Gianfranco Contini IL LINGUAGGIO DI PASCOLI […] Pascoli o trascende il modulo di lingua che ci è noto dalla tradizione letteraria, o resta al di qua: a ogni modo, si tratti di una poesia, se così mi posso esprimere, translinguistica, si tratti di una poesia cislinguistica, siamo di fronte a un fenomeno che esorbita dalla norma. […] Riconosciamo anzitutto la presenza di onomatopee, «videvitt», «scilp», «trr trr trr terit tirit», presenza dunque di un linguaggio fonosimbolico. Questo linguaggio non ha niente a che vedere in quanto tale con la grammatica; è un linguaggio agrammaticale o pregrammaticale, estraneo alla lingua come istituto. D'altro canto incontriamo in copia termini tecnici, tecnicismi che qualche volta sono in funzione espressiva, qualche altra si presentano sotto un aspetto più nomenclatorio; rientrano in-somma sotto l'ampia etichetta che i glottologi definiscono delle lingue speciali: etichetta sotto la quale sono classificati, per esempio, i gerghi. E se si sceverano, esaminandoli più da vicino, questi campioni di lingue speciali, si constaterà che talvolta il poeta vuol riprodurre il color locale: questo in modo particolarissimo nelle poesie ispirate alla vita di Castelvecchio e sature di termini garfagnini. Se poi essi siano autentici o abusivi o inventati, è questione che fu molto dibattuta, ma che è quasi aneddotica e che in questa sede non interessa dirimere: basta la posizione di principio. Accanto al color locale si introduce quello che alcuni critici d'arte hanno chiamato color temporale: quando per esempio il Pascoli vuole alludere al tono presunto nella poesia volgare dei tempi di re Enzio, quel medioevo comunale e romanticamente folcloristico, egli ricorre a elementi linguistici che evidentemente, e sempre librescamente, associano echi bolognesi, emiliani, padani, a echi arcaici, duecenteschi. Ma a sua volta questo color locale può comporsi talora di più ingredienti: vedete l'emigrante che, tornando in Lucchesia dagli Stati Uniti, parla un linguaggio impastato di italiano e di americano, in cui il toscano incastona o, più spesso, assorbe, adattati alla sua fonetica e forniti di connessioni mnemoniche in tutto nuove, i vocaboli stranieri. È una variante del color locale. E un'altra variante è quella che vorrei chiamare color locale d'occasione: Pascoli si può dire che faccia mente locale anche linguisticamente, per esempio innanzi a una situazione della guerra d'Abissinia evocherà termini specifici, molti dei quali sono nomi proprî e perciò risultano doppiamente estranei al linguaggio quotidiano. Una consecuzione di nomi proprî che può giungere fino a stipare di sé il verso, costituito allora soltanto di questi elementi che esorbitano dall'italiano, è quanto si è sorpreso nel passo di Gog e Magog. Il vasto uso poetico dei nomi propri caratterizza quello che si classifica per estensione come parnassianesimo; e l'amore che Pascoli ha per simili stilemi, si può inscrivere sotto la definizione più generale, meno legata a un'epoca, di alessandrinismo. Parnassianesimo e alessandrinismo è ad esempio quell'abbondanza di linguaggio antiquario che è tipicissima dei Poemi Conviviali. In ogni caso dunque abbiamo a che fare con lingua speciale, entità rara, preziosa, squisita, il cui funzionamento, la cui stessa esistenza è precisamente condizionata dalla differenza di potenziale rispetto alla lingua normale. Che cosa si trova al limite? Al limite c'è una lingua che non è più quella naturale del poeta, bensì un'altra lingua, voglio dire una lingua che ha un'altra grammatica, un'altra struttura, un altro vocabolario: il latino. Ma quale latino? Si sa che Pascoli è uno dei più esperti poeti in latino dell'epoca moderna, e che il suo latino non è un linguaggio uniforme, monotono, morto, non è un centone di fossili frasi già costituite, al contrario è ricchissimo di varianti stilistiche. E l'animus è il medesimo, l'inquietudine che si fa strada all'interno del suo latino, è perfettamente comparabile a quella che rivela il suo volgare. Naturalmente qui non si può procedere a una determinazione più esatta del suo latino, e ci si dovrà accontentare di esaminare il linguaggio del Pascoli italiano, particolarmente del Pascoli poeta italiano. Tutto quello che abbiamo reperito fin qui costituisce una serie di eccezioni alla norma. Come si può interpretare un simile dato di fatto? Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell'universo si ha un'idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente molto ben determinato, in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi tra l'io e il non-io, tra l'uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti, delle frontiere precognite. Le eccezioni alla norma significheranno allora che il rapporto fra l'io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico, non è più un rapporto tradizionale. È caduta quella certezza assistita di logica che caratterizzava la nostra letteratura fino a tutto il primo romanticismo. Ma questa considerazione, per importante che sia, dev'essere sùbito differenziata. Le eccezioni di cui si discorreva, in parte sono anteriori alla grammatica: se si tratta di linguaggio fonosimbolico, per esempio di onomatopee, abbiamo a che fare con un linguaggio pregrammaticale. Ma ci sono eccezioni alla norma che, se così posso dire, si svolgono durante la grammatica, vale a dire sono esposte in una lingua provvista d'una sua struttura grammaticale parallela a quella della nostra, in un altro linguaggio; e ci sono eccezioni le quali si situano addirittura dopo la grammatica, perché, quando Pascoli estende il limite dell'italiano aggregando delle lingue speciali, annettendo poi quelle lingue specialissime che sono intessute di nomi propri, realmente ci troviamo in un luogo post-grammaticale. Mi si chiederà a questo punto: ma tutto questo è poi caratteristico di Pascoli, serve a definire lui solo? È certissimo che del linguaggio speciale e del linguaggio post-grammaticale tutto il tardo romanticismo, tutto quello che da qualche tempo si suol chiamare il decadentismo, ha fatto uso assai copioso, basti citare D'Annunzio e l'intero movimento simbolistico. D'altra parte, per ciò che è dell'eccezione onomatopeica e fonosimbolica, soccorrono alla mente, ma allora allo stato puro, esperienze come quella del futurismo o come, fuori d'Italia, quella di Dadà e poi del primo surrealismo. Però qualcosa è unico in Pascoli, cioè il fatto che egli esperisca contemporaneamente i due settori: il settore pregrammaticale e il settore grammaticale e post-grammaticale. Poeticamente il settore postgrammaticale, quello, diciamo, delle lingue speciali, era un settore molto battuto, e per esso Pascoli s'inserisce nella più frequentata cultura del suo tempo, ma per il settore pre-grammaticale no: egli è un innovatore. Le esperienze futurista, dadaista e surrealista vengono tutte dopo di lui, e se direttamente o polemicamente l'avanguardia italiana non si concepirebbe senza il suo precedente, le stesse esperienze fatte in lingua francese presuppongono il futurismo, e quindi in ultima analisi sono, sia pure mediatamente, postume all'esperienza pascoliana. Essa è radice e matrice di molta parte degli esperimenti europei. Ma ciò che è unico in Pascoli, è meno il fatto di essere stato il primo a esperire, almeno parzialmente, il linguaggio pre-grammaticale, che quello di avere messo sullo stesso piano il linguaggio a-grammaticale o pre-grammaticale e il linguaggio grammaticale e il post-grammaticale.