inoltre, i legami fonici fra arATro, dimenticATO, caden-zATO, sciabordAre, lavandAre e la consonanza partisti: rimasta (v. 9). Tutti questi rimandi fonici concorrono infatti a creare una serie di echi, una cadenza lenta e ripetitiva di cantilena; il tit-mo e ulteriormente rallentato dal forte enjambe-ment che isola all'inizio del v. 3 la parola chiave dimentieato e dalle cesure molto marcate dei w. 6 e 7, rilevate entrambe dal chiasmo: «con TONFI spessi e lunghe CANTILENE», «H VENTO soffia e nevica la FRASCA». Si nod poi che il calco del ritmo lento e monotono del canto popolare ha anche un valore simbolico, vuole cioe riprodurre a livello di significante il carattere iterativo e faticoso del lavoro delle la-vandaie. II passero solitario Da Mymcae tem deila sohtud.ne é qui rappresentato da un passero so.itario. di ascender eopard.ana. cul viene accostata, ,„ una lunga simi|itud|ne ^ ™ .mmagrne di isolamento, quella di una monaca prigioniera. segned aľo vo angoscoso della morte e della negazione La poesia fu Pubblicata sul settimanale »Fiammetta» „e, ,896 inserita nella quarta ed,zione di Myrice, appartiene a„a sezione