.- . . UNIVERSITY lovanna hroším PRESS Intorno a Boccaccio Boccaccio e dintorni 2019 STUDIE SAGGI ISSN 2704-6478 (PRINT) - ISSN 2704-5919 (ONLINE) -219- INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI II comitato scientifico ě espressione dell'Ente Nazionale Giovanni Boccaccio (www.enteboccaccio.it) Direttori Giovanna Frosini, Universita per Stranieri di Siena, Italia Stefano Zamponi, Universita di Firenze, Italia Comitato scientifico Monica Berte, Universita di Chieti-Pescara, Italia Daniela Branca, Universita di Bologna, Italia Sonia Chiodo, Universita di Firenze, Italia Carlo Delcorno, Universita di Bologna, Italia Maurizio Fiorilla, Universita di Roma Tre, Italia Stefano Mazzoni, Universita di Firenze, Italia Carla Maria Monti, Universita Cattolica del Sacro Cuore, Italia Roberta Morosini, Wake Forest University, Stati Uniti Marco Petoletti, Universita Cattolica del Sacro Cuore, Italia Natascia Tonelli, Universita di Siena, Italia Marco Veglia, Universita di Bologna, Italia Michelangelo Zaccarello, Universita di Pisa, Italia Titoli pubblicati Frosini G., Zamponi S. (a cura di), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 25 giugno 2014), 2015 Zamponi S. (a cura di), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2015. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 9 settembre 2015), 2016 Zamponi S. (a cura di), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2016. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 9 settembre 2016), 2017 Zamponi S. (a cura di), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2017. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 16 settembre 2017), 2019 Zamponi S. (a cura di), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2018. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 6-7 settembre 2018), 2020 Frosini G. (a cura di), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), 2020 Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019 Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019) a cura di Giovanna Frosini firenze university press 2020 Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019 : atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019)/ a cura di Giovanna Frosini. - Firenze : Firenze University Press, 2020. (Studi e saggi; 219) https://www.fupress.com/isbn/9788855182362 ISSN 2704-6478 (print) ISSN 2704-5919 (online) ISBN 978-88-5518-235-5 (print) ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF) ISBN 978-88-5518-237-9 (EPUB) ISBN 978-88-5518-238-6 (XML) DPI 10.36253/978-88-5518-236-2_ Graphic design: Alberto Pizarro Fernandez, LetteraMeccanica SRLs FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI https://doi.org/10.36253/fup_best_practice) All publications are submitted to an external refereeing process under the responsibility of the FUP Editorial Board and the Scientific Boards of the series. The works published are evaluated and approved by the Editorial Board of the publishing house, and must be compliant with the Peer review policy, the Open Access, Copyright and Licensing policy and the Publication Ethics and Complaint policy. Firenze University Press Editorial Board M. Garzaniti (Editor-in-Chief), M.E. Alberti, F. Arrigoni, M. Boddi, R. Casalbuoni, F. Ciampi, A. Dolfi, R. Ferrise, P. Guarnieri, A. Lambertini, R. Lanfredini, P. Lo Nostro, G. Mari, A. Mariani, P.M. Mariano, S. Marinai, R. Minuti, P. Nanni, A. Novelli, A. Orlandi, A. Perulli, G. Pratesi, O. Roselli. 3 The online digital edition is published in Open Access on www.fupress.com. Content license: the present work is released under Creative Commons Attribution 4.0 International license (CC BY 4.0: http://creativecommons.Org/licenses/by/4.0/legalcode). This license allows you to share any part of the work by any means and format, modify it for any purpose, including commercial, as long as appropriate credit is given to the author, any changes made to the work are indicated and a URL link is provided to the license. Metadata license: all the metadata are released under the Public Domain Dedication license (CCO 1.0 Universal: https://creativecommons.Org/publicdomain/zero/l.0/legalcode). ©2020Author(s) Published by Firenze University Press Firenze University Press Universita degli Studi di Firenze via Cittadella, 7, 50144 Firenze, Italy www.fupress.com This book is printed on acid-free paper Printed in Italy Sommario Presentazione Un nuovo inizio 7 Giovanna Frosini II lessico del magistero nelle prose erudite di Giovanni Boccaccio 9 Eleonora Fritz II mare, la tempesta, la quiete: un passaggio fondamentale nella trama e nel significato del Filocolo 23 Isabelle Gigli Cervi II fantasma di Alatiel: desiderio, parola e memoria in Decameron II7 37 Matteo Petriccione Ad alta voce: ľessenza fonico-acustica e gestuale del cursus nel Decameron 53 Paola Mondani «Ut testatur Ovidius»: Boccaccio lettore dei commenti alle Metamorfosi 77 Lisa Ciccone «A quai Lucan seguitava». Su Boccaccio lettore della Pharsalia 93 Niccolô Gemini Ira e compassione. Fonti aristotelico-tomiste di Decameron VIII7 115 Miriam Pascale FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CCO 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 Itinerári amazzonici in Boccaccio: il retroterra romanzo Matteo Luti Boccaccio erudito e il prologo del De viris illustribus petrarchesco Chiara Ceccarelli La bisbetica domata: proposta di lettura di Decameron IX 9 attraverso i proverbi e i novellieri toscani tra Tre e Quattrocento Valerio Cellai ĽUrbano. Origine e fortuna di una novella pseudo-boccaccesca Camilla RussOj Giulio Vaccaro Dal Filostrato ai rispetti di ambiente laurenziano: la ricezione quattrocentesca della prima lettera di Troiolo a Criseida Silvia Litterio Il Boccaccio di Baldassar Castiglione: la duplice immagine del Certaldese nelle pagine del Cortegiano Flavia Palma Boccaccio, il Decameron e la Crusca: le fonti spogliate dagli Accademic Caterina Canneti Indici a cura di Caterina Canneti PRESENTAZIONE Un nuovo inizio Giovanna Frosini II convegno internazionale Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni ha visto riuniti a Certaldo Alta nella Casa di Boccaccio, sede dell'Ente Nazionale, numerosi studiosi italiani e stranieri, che nei giorni 12 e 13 settembre 2019 hanno ragionato e dibattuto su Giovanni Boccaccio, la sua opera, la sua cultura, la sua fortuna. II titolo del seminario, che abbiamo voluto tenere fermo fino dalla sua prima edizione (e siamo ormai alia sesta, con l'incontro del 2019), si presenta voluta-mente ancipite, proprio a sottolineare - e ogni anno la chiamata ai contributi della primavera lo ribadisce e lo evidenzia - la natura ampia della riflessione che si propone, largamente disponibile ad accogliere contributi relativi al Certalde-se in sincronia e diacronia. La risposta dei giovani studiosi di molte e diverse universitä italiane e stra-niere e stata, anche nell'anno 2019, assai ricca e interessante: come ha mostrato la vivacitä delle due giornate di incontro, di scambio e di confronto, che si e po-tuto giovare della presenza di studiosi noti, componenti del Consiglio Scientifico e Direttivo dell'Ente, e come si vede ora negli atti giunti alia stampa. Ii colloquio fitto e proseguito infatti nella fase di revisione dei quattordici sag-gi che formano questo volume, e che coprono, come e ormai tradizione, un ven-taglio esteso di diverse discipline, spaziando dalla dimensione letteraria a quella filologica a quella storico-linguistica e lessicografica; per tutti il confronto con gli studiosi dell'Ente Boccaccio (Monica Berte, Daniela Branca, Carlo Delcor-no, Maurizio Fiorilla, Carla Maria Monti, Roberta Morosini, Marco Petoletti, Natascia Tonelli, Marco Veglia, Michelangelo Zaccarello, Stefano Zamponi) e stato proficuo, e anche a me fa piacere ringraziarli in questa sede. FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 I contributi sono disposti secondo tre aree fondamentali di interesse: lo studio delle opere latine e volgari di Giovanni Boccaccio (con i saggi di Eleonora Fritz, Isabelle Gigli Červi, Matteo Petriccione, Paola Mondani); ľanalisi delia cultura e ľindividuazione e discussione delle fonti (con i contributi di Lisa Ciccone, Niccolô Gensini, Miriam Pascale, Matteo Luti, Chiara Ceccarelli); lo studio della fortuna di Boccaccio, su significativa scala cronologica (con gli studi di Valerio Cellai, Camilla Russo e Giulio Vaccaro, Silvia Litterio, Flavia Palma, Caterina Canneti). II volume che oggi presentiamo si inserisce dunque in una linea di piena continuitá con quelli che dal 2015 sono stati pubblicati, con la curatela del Presidente dell'Ente Boccaccio Stefano Zamponi (e il primo anche con la mia); e tuttavia, questo volume relativo al seminario 2019 rappresenta anche una novitá, perché con esso si inaugura una nuova Collana editoriale Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni, con un Comitato scientifico - diretto da Stefano Zamponi e da me - che rappresenta al grado piú alto il Consiglio Direttivo e il Consiglio Scientifico dell'Ente Boccaccio. Si dá cosi maggiore visibilitá e soliditá a un'i-niziativa centrále nelľattivitá dell'Ente e nella sua programmazione editoriale, volutamente intesa alla promozione e al sostegno della ricerca dei giovani stu-diosi, a cui si devono sempře prospettive nuove e risultati stimolanti. Per aver accolto questo progetto 1'Ente ě grato a Fulvio Guatelli, direttore editoriale della Firenze University Press; cosi come il mio ringraziamento va a Nunzia Morosini, responsabile della segreteria e accurata coordinatrice del seminario, e a Veronica Porcinai, attenta redattrice del volume. Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio febbraio 2021 8 II lessico del magistero nelle prose erudite di Giovanni Boccaccio Eleonora Fritz Numerose sono state le riŕlessioni e gli studi condotti in merito al rapporto Petrarca-Boccaccio, studi che di volta in volta hanno rilevato diversi aspetti di tale relazione. Non sará ozioso ricordare tra tutti il celebre capitolo del Billanovich in Petrarca letterato intitolato Ilpiú grande discepolo1: in esso l'autore ripercorre la storia e gli intrecci del rapporto tra questi due grandi letterati, dimostrando peraltro come i colloqui patavini del 1351 siano stati un fondamentale mo mento di conversione letteraria per Boccaccio, illuminato dalla cultura di Petrarca. II presente lavoro si ě proposto l'obiettivo di proseguire questa ricerca tra-mite ľanalisi delia terminológia del magistero e del discepolato impiegata da Boccaccio nelle sue opere latine in prosa e nelle Esposizioni. In esse infatti egli indica Petrarca come suo maestro, usando con insistenza il lessico del magistero, in particolare i sostantivipreceptor (Petrarca) e auditor (Boccaccio). Diverso ě il caso delle opere volgari ehe non sono state oggetto di questo studio e nelle quali la figura di Petrarca ě presenza pressoché assente. Quando Boccaccio menziona Petrarca o quando si rivolge a lui lo definisce sempre suo preceptor, un termine piuttosto generico e ampio che perö compare sistematicamente a connotare il magistero di Petrarca. Solamente in rarissime ec-cezioni Boccaccio utilizza i sinonimi ben piú tecnici di magister e doctor'per riferirsi 1 G. Billanovich, Petrarca letterato. Lo scrittoio del Petrarca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1947. Eleonora Fritz, Catholic University of Sacro Cuore, Italy, eleonora.fritz08@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Eleonora Fritz, // lessico del magistero nelle prose erudite di Giovanni Boccaccio, pp. 9-21, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.01, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 ELEONORA FRITZ alia sua guida. Parimenti, Boccaccio attribuisce a sé il ruolo di auditor del maestro, come afferma egli stesso nel proemio delia Genealógia: «ego iam diu auditor sum» (Gen. lprohemium 12l)2. Petrarca ě certamentepreceptor: nelle prose latine infatti il termine ha quaranta occorrenze, trentaquattro delle quali sono riferite a Petrarca. Segnalo alcuni esempi significativi che attestano questo legame e l'uso di questo lessico. (4) Credo memineris, preceptor optime, quod nondum tertius annus elapsus sit posquam senatus nostri nuntius Patavum ad te veni [...]. (Ep. X 4)3 In questo passo dell'epistola il mittente si rivolge dunque a Petrarca chia-mandolo preceptor. Analogamente nel passo che segue Boccaccio cosi scrive: (6) Quern adhuc tacentem, dum reseratis oculis somnoque omnino excusso acutius intuerer, agnovi eum Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius monitus michi semper ad virtutem calcar extiterant et quem ego ab ineunte iuventute mea pre ceteris colueram et michi conscius erubui eo viso (De casibus, VIII, proemio). E ancora, in chiusura del proemio: (30) Ego autem verborum lepiditate lenitus, revocatis paululum viribus, etsi non omnis abiisset rubor, inspecturus preceptoris mei clementiam in celum faciem extuli. Verum ipse, tanquam officio suo functus, non aliter quam ex improviso venerat, abierat. Quam ob rem in me ipsum collectus sentiensque quibus modis excitet Deus insipidos, damnata detestabili opinione mea, in vetus officium reassumpsi calamum. Nota anche la Conclusio di De montibus: (126) Sane dum raptim ceptum stadium ad metam cupiens devenire percurrerem, ecce et lauree delectabilis odor oculos meos alteram traxit in partem, et vidi insignem atque venerabilem virum Franciscum Petrarcham inclitum preceptorem meum honesta facie et laurea virenti conspicuum per idmet stadium, lento tarnen incedentem gradu, non equidem labore attritum sed altioribus cogitationibus pressum et celebri atque commendabili gravitate deductum (De montibus, conclusio). Raccolgo di seguito le edizioni delle opere di Boccaccio cuiho fatto riferimento. Per le Genealogie deorum gentiulium: V. Zaccaria (a eura di), Genealogie deorum gentilium, in V Branca (a eura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, voli. VII-VIII, Mondadori, Milano 1998; per le Epištole: G. Auzzas (a eura di), Epištole e lettere, in Branca (a eura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, cit., vol. V, 1992; per il De casibus virorum illustrium: P.G. Ricci e V. Zaccaria (a eura di), De casibus virorum illustrium, in Branca (a eura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, cit, vol. IX, 1983; per il De montibus: M. Pastore Stocchi (a eura di), De montibus silvisfontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seupaludibus et de diversis nominibus maris, in Branca (a eura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, cit., vol. VIII, 1998; per le Esposizioni: G. Padoan (a eura di), Esposizioni sopra la Commedia di Dante, in Branca (a eura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, cit., vol. X, 1965. La lettera ě rivolta a Petrarca nel 1353. 10 IL LESSICO DEL MAGISTERO NELLE PROSE ERUDITE DI GIOVANNI BOCCACCIO Tra le opere latine segnalo anche questo passo: Et Franciscum Petrarcam florentinům, venerandissimum preceptorem, patrem et dominum meum, [...] inter veteres illustres viros, numerandum potius quam inter modernos induco (Gen. XV 6,11). Infine, ecco un esempio tratto dalle Esposizioni: E, acciö che io a' nostri tempi divenga, non ha il nostro carissimo cittadino e venerabile uomo e mio maestro e padre, messer Francesco , con la dottrina poetica riempiuta ogni parte, dove la lettera latina ě conosciuta, della sua maravigliosaesplendidafama [...]? (Esposizioni, c.XVesp. litt. 96. L'integrazione ě giá dell'edizione Padoan). Si tratta solo di alcuni dei numerosissimi esempi in cui Boccaccio si rivolge a Petrarca riconoscendogli questo ruolo. Come anticipavo inoltre, assai raramente Boccaccio gli attribuisce il sinonimo piu specifico di magister: esso ha dieci occorrenze nelle prose latine e solamente tre di queste sono riferite a Petrarca. Si puö dunque concludere che l'appellativo proprio di Petrarca sia fuor di dubbio quello di preceptor. Di che tipo di rapporto si tratta dunque? Ii quesito si risolve a mio awiso ponendo a sistema le occorrenze del termine preceptor riferito a Petrarca con gli attributi e le descrizioni del maestro che Boccaccio delinea. Di seguito riporto alcuni dei passi piu significativi. Si osservi questo passo tratto dal proemio alle Genealogie: Ast ego quid? Brevis sum homuncio, nulle michi vires, ingenium tardum et fluxa memoria [...]. Verum si tantum regi hoc erat animo, erat onus aptum, si inter mortales ullus est tanto labori sufficiens, viribus preclarissimi viri Francisci Petrarce, cuius ego iam diu auditor sum. Homo quippe est celesti ingenio preditus et perenni memoria, ac etiam facundia admirabili, cui familiarissime quarumcunque gentium hystorie sunt, sensus fabularum notissimi, et breviter quicquid phylosophie sacro iacet in gremio, manifestum est (Gen. I, proemio 121). Boccaccio fa iniziare la prima opera erudita della maturita all'insegna del discepolato di Petrarca, il quale ě presentato come colui che possiede vires, ingenium, memoria e facundia tali da poter predere in carico la richiesta del com-mittente, Ugo IV re di Cipro, di compilare un vasto repertorio mitologico. Alui sono perfettamente noti i sensi nascosti delle fabulae (cui sunt [...] sensus fabularum notissimi), ě sommo filosofo, al contrario di Boccaccio, le cui forze sono invece nulle (nulle michi vires), tardo l'ingegno (ingenium tardum) e vacillante la memoria (fluxa memoria). Quest'ultimo infatti si definisce un homuncio senza le qualitá necessarie per intraprendere il labor4. Al paragrafo 2 compare l'espressione «parvus homo» e in Gen. XIV 6,1 «pusillus homo». Nell'ep. XV a Petrarca compare il termine homunculus. Si segnala che il termine ě presente anche neu'incipit del Secretion: «Quid agis, homuncio? quid somnias? quid expectas? mise-riarum ne tuarum sic prorsus oblitus es? An non te mortalem esse meministi?». 11 ELEONORA FRITZ Boccaccio dunque parla sin dal proemio dell'opera di un rapporto di disce-polato tra sé e Petrarca e sottolinea la sproporzione tra sé e il maestro. Signifi-cativamente lo stesso termine, auditor) e lo stesso sentimento di inadeguatezza compaiono nella condusio del De montibus, dove «Boccaccio viene quasi sopraf-fatto dall'angoscia del confronto con Petrarca, che rende plasticamente attra-verso l'immagine della corsa nello stadio [...]. Boccaccio si stupisce di trovarsi a gareggiare, ultimo dei discepoli {auditor ex minimis), con il proprio maestro e si arresta, chiedendosi se sia meglio finire il cammino intrapreso, star fermo o addirittura tornare indietro»5. Ancora, il termine in questione, accompagnato dallo stesso aggettivo minimus, viene impiegato nell'epistolaXI a Petrarca (1362): (4) Sane, quoniam satis credibile est, pauperem et inhertem bubulcum Exiodum velMaronem vel quem mavis ex tam magnis agriculture doctoribus de fecunditate aut sterilitale alicuius a se cogniti soli, seu qualiter circa effodiendam vitém aut arbusta plantanda ducendus sit ligo, vel boves ut in rectum sulcus evadat, facile posse docere; ac etiam certissimum, solius Dei esse cognoscere singula: absque tui oris seu animi rubore patieris si ego, minimus ex auditoribus tuis unus, bona semper cum pace tua, erroris huius nebulám, antequam ad ulteriora progrediar, paucis absolvam. Osserva Monti in merito all'espressione auditor ex minimis, se non frequen-te quantomeno reiterata: «Applicando a sé questa definizione credo che Boccaccio avesse in mente s. Paolo, l'ultimo degli apostoli del divino maestro: "ego enim sum minimus apostolorum" (lCor 15, 9); "mihi omnium sanctorum mi-nimo data est gratia haec" (Eph 3, 8). La traslazione lessicale da apostolus a di-scipulus e infine a auditor non nasconde la simmetria tra le due espressioni»6. Che cosa suggerisca questo velato richiamo alia Scrittura e perché Boccaccio scelga di impiegare un rimando a Paolo discepolo di Cristo, verrá chiarito dai passi riportati in seguito. In primo luogo, si osservi un altro passo tratto dalle Genealogie in cui compare un ampio elogio e uno dei ritratti di Petrarca. Riporto il passo integralmente: Et, ne semper per antiqua vagemur, que oppugnatores, quantumcunque fausto testimonio roborata sint, negant facile, Franciscus Petrarca, celestis homo profecto et nostro evo poeta clarissimus, nonne, spreta Babilone occidentali atque pontificis maximi benivolentia, quam omnes fere Christiani summopere cupiunt et procurant, et pilleatorum orbis cardinum aliorumque principům, in Vallem Clausam abut, insignem Gallie solitudine locum, ubi Sorgia, fontium rex, oritur, et ibidem omnem fere floridam iuventutem suam, villici unius contentus obsequio, meditando atque componendo consumpsit? Fecit equidem; stant vestigia stabuntque diu, parva domus et hortulus, et, dum Deo placet, testes vivunt plurimi [...]. Credam ne igitur ego taňte dementie fuisse Platonem, 5 CM. Monti, Boccaccio 'itineris strator' del Petrarca, «Studi sul Boccaccio», 46, 2018, pp. 1-11: 1. 6 Monti, Boccaccio 'itineris strator' del Petrarca, cit., p. 2. 12 IL LESSICO DEL MAGISTERO NELLE PROSE ERUDITE Dl GIOVANNI BOCCACCIO ut Franciscum Petrarcam urbe pellendum censuerit? Qui, a iuventute sua celibem vitam ducens, adeo inepte Veneris spurcitias horret, ut noscentibus ilium sanctissimum sit exemplar honesti, cuius mendacium letalis est hostis, qui viciorum omnium execrator est, et venerabile veritatis sacrarium, virtutum decus etletitia, et catholice sanctitatis norma; pius, mitis, atque devotus, et adeo verecundus, ut iudicetut: par then ias alter. Est et insuper, poetice gloria facultatis, orator suavis atque facundus, cui, cum omnis pateat phylosophie sinus, est illi ingenium preter humanum perspicax, memoria tenax, et rerum omnium, prout homini potest esse, notitia plena. Ex quo opera eius tarn prosaica quam metrica, que plura extant, tanto splendore refulgent, tanta suavitate redolent, tanto florido ornatu spectabilia sunt, et lepore sonantium verborum melliflua, et sententiarum succo mirabili sapida, ut celestis ingenii artificio potius quam humani fabrefacta credantur. Quid multa dixerim? Profecto hominem superat, et in longum mortalium vires excedit. Neque ego has laudes predico, quasi antiquum hominem et longis ante seculis defunctum commendem, quin imo, dum Deo placet, viventis atque valentis merita refero; quern morsores egregii, si non licterulis meis creditis, oculata fide videre potestis. Nec dubito ut ex eo contingat quod ut plurimum famosis viris contingere consuevit, ut ait Claudianus «minuit presentia famam»; imo audacter assero quia huius superet presentia famam. Tanta enim morum maiestate, tanta suavis eloquentie facundia, tanta etiam urbanitate et composita senectute conspicuus est, ut de eo, quod apud Senecam moralem phylosophum de Socrate legitur, dici possit: auditores scilicet eius plus ex moribus quam ex verbis traxisse doctrine {Gen. XIV 19, 5 e 15-17). In questo capitolo Boccaccio si premura di difendersi dall'accusa secon-do la quale i poeti dovrebbero essere cacciati dalle cittá, come prescrive Platone7. L'autore, dopo aver passato in rassegna esempi di poeti illustri tratti dalla classicitá - a cui aggiunge Petrarca - dimostra come le parole di Platone non si sarebbero potute riferire ad alcuno di questi sommi poeti (Omero, Ennio, Vir-gilio, Solone, Orazio, Persio, Giovenale, Petrarca) ma piuttosto a poeti di bassa levatura - definiti comici - capaci di «turpissimis fictionibus suis splendidam poesis gloriam inficere». Si potrebbe dividere la descrizione in tre parti: qualitá morali di Petrarca (paragrafe 15), sua eccellenzaletteraria (fine par. 15) e caratteristiche delle sue opere (par. 16), la famache testimonial sue qualitá (par. 17). II preceptor ha condotto vita celibe sin dalla giovinezza («a iuventute sua celibem vitam ducens»), aborre le sozzure di Venere («inepte Veneris spurcitias horret»), ě santissimo esempio di onestá («sanctissimum sit exemplar honesti»), ě nemico della menzogna e dei vizi («cuius mendacium letalis est hostis, qui viciorum omnium execrator est»), ě santuario di veritá, splendore di virtu e norma di cattolicitá («venerabile veritatis sacrarium, virtutum decus et letitia, et catholice sanctitatis norma»). A conclusione di questa prima sezione, Boccaccio crea il medesimo paragone La fonte ě qui un ben noto passo di Agostino, De civitate Dei II14. 13 ELEONORA FRITZ presente anche in De vita et moribus: in forza di tutti questi pregi, potrebbe es-sere giudicato un secondo Partenio, cioě Virgilio («adeo verecundus, ut iudi-cetur parthenias alter»)8. Boccaccio passa poi a tratteggiare le doti letterarie di Petrarca: egli ě som-mo poeta e oratoře («Est et insuper, poetice gloria facultatis, orator suavis atque facundus»), ě filosofe («omnis pateat phylosophie sinus») e detentore in massimo grado di ingegno e memoria, tratti suoi distintivi («est illi ingenium preter humanuni perspicax, memoria tenax»). Dopo aver tessuto le lodi delle sue opere, Boccaccio afferma che la sua presenza sminuisce la fama («minuit presentia famam», Claud, De hello gild., 385), contrariamente a quanto molto spesso ě capitato d'abitudine agli uomini famosi, come scrive Claudiano. Infine, a conclusione di questo ritratto, Boccaccio sancisce la sua eccellenza morale con questa affermazione: «Tanta enim morum maiestate, tanta suavis eloquentie fa-cundia, tanta etiam urbanitate et composita senectute conspicuus est, ut de eo, quod apud Senecam moralem phylosophum de Socrate legitur, dici possit: au-ditores scilicet eiusplus ex moribus quam ex verbis traxisse doctrine». Di lui cioě si puö dire ciö che si legge in Seneca riguardo a Socrate, ossia che i suoi discepoli trassero piu dottrina dai suoi costumi che dalle sue parole. In questo passo dunque, Boccaccio sembra insistere sull'eccellenza morale del preceptor, il quale assumerebbe questo ruolo in forza della sua condotta di vita piu che per i suoi insegnamenti letterari. Par di intuire come il rapporto di magistera non sia soltanto intellettuale e culturale ma anche e soprattutto morale: Petrarca appare come maestro in senso stretto ma anche maestro di vita. Significativo a mio avviso il caso di De casibus viii 1, nel quale Petrarca preceptor interviene a correggere9 i comportamenti di Boccaccio auditor. (5) Talibus ergo plurimisque similibus suadente desidia, semivictus imo victus in totum, caput, quod in cubitum surrecturus erexeram, in pulvinar iterum reclinavi. Sed ecce visum est michi, nescio quibus missum ab oris10, hominem astitisse aspectu modestum et moribus, venusta facie ac miti placidoque pallore conspicua, virenti laurea insignitum et pallio amictum regio, summa reverentia dignum. (6) Quem adhuc tacentem, dum reseratis oculis somnoque omnino excusso acutius intuerer, agnovi eum Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius monitus michi semper ad virtutem calcar extiterant et quem ego ab ineunte iuventute mea pre ceteris colueram et michi conscius erubui eo viso. (7) Verum postquam me acriori vultu pausillum spectavit, incepit: «Quid iaces, ociorum professor egregie? Quid falsa inertie sussione torpescis?». Tum ego ampliori rubore suffusus, deiectis in terram oculis et iam damnans 8 Peraltro, come si legge in Servio, parthenias vuol dire vergine'. 9 Petrarca ě tenuto a correggere il discepolo: la correzione ě infatti uno degli officia di un maestro («Verum ipse, tanquam officio suo functus, non aliter quam ex improviso venerat, abierat».) 10 E citazione da Ovid. Met. IX 19: «hospes tibi missus ab oris». 14 IL LESSICO DEL MAGISTERO NELLE PROSE ERUDITE DI GIOVANNI BOCCACCIO que paulo ante mecum dixeram, quorsum incliti viri obiurgatio evasura esset cepi tacitus expectare. (8) Ipse vero sequebatur continuans: «Egone preceptis meis intellectum adeo obfuscavi tuum ut inerte ocium commendando labori preponeres? Non equidem nil magis suasi verbis quam laudabiliter exerceri. Quid ergo iaces? An oblitus es quod ad laborem nascitur homo? (9) Cepisti cursum et dum iam vicinus termino devenisses, stulta seductus ignavia, subsistis; a qua ne adeo insipide decipiaris, adverte quid dixerim [...]. (26) Ergo agendum est, laborandum est et totis urgendum viribus ingenium, ut a vulgari segregemur grege; ut, tanquam preteriti labore suo profuere nobis, sic et nos nostro valeamus posteris, ut inter peremnia nostrum scribatur nomen ab eis, ut famam consequamur eternam, ut videamur hac in peregrinatione mortali Deo et non vitiis militasse. (27) Sed quid multa? Poteram, et merueras, acriori in somnolentiam tuam surrexisse sermone; verum quoniam severitas nimia non nunquam potius frangit quam relevet hebetes, uti lenitate longe melius ratus sum, ut inertie tue ruborem iniciam potius quam menti livorem; et ideo ne in furore meo te flagellis afflictem, has tenebras tuas pelle, ignaviam contere fervensque consurge et in finem usque cursum ceptum perage, ex quo etsi nil tibi glorie aut muneris alterius secuturum sit, velis potius vigilasse vacuus quam satur ocio torpuisse». (28) Dixerat inter mortales nostro evo gloriosissimus homo; ego vero memor eo neminem magis tempus exercitio redemisse, continuo verissimis redargutionibus suis ad inferos usque demersus, ullo pacto in eum elevare oculos non audebam, quin imo merens dolensque stolidissimam opinionem meam damnans inclinatus optabam ut facilitate sua in anxium pectus dispersos revocaret spiritus. (29) Tunc ille, quasi oportunitatis mee conscius, nube merite indignationis a splendido vultu fugata, limpidos oculos resolvit in risum dixitque: «Amice, argumentum purgate ignavie est te adeo vidisse deiectum; satis est, imo multum; surge ergo nec de humanitate mea desperes caveasque de cetero ne in segnitiem tarn damnandam stultis suasionibus trahi te sinas». (30) Ego autemverborumlepiditatelenitus, revocatis paululum viribus, etsi non omnis abiisset rubor, inspecturus preceptoris mei clementiam in celum faciem extuli. Verum ipse, tanquam officio suo functus, non aliter quam ex improviso venerat, abierat. Quam ob rem in me ipsum collectus sentiensque quibus modis excitet Deus insipidos, damnata detestabili opinione mea, in vetus officium reassumpsi calamum. Boccaccio, quasi in procinto di finire l'opera, e sopraffatto dalla fatica e gia-ce nell'ozio; si domanda se valga la pena affaticarsi tanto per i beni terreni per ottenere la fama, essendo tuttavia consapevole che tutto e destinato a finire: Ex antiquorum ruinis, ex cineribus infortunatorum, novis literulis extorquere conaris famam atque protelare dies nomenque tuum desideras. O insana cupido! Adveniet hora, et iam est, que te a rebus mortalibus eximat, que corpusculum conterat tuum, que te convertat in fabulam. Mentre la pigrizia sta per prendere il sopravvento, ecco che appare Petrarca il quale esorta il discepolo a terminare l'opera, spiegandogli come sia legit- 15 ELEONORA FRITZ timo desiderare la fama: essa infatti si ottiene tramite l'esercizio della virtu e puö essere strumento per rendere gloria a Dio. II maestro ě definito con il con-sueto appellativo di preceptor, al quale Boccaccio riferisce gli attributi optimus e venerandus. Egli gli sta innanzi insignito dell'alloro della laurea e del pallium regium che gli avrebbe donato re Roberto. Inoltre del preceptor Boccaccio affer-ma: «[eius] monitus michi semper ad virtutem calcar extiterant et [...] ego ab ineunte iuventute mea pre ceteris coluerem». L'affermazione ě estremamente interessante perché attribuisce anche in questo caso una connotazione morale al magistera petrarchesco: Petrarca ě stato per il discepolo stimolo alia virtu11. IIpreceptor prende la parola e pone una domanda retorica: «Egone precep-tis meis intellectum adeo obfuscavi tuum ut inerte ocium commendando labori preponeres? Non equidem nil magis suasi verbis quam laudabiliter exerceri». Ě chiaro quindi perché Boccaccio assegni proprio a Petrarca il compito di in-tervenire a questo punto dell'opera: colui che sempře ě stato sprone alia virtu ora interviene a illuminare il discepolo sulle sue domande esistenziali. Nel pas-so infatti ricorrono insistentemente i termini appartenenti alia sfera semantica del vizio o della virtu: Boccaccio ě tentato di torpescere persuaso da falsa inertia, di iacere in un otium iners12, di non proseguire l'opera sedotto da stulta ignavia; ancora, egli ě insipide deceptus ma Petrarca si erge contra la sua somnolentia, lo definisce hebes, lo sprona a dimostrare di aver militato per Dio e non per i vizi («Deo et non vitiis militasse»), a cacciare le tenebre (pelle tenebras), a schiaccia-rel'ignavia (ignaviam contere) e apreferirepersino di aver vegliato senza succes-so piuttosto che essere intorpidito soddisfatto nell'ozio («velis potius vigilasse vacuus quam satur ocio torpuisse»). Boccaccio ben merita quindi l'appellativo di ociorum professor egregie, ironico e antitetico rispetto agli attributi di Petrar-caprofessor di studia: egli sarebbe divenuto tanto esperto di ozio da aver guada-gnato il titolo ufficiale di professor. Il ruolo di Petrarca in questa sede ě piuttosto chiaro: egli interviene a richia-mare il discepolo ad altiora, come Boccaccio espliciterá altrove13. Il suo magistera 11 Se si accetta la suddivisione classica delle etä, l'indicazione temporale ab ineunte iuventute ci riporta al 1343 circa; Boccaccio dunque farebbe risalire la conoscenza e quindi la stima per üpreceptor a una data precedente il loro incontro personale del 1350 a Firenze. Si veda anche l'ep. XXIV: «Novi equidem multis suis retroactis temporibus beneficiis erga me quo-niam me vivens amaverit, et nunc opere video quod in mortem usque protraxerit, et si me-liori in vita, post transitům hune quem mortem dieimus, diliguntur amici, credo me diligat diligetque, non, hercle! quod meruerim, verum quoniam illi sie mos fuit, ut quem semel in suum assumpserat, semper diligenter servarit: et ego quadraginta annis vel amplius suus fui». Commenta Monti: «Sebbene la conoscenza diretta tra i due risalisse, come ě noto, alľautunno del 1350 quando ci fu ľincontro a Firenze, B. qui rivendica con orgoglio che la sua "appartenenza" a Petrarca («suus fui») risale addirittura agli anni Trenta» (CM. Monti, Boccaccio e Petrarca, in T. De Robertis et al. (a cura di), Boccaccio autore e copista, Catalogo dellamostratenutaallabibliotecaMediceaLaurenzianadiFirenze dall'll ottobre 2013 all'11 gennaio 2014, Mandragora, Firenze 2013, pp. 33-40: 33). 12 Espressione peraltro usata da Petrarca stesso nel De vita solitaria, II 14,1. 13 Si rimanda all'ep. XXIII a Fra Martino da Signa di cui si dirä in seguito. 16 IL LESSICO DEL MAGISTERO NELLE PROSE ERUDITE DI GIOVANNI BOCCACCIO dunque assume una connotazione morale, non soltanto letteraria. Questa con-notazione spirituále o morale del magistera petrarchesco ě peraltro suggellata dalla conclusione di questo episodio, quando Boccaccio scrive: «Quam ob rem in me ipsum collectus sentiensque quibus modis excitetDeus insipidos, damnata detestabili opinione mea, in vetus officium reassumpsi calamum». Petrarca ě quindi strumento attraverso cui Dio raggiunge V insipidus Boccaccio per ripor-tarlo sulla retta via e per spronarlo a ultimare l'opera. Si confrontino a questo punto gli epiloghi del De casibus, della Genealogia e del De montibus dove il maestro ě evocato a emendare le opere del discepolo: De casibus IX 27, 6: Et is potissime, qui tempestate hac splendidissimum tam morum spectabilium quam commendabilium doctrinarum iubar vividum est, Franciscus Petrarca laureatus, insignis preceptor meus, equa cum ceteris caritate agat, ut suppleatur quod omissum sit, et superfluum resecetur, et si quid minus forsan Christiane religioni seu phylosophice veritati sit consonum - quod me advertente nil est - emendetur in melius. Gen. XV Condusio: Si forsan, maioribus occupatus, ut sepissime reges estis, huic labori tempus non posses inpendere, tunc omneš honestos, sacros, pios atque catholicos viros, et potissime celebrem virum, Franciscum Petrarcam, insignem preceptorem meum, ad manus quorum opus hoc aliquando deveniet, per Christi preciosissimum sanguinem deprecor ut errores quoscunque, si quos forsan minus videns dictis immiscui, sua pietate ac benignitate surripiant, aut illos in sacram veritatem convertant. De montibus, Condusio: (126) Occurrebant autem michi plurima suadentia reditum, et ante alia dar issimi preceptor is mei sublimitas stili ornatu redimita mirabili et sententiarum ponderositate plurima stabilis; et insuper lepiditate verborum delectabilis nimium, quantumcunque extranea videatur materia; preterea notitia rerum, cuius plurimum indiget labor iste, quam adeo sibi familiärem noveram ut vidisse omnia et tenaci servasse memoria videretur. Et cum his ruditas mea, stilus exoticus, hystoriarum penuria, ingenium hebes et fluxa memoria veniebant. A quibus persuasus cum iam essem semiflexus in reditum, et ecce proverbium vetus venit in mentem, quo aiunt: «Contraria iuxta se posita magis elucescunt»14. Et ex eo arbitratus fulgoris sui radios, quantumcunque de se clarissimos, opacitatis mee tenebras penetraturos posse videri intuentibus clariores, mutavi consilium et ad eius reverentiam non pugil sed obsequiosus servulus et itineris strator in finem usque deductus sum, volens iubensque, si quod meritum michi laboris huius expectandum est, cautos esse lectores ut si quid in hoc opere operi viri incliti comperiatur adversum damnetur illico et sua sequatur tanquam vera stansque 14 Monti, Boccaccio 'itineris strator' del Petrarca, cit., p. 1: «Lo stesso proverbio ě utilizzato con identica funzione in De casibus, VI11, 17». 17 ELEONORA FRITZ sententia. Scripsi quidem quod inbuccam venit: ipse autem (si mores novi suos) omnia multiplici trutinatione digesta, omnia ponderoso librata iudicio scripsit scribetque. Si quid vero congruum, suis conforme scriptis, comperiatur, divine bonitati et doctrine ascribatur sue. Preme constatare in che modo il maestro sia invocato ad emendare le rispet-tive opere. Nell'epilogo del De casibus ě invocata ľautoritá del maestro Petrarca perché egli possa aggiungere quello che sia stato omesso («ut suppleatur quod omissum sit»), togliere il superfluo («superfluum resecetur») ed eventualmente uniformare i contenuti delľopera alle veritá delia filosofia e delia religione cristiana («si quid minus forsan Christiane religioni seu phylosophice veritati sit consonum - quod me advertente nil est - emendetur in melius»), lui ehe ě splendore luminosissimo e vivace per la dottrina di costumi tanto specehiati quanto degni di lode («et is potissime, qui tempestate hac splendidissimum tam morum spectabilium quam commendabilium doctrina iubar vividum est»). Nell'epilogo delia Genealógia, Boccaccio in přimis si rivolge al re Ugo di Cipro, destinatario delľopera, chiedendo perdono per gli errori presenti in essa e causati dalla sua pochezza; la sua richiesta ě che ľopera sia quindi corretta ed emendata dal re stesso («exoro ut tui ingenii celsitudine defectus suppleas, super-fluitates excidas, dicta minus accurate exornes, et omnia pro iudicio tue sincere mentis pariter corrigas et emendes»). Se perö il re non avesse tempo da dedicare alla correzione delľopera, Boccaccio esprime il desiderio che essa possa essere emendata da uomini onesti, santi, pii e cattolici («honestos, sacros, pios atque catholicos viros») e in particular modo dal suo maestro Petrarca, cosi che gli errori si conformino alla santa veritá («illos in sacram veritatem convertant»). L'epilogo del De montibus si discosta un poco dagli altri due15: non ě piu Boccaccio ad invocare spontaneamente la correzione del maestro; Petrarca compare improvvisamente e genera nel discepolo un sentimento di inadeguatezza e spro-porzione tali da farlo fermare appena prima delia fine. La richiesta di emenda-zione delľopera non ě direttamente rivolta zlpreceptor, piuttosto chi correggerá ľopera dovrá usare gli seritti di Petrarca come metro di paragone cui uniformare i contenuti del De montibus eventualmente discordanti: [...] in finem usque deductus sum, volens iubensque, si quod meritum michi laboris huius expectandum est, cautos esse lectores ut si quid in hoc opere operi viri incliti comperiatur adversum damnetur illico et sua sequatur tanquam vera stansque sententia. Nei tre epiloghi, ad ogni modo, Petrarca ě chiamato a correggere i contenuti delľopera in forza della sua cattolicitá, dei suoi costumi e delia sua dottrina. La correzione auspicata non riguarda tanto l'aspetto stilistico o formale ma piuttosto il con-tenuto delle opere cosi che queste possano essere conformi alla religione cristiana. is per l'importanza delľepilogo delľopera si veda: CM. Monti, La Genealógia e il De montibus: due parti di un unico progetto, «Studi sul Boccaccio», 44, 2016, pp. 327-366 e Monti, Boccaccio 'itineris strator' del Petrarca, cit., pp. 1-13. 18 IL LESSICO DEL MAGISTERO NELLE PROSE ERUDITE DI GIOVANNI BOCCACCIO Da ultimo, ma gli esempi sarebbero ben piu numerosi, riporto un passo di ep. XXIII a fra Martino da Signa, nella quale compare una analoga dichiara-zione di magistero morale da parte di Petrarca: in questa epištola, su richiesta del destinatario, Boccaccio svela alcuni dei significati allegorici nascosti sotto i nomi dei titoli e dei personaggi delle egloghe del proprio Buccolicum Carmen16. Nel passo in questione, spiega il significato delia titolazione della quindicesi-ma egloga, Phylostropos: essa significherebbe la conversione dalľamore dei be-ni terreni alľamore di quelli celesti, spesso operata dal preceptor Petrarca. Dice infatti Boccaccio: (29) Quintadecima egloga dicitur Phylostropos, eo quod in ea tractetur de revocatione ad amorem celestium ab amore illecebri terrenorum; nam Phylostropos dicitur a «phylos», quod est «amor», et «tropos», quod est «conversio». (30) Collocutores duo sunt, Phylostropus et Typhlus. Pro Phylostropo ego intelligo gloriosum pre.ctptore.rn meum Franciscum Petrarcam, cuius monitis sepissime michi persuasum est ut omissa rerum temporalium oblectatione mentem ad eterna dirigerem, et sic amores meos, etsi non plene, satis tarnen vertit in melius. Typhlus pro me ipso intelligi volo et pro quocunque alio caligine rerum mortalium oftuscato, cum «typhlus» grece, latine dicatur «orbus». Petrarca in questa sede appare dunque come colui che ha operato nel disce-polo una conversione etica, dagli interessi terreni ad altiora. Si confrontino inol-tre queste parole con quelle impiegate nel giá citato proemio al capitolo VIII del De casibus: «agnovi eum Franciscum Petrarcam optimum venerandumquej3re-ceptorem meum, cuius monitus michi semper ad virtutem calcar extiterant». In entrambi i casi, i rimproveri del maestro sono rivolti ai comportamenti di Boccaccio e sono sprone alia virtu. Si potrebbe quindi concludere che Boccaccio, quando tratteggia le caratte-ristiche di Petrarca, insista sulla sua eccellenza morale. II suo magistero ě anche connotato in senso etico. Petrarca, in quanto buon poeta, ě anche moralmente eccellente e in quanto tale puö educare Boccaccio in senso ampio. Dice infatti Boccaccio del maestro nell'ep. XVIII a Niccolö Orsini, devoto cultore del Petrarca e di Boccaccio stesso: «inclitus preceptor meus Franciscus Petrarca, cui quantum valeo debeo...»17. L'affermazione ě di grande interesse e lascia inten-dere che Boccaccio debba a Petrarca non solo il suo essere poeta18 ma anche il suo essere uomo. Per un'ipotesi di interpretazione di questa lettera si rimanda a: A. Piacentini, La lettera di Boccaccio a Martino da Signa: alcuneproposte interpretative, «StudisulBoccaccio», 43,2015, pp. 147-176. Per il Buccolicum carmen si fa riferimento alia presente edizione: G.B. Perini (a cura di), Buccolicum carmen, in Branca (a eura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, cit., vol. II, 1994. L'epistola ě una responsiva in cui Boccaccio declina ľofferta di ospitalitä del mittente e gli ricorda che il suo stesso maestro gli aveva fatto una identica proposta. Ma si tengano presenti le dichiarazioni di fallimento della sua carriera poetica contenute nelľep. XIX, in Gen. XV 10,7-9 e in De cas. Ill 14, 6. 19 ELEONORA FRITZ Del maestro peraltro Boccaccio sottolinea sempre il suo essere modello di cattolicitä; all'area semantica dell'eccellenza morale va dunque aggiunta quella della cattolicitä e della santitä. In Gen. XIV19,15-17 Boccaccio attribuisce a Petrarca il sintagma catholice sanctitatis norma e gli aggettivi sanctissimus,pius, mitis e devotus. Simili connotazioni compaiono anchein Gen. xiv 10,4-6 («christianis-simum Franciscum Petrarcam, cuius vitam et mores omni sanctitate laudabiles vidimus»), Gen. Condusio («omnes honestos, sacros, pios atque catholicos viros, et potissime celebrem virum, Franciscum Petrarcam»). Per quanto riguarda il volgare, nelle Esposizioni segnalo un esempio tratto da c. I esp. litt. 90 («Francesco Petrarca, la cui vita e i cui costumi sono manifestissimo essemplo d'one-stä»). Infine, il suo ingegno e sempre definito celestis o divinus (ad esempio in De vita et moribus 11, Gen. I Prohemium 121 e in Gen. XV 6,11)19. Si aggiunga che queste descrizioni e queste connotazioni sono proprie del solo Petrarca; nessuno degli altri preceptores merita questi attributi. Inoltre, si osservi che se Andalö e Leonzio in qualche caso meritano l'appellativo tecnico di doctor, Petrarca non e mai tale; non tanto perche non possieda questo titolo, quanto, a mio parere, perche non accettö mai di esercitare questa professione in modo formale. Si rammenti che Petrarca ottenne il Privilegium lauree (che con-feriva la licentia ubique docendi) il giorno della laurea in Campidoglio, 1'8 apri-le 1341 ma non se ne servi mai, rifiutando di insegnare nello studio fiorentino. Al contrario, a buon diritto sono doctores Andalö e Leonzio dal momento che entrambi esercitarono questo mestiere presso lo studio di Napoli il primo e presso quello di Firenze il secondo, ossia in contesti che fanno loro ben meritare questi appellativi. Petrarca e invece sempre sommo preceptor, non e magisterne doctor o perlomeno non e solo maestro tecnico per Boccaccio. Egli e maestro di vita, Boccaccio si aspetta da lui una conversione letteraria ma soprattutto morale come illustrano i passi sopra richiamati. Una educazione e una formazione che Boccaccio si aspetta di ricevere per colmare la lacuna del suo iter scolasti-co: egli e infatti letterato autodidatta, un dato fundamentale da tener presente in questo contesto. Giova a questo punto ricordare brevemente il suo curriculum scolastico: dopo una prima istruzione elementare a Firenze presso Giovanni Mazzuoli da Strada, egli viene avviato dal padre al tirocinio mercantile, che inizia sempre a Firenze e prosegue a Napoli; in questa cittä si dedica in seguito alio studio del diritto canonico, che presto abbandona per seguire gli impellen-ti interessi letterari e la precoce vocazione alia poesia, la quale faceva sembrare inutili gli anni spesi a studiare altre discipline. Non riceve quindi una adeguata istruzione letteraria, come racconta lui stesso nel breve autoritratto di Gen. XV 10, 7-9: non studia testi poetici («nec dum fictiones videram»), non ha la pos-sibilitä di apprendere da un maestro («non dum doctores aliquos audiveram») e i soli strumenti che ha sono dati dall'istruzione elementare («vix prima licte-rarum elementa cognoveram»). Riconoscendo la poesia come vocazione di vi- 19 Come, d'altra parte, quello di Virgilio. Si veda De vita et moribus 6: «Maro divino ingenio dotatus». 20 IL LESSICO DEL MAGISTERO NELLE PROSE ERUDITE Dl GIOVANNI BOCCACCIO ta, Boccaccio prova a perseguirla da autodidatta («nemine inpellente, nemine docente [...] quod modicum novi poetice sua sponte sumpsit ingenium»): ě la forza delia poesia a superare i limiti dell'instructio. Petrarca ě sommo esempio morale, ě perfetto uomo cristiano, ě sprone alia virtu e correttore di vizi; ecco il significato del generico appellativo dipreceptor cosi frequentemente a lui attribuito da Boccaccio. Bibliografia Auzzas G. (a cura di), Epištole e lettere, in V. Branca (a cura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, vol. V, Mondadori, Milano 1992. Billanovich G., Petrarca letterato. Lo scrittoio delPetrarca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1947. Fabbri R. (a cura di), De vita et moribus Domini Francisci Petracchi de Florentia, in V. Branca (a cura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, vol. I, Mondadori, Milano 1992. Monti C.M., Boccaccio e Petrarca, in T. De Robertis et al. (a cura di), Boccaccio autore e copista, Catalogo delia mostra tenuta alia biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze dalľll ottobre 2013 all'll gennaio 2014, Mandragora, Firenze 2013, pp. 33-40. 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IV 7-13) e, in qualche misura, un'attuazione de facto dell'anticipazione profetica. Per ragioni di spazio non saräpossibile in questa sede analizzare ogni occorrenza: ho scelto tuttavia alcuni aspetti che, a mio giudizio, consentono di cogliere le valenze me-taforiche del sogno pelagico, non tralasciandone al contempo l'introduzione e la spiegazione, funzionali al dettato e riconducibili a una interpretazione simbolica. Partiamo dunque dal primo di questi passi presi in esame, un caso emble-matico di visio che si mostra a una prima lettura privo di ogni significato logico, ma che svelerä solo in seguito il suo nesso con gli accadimenti legati alia realtä. Il microtesto, frutto della sperimentazione del Boccaccio - espediente lettera-rio atto a mantenere vigile l'interesse del lettore, ma utile al contempo ad anti-cipare i punti salienti della narrazione - da si l'avvio alia vicenda partenopea, ma costituisce altresi l'occasione per esporre, sotto il velo simbolico della tempesta marina e del suo dissolvimento, il processo di consapevolezza del ruolo che Florio assume e dell'acquisizione di quei valori che trovano il loro spazio problematico e la loro risoluzione nei capitoli delle «questioni» amorose. Sia-mo all'interno del III libro che, insieme al II e al IV, costituisce la componente piü densa di sogni e visioni contenuti nel Filocolo. Isabelle Gigli Cervi, University of Genoa, Italy, isagiglicervi@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Isabelle Gigli Cervi, // mare, la tempesta, la quiete: un passaggio fondamentale nella trama e nel significato del Filocolo, pp. 23-36, ©2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.02, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 ISABELLE GIGLI CERVI La vicenda ě nota: Biancifiore viene venduta dai mercanti ed inviata ad Alessandria d'Egitto, la tappa finale deliaperegrinatio amoris, al centro della emble-matica enquéte di Florio. La narrazione, pero, trova la sua piú piena realizzazione nello snodarsi del tenia narrativo della gelosia nei confronti di Fileno, nuova-mente innescata dal casus dell'incontro del tertius, ignaro dell'identita del protagonista. I fraintendimenti si susseguono in maniera sistematica fino a quando interviene Venere pietosa in soccorso del pianto doloroso di Florio, provocan-dogli un «soavissimo sonno nel quale una mirabile visione gli fu manifesta*^. Tengo a sottolineare e a soffermarmi brevemente sulla scelta del termine «visione», di chiara derivazione dantesca2. All'alba del giorno della ascesa, di Dante al Purgatorio, il sogno del primo mattino predispone l'anima, sciolta nel sonno dal peso corporeo, alia visione divina: Ne ľora ehe comincia i tristi lai la rondinella presso a la mattina, forse a memoria de' suo' primi guai, e ehe la mente nostra, peregrina piú da la carne e men da' pensier preša, a le sue vision quasi ě divina, in sogno mi parea veder sospesa un'aguglia nel ciel con penne d'oro, conl'ali aperte e a calare intensa [...] (Pg. IX 13-21) II sogno ě, quindi, ci dice Dante, l'involucro della visione divina e questa, come verrá piú esaurientemente chiarito nel Paradiso, ě elargita dalla grazia che previene ed illumina: quanto piú essa ě profonda, tanto piú ě seguita dall'ardore: 1 Pil. III 19, 1-19: Fedizione di riferimento da qui in avanti ě quella curata da Antonio Enzo Quaglio in V. Branca (a eura di), Tutte le opere del Boccaccio, vol. I: Caccia di Diana-Filocolo, Mondadori, Milano 1967. Com'ě stato studiato daStefano Carrai, la maggior parte diquesti microtesti narrativiprende il suo avvio o per invocazione diretta deipersonaggi, su modello della produzione classica - facendo si che colui che viene invocato si manifesti in sogno -oppure per intervento diretto degli «Iddii» che trovano nel sonno un momento nel quale stabilire un contatto con il sognante: cfr. S. Carrai, Ad somnum. L'invocazione al sonno nella lirica italiana, Antenore, Padova 1990. Si consideri anche che nel Filocolo «le teorie oniro-eritiche sono giá statě applicate ai testiletterari e [...] Boccaccio indaga 1'origine dei sogni e lapremonizione delfuturo»: cfr. V. Cappozzo, Dizionario dei sogni nel Medioevo. íZSomniale Danielis in manoseritti letterari, Olschki, Firenze 2018, p. 50 e «Delle veritá dimostrate da' sogni»: Boccaccio eVoniromanzia medievale, inF. CiabattonieřaZ. (a eura di), Boccaccio 1313-2013, Longo, Ravenna 2015, pp. 203-211. 2 A proposito di sogno, visione e premonizione, valgano ancora le considerazioni di Valerio Cappozzo laddove, in riferimento a Dante, felicemente annota: «La «mirabile visione» si svilupperá fino al Paradiso, passando per Ylnferno, in cui il simbolo si presenta in tutta la sua potenza, per il Purgatorio in cui i sogni, le visioni estatiche [...] rendono la simbologia sempře piú stratificata in preparazione alla ricezione del simbolo puro nel Paradiso»: cfr. Cappozzo, Dizionario dei sogni nel Medioevo, cit., p. 44. 24 IL MARE, LA TEMPESTA, LA QUIETE [...] risponder: «Quantofialungalafesta di paradiso, tanto il nostro amore si raggerá dintorno cotal vesta. La sua chiarezza séguita l'ardore; l'ardor di visione, e quella ě tanta [...] (Pd. XIV 37-41) Giá nella Vita Nova Dante suggerisce una distinzione fra sogno e visione, frutto entrambi del sonno, non meno che tra immaginazione e fantasia, nella piu com-plessa e articolata apparizione in stato di veglia, come leggiamo in quello che ě considerato il primo rilevante sogno della letteratura italiana: Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiutili nove anni appresso 1'apparimento soprascritto di questa gentilissima [...] E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m'apparve una maravigliosa visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d'uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse; e parearni con tanta letizia, quanto a sé, che mirabile cosa era; e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche; tra le quali intendea queste: «Ego dominus tuus». Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggeramente; la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi ch'era la donna de la salute, la quale m'avea lo giorno dinanzi degnato di salutare. (Vita Nova,111 [II] le3-4) Nel confronto tra i due testi mi pare che, fin dalla formula incipitaria «Poi che fuoro passati», mutuata dal Boccaccio in «Poi che Florio»3, appaiano delle analogie e delle corrispondenze tutt'altro che casuali: il «dolce sonno» dal quale viene preso Florio rievoca infatti il «soave sonno» che colpisce Dante4; la «nuo-va visione» boccacciana ricalca la «maravigliosa visione» dantesca5; il «gran signore» echeggia la «figura d'uno segnore»6. Ii punto nel quale le due versio-ni sembrano discostarsi ě da ravvisare nella rappresentazione che segue, nella quale si ritrova la tradizionale iconografia di Amore7: se la «bellissima donna» boccacciana prega umilmente «ginocchioni davanti al signore», Beatrice pare invece «dormire nuda ne le sue braccia», salvo che «involta [...] in uno drappo sanguigno leggermente»8. Ma ě poco piu avanti che Boccaccio aggiungerá di aver visto, mentre invocava il soccorso di Giove, «una bellissima giovane tutta Cfr. Fil. III 19,1 e Vita Nova111 [Ii] 1: l'edizione di riferimento ě quella di G. Petrocchi e M. Ciccuto (a cura di), Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1984. Cfr. Fil. III 19, 1 e Vita Nova III [Ii] 3. Ibidem. Ibidem. Cfr. Met. 1466-471. Cfr. Fil. III 19,3 e Vita Nova III [Ii] 4. 25 ISABELLE GIGLI CERVI nuda, fuori che in uno sottile velo involta»9. Daltra parte, Carlo Delcorno ave-va giá notáto la dipendenza delle opere giovanili del Boccaccio dalla Vita Nova nel corso dello studio dei dantismi presenti nella Fiammetta, dichiarando che i «calchi linguistici cosi presi, e per di piú ostentati in situazioni narrative iden-tiche, tendono a sparire mano a mano che il Boccaccio, avvicinandosi alla sua maturita di scrittore, si libera da una troppo compiaciuta e nello stesso tempo troppo meccanica soggezione ai suoi modelli»10. Ě a partire da questo momento che, all'interno del macrotesto dedicato a Fileno, si sviluppa il microtesto che contiene la descrizione della tempesta: or-mai certo che la «bellissima donna» sia proprio la sua Biancifiore, Florio nota come ella sia scossa come da un turbině dalluscita dal mare, con un che di ma-raviglioso, di «uno spirito nero e terribile a riguardare» - evidentemente non a caso descritto con le medesime caratteristiche della figura del «segnore» dan-tesco che era «di pauroso aspetto a chi la guardasse»u. Ě chiaro che - come ě giá stato notáto da alcuni studiosi -12 la tempesta altro non sia che, fuor di metafora, la rappresentazione della gelosia di Florio e che il suo scopo sia quello di risolvere le inquietudini del protagonista13: come la nave su cui viaggia Biancifiore ě sconvolta dallarrivo del «nero spi-rito» (Fileno) che, cacciato dalla «rossa spada» di Florio (l'Amore), per-mette all'imbarcazione di liberarsi dalle intemperie, cosi il mare, volgendosi da cupo a sereno, assolve a una duplice modalita, narrativa e contenutistica, rappresentando lo snodarsi del viaggio catartico che avrá come tappa finále Alessandria ďEgitto, riallacciandosi forse ad altri celebri e simili viaggi della Classicitá, di nátura diversa certo ma fortemente simbolica, quali ad esempio quello dellapuleiano Lucio14. Ecco che la visio diviene funzionale alla prose-cuzione del racconto (non vada dimenticato, che Venere interviene proprio per evitare che Florio si tolga la vita, preso da un impeto di gelosia dopo l'in- Cfr. Fil. III, 19,9. Cfr. C. Delcorno, Note sui dantismi nell'«Elegia di Madonna Fiammetta», «Studi sul Boccaccio», 11,1979, pp. 251-294: 263. Cfr. FH. III 19, 5 e Vita Nova III [II] 3. Cfr. A.E. Quaglio (acura di), Filocolo, ed. cit., n. 9, cap. 19, pp. 811-812 e C.F. Blanco Valdés, Il sogno raccontato nel Filocolo di Giovanni Boccaccio, «Acta Neophilologica», XLIV (1-2), 2011, pp. 151-160: 155. Interessante, a tale proposito, uno spoglio delle occorrenze delle voci legate alla navigazione e, phi in generale, al naufragio, riportate nel Somniale Danielis, prontuario di simboli onirici phi comuni divisi per lemmi disposti in ordine alfabetico, composto in greco a partire dal IV secolo d.C. e tradotto in latino nel IX. Quello che compare da una ancora sommaria scorta che necessiterä di ulteriore indagine ě una sostanziale ripartizione fra segnali interpretativi positivi e negativi, concordi perö nel delineare la visione del naufragio quale annuncio di eventi favorevoli: cfr. Cappozzo, Dizionario dei sogni nel Medioevo, cit., s.v. Naufragio, Nave, Navigare, pp. 321-322. Su questo aspetto che coinvolge le descrizioni e le riflessioni riguardanti il mito classico e i riferimenti alla conversione simbolica valga per il momento quanto giä indicato, ripromet-tendomi di riservare a questa indagine una analisi phi ricca di riferimenti. 26 IL MARE, LA TEMPESTA, LA QUIETE contro con Fileno), ma occorre al Boccaccio anche per riallacciarsi all'episo-dio del naufragio - questa volta reale - della nave che conduce Florio e la sua compagnia a Napoli, favorendo dunque una interruzione momentanea dell'in-treccio narrativo che verrá ripreso solo a tempesta conclusa, in concomitan-za con l'esposizione dello stormo variegato di uccelli e dell'introduzione del celebre intervallo delle questiones amorose. Approdiamo dunque - non certo con facilitá, vista la natura dell'episodio - al IV libro, capitolo 7, denso di riferimenti alla classicitá e alia mitologia (fra i quali, non ultimo, l'accenno emblematico a Leandro)15. Si tratta di uno sno-do molto ampio, di oltre sette capitoli, suddiviso a sua volta in narrazione vera e propria ed esposizione di una nuova visio funzionale all'intreccio, dove peral-tro Florio é giá divenuto Filocolo. Ecco apparire gli elementi tipici del manifestarsi della perturbazione marina, con la contrapposizione sensoriale vista-udito in simpatico dialogo con il capitolo 8: gli «oscurissimi nuvoli», ilmare che mutua colore, la «doppianotte», la «sopravegnente tempesta per Ii veduti segni», da un lato, il «romore e del mare e de' venti e de' tuoni e dell'acque» e le «dolenti voči de' marinari», dall'altro16. Una ripresa ehe, peraltro, verrá echeggiata nella deserizione del prato nel quale si svolgono le questioni amorose, dove verranno questa volta accostati i sensi di vista e olfatto17. E certamente non passa inosservato il tributo alla deserizione Com'é noto, il mito narra ehe Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla sponda europea dell'Ellesponto, era amatada Leandro, ehe viveva adAbido, sulla sponda asiatica. Ogni notte il giovane attraversava a nuoto lo stretto ed Ero poneva una fiaccola accesa su una torre per indicargli la stráda. Ci furono poi giorni di burrasca e di violente tempeste: per sette giorni i due amanti non si videro. Incapace di attendere ancora (ma secondo un'altra versione del mito sarebbe stata proprio una burrasca a spegnere la lanterna disorientando čosi ľuomo), Leandro si gettô infine anche nel mare in burrasca, ma non giunse vivo sulľaltra sponda. Quando, il mattino dopo, Ero vide il corpo inerte buttato dal mare sulla spiaggia, si gettô fra le onde per non separarsi piú da Leandro: cfr. A.M. Carassiti, Dizionario di mitologia greca e romána, Odysseus, Genova 1996. Il mito é raccontato in Heroid. 18-19. Cfr. Vil. IV, 7, 1-2 e Vil. IV 8,1. Cfr. ivi, 17, 3-4: «[...] e vennero nel mostrato prato, bellissimo molto ďerbe e di fiori, e pieno di dolce soavitä d'odori, dintorno al quale belli e giovani albuscelli erano assai, le cui frondi verdi e folte, dalle quali il luogo era difeso da' raggi del gran pianeto. E nel mezzo d'esso pratello una picciola fontána chiara e bella era dintorno alia quale tutti si posero a sedere; e quivi di diverse cose, chi mirando l'acqua chi cogliendo fiori incominciarono a parlare». La partecipazione dei sensi appare essere particolarmente sentita in quanto responsabile, attraverso la combinazione e la commistione di questi, della veglia dal son-no profondo ďamore di cui ľuomo é spesso vittima: «Perciô io affermo di essere stato catturato per mezzo di questi tre sensi: udito, vista e odorato; e se fossi stato catturato anche con gli altri due sensi, con il gusto baciando e con il tatto abbracciando, allora sarei stato davvero addormentato. Perché é quando non sente nulla con i suoi cinque sensi ehe ľuomo dorme. E dal sonno d'amore vengono tutti i pericoli»: cfr. L. Morini (a eura di), Il «bestiaire ďamours» di Richart de Vornival, in Id., Bestiari medievali, Einaudi, Torino 1996, pp. 363-424: 391. 27 ISABELLE GIGLI CERVI virgiliana - fonte, peraltro dichiarata dall'autore stesso, del capitolo 7 -18 della tempesta causata dall'ira di Giunone19: E il cielo s'apriva sovente mostrando terribilissimi e focosi baleni con pestilenziosi tuoni, i quali, in alcuna parte colti della nave, n'aveano tutte le bande mandate in mare: laonde tutti i marináři dopo lunga fatica, e combattuti dal vento e dalla sopravegnente acqua e da' tuoni, il potersi aiutare, o loro o la nave, aveano perduto, e chi qua e chi lá quasi morti sopra la coperta della nave prostrati giaceano vinti; e quasi ogni speranza di salute, perlo dire de' padroni e per le manifeste cose, era perduta. (FH IV 7,4) Incubuere mari totumque a sedibus imis Una Eurusque Notusque ruunt creberque procellis Africus et vastos volvunt ad litora fluctus. Insequitur clamorque virum stridorque rudentum. Eripiunt subito nubes caelumque diemque Teucrorum ex oculis: ponto nox incubat atra. Intonuere poli et crebris micat ignibus aether, Praesentemque viris intentant omnia mortem. (En. I vv. 84-91) Unam, quae Lycios fidumque vehebat Oronten, Ipsius ante oculos ingens a vertice pontus In puppim ferit; excutitur pronusque magister Volvitur in caput; ast illam ter fluctus ibidem Torquet agens circum et rapidus vorat aequore vertex. Apparent rari nantes in gurgite vasto, Arma virum tabulaeque et troia gaza per undas. (En. 1113-119) Ciö che risulta senza dubbio interessante, proseguendo nella lettura del Filo-colo e dell'invocazione del protagonista, ě la curiosa - ma probabilmente voluta - corrispondenza della visio premonitrice di cui si ě parlato in precedenza. Se lá infatti non era bastato chiedere l'aiuto di Amore20, parendogli che questo fallisse, il protagonista si era rivolto a Giove21, cosi qui, nuovamente insoddisfatto dell'in-tercessione della Fortuna22, ricerca ancora il sostegno di Giove23. Una struttura, Cfr. ivi, 11,10: «Apri gli occhi e conosci ch'io non sono Enea». Per un'ed. di riferimento si veda quella di R. Calzecchi Onesti (a cura di), Einaudi, Torino 1967. Cfr. Fil. Ill 19, 6-7: «con grandissimo pianto verso la poppa gli parea fuggire e gridare verso quel signore "Aiuto"». Cfr. ivi III 19,10: «gli parea domandare mercé e aiuto, e alzando gli occhi al cielo per invocare quello di Giove». Cfr. ivi IV 8, 2-3. Cfr. ivi IV, 8, 9: «egli con přu pietosa voce alzava il viso mirando il turbato cielo, e diceva: -O sommo Giove». 28 IL MARE, LA TEMPESTA, LA QUIETE questa, giä collaudata e presente con incisivitä nei miracoli mariani, laddove si ritrova, con una certa regolaritä, l'alternanza dei tre momenti che scandiscono la descrizione del naufragio: il pericolo, la preghiera e la conseguente salvezza24. Ii 7tä$og aumenta, cosi come la tensione narrativa, che trova il suo culmine nell'ultima descrizione della catastrofe pelagica, contenuta in questa sezione e che risulta de facto una sorte di summa descrittiva di tutti i cliche boccacciani del fenomeno: Vedi che niuno di noi non puö piü; solo il vostro soccorso sostiene le nostre speranze: quello solo attendiamo. Non si ndugi: l'albero, le vele, i timoni e le sarte da' venti e dall'onde ci sono State tolte. E i tuoni e le spaventevoli corruscazioni e le gravi acque cadenti da cielo e mosse da' venti ci hanno A proposito dei miracoli mariani, risultano particolarmente incisivi i primi due exempla di salvataggio in mare narrati nel Libro del Naufragio (ms. Ashburnham 546, Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, cc. lr.-2v). Il testo risulta essere di ostica interpretazione visto il pre-cario stato di conservazione del manoscritto, fortemente danneggiato nelle sue prime carte da infiltrazioni d'acqua che, in alcuni punti, lo rendono pressoché illeggibile. Tuttavia vie-ne in aiuto lo studio di Mary V. Gripkey che riporta un puntuale e completo resoconto del contenuto degli episodi miracolosi: nel primo, i protagonisti della vicenda sono pellegrini naufragati sulla rotta di Gerusalemme. Fra di essi, ascesi al Cielo sotto forma di colombe, uno solo trova salvezza, invocando l'intercessione della Vergine che lo scorta a terra avvol-gendolo nel suo mantello. Nel secondo caso, invece, la vicenda si svolge nel mare di Bretagna dove i passeggeri, colti da una tempesta, pregano diversi santi per trovare la salvezza: ma ě di nuovo l'invocazione della Vergine da parte di un vescovo a far cessare il fenomeno me-diante una luce che si irradia sull'albero maestro (cfr. M.V Gripkey, Mary Legends in Italian Manuscripts in the Major Libraries of Italy, «Medieval Studies», 16,1952, pp. 9-47:10-11 e E. Levi, Il libro dei cinquanta miracoli della Vergine, Romagnoli-Dall Acqua, Bologna 1917. Sulle cc. áúYAshb. 546 si vv. anche G. Tortoli, Miracoli della Madonna e Storia della Samaritána. Scritture inedite del secolo XIV, Coi tipi di M. Cellini e C, Firenze 1898; C. Delcorno (ed. critica a cura di), D. Cavalca, Vite dei santi padri, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2009). Una vicenda molto simile rispetto a quella riportata nel ms. Magliabechiano XXXVIII 70 della Biblioteca Nazionale di Firenze cc. 21 v. col.b-22 r. col.a, dove torna nuovamente l'imma-gine di alcuni pellegrini, monaci questa volta, che, invocati inutilmente molti santi, rice-vono finalmente l'intercessione della Vergine pregata da un abate, la quale risponde alia loro richiesta di aiuto mediante «una lume grandessima», a testimonianza del fatto che Ella sempre viene in supporto perché «mmai non ne abandonô persona che a llei si raccoman-dassi divotamente». E interessante infine notare come, scorrendo le pagine del Decameron - dove, ancora una volta, «l'oniromanzia ě scintilla che dä il via alia simbologia onirica sulla quale sono costruitigli episodi visionari» (Cfr. Cappozzo, Dizionario deisogni nelMedioevo, cit., p. 49) - torni la medesima struttura sovresposta di pericolo-preghiera-salvezza. Si přendá infatti a modello la novella quarta della II giornata: Landolfo Rufolo, prigioniero dei ge-novesi, dopo aver riconosciuto i segni della sopraveniente tempesta (il «vento tempestoso», i «mari altissimi», ľ«oscurissima notte» e il «mare oscurissimo e gonfiato»: II 4, 16-17), prega «Idio» afhnché gli mandi «qualche aiuto alio scampo suo» (II4,18). Dopo un primo momento in cui la preghiera pare rimanere inascoltata («[...] adivenne che solutosi subita-mente nell'aere un groppo di vento e percosso nel mare si grande»: II 4,20), finalmente «il di seguente appresso, lo piacer diDio o forza che '1 facesse [...] pervenne allito dell'isola di Gurfo» (II4, 22). Per un'ed. del Decameron si prenda a riferimento quella di Branca (a cura di), in Tutte le opere del Boccaccio, cit., vol. IV. 29 ISABELLE GIGLI CERVI i nocchieri e i marináři e noi vinti, e renduti impossibili a piú aiutarci: in tempestoso mare, sanza guida e in isconosciuto luogo, abandonato da ogni speranza, per li tuoi servigi cosi mi ritruovo -. (FH IV 8,13-14) Andando a ritroso nel romanzo troviamo nel libro I gli aspetti legáti alia luce delia folgore: Grandissima oscuritá di mali vi nasce, e tagliamenti e pianti, a similitudine di squarciata nube quando Giove gitta le sue folgori. (FH 126, 21) Nel II libro, la descrizione ě legáta agli effetti delia fúria del vento ed al suo-no dei tuoni: A Florio parve subitamente vedere 1 aere piena di turbamento, e i popoli d 'Eolo, usciti del cavato sasso, sanza niuno ordine furiosi recare da ogni parte nuvoli, e commuovere con sottili entramenti le lievi aréne sopra la faccia delia terra, mandandole piú alte ehe la loro ragione, e fare sconci e spaventevoli soffiamenti, ingegnandosi ciaseuno dipossedere illuogo delľaltro e cacciar quello; e appresso mirabili corruscazioni e diversi suoni per isquarciate nuvole, le quali parea ehe accendere volessero la tenebrosa terra. (FH II42,1-2) E nel III, infine, troviamo nuovamente ľimmagine delľimbruscarsi del cielo alľarrivo delia tempesta ed il conseguente seroscio del nubifragio: Tu puoi vedere ad ora ad ora il cielo chiudersi con oseuro nuvolato, e levandoci la vista de' luminosi raggi di Febo, di mezzo giorno ne minaccia notte: e poi di quelli puoi udire solversi terribilissimi tuoni e spaventevoli corruscazioni e infinite acque. (FH III 72,4) Con il capitolo 9 viene progressivamente a rasserenarsi il cielo ma, anche in questo caso, il Boccaccio devia dalla sua fonte: se neWEneide, infatti, torna defi-nitivamente il sereno («[...] in men ehe si dice l'acque furenti paci-fica, / disperde l'ammasso di nuvole, riporta a splendere il sole»)2S, a partire dal capitolo 9 per giungere fino al 12, con una corrispondenza temporale di cinque mesi di attesa, si assiste a una interruzione si della catastrofe atmosferica ma, al contempo, a una situazione di stallo meteorologico, la cui oscuritá riflette in maniera simbolica lo stato d'animo malinconico di Florio («[...] né quasi mai in questo tempo videro rallegrare il tempo. Per la qual cosa gravissima malin-conia e irala disiderosa anima di Filocolo stimolava, dolendosi dell'ingiuria che da Eolo ricevere gli pareva»)26. Una tematica ehe trova la sua collocazione piú 25 Cfr. En. I, vv. 142-143. 26 Cfr. Fit IV 11, 1-2. 30 IL MARE, LA TEMPESTA, LA QUIETE motivata all'interno della Elegia di Madonna Fiammetta; ma su questo spunto converrä rifiettere in altra occasione27. Ed e proprio in questa situazione di stallo che Filocolo riceve «la piü nuova visione»28, che non manca di riportare ad Ascalion e ai compagni. Non vedendo Tora di ripartire, il Nostro implora Nettuno29 di placare la sua ira e cosi sembra che sia se non fosse che viene svegliato dal terribile sogno che lo rende «pieno di malinconia e tutto turbato nel viso»: Ma essendo giä Titan ricevuto nelle braccia di Castore e di Polluce, e la terra rivestita d'ornatissimi vestimenti, e ogni ramo nascoso dalle sue frondi, e gli uccelli, stati taciti nel noioso tempo, con dolci note riverberavano l'aere, e il cielo, che giä ridendo a Filocolo il disiderato cammino promettea con ferma fede. (Fil. IV 12,1) Ii sogno - complesso catalogo di differenti specie di uccelli - nella sua in-decifrabile ambiguitä30, prefigurerebbe forse, come ha sostenuto Luigi Surdich, «l'adunanza dei giovani» prima di affrontare le question?1 (seguendo la corri-spondente «adunazione di questi uccelli»)32 oppure, secondo Carmen F. Blanco Valdes, rappresenterebbe in «forma allegorica gli avvenimenti che si svolgeranno quasi alia fine del quarto libro, quando gli amanti, una volta che si sono rincontra-ti, sono scoperti dal mariscalo e sono inviati alia pira per metterli a morte»33. Non e qui il luogo per indugiare circa l'elencazione della possibile valenza simbolica delle diverse specie, se non fornire un breve cenno a quelle che, a mio giudizio, sono piü rappresentative ed emblematiche. Nell'ampio panorama delle varietä avicole, sarä sufficiente indicare il caso enigmatico della colomba associata al cucülo - l'una, uccello sacro a Venere e carico di valenza purificatrice cristiana, Fondamentale resta Fanalisi della Fiammetta a cura di Ilaria Tufano, laddove viene annota-to che Baia diviene «luogo [...] contenitore della personale mitologia di Boccaccio [...] giä topos letterario codificato quale evocativo paradisus voluptatis»: cfr. I. Tufano, Fiammetta nell'opera di Boccaccio, in Id., Imago mulieris. Figurefemminili del Trecento letterario italiano, Vecchiarelli, Manziana 2009, pp. 25-66: p. 26. Trovo interessante notare il riferimento che Cappozzo fa al Liber Physionomie diMichele Scoto il quale, riprendendo il Somniale Danielis, mostrerebbe la sua vicinanza alia tradizione arabo-islamica e, piü precisamente, alia cre-denza per cui, nell'interpretazione dei sogni, elementi fondamentali siano le condizioni fi-siche del sognante tanto quanto quelle esterne meteorologiche: cfr. Cappozzo, Il Somniale Danielis, cit., p. 19, n. 24. Cfr. Fil. IV12, 3. L'intercessione di Nettuno riecheggia Filostr. VII 64-65, laddove il lamento di Troiolo ap-pare largamente piü diffuso ma tonalmente vicino a quello di Filocolo: per un'edizione si v. quella di L. Surdich (a cura di), Mursia, Milano 1990. Cfr. il commento del Quaglio, laddove egli annota che l'episodio costituisce «un pezzo di struggente simbologia, che ha offerto larga materia di oziosa discussione alia critica positi-vistica»: cfr. Quaglio, Filocolo, cit., n. 37, cap. 13, p. 851. Cfr. L. Surdich, Ii «Filocolo»: le «questioni d'amore» ela «quete» diFlorio, in Id., La cornice diamore. Studi sul Boccaccio, ETS, Pisa 1987, pp. 13-75: 15. Cfr. Fil. IV13, 6. Cfr. Blanco Valdes, Il sogno raccontato nel Filocolo, cit., p. 157. 31 ISABELLE GIGU ČERVI 1'altro divenuto per antonomasia simbolo dellamante, delladultero e del ladro per via del parassitismo nella deposizione delle uova. O, ancora, 1'associazione dello sparviere e dello smeriglio che, come narra Aristotele, venivano utilizzati in una piccola falconeria primitiva piú per ragioni economiche che per interes-si sportivi, per la loro attitudine a cacciare nei periodi migratori a causa della maggiore quantitá degli uccelli presenti i quali, vista la loro timida nátura, presi da angoscia dinnanzi al pericolo, si gettano al suolo, rimanendo immobili e di-venendo cosi facili vittime deipredatori. Unadunanza che ricorda, seppur alla lontana, quella dei volatili descritti nel catalogo boccacciano34. Certo ě che la parte piú interessante, ai fini di questa analisi, ě quella conclu-siva, nella quale il mastino azzanna e fa a brandelli la bella fagiana, causando a sua volta una bufera apocalittica: E cosi attendendo, delle montagne vicine a Pompeana vidi un gran mastino levarsi e correre in questo luogo, e tra tutti gli uccelli ficcatosi, con rabbiosa fame il capo della fagiana prese, e quello divorato, per forza 1'altro busto trasse degli artigli di Niso: il quale poi che voti della presa předa si trovó gli artigli, gridando il vidi non so come in tortola essere trasmutato, e sopra un vicino albero, nel quale fronda verde il nuovo tempo non avea rimessa, posarsi, e sopra quello a modo di pianto umano quasi la sentiva dolere. (Fil. IV 13, 8) Indipendentemente dall'interpretazione simbolica dellepisodio stesso e della sua eventuale valenza premonitrice in rapporto agli eventi futuri, trovo che 34 Cfr. F. Capponi, Ornithologia latina, Universita di Genová, Istituto di Filologia classica e medievale, Genová 1979, s.v. Columba, -ae, pp. 176-185: il colombo «si offre invincibile al falco, che piombando con il fruscio delle ali racchiuse, ě schivato con un solo colpo d'ali», Quaglio, Filocolo, cit., n. 9, cap. 13, p. 849 e Chiose al TeseidaVl 20,2: «i colombi sono uccelli di Venere e da lei sono chiamati dionei»: ancora, molto interessante la considerazione contenuta nel Libro della nátura degli animali, laddove si afferma come i colombi siano simbolo di previden-za, in quanto amano porsi in prossimitá delťacqua, luogo dal quale sanno sempře avvertire la presenza dei predatori sopra di loro (cfr. Il Libro della nátura degli animali, cap. XXXVII, in Bestiari medievali, cit., pp. 431-467: p. 460); Capponi, Ornithologia, cit., s.v. Cuculus, -i, p. 210, laddove la specie indicaper antonomasia il «termine ingiurioso contro il viticultore [...] o contro Famante o l'adultero» per via del «parassitismo nella deposizione» o «contro lo schiavo maldestro»; Capponi, Ornithologia, cit., s.v. Nisus, -i, p. 346, laddove lo smeriglio an-drebbe ad identificarsi con il maschio delFaquila di mare che dai rami di un albero si scaglia gridando contro la předa che tenta la fuga: Quaglio lo identifica semplicemente come «uc-cello da rapina», sotto le cui ali, secondo ibiografi, si nasconderebbe il Boccaccio stesso (cfr. Quaglio, Filocolo, cit., n. 3, cap. 13, p. 849); Capponi, Ornithologia, cit., s.v.Accipiter, -tris, pp. 24-29: assieme allo smeriglio, lo sparviere si distingue per 1'aviditá che lo porta a non teme-re neppure la presenza delluomo. Interessante, ancora, la questione inerente il fagiano che Capponi dice essere «terragnolo», capace di «scacciare gli insetti parassiti» dopo essersi cosparso dipolvere, dalvolo «colfrullo assairumoroso, [...] rapido, sostenuto eprolungato» (cfr. Capponi, Ornithologia, cit., s.v. Phasianus, -i, pp. 408-409) e di cui Quaglio riporta, in relazione alla femmina, come questa difEcilmente possa essere associata - come ě stato inve-ce sostenuto da gran parte della critica - alla «canonica figurazione della nobiltá delťamata presso la trattatistica amorosa» (cfr. Quaglio, Filocolo, cit., n. 4, cap. 13, p. 849). 32 IL MARE, LA TEMPESTA, LA QUIETE sia interessante indagare ulteriori prestiti e riecheggiamenti danteschi, a comin-ciare dalla Vita Nova ehe qui, come giá nella prima visio dalla quale ľintervento ha preso le mosse, paiono ripresentarsi, quasi in forma ellittica, a chiusura delia triade pelagica, come tessere isolate nel gusto delia citazione ostentata propria del Filocolo. Leggiamo infatti ehe, una volta smembrato e divorato il capo delia fagiana, la fiera viene a sua volta tramutata in tortora ehe, posatasi su di un ra-mo e colta da un pianto disperato «a modo di pianto umano», viene improvvi-samente sorpresa da una terribile tempesta: E čosi stando, mi parve vedere il cielo chiudersi d'oscuri nuvoli, molto peggio ehe quella notte, ehe noi di morire dubitammo, non fece. E picciolo spazio stette ch'egli ne cominciô a scendere un'acqua pistolenziosa con una grandine grossa, con venti e con tempesta simile mai non veduta: e i tuoni e' lampi erano innumerabili e grandissimi. E certo io dubitava non il mondo un'altra volta in caos dovesse tornare! E tutta questapistolenziaparea ehe soprail dolente uccello cadesse: la quale dolendosi con ľalie chiuse tutta la sostenea. La terra e '1 mare e '1 cielo erucciati e minacciando peggio, pareano contra a quella commossi, né parea ehe luogo fosse alcuno ove essa per sua salute ricorso avere potesse. E čosi di questa visione in altre, le quali alla memoria non mi tornano, mi trasportô la non staňte fantasia, infino a quelľora ehe io poco inanzi mi svegliai, trovandomi ancora nella mente turbato delia compassione avuta al povero uccello -. (Fil. IV 13, 9-11) Se si riprende il racconto delia morte di Beatrice (Vita Nova, XXIII1-7) ri-torna ľimmagine del sogno premonitore e la deserizione non sembra discostarsi in maniera incisiva da quanto appena letto: [...] Cosi cominciando aderrarelamiafantasia, venni a quello ch'io non sapea ove io mi fosse; e vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente triste; e pareami vedere lo sole oseurare, si ehe le stelle si mostravano di colore ch elle mi faceano giudicare ehe piangessero; e pareami ehe li uccelli volando per ľaria cadessero morti, e ehe fossero grandissimi tremuoti. (Vita Nova XXIII5) É chiaro ehe la scéna delia morte di Beatrice costituisce la prefigurazione delia morte di Cristo, laddove per ľamante la scéna delle tre del Venerdi Santo equivale ad una morte interiore e ad una sorta di interruzione del mondo intero ehe, in qualche modo, sembra momentaneamente fermarsi. É la prefigurazione delia propria morte interiore, accompagnata da fenoméni naturali catastrofici quali eclissi di sole35, stelle ehe paiono cambiare colore quasi in forma di pianto, Cfr. Matteo 27, 45-56: 45: «Da mezzogiorno fino alle tre si fece buio su tutta la terra»; Marco 15, 33-41: 33: «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre dipo-meriggio»; Luca 23, 44-49: 44: «Era mezzogiorno, quando il sole si eclissö e si fece buio su tutta la terra fino alle tre di pomeriggio». Da notare il fatto che solo Luca accenni alFeclissi. 33 ISABELLE GIGLI CERVI uccelli che di colpo in volo cadono morti e terremoti di grandissima intensita36. Una serie di eventi al cospetto dei quali Dante, inorridito, spaventato, prende coscienza dell'effettiva dipartita dell'amata. Non credo sia un caso che alla carneficina della fagiana facciano seguito al-trettanti segni funesti, cosi come la scelta linguistica boccacciana di chiudere l'episodio citando il trasporto della propria «non stante fantasia»37, dunque mobile', Volubile', forse a ricordo della «fantasia» dantesca, «erronea», «forte», ma soprattutto errante, perché soggetta ad una febbricitante «dolorosa infermitade»38. Sembra quasi che lo schema della Vita Nova amori ogni volta che l'autore intende far luce sulla solitudine del protagonista, ai mutamenti ed ai trasalimenti della sua immaginazione. Di nuovo, come spesso accade per le riprese boccacciane che ammiccano alla fonte ma la rielaborano secondo la «fantasia» dell'autore, ě la parte conclusiva a differire: se infatti Dante pone insieme la morte e la vittoria sulla morte mediante il celeberrimo «"Osanna in excelsis"»39 cantato gloriosamente in omaggio alla Resurrezione di Beatrice, la cui morte dopo la fatica, il dolore e il terrore di Dante diviene Bene, nessuno spiraglio di salvezza viene offerto all'uccello che, «dolendosi con le ali chiuse», sopporta il castigo della «pistolenzia»40. Ed ě allora proprio quella assenza di pieta da parte della terra, del mare e del cielo che in nessun modo «pareano contra a quella commossi né parea che luo-go fosse alcuno ove essa per sua salute ricorso avere potesse»41, che mi suggeri-sce un'ultima considerazione. Purgatorio, canto V, vv. 88-129: viene descritto quello che Helmut A. Hatzfeld ha definito come uno straordinario «affresco epico»42. Come noto, si narra la fine di Buonconte, caduto in battaglia e rimasto disperso nel corso del combatti-mento di Campaldino dell' 11 giugno 1289 mentre si trovava alla guida dei Ghi-bellini di Arezzo. Dopo aver rivelato la propria sorte, Buonconte narra a Dante come sia scampato a Satana per intercessione della Vergine e come quello si sia perciö vendicato, rendendosi responsabile di una tempesta tanto intensa da tra-volgere e far scomparire nei suoi flutti il proprio corpo. 36 Da notare che la medesima immagine e stata riproposta in Fil. II 42, 3-4: «[•■•] e pa-reali che gli oscuri fiumi di Stige si fossero posti nella figura del sole, perö che piü non porgea luce; e la luna impalidita avea perduti i suoi raggi, e similmente tutti gli altari di Marmorina gli pareano ripieni d'innocente sangue umano, e tutti i cittadini piangere con altissimi guai sopr'essi. I paurosi animali e feroci insiememente per paura gli parevano fuggir nelle caverne della terra, e gli uccelli ad ora ad ora cader morti, ne parea che albero ne potesse uno sostenere». 37 Cfr.Fi/.IV19, 11. 38 Cfr. Vita Nova XXIII1. 39 Cfr.ivi7. 40 Cfr. Fil. IV 19, 10. 41 Ibidem. 42 Cfr. H.A. Hatzfeld, Lettura delVcanto del Purgatorio, in G. Getto (a cura di), Letture dante-sche, Sansoni, Firenze 1962, pp. 767-786: 778. 34 IL MARE, LA TEMPESTA, LA QUIETE Giunse quel mal voler ehe pur mal chiede con lo ntelletto, e mosse il fummo e '1 vento per la virtú che sua nátura diede. Indi la valle, come '1 di fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse di nebbia; e '1 ciel di sopra fece intento, si che '1 pregno aere in acqua si converse; la pioggia cadde, e a' fossati venne di lei ciô che la terra non sofferse; e come ai rivi grandi si convenne, ver' lo fiume real tanto veloce si ruino, che nulla la ritenne. (Purg. V 112-123) LefFetto ě senza dubbio devastante: tenebre su tutta la valle; gli Appennini e la Cima della Giogana coperti di nebbia; nubi che addensano fino a squarciar-si; una pioggia devastante che muta i ruscelli montani in veri e propri torrenti. Come giustamente ě stato evidenziato, la descrizione del temporale dantesco diviene dunque metafora del fragore della battaglia sorto forma di «fantastica descrizione di pioggia torrenziale, uragano, grandine ed alluvione, come se fos-sero prodotti da potenze infernali»43, riecheggiando in una čerta misura Inf. IX, laddove pero quella a cui si assisteva era una tempesta non marina, bensi legata ad un vento impetuoso che fracassa i rami degli alberi nel bosco e fa fuggire le pecore e i pastori44. E quel corpo, quasi ormai sconsacrato dalla forza distruttrice dellArchiano, viene travolto nel vortice e lordato di sabbia e di fango: non una parola di con-forto da parte di Dante, non una nemmeno da Filocolo. I corpi di Buonconte e della tortora non suscitano orrore o pieta, ma rimangono esposti nella morte al piú ignobile degli avversari, imbrattati e dolenti di fango e «pistolenzia». Bibliografia Blanco Valdés C.F., II sogno raccontato nel Filocolo di Giovanni Boccaccio, «Acta Neophilologica», XLIV (1-2), 2011, pp. 151-160. Branca V. (a eura di), Tutte le opere del Boccaccio, vol. I: Caccia di Diana-Filocolo, Mondadori, Milano 1967. Calzecchi Onesti R. (a eura di), Eneide, Einaudi, Torino 1967. Capponi F., Ornithologia latina, Universita di Genová, Istituto di Filológia classica e medievale, Genová 1979. Cappozzo V., Dizionario dei sogni nel Medioevo. II Somniale Danielis in manoseritti letterari, Olschki, Firenze 2018. Carassiti A.M., Dizionario di mitologia greca e romana, Odysseus, Genová 1996. 43 Cfr. ivi, p. 782. 44 Cfr. Inf. IX 64-105. 35 ISABELLE GIGLI CERVI CarraiS., Ad somnum. L'invocazione al sonno nella Urica italiana, Anteriore, Padova 1990. «Delle veritädimostrateda sogni»:Boccaccio e l'oniromanzia medievale, inF. Ciabattoni et al. (a cura di), Boccaccio 1313-2013, Longo, Ravenna 2015, pp. 203-211. Delcorno C, JVoře sui dantismi nell'«Elegia di Madonna Fiammetta», «Studi sul Boccaccio», 11,1979, pp. 251-294. Gripkey M.V., Mary Legends in Italian Manuscripts in the Major Libraries of Italy, «Medieval Studies», 16,1952, pp. 9-47. Hatzfeld H.A., Lettura del V canto del Purgatorio, in G. Getto (a cura di), Letture dantesche, Sansoni, Firenze 1962, pp. 767-786. LeviE., Ii libro dei cinquanta miracoli della Vergine, Romagnoli-DallAcqua, Bologna 1917. Morini L. (a cura di), Ii «bestiaire d'amours» di Richart de Fornival, in Id., Bestiari medievali, Einaudi, Torino 1996, pp. 363-424. Petrocchi G., Ciccuto M. (a cura di), Vita Nova, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1984. SurdichL., Ii «Filocolo»: le «questioni d'amore» ela «quete» diFlorio, in Id., La cornice di amore. Studi sul Boccaccio, ETS, Pisa 1987, pp. 13-75. Surdich L. (a cura di), Filocolo, Mursia, Milano 1990. Tortoli G., Miracoli della Madonna e Storia della Samaritána. Scritture inedite del secolo XIV, Coi tipi di M. Cellini e C, Firenze 1898. Tufano I., Fiammetta nell 'opera di Boccaccio, in Id., Imago mulieris. Figure femminili del Trecento letterario italiano, Vecchiarelli, Manziana 2009, pp. 25-66. 36 II fantasma di Alatiel: desiderio, parola e memoria in Decameron II 7 Matteo Petriccione Si potes, et ceras remove: quid imagine muta Carperis? [...] (Ovidio, RemediaAmoris, vv. 723-4) Nel presente intervento si vuole indagare l'esistenza di alcuni elementi legati al concetto di electio aristotelica1 e aH'immaginazione amorosa nell'elaborazio-ne proposta da Dino del Garbo2 all'interno della settima novella della seconda giornata del Decameron, e di analizzare come questi contribuiscano a determi-narne la struttura narrativa. L'intento e quello di chiarire 1'infiuenza di tali con-cezioni sulla produzione boccacciana e se le stesse possano fornire una chiave di lettura del racconto in esame3. Ľelectio é uno degli argomenti portanti dell'Etica Nicomachea, di cui Boccaccio possedeva una copia che riportava anche il commento di Tommaso. Per il rapporto tra il Decameron e il testo aristotelico si veda F. Bausi, Gli spiriti magni. Filigrane aristoteliche e tomistiche nella de-cima giornata del «Decameron», «Studi sul Boccaccio», 27, 1999, pp. 205-253; S. Barsella, I marginalia di Boccaccio all'Etica Nicomachea (Ms Milano, Ambrosiana, A 204 inf.), in E. Filosa, M. Papio (a cura di), Boccaccio in America, Longo, Ravenna 2012, pp. 143-155. Per il rapporto tra Boccaccio e Dino del Garbo si veda J. Usher, Boccaccio, Cavalcanti's Canzone «Donna me prega» and Dino's Glosses, «Heliotropia», 2 (l), 2004, pp. 1-15. Per l'influenza della concezione amorosa cavalcantiana sul pensiero del Certaldese si veda M. Pace, L'amore di Cimone. Tradizione medica e memoria cavalcantiana in «Decameron» V1, «Studi sul Boccaccio», 44, 2016, pp. 251-276. II rapporto di Boccaccio con la filosofia scolastica e la teológia é un campo che richiede ulteriori studi, considerando anche che il Certaldese in diverse occasioni dimostra il suo interesse e la sua preparazione filosofica, come neW'Epistola a Francesco Nelli, in cui l'autore afferma di sé stesso: «Tolga Dio questa vergogna da uomo usato nelle case della filosofia» Matteo Petriccione, University of L'Aquila, Italy, matteo.petriccione@graduate.univaq.it FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Matteo Petriccione, // fantasma di Alatiel: desiderio, parola e memoria in Decameron // 7, pp. 37-51, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.03, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 MATTEO PETRICCIONE Innanzitutto risultera utile riconoscere come la ricorsivita dei comportamen-ti degli amanti di Alatiel permetta di individuare un modello maschile, che si configura come un unico coprotagonista della narrazione4. Questo personag-gio segue un copione narrativo, la cui ossatura e stata riassunta da Cesare Segre nel seguente schema: A s'impossessa di Alatiel A ne diventa ramante (A muore ad opera di B); B s'impossessa di Alatiel B ne diventa l'amante (B muore ad opera di C) e cosi via per C, D ecc.5 Se dalle azioni dei personaggi si muove l'attenzione al processo che carat-terizza la loro scelta, e possibile riconoscere tre fasi del comportamento, che si rispecchiano in quelle individuate da Segre e che descrivono l'innamoramento dell'amante e i suoi effetti: (G. Boccaccio, Opere in versi, Corbaccio, Trattatello in Laude di Dante, Prose Latine, Epištole, a eura diP.G. Ricci, Riccardo Ricciardi, Milano-Napoli 1965, p. 1166). Ancora, nel Corbaccio Boccaccio racconta di confrontarsi su temi chiaramente filosofici con la sua «compagnia» (ivi, p. 473), di nuovo di essere stato interessato alia filosofia fin dalla giovinezza (ivi,p. 494), e infine di essere lui stesso da annoverare tra i filosofi, ivi, p. 509: «Nobilissima cosa adun-que ě l'uomo il quale dal suo fattore fu creato poco minore che gli angeli. [...] Da quanta dovrä essere colui il quale i sacri studi, la filosofia ha dalla meccanica turba separato? Del numero della quale tu per tuo ingegno e per tuo studio, aiutandoti la grazia di Dio, la quale a niuno che se nefaccia degno, domandandola, e negata, se' uscito e tra maggiori divenuto degno di mescolarti» (corsivo mio). Si veda in tal senso per quanto riguarda la novella di Alatiel: M.P. Ellero, Alatiel o del Tempo Reversibile. Teológia e Mondanita in «Decameron» II 7, «Studi sul Boccaccio», 21, 2015, pp. 55-76, e piü in generale Id., Federigo e il re di Cipro: note su Boccaccio lettore di Aristotele, «MLN», CXXIX (l), 2014, pp. 180-191, F. Andrei, Boccaccio the philosopher, an epistemology of the Decameron, Palgrave Macmillan, Cham 2017 e, sia consentito il rimando, M. Petriccione, Tra etica e conoscenza: metafore di intelletto nel Decameron, «Scaffale Aperto», 10, 2019, pp. 115-129. Senz'altro i diversi amanti di Alatiel presentano delle differenze, sia sotto il profilo sociale, sia nel loro comportamento, si veda in tal senso M.F. Papi, Nuovi elementi per Alatiel, in Moderno e modernita: la letteratura italiana, Atti del XII Congresso dellAssociazione degli Italianisti (Roma, 17-20 settembre 2008), a eura di C. Gurreri, A.M. Jacopino, A. Quondam, Sapienza Universita, Roma 2009. Proprio a queste difformitá corrisponde una variazione narrativa e stilistica, come nota Picone: «alla visione tragica ďamore succede negli ultimi incontri una visione piů comica e borghese», in M. Picone, Boccaccio e la codificazione della novella, Longo, Ravenna 2008, p. 148. Non si vuole in tal senso ignorare la dimensione lineare della narrazione entro i margini della ricorsivita della novella, elidendo il problema della «gradualitä» della storia di Alatiel (ivi, p. 147). Si intende al contrario delineare due modelli comportamentali e morali che sembrano contrapporsi nella novella, suggerendo la possibilitä di ulteriori studi che ne chiarifichino la reciproca influenza. C. Segre, Le strutture e il tempo, Einaudi, Torino 1974, p. 150. 38 IL FANTASMA Dl ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 1) Lamante vede Alatiel e si innamora del suo aspetto6. 2) L'immagine di Alatiel si fissa nella memoria dell'amante, distogliendolo da altri pensieri7. 3) LamantescegliediprendereAlatieledelaboraunastrategiapergoderedella donna8. Nella tradizione medievale l'innamoramento che nasce dalla sola vista ě con-cepito negativamente, come si riscontra nel De Amore di Andrea Cappellano, in cui la passione per la forma ě associata allamante semplice9. Tuttavia il desiderio per Alatiel mostra effetti piú importanti: gli amanti si degradano fino, in taluni casi, ad acquisire caratteristiche bestiali, come nell'episodio dei due genovesi che duellano a colpi di coltello per decidere chi debba giacere con la donna per pri-mo10, o in quello del duca di Atene che durante l'incontro erotico con la giovane ě ancora sporco del sangue del prenze della Morea11. La bestialita dimostrata in questi episodi trova riscontro teorico nella fenomenologia amorosa esposta da Dino del Garbo nel suo commento alia canzone Donna meprega12. II medico fiorentino infatti associa esplicitamente l'amore per la sola immagine femmini- 6 Dec. II 7, 22: «veggendola esso oltre ad ogni estimazione bellissima, dolente senza modo che lei intender non poteva né ella lui e cosi non poter saper chi si fosse, acceso nondimeno della sua bellezza smisuratamente, con attipiacevoli ed amorosi s'ingegnô ďinducerla a fare senza contenzione i suoi piaceri»; Cfr. ivi, II7, 32; ivi, II7, 38; ivi, II7,44; ivi, II7,46; ivi, II 7, 50; ivi, II7, 67. Peril testo si fa riferimento alľedizione Decameron, a eura diA. Quondam, M. Fiorilla, G. Alfano, BUR, Miláno 2013. 7 lvi, II7, 38: «si forte di lei i due giovani padroni della nave s'innamorarono, che, ogni altra cosa dimenticatane, a servirle ed a piacerle intendevano, guardandosi sempre non Marato s'accorgesse della cagione». Cfr. ivi, II7, 25; ivi, II7,44; ivi, II7, 50; ivi, II7, 68; ivi, II7, 70. 8 lvi, II7,25: «Pericone [...] disposelo 'ngegno eľartiriserbandosiallafineleforze». Cfr. ivi, II7, 32; ivi, II7, 35; ivi, II7, 38; ivi, II7,40; ivi, II7, 51-2; ivi, II, 7, 68; ivi, II7,70. 9 A. Cappellano, De Amore, a eura di S. Battaglia, Perrella, Roma 1947, VI 3-4: «Formae ve-nustas modico labore sibi quaerit amorem, maxime si amorem simplicis requirit amantis. Simplex enim amans nil credit aliud in amante quaerendum nisi formám faciemque venu-stam et corporis cultum. Horům autem amorem improbare non insisto, sed nec multum approbare contendo». 10 Dec, II7, 42. 11 lvi, II7, 57. 12 Dino del Garbo, Commento a «Donna me Prega», 36-7: «Nam res que amatur ab aliquo, ut verbi gratia est mulier, non solum placet (ex qua complacentia procedit amor, ut postea dicet) ratione eius quod amans comprehendit quod est pulera ratione coloris et figure eius et quantitatis et finium, imo etiam aliquando placet ratione esius quod comprehenditur per sensus alios, verbi gratia ratione loquele eius et aliorum gestuum qui comprehenduntur per alios sensus. [...] Secundo oportet notáre quod illud quod hic auctor dicit de intellectupos-sibili non ob aliud dicit nisi ut ostendat quod apprehensio que cadit in amatore, secundum quod hie est sermo de amore, apud homines comuniter non est pure sensitiva, imo etiam intercidit apprensio intellectiva; et propterxa in animalibus brutis cadit talis modus amoris et amicitie, de quo non est hec presens intentio» (corsivo mio). Per il testo si fa riferimento alľedizione E. Fenzi, La canzone ďamore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi commenti, Ledizioni, Miláno 2015. 39 MATTEO PETRICCIONE le al comportamento animale, evidenziando come nell'uomo la valutazione del fantasma della donna non avvenga unicamente sulla base dell'appetito, ma sia un processo in cui necessariamente ha ruolo anche rintelletto: et vult dicere quod passio que est amor causatur ex apprehensione alicuius forme visibilis, que quidem comprehenditur, utpostea dicet, sub ratione complacentie: que complacentia causatur aut quia videtur sibi forma illius rei pulcra, vel ex gestibus illius forme qui sibi placent, quicumque gestus sint illi; et ita talis apprehensio fit ab intellectu ad quern prevenit species illius forme visibilis13. In tal senso il silenzio della facoltá intellettiva viene posto in relazione agli uomini bruti, caratterizzati da una debolezza della volontá nella scelta. Proprio nel processo di scelta, infatti, ha un ruolo primario la valutazione del fantasma da parte dell'intellecto, il quale delibera sulle questioni morali relative all'oggetto, ossia alia sua intentio14. Phantasmata e intentiones, secondo la filosofia medievale, vengono immagazzinati nella memoria afEnché possano essere richiamanti anche in absentia dell'oggetto. Lapeculiaritá dell'intenzione amorosa ě che questa puó produrre una figurazione ossessiva del dato memoriále relativo all'oggetto del desiderio, per questa ragione Dino del Garbo, seguendo Cavalcanti, pone in evidenza il rapporto tra passione e memoria: Hie igitur vult dicere quod amor habet esse in parte memoriali, quoniam impressio speciei rei, ex qua creatur amor, conservatur in memoria et retinetur in ea sicut lumen procedens ab aliquo corpore dyaphano quod illuminatur15. Tuttavia l'amore ha una differente sede; il desiderio erotico in sé, infatti, pri-vo della sua realizzazione fantasmatica, viene in essere nell'appetito sensibile, come il medico precisa poco oltre16. In tal senso l'«oggetto possibile»17, pur non coincidendo perfettamente con Amore, diviene catalizzatore del desiderio: per tale ragione l'immagine della donna continua ad essere proiettata nella fantasia. Ivi, 32, corsivi miei. Per il concetto di immaginazione ed il suo ruolo nella filosofia medievale come organo adi-bito alia funzione di rappresentazione dell'oggetto a partire dai sensi e nel suo rapporto con memoria e pensiero si vedano: M.W. Bundy, The theory of imagination in classical and medieval thought, Folcroft Library Editions, Folcroft 1970; G. Agamben, Stanze: la parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 1977 e Phantasia-imaginatio, Atti di Lessico intellettuale europeo, V Colloquio internazionale (Roma, 9-11 gennaio 1986), a cura di M. Fattori e M. Bianchi, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1988. Dino del Garbo, Commento a «Donna me Prega», cit., 19: «Sed debes hic intelligere, ne erretur, quod quando iste dicit quod amor habet esse in parte memoriali, quod illud dictum quantum ad speciem rei ex cuius apprehensione causatur amor: species autem ilia figitur et conservatur in memoria. Sed passio ipsa que est amor non habet esse proprie memoria, sed habet esse in appetitu sensitivo sicut in subiecto in quo habent esse passiones anime omnes, sicut sunt ira, tristitia, timor, amor et similia accidentia, sicut declaratum est in scientia morali et naturalis: et iste idem ponit etiam». Ivi, 21. Agamben, Stanze, cit., p. 153. 40 IL FANTASMA Dl ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 Ilprocesso fin qui esposto sembra essere estremizzato nella descrizione del-la passione per Alatiel18, in cui Boccaccio metre in scena il trionfo dell'appetito non solo sull'intellect o, ma anche sulla memoria19: gli amanti infatti dimenti-cano letteralmente loro stessi e i loro valori morali20, volgendo ogni sforzo alia conquista deH'oggetto desiderate Una fonte di questa elaborazione boccaccia-na pud essere ricercata nella Vita Nuova, in cui il desiderio di godere della vista della donna «uccide e distrugge ne la mia memoria cio che contra lui si potesse levare»21. Tuttavia nel testo dantesco la distruzione della memoria non conduce all'acquisizione di caratteristiche bestiali. Boccaccio in tal senso sembra piu interessato ad indagare le implicazioni morali di questo tipo di amore, concen-trandosi sul tema della responsabilita dell'uomo rispetto alle sue azioni, argo-mento approfondito da Aristotele neWEtica Nicomachea e ripreso da Dino del Garbo. In relazione a tale questione e chiara la posizione del medico, secondo il quale il desiderio erotico e soggetto alia volonta dell'intellect o, al pari di qual-siasi altro appetito, rendendo l'azione derivante dalla passione pienamente co-sciente e sotto la responsabilita dell'individuo: et nota quos istum appetitum vocavit voluntatem, que videtur intellectui attinere, ut ostenderet quod, licet amor fiat in aliquo? ex dispositione naturali per quam quis inclinatur ad incurrendum faciliter hanc passionem, tamen fit etiam ex propositio et per electionem, quod pertinet ad voluntatem que est libera et liberi arbitrarii, cum se habeat indifferenter ad opposita; et est simile hie sicut etiam est in aliis passionibus ut, verbi gratia, de ira22. 18 Nella prassi letteraria boccacciana una delle caratteristiche principáli ě proprio la riela-borazione personále delle fonti, anche mediche, si veda in tal senso M. Veglia, "Ut medicína poésis". Sulla 'terapia nel «Decameron», in Petrarca e la medicína, Atti del Convegno di Capo d'Orlando (27-28 giugno 2003), a cura di M. Berte, V. Fera e T. Pesenti, Centro Interdipartimentale di Studi Umanistici, Messina 2006, pp. 201-228. 19 Per 'memoria' nella concezione medievale si intende quella parte della mente, sia a livello fisico che psichico, dotata di funzioni figurative e di raccolta dei dati anche morali e gnoseo-logici. Si veda in tal senso, fra gli altri, F. A. Yates, The Art of Memory, Penguin, London 1969 e M.J. Carruthers, The book of memory: a study of memory in medieval culture, Cambridge University Press, Cambridge 1998. 20 Dec. II7, 38: «si forte di lei i due giovani padroni della nave s'innamorarono, che, ogni altra cosa dimenticatane, a servirle ed a piacerle intendevano, guardandosi sempre non Marato s'accorgesse della cagione»; ivi, II 7, 44: «11 prenze della Morea [...] si forte di lei subita-mente s'innamorô, che a altro nonpotevapensare»; ivi, II7, 68: «Per che [Costanzo], da lei innamorato partitosi, tutto il pensier della guerra abbandonato, si diede a pensare come al duca torre la potesse». 21 Dante, Vita Nova, a cura di S. Carrai, Rizzoli, Milano 2009, XV, 2. 22 Dino del Garbo, Commento a «Donna me Prega», cit., 30. Si veda anche Tommaso D'Aquino, Sententia HbriEthicorum, editio Leonina, Roma 1969, III, lect. 4,427: «Dicuntur autem voluntarie operari, non quia operentur ex voluntate, sed quia proprio motu sponte agunt, ita quod a nullo exteriori moventur. Hoc enim dicimus esse voluntarium quod quis sponte et proprio motu operatur. Ea ergo quae propter iram vel concupiscentiam fiunt, sunt voluntaria». 41 MATTEO PETRICCIONE Secondo Aristotele un'azione ě frutto dell'interazione di un desiderio intel-lettivo e di uno sensibile: il centro della scelta risiede neH'attribuzione di mag-gior valore all'uno o all'altro23. II nucleo del conflitto tra intelletto e appetito, a sua volta, ě nella differente dinamica temporale in cui le due tensioni desideran-ti vengono proiettate: l'anima sensibile, infatti, desidera Yhic et nunc, mentre la ragione valuta il piacere in un arco temporale piú lungo. Cosi riporta Tommaso D Aquino commentando Aristotele: Dicit ergo, quod quia possunt fieri appetitus contrarii adinvicem, hoc contingit cum ratio concupiscentiae contrariatur: et fit idest accidit hoc in habentibus sensum temporis, idest qui non solum cognoscunt quod in praesenti est, sed considerant praeteritum et futurum; quia intellectus quandoque ab aliquo concupiscibili retrahere iubet, propterfuturi considerationem. [...] Sed concupiscentia incitat ad accipiendum propter ipsum iam, idest propter illud quod in praesenti est: videtur enim quod in praesenti est delectabile, esse simpliciter delectabile et bonum, ex eo quod non consideratur ut futurum24. Per questa ragione il desiderio agisce negli amanti di Alatiel provocando di-menticanza degli obiettivi a lungo termine individuati dal desiderio intellettivo: il fantasma della donna, infatti, stimola l'appetito immediato, il quale soverchia 1'intelletto, spingendo al gesto imminente e cancellando il sistema di valori degli individui, che, essendo basato sui dati memoriali25, ě necessariamente associato ad un desiderio con proiezione temporale lunga. lvi, VI, lect. 2, 1137: «Quia enim electio est principium actus et electionis principia sunt appetitus et ratio sive intellectus aut mens, quae mediante electione sunt principia actus, consequens est quod electio vel sit intellectus appetitivus, ita scilicet quod electio sit essen-tialiter actus intellectus, secundum quod ordinat appetitum; vel sit appetitus intellectivus, ita scilicet quod electio sit essentialiter actus appetitus, secundum quod dirigitur ab intellects Et hoc verius est: quod patet ex obiectis». Tommaso D'Aquino, Sentencia libri De anima, Textum Taurini, Roma 1959, III, lect. 15, 12, corsivo mio. L'impossibilitä degli animali di proiettare il desiderio nel futuro viene riconosciuta anche da Seneca, Epistulae ad Lucilium, a cura di O. Hense, Teubner, Lipsia 1938, CXXIV, 15-17: «In muto animali non est beata vita nec id, quo beata vita efEcitur, in muto animali bonum non est. [...] Tertium vero tempus, id est futurum, ad muta non pertinet. Quomodo ergo potest eorum videri perfecta natura, quibus usus perfecti temporis non est? Tempus enim tribus partibus constat, praeterito, praesente, venturo. Animalibus tantum quod brevissimum est et intracursum datum praesens. Praeteriti rara memoria est nec umquam revocatur nisi praesentium occursu». Sulla presenza delle epištole sene-chiane nella biblioteca di Boccaccio si veda M. Petoletti et al, Boccaccio, autore e copista, Mandragora, Firenze 2013, pp. 291- 326, alia p. 319. Riguardo Finfluenza del pensiero di Seneca sul Decameron si veda L. Battaglia Ricci, Scrivere un libro di novelle, Longo Editore, Ravenna 2013, pp. 202-203. Per il rapporto tra memoria ed etica nella strutturazione del sistema valoriale degli individui all'interno della concezione medievale si veda Carruthers, The book of memory, cit., p. 182: «instead of the word "self" or even "individual", we might better speak of a "sub-ject-who-remembers", and remembering also feels and thinks and judges. In other words, we should think of the apprehending and commenting individual subject ("self") also in rhetorical terms». 42 IL FANTASMA Dl ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 A ben vedere la descrizione del desiderio fin qui profilata si pone in linea con la morale proposta da Panfilo nell'introduzione alia novella II, 7: Molti furono ehe la forza corporale e la bellezza e čerti gli ornamenti con appetito ardentissimo disiderarono, néprima d'avermal disiderato s'avidero, che essi quelle cose loro di morte essere o di dolorosa vita cagione26. II mal desiderare dei protagonisti maschili si configura come un difetto nelle capacitá di valutazione delľintentio delľoggetto e questo fallimento deriva dal trionfo dell'appetito, il quale erroneamente riconosce la felicitá nei beni dispen-sati dalla fortuna, portatori di piacere momentaneo ed incerto, la cui ricerca ca-ratterizza le bestie27: E acciô che io partitamente di tutti gli umani disiderii non parli, affermo niuno poterne essere con pieno avvedimento, si come sicuro da fortunosi casi, che da' viventi sipossa eleggere: per che, se dirittamente operar volessimo, a quello prendere e possedere ci dovremmo disporre che Colui ci donasse, il quale solo ciô che ci fa bisogno cognosce e puolci dare28. Quanto detto configura 1'amore dei personaggi maschili nella novella come un esempio negativo del sistema di comportamento e scelta, in cui 1'uomo, se-guendo l'appetito, si degrada ad una condizione animale. A questo, tuttavia, si contrappone un altro modello, da ricercare nel personaggio femminile di Alatiel: questa non rappresenta un mero espediente narrativo per descrivere una tipolo-gia di amante bestiale, piuttosto la sua esistenza come centro del racconto ě fun-zionale alia messa in scéna di un comportamento antitetico a quello maschile. Innanzitutto si riconoscerá come uno dei temi centrali della parabola della protagonista sia il suo rapporto con la sorte29. In tal senso ě interessante rirlette- Dec, II7, 5, corsivo mio. Si veda in tal senso Tommaso DAquino, Sententia Ethicorum Libri, cit, I, lect. 5, 60: «conside-randum est, quod vita voluptuosa, quae ponit finem circa delectationem sensus, necesse habet ponere finem circa maximas delectationes, quae sequuntur naturales operationes, quibus scilicet natura conservator secundum individuum per cibum et potum et secundum speciem per com-mixtionem sexuum. Huiusmodi autem delectationes sunt communes hominibus et bestiis: unde multitudo hominum ponentium finem in huiusmodi voluptatibus videntur esse omnino bestia-les, quasi eligentes talem vitam quasi optimám vitam in qua pecudes nobiscum communicant». Dec, II 7, 6-7. E Maria Pia Ellero a mettere in evidenza l'efficacia metaforica dell'episodio che innesca le peripezie della protagonista, ossia quello della tempesta, che si fa immagine della precarietä della fortuna. Si veda in tal senso Ellero, Alatiel o del Tempo Reversibile, cit., pp. 69-70: «Lo spazio vastissimo nel quale si muove Alatiel richiama un'immagine di mondo precario e incerto, che il caso ha reso indecifrabile. La cifra metaforica di questa incertezza ě il vuoto conoscitivo che i personaggi sperimentano durante e dopo la tempesta, che travolge la nave sulla quale la promessa sposa del re dAlgarve sta viaggiando. [...] Ii mondo contingente della fortuna ě simbolicamente notturno, i pochi punti di riferimento geografici ("non guari sopra Maiolica") sono a carico del narratore; i personaggi invece non sono piú in grado di decifrare lo spazio, perché ľoscura casualitä degli avvenimenti rende inservibili i loro stru-menti di orientamento ("vista" ed "estimazion marinaresca")». 43 MATTEO PETRICCIONE re sulle dinamiche narrative della novella in relazione ai pensieri e alle azioni di Alatiel. In particolare ci si soffermi sul seguente passo che descrive la condizione della giovane di fronte al «mondo contingente della fortuna»30: «strignendo-la necessitd di consiglio, per cio che quivi tutta sola si vedeva, non conoscendo o sappiendo dove si fosse, pure stimolo tanto quelle che vive erano, che su le fece levare»31. Come ha posto in evidenza Maria Pia Ellero32, la parola «consiglio» appartiene ad una terminologia filosofico-morale che trae origine dalle rifles-sioni aristoteliche contenute nelYEticaNicomachea e dal commento propostone da Tommaso D'Aquino33: il consilium) frutto dell'ingegno, non ha implicazioni morali di per se, ma corrisponde all'analisi delle possibilita di fruizione dell'og-getto da parte del soggetto34: Est enim electio actus appetitus rationalis, qui dicitur voluntas. Ideo autem dixit electionem esse desiderium consiliabile, quia ex hoc quod homo consiliatur pervenit ad iudicandum ea quae sunt per consilium inventa35. Si noti allora come la formula «necessita di consiglio» esprima una condizione precisa, legata alia tensione di sopravvivenza: nel suo stato Alatiel deve compiere una scelta forzata dalla situazione. Questo le appare chiaro dopo aver osservato come, nelpericolo, ognunopensiunicamente alia propria incolumita: Per la qual cosa, non veggendovi alcun rimedio al loro scampo, avendo a mente ciascun se medesimo e non altrui, in mare gittarono un paliscalmo, e sopra quello piu tosto di fidarsi disponendo che sopra la isdruscita nave si gittarono i padroni; a' quali 30 Ibidem. 31 Dec. II7, 16, corsivo mio. 32 M.P. Ellero, Per un lessico dell 'industria. Osservazioni sulla seconda e sulla terza giornata del Decameron, «Lettere Italiane», LXIX (l), 2017, pp. 34-58, pp. 53-57. 33 Tommaso D'Aquino, Sententia Libri Ethicorum, cit., Ill lect. 8,474: «Est autem consideran-dum quod in operabilibus finis est sicut principium; quia ex fine dependet necessitas ope-rabilium, [...] et ideo in consiliis oportet finem supponere. Et hoc est quod dicit quod non consiliamur de finibus, sed de his quae sunt ad fines; sicut in speculativis non inquiritur de principiis, sed de conclusionibus». 34 Cio appare particolarmente chiaro all'interno del Decameron nelle situazioni amorose, al punto che l'amore per Boccaccio sembra avere la funzione di affinare l'ingegno e non la morale. Cfr. Puce, L'amore di Cimone, cit., e A. D. Scaglione, Nature and Love in Late Middle Ages, University of California Press, Los Angeles 1963, p. 67: «The Dolce StilNuovo had preached that love reveals true nobility, and, at best, make us noble by developing our hidden, dormant virtues. Boccaccio's love even makes his characters ingegnosi, and the intelligence thus developed has one supreme goal: the satisfaction of the sensual instinct, a right of nature». Nello specifico l'azione di Amore appare quella di presentare un maggior numero di possibilita agli occhi della mente, agendo direttamente sull'immaginazione, si veda in tal senso Dec. Ill, 1,11-12 analizzati da Ellero, in Per un lessico dell'industria, cit., p. 48; ma ancheDec. IV, 1, 10: «Ed era si fuori delle menti di tutti questa scala, per cio che di grandissimi tempi davanti usata non s'era, che quasi niuno che ella vi fosse si ricordava: ma Amore, agli occhi del quale niuna cosa e si segreta, che non pervenga, l'aveva nella memoria tornata alia 'nna-morata donna». 35 Tommaso D'Aquino, Sententia Libri Ethicorum, cit., Ill, lett. 9,486. 44 IL FANTASMA DI ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 appresso or l'uno or l'altro di quanti uomini erano nella nave, quantunque quegli che prima nel paliscalmo eran discesi con le coltella in mano il contraddicessero, tutti si gittarono, e credendosi la morte fuggire in quella incapparono36. La condizione delia protagonista a questo livello della narrazione entra in risonanza con uno dei temi ricorrenti nel macrotesto: infatti l'essere stretti da necessitä nel Decameron ě una situazione che risulta compatibile con dei compor-tamenti normalmente inappropriati. Ciö viene esplicitamente affermato da Pam-pinea quando la brigata discute la possibilitá di ritirarsi allontanandosi dalla cittá: Natural ragione é, di ciascun che ci nasce, la sua vita quantopuô aiutare e conservare e difendere: e concedesi questo tanto, che alcuna volta ě giá addivenuto che, per guardar quella, senza colpa alcuna si sono uccisi degli uomini. E se questo concedono le leggi, nelle sollecitudini delle quali ě il ben vivere d'ogni mortale, quanto maggiormente, senza offesa d'alcuno, ě a noi e a qualunque altro onesto alla conservazione della nostra vita prendere quegli rimedii che noi possiamo?37 Su queste basi ě possibile interpretare il gesto della protagonista di assecon-dare le avances di Pericone come una scelta ponderata e cosciente. In tal senso Alatiel giacendo con l'amante non cede al desiderio negando il suo voto di casti-tá, anzi a ben vedere esiste una contrapposizione tra quello che la protagonista «seco propone»38 e quello che dice alle «sue femine»,39 poiché ella cosciente-mente comprende «che a lungo andare o per forza o per amore le converrebbe venire a dôvere i piaceri di Pericon fare».40 Allora decidendo di «calcare la mi-seria della sua fortuna»41 Alatiel převede chiaramente la possibilitá di sottostare ai piaceri dei suo salvatore, poiché ě in gioco la sua incolumitá. Dec. II7,12, corsivo mio. Ivi, I Introduzione, 53-4, corsivo mio. La «natural ragione» espressa da Pampinea riprende ed in qualche modo si oppone alla aeterna ratio con la quale, secondo Tommaso, Dio go-verna il mondo, concetto, come nota ancora la Ellero, espresso con il medesimo linguaggio tomistico in X 8, 57, evidenziando ľambiguitä dell'approccio boccacciano alla questione teologica e come nel Decameron l'approfondimento morale non escluda il rapporto con la divinitä. Cfr. Ellero, Alatiel o del Tempo Reversibile, cit., p. 60. Per il tema del rapporto tra morale e necessitä si vedano anche le parole di Dioneo nella conclusione della sesta giornata, Dec, VI, Conclusione, 8-10: «il tempo é tale, ehe, guardandosi egli uomini e le donne d'operar disonestamente, ogni ragionare é conceduto. Or non sapete voi che, per la perversitä di questa stagione, li giudici hanno lasciati i tribunáli? le leggi, cosi le divine come l'umane, tacciono? E ampia licenza per conservar la vita é conceduta a ciascuno?» (corsivo mio); e la difesa finale del novellare licenzioso, in ivi, X, Conclusione, 7: «Appresso assaiben sipuô cognoscere queste cose non nella chiesa, delle cui cose e con animi e con vocaboli onestissimi si convien dire; [...] né ancora nelle scuole de' filosofanti [...] ma ne' giardini, in luogo di sollazzo, tra persone giovani benché mature e non pieghevoli per novelle, in tempo nel quale andar con le brache in capo per iscampo di sé era allipiu onesti non disdicevole, dette sono» (corsivo mio). Ivi, II7, 23-4. Ibidem. Ibidem. Ibidem. 45 MATTEO PETRICCIONE Dopo il primo incontro erotico, la narrazione prosegue muovendo l'atten-zione sugli amanti: infatti, fino all'incontro con Antioco, le notazioni sulle ri-flessioni e i sentimenti di Alatiel si rarefanno e riguardano principalmente la sua paura e ľincertezza di fronte ai continui cambiamenti, seguite dal conforto dei piaceri sessuali forniti dai diversi uomini.42 La ragione di questa parziale eclis-si della donna ě da ricercare nel suo silenzio, prodotto dall'impossibilita di co-municare con i suoi amanti43. II silenzio dell'oggetto ďamore ě una situazione ricorrente nel Decameron44) tuttavia in questo caso, come sostiene Laura Benedetti, il personaggio di Alatiel si fa muto non solo verso i suoi amanti, ma anche verso il lettore45, innescando un cambiamento della focalizzazione narrativa che si sposta dalla donna agli uomini che se ne innamorano. Eppure al centro della descrizione della fenomenologia amorosa rimane il fantasma della giovane e le sue ricorrenti notazioni comportamentali, seppur minime. Parte della criti-ca ha visto anche nell'atteggiamento di Alatiel una sfumatura animale, come ad esempio Almansi: «seem to be repeating the zoological phenomenon of the male bees who burn up their existence in a fatal coitus with the queen-bee»46. Certo, la protagonista sembra dimenticare volta per volta gli uomini con i quali giace47, tuttavia ella non appare passibile dello stesso giudizio che l'autore riser-va ai suoi amanti, poiché sullo sfondo del suo comportamento rimane viva nel-la coscienza del lettore il concetto di necessitä di consiglio rispetto alia fortuna, la quale, essendole avversa, riduce le possibilitá di scelta. Per questa ragione la degradazione della donna, che fa da specchio a quella dei suoi amanti, non av-viene tramite l'acquisizione di caratteristiche bestiali, ma di una condizione simile a quella della merce. Come nota Benedetti: «La parabola di Alatiel ě [...] quella di una progressiva alienazione dal linguaggio, che si svolge parallela alia lvi, II7, 30: «11 che poi che ella ebbe sentito, non avendo mai davanti saputo con che corno gli uomini cozzano, quasi pentuta del non avere alle lusinghe di Pericone assentito, senza attendere d'essere a cosi dolci notti invitata, spesse volte se stessa invitava non con le parole, ché non si sapea fare intendere, ma co' fatti». Cfr. ivi, II7, 37; ivi, II7, 43; ivi, II 7,47; ivi, II7, 59;ivi,II7,75. Ivi, II7, 19: «accorgendosi che intese non erano né esse lui intendevano con atti s'ingegna-rono di dimostrare la loro disavventura». Cfr. ivi, II7,22; ivi, II7, 30; ivi, II, 7, 50. Il mutismo acquisisce diverse sfumature di significato nelle diverse situazioni: in III 5 la moglie di Francesco subisce l'imposizione del silenzio da parte del marito. La stessa cosa avviene in X 4 per madonna Catalina, prima che possa riunirsi con Nicoluccio. Diversa ac-cezione sembra avere l'assenza di parola quando il muto ě di sesso maschile, come in III 1 in cui Masetto da Lamporecchio (Treccani) finge di non poter comunicare per dare modo alle donne del monastero di godere di lui senza paura di scandali. L. Benedetti, I Silenzi di Alatiel, «Quaderni dTtalianistica», 13, 1992, pp. 245-255, alia p. 250: «Sul piano narrativo ě di fondamentale importanza notáre la coincidenza tra il silenzio che la protagonista osserva per gli uomini che le si accompagnano e quello per il lettore». G. Almansi, The Writer as a Liar. Narrative Technique in the Decameron, Routledge & Kegan Paul, London and Boston, 1975, p. 125. Dec, II 7, 37: «La donna amaramente e della sua prima sciagura e di questa si dolfe molto; ma Marato col santo cresci in man che Dio ci die la cominciô per si fatta maniera a consolare, che ella, giä con lui dimesticatasi, Pericone dimenticato aveva». Cfr. ivi, 7,47; ivi, 7,75; ivi, 7,80; ivi, 7, 89. 46 IL FANTASMA DI ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 riduzione ad oggetto inanimato»48. Ii mutismo della protagonista, in tal senso, conduce ad una sua trasformazione in oggetto, elemento che, assieme alia sua bellezza, induce negli amanti un desiderio che acquisisce le medesime caratte-ristiche di quello associato ai beni terreni, che dunque non tiene conto dell'u-manitá della donna. Tale processo si configura come lo svolgimento narrativo dall'analogia tra ricchezza e bellezza, entrambi soggetti alla fortuna, instaurata da Panfilo nell'introduzione, precedentemente presa in considerazione. All'interno della novella la sovrapposizione tra 1'immagine della giovane donna e quella della merce viene esplicitamente chiamata in causa al momento del rapimento da parte dei due genovesi: E essendosi l'un dell'altro di questo amore avveduto, di ciö ebbero insieme segreto ragionamento e convennersi di fare l'acquisto di questo amor comune, quasi amore cosi questo dovesse patire come la mercatantia o i guadagni farmo49. Tuttavia la «silenziosa acquiescenza»50 della protagonista non la accompa-gna fino alla conclusione della sua parabola. Avvicinandosi alia fine del raccon-to, Alatiel sembra riacquisire gradualmente la sua condizione. L'incontro con Antioco, in tal senso, segna una variazione sostanziale dello schema episodico ripetitivo osservato, e ciö ě prodotto dal ritorno alla possibilitá di comunicare: II famigliar d'Osbech, il cui nome era Antioco, a cui la bella donna era a guardia rimasa, ancora che attempato fosse, veggendola cosi bella, senza servare al suo amico e signor fede di lei s'innamorö. E sappiendo la lingua di lei (il che molto a grado Vera, si come a colei alia qualeparecchi anni aguisa quasi disorda e di mutola era convenuta vivere, per lo non aver persona inteso, ní essa essere stata intesa da persona), da amore incitato cominciö seco tantafamiliaritá apigliare inpochi di, che non dopo molto, non avendo riguardo al signor loro che in arme e in guerra era, fecero la dimestichezza non solamente amichevole ma amorosa divenire, l'un dell'altro pigliando sotto le lenzuola maraviglioso piacere51. Ě interessante notáre come tramite la parola vengano restaurate la condizione umana di Alatiel e la sua identita, passando proprio per la memoria degli amanti. Infatti, r«attempato» Antioco, uno dei pochi a soprawivere all'incontro con la donna, ě 1'unico a chiederle di essere ricordato dopo la sua mořte: «E te, carissima donna, priego che dopo la mia mořte me non dimentichi, acciö che io di lá van-tar mi possa che io di qua amato sia dalla piú bella donna che mai formata fosse dalla natura»52. Tale dato si dimostra in linea con il concetto per cui 1'attrazione per la «verbi gratia»53, menzionata da Dino del Garbo, testimonia un amore piú Bendetti, Isilenzi di Alatiel, cit., p. 250. lvi, II7, 39. L. Bendetti, Isilenzi di Alatiel, cit., p. 250. Dec, II7, 80, corsivo mio. lvi, II7, 85. Dino del Garbo, Commento a «Donna mePrega», cit., 36, vedi nota 12. 47 MATTEO PETRICCIONE alto di quello narrato fin qui: il sentimento di Antioco infatti si proietta in una di-namica temporale piú lunga deWhic et nunc, poiché egli non desidera solo godere della forma di Alatiel, ma essere parte della sua memoria, allontanandosi dal mo-dello di amore bestiale precedentemente rappresentato. Questa variazione della dinamica amorosa agisce anche sulla protagonista, la quale, piangendo la morte del suo ennesimo amante, si rattrista per la compagnia ed il dialogo perduti, non solo per l'incertezza della propria situazione, dimostrando affetto verso Antioco: «l'amico mercatante e la donna similmente, queste parole udendo, piangevano; e avendo egli detto, il confortarono e promisongli sopra la lor fede di quel fare che egli pregava, se awenisse che el morisse»54. Come nota al riguardo Picone: «lo scambio [di Alatiel] con gli ultimi due amanti é non solo sessuale, ma anche e so-prattutto affettivo e conoscitivo»55. Certo, anche in questo caso il modo in cui la giovane viene affidata al mercante di Cipri ricorda il passaggio di una merce, questa volta per via ereditaria: «tornando per ventura un mercatante cipriano, da lui molto amato e sommamente suo amico, sentendosi egli verso la fine venire, pen-so di volere e le sue cose e la sua cara donna lasciare a lui»56. Tuttavia il cambia-mento della condizione di Alatiel é testimoniato dal fatto che per la prima volta la giovane viene posta di fronte a una scelta, infatti il mercante le chiede esplici-tamente se voglia seguirlo: Poi, pochi di appresso, avendo il mercatante cipriano ogni suo fatto in Rodi spacciato e in Cipri volendosene tornare [...], domandö la bella donna quello che far volesse, con ciö fosse cosa che a lui convenisse in Cipri tornare. La donna rispose che con lui, se gli piacesse, volentieri se n'andrebbe, sperando che per amor d'Antioco da lui come sorella sarebbe trattata e riguardata57. Tale dato acquista particolare importanza se si considera che l'ultimo tradi-mento della novella non coincide con l'ennesima forzatura di Alatiel, ma é un evento in cui la donna ha un ruolo attivo e, di conseguenza, una volontá: Per la qual cosa awenne quello ehe né delľun né delľaltro nel partir da Rodi era stato intendimento: cioé ehe incitandogli il buio e ľagio e il caldo del letto, le cui forze non son piecole, dimenticata ľamistá e ľamor d Antioco morto, quasi da iguali appetito tirati, cominciatisi a stuzzicare insieme [... ] insieme fecero parentado58. L'amore per il mercante di Cipri é una passione nata dalla reciprocita e non dalla passivitá della protagonista, segnando un importante punto di passaggio verso la restaurazione della possibilitá di scelta. L'episodio, in tal senso, introduce il successivo incontro con Antigono, in cui Alatiel riacquisisce il controllo del suo destino, come testimoniano le sue parole: «se vedi, poi che udito ľavrai, Dec, II7, 86. Picone, Boccaccio e la codificazione della novella, cit., p. 149. Dec, II7, 82. Ivi, II7, 87 Ivi, II 7,89, corsivo mio. 48 IL FANTASMA DI ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 da potermi in alcun modo nel mio pristino stato tornare, priegoti l'adoperi; se nol vedi, ti priego che mai ad alcuna persona dichi d'avermi veduta o di me ave-re alcuna cosa sentita»59. Di fronte alla possibilitá di perdere il proprio onore la protagonista dimostra di preferire i casi della fortuna: il silenzio di Antigono riguardo il loro incontro, infatti, farebbe si che tutti la credessero ancora morta, cancellando di nuovo ľ identita appena riacquistata. Proprio in questa scelta ri-siede il ruolo di exemplum della protagonista in posizione antitetica rispetto ai suoi amanti: infatti, mentre questi ricercano la felicitá nei beni dispensati dal-la fortuna, la giovane si trasforma in merce solo all'occhio maschile e a quello del lettore, ma mantiene la propria integrita di fronte alla sorte. Cio ě possibi-le poiché ľeccezionalitá della sua condizione, come detto, cambia i parametri morali del suo giudizio rispetto a quello applicabile ai suoi amanti. In tal senso, nel momento in cui la protagonista riacquisisce la possibilitá di decidere, essa dimostra la propria integrita, accettando di essere salvata solo alla condizione di poter tornare al suo «pristino stato». A ben vedere ľatteggiamento di Ala-tiel come modello virtuoso durante ľarco della narrazione puo essere descritto tramite un passo delle Epistulae ad Lucilium: Quid fieri soleat, quid oporteat, in universum et mandari potest et scribi; tale consilium non tantum absentibus, etiam posteris datur: illud alterum, quando fieri debeat aut quemadmodum, ex longinquo nemo suadebit, cum rebus ipsis deliberandum est. Non tantum praesentis sedvigilantis est occasionem observare properantem; itaque hanc circumspice, hanc si videris prende, et toto impetu, totis viribus id age ut te istis officiis exuas. Et quidem quam sententiam feram attende: censeo aut ex ista vita tibi aut e vita exeundum. Sed idem illud existimo, leni eundum via, ut quod male implicuisti solvas potius quam abrumpas, dummodo, si alia solvendi ratio non erit, vel abrumpas. Nemo tarn timidus est ut malit semper pendere quam semel cadere60. La donna decide volta per volta come agire, assecondando la fortuna, e coglie l'occasione fornitagli dall'incontro con Antigono per uscire dal suo stato misero: in tal senso sullo sfondo della novella sembra riconoscibile l'assunto senechiano riguardante la relativita della morale rispetto alla contingenza. Ci si chiederá tuttavia come un'esplicita menzogna, ossia la riscrittura finale delle peripezie di Alatiel, possa rappresentare un atto virtuoso, o se piuttosto Boccaccio non proponga un gioco parodico in chiusura della novella. Chiara ě la posizione sull'argomento di Picone, che riconosce nella trasformazione di Alatiel da oggetto della narrazione a soggetto narrante la «riflessione sull'arte del narrare»61, come sfondo semantico della novella, a cui si accompagna l'elabora-zione del «dramma del vissuto col riso del narrato»62. Non ě questa la sede per lvi, II 7, 100. Seneca, Epistulae ad Lucilium, cit., XXII, 2-3, corsivi miei. Picone, Boccaccio e la codificazione della novella, cit., p. 151. Ivi, p. 152. 49 MATTEO PETRICCIONE trattare gli equilibri tra gli intenti morali e quelli comico-parodici nella prassi narrativa del Certaldese. Tuttavia, in conclusione, non si puó non segnalare come nel Decameron fin dall'incipitla. parola e la narrazione rappresentino i principali mezzi dell'uomo per opporsi alia sorte e sanare il «peccato della fortuna»63. Tale dinamica restituisce una funzione morale al narrato, anche dove questo appare palesemente falso, ponendo l'opera entro quel filone di indagine medievale che si interroga sul rapporto tra finzione e veritá, di cui la raccolta di novelle, ed in particolare quella di Alatiel, sembra rappresentare il raggiungimento del culmi-ne, fin quasi al punto di rottura. Bibliografia Agamben G., Stanze: laparola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 1977. Almansi G., The Writer as a Liar. 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Dec, Proemio, 13: «Adunque, acciô che per me in parte s'amendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, si come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciô che alľaltre ě assaiľago e '1 fuso e ľarcolaio, intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo». 50 IL FANTASMA DI ALATIEL: DESIDERIO, PAROLA E MEMORIA IN DECAMERON II 7 Fattori M., Bianchi M. (a eura di), Phantasia-imaginatio, Atti di Lessico intellettuale europeo, V Colloquio internazionale (Roma, 9-11 gennaio 1986), Edizioni dellÄteneo, Roma 1988. Fenzi E., La canzone á'amore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi commenti, Ledizioni, Milano 2015. Pace M., Ľ amove di Cimone. Tradizione medica e memoria cavalcantiana in «Decameron» V1, «Studi sul Boccaccio», 44, 2016, pp. 251-276. 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Boccaccio e latradizione del cursus medievale Ě ormai noto, e universalmente riconosciuto, ehe ľopera narrativa di Boccaccio deve molto alla tradizione mediolatina delľArs dictandi; la sottile e ardita tessitura prosastica del Decameron, sebbene profondamente innovativa e unica nel suo genere, accolse e reinterprete «i canoni e le regole della piú aristo-eratica e raŕEnata prosa d'arte»:1 Boccaccio conosceva a fondo gli insegnamenti dei rětori medievali e ne applicö le preserizioni (in modo spesso originale, come del resto si addiceva al suo audace spirito ďiniziatore) anche alle maggiori opere in prosa volgare2. La sua esistenza, almeno fino al decisivo incontro con Petrarca - dal quale scaturi, come si sa, un profondo rinnovamento spirituále delľuomo e dello serittore -3 fu segnata dalla pratica e dalľesercizio delle leggi della retorica: la sostenuta prosa ritmata, rimata e versificata che caratterizza, nel Decameron, 1 V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul «Decameron», Sansoni, Firenze 1996 (ed. orig. 1981), p. 45. 2 Cfr. A. SchiaŕEni, Autobiografia poetica e stiledel Boccaccio dal «Filocolo» alla «Fiammetta», Introduzione a G. Boccaccio, ĽElegia di Madonna Fiammetta, a eura di F. Ageno, Coi tipi di Alberto Tallone, Parigi 1954, pp. 1-8, alle pp. 4-5. 3 Cfr. L. Battaglia Ricci, Boccaccio, Salerno Editrice, Roma 2008 (ed. orig. 2000), pp. 30-31. Paola Mondani, University for Foreigners of Siena, Italy, p.mondani@studenti.unistrasi.it FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Paola Mondani, Ad alta voce: I'essenza fonico-acustica e gestuale del cursus nel Decameron, pp. 53-76, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.04, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 PAOLA MO N DAN I primariamente e maggiormente il Proemio e, con esso, l'intera soglia testuale della cornice, ě il frutto di un'approfondita conoscenza del cursus medievale, al cui usus Boccaccio aveva avuto accesso, oltre che attraverso lo studio delle opere di Sant'Agostino, Boezio, Brunetto e Dante, per tramite del bibliotecario Paolo da Perugia e di padre Dionigi da Borgo S. Sepolcro, «le piú autorevoli guide del suo apprentissage napoletano»4 presso la corte angioina. Giá SchiaŕEni aveva mostrato che il cursus (e prevalentemente nella forma del velox, che per primi i trattatisti medievali considerarono «sovranamente bella»s) caratterizza tanto la prosa del Filocolo quanto quella della Comedia delle Ninfe Florentine e de\V Elégia di Madonna Fiammetta6. Dopo di lui, Branca ne esaminô l'im-piego nella raccolta di novelle, riportando nel suo lavoro, della dettagliata analisi ritmica, solo alcuni brevi estratti dal Proemio, dall'Introduzione alia prima giorna-ta e dalla Conclusione della decima, relativi, pertanto, alia sezione della cornice7. Ma quali erano, precisamente, le norme del cursus che Boccaccio conobbe e applicô - talvolta con il controllo della ragione, talaltra sotto la guida incon-sapevole dell'orecchio - alia sua prosa volgare? E soprattutto, quanto rispettô i dettami delle artes e quanto, invece, se ne discostô, dando vita egli stesso - chi puô dire se consapevolmente - a una nuova regola? Facciamo un passo indietro. Il cursus medievale, che, come ě noto, continua il sistema ciceroniano delle clausulae, si affermô, nel corso del Medioevo, insie-me e parallelamente alia graduale perdita di sensibilita per la quantitá sillabica. Troviamo il suo piu antico e organico insegnamento in un trattatello del tardo XII secolo attribuito al cancelliere papale Alberto da Morra (poi Papa Gregorio VIII): la Forma dictandi. In essa, il maestro ammoniva i notarii dello studio bo-lognese su una serie di norme per l'accentazione delle sillabe arte a disciplinare l'andamento ritmico del periodo intero: nella stesura di lettere e bolle papali bi-sognava collocare delle specifiche cadenze in corrispondenza di pause, sospen-sioni e respiri, tanto in apertura quanto nel mezzo e nella chiusura del discorso8. Tra i primi indagatori del cursus, sul finire del XIX secolo, ci fu chi - come Noel Valois e Louis Havet - ne restitui una definizione alterata, scaturita dall'at-tribuzione al vocabolo cursus, che stava per «corso ritmato dell'eloquio», del significato ben diverso di clausola, vale a dire di «chiusa cadenzata di frasi e pe-riodi». Tale ridefinizione dell'oggetto (che perdura ancor oggi, dominando nei vocabolari e dizionari di stilistica, metrica e retorica)9 determinava una regola Branca, Boccaccio medievale, cit., p. 47; nel merito cfr. anche M. Santagata, Boccaccio indiscre-to: il mito di Fiammetta, il Mulino, Bologna 2019, pp. 17 e 20-21. A. SchiaŕEni, Tradizione epoesia nella prosa ďarte italiana dalla latinita medievale alBoccaccio, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1943, p. 18. Cfr. SchiaŕEni, Autobiografiapoetica e stile, cit. Cfr. Branca, Boccaccio medievale, cit., pp. 50-51 e 56-57. Cfr. P. Rajna, Per il cursus medievale e per Dante, «Studi di Filológia Italiana», III, 1932, pp. 7-85, allepp. 33-35. Mi permetto di rinviare, su questo punto specifico, a P. Mondani, Sulla nozione e definizione di cursus medievale, «Bollettino dTtalianistica», II, 2019, pp. 18-37. 54 AD ALTA VOCE distante non solo dalla piú vicina lezione gregoriana, ma anche dagli insegna-menti di Cicerone, il quale - applicando al latino una pratica nata in seno allo-ratoria greca e formalizzata per la prima volta da Isocrate -10 mostrava come la clausula ritmica non dovesse rimanere isolata, bensi preparata cadenzando anche le pause che la precedevano11. La discrepanza emersa giá nei primi studi ě diretta conseguenza dellevo-luzione per niente affatto lineare di questo sfuggente artificio retorico che, dif-fusosi oltralpe secondo i dettami di Alberto, nell'Italia del basso Medioevo perse la fisionomia originaria, assumendo via via i caratteri dello stile curiale, nel quale si lasciava maggiore liberta alle parti iniziali del těsto, rivolgendo il massimo dellattenzione e della eura alle chiuse12. Da questi presupposti storici muove la seguente precisazione di Schiaffini: «con il termine cursus i trattatisti medievali per lo piú si riferivano allandamento ritmico di tutto il periodo, alia sua studiata disposizione di parole», mentre «noi moderni, con qualche ar-bitrio, siamo soliti chiamare cursus» il carattere proprio dello stile della Curia romana, consistente nell'«ornare la prosa, particolarmente alia fine dei periodi e dei membri di periodo, di una cadenza o clausola ritmica»13. Nella ben nota e piú completa definizione offerta nella voce dedicata dell'En-ciclopedia Italiana, Schiaffini collegava l'impiego del cursus nel Medioevo alla necessitá di impreziosire 1'eloquio dei discorsi piú eleganti e sostenuti: «il cursus, che dura in vita, con maggiore o minore intensita, dal sec. III d. C. fino al XIV, era adottato alio scopo di ornare la prosa che aspirasse a sollevarsi sulluso comune, a mostrarsi in pubblico con segni di distinzione»14. Lantica funzione del cursus, tuttavia, non erapuramente esornativa; originariamente, 1'abitudine di intervallare il discorso con pause puntuali e scandite dal ritmo degli accenti mirava ad agevolare 1'oratore nella pronuncia del discorso ad alta voce, anche fornendogli strumenti evocativi per risvegliare l'interesse e l'attenzione dellu-ditore15. Si trattava, quindi, di un elemento materiále e sonoro che, nel corso del 10 Cfr. F. Di Capua, Il Cursus e le Clausole nei prosatori latini e in Lattanzio: corso di letteratura eristiana antica, Adriatica Editrice, Bari 1948-1949, pp. 7-8. 11 Cfr. L. Ceci, Il ritmo delle orazioni di Cicerone: I Catilinaria, Forzani, Roma 1905, p. 7 e sgg. 12 Cfr. Rajna, Per il cursus medievale, cit., a p. 74. 13 Schiaffini, Tradizione epoesia, cit., p. 2passim. 14 Id., Cursus, «Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere e Arti», Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, XII, 1931, p. 166. Consultabile anche in rete: (12/2020). 15 «Versus enim veteres illi in hac soluta oratione propemodum, hoc est numeros quosdam nobis esse adhibendos putaverunt; interspirationis enim, non defetigationis nostrae neque librariorum notis sed verborum et sententiarum modo interpunctas clausulas in orationi-bus esse voluerunt; idque princeps Isocrates instituisse fertur ut inconditam antiquorum di-cendi consuetudinem delectationis atque aurium causa, quem ad modům seribit discipulus eius Naucrates, numeris adstringeret» [Gli antichi maestri greci erano convinti che anche in questa nostra prosa si dovesse introdurre un elemento analogo al verso, cioě una čerta scansione ritmica. Essi volevano che nelle orazioni vi fossero pause, da collocare non nei momenti di stanchezza delForatore, ma in quelli in cui egli aveva bisogno di riprendere fiato; 55 PAOLA MO N DAN I Medioevo, ebbe nuova vita prevalentemente nelle epištole e nei documenti di cancelleria, cioě in quei testi che riproducevano, sostituendolo, l'atto performa-tivo di un discorso in praesentia16; con il tempo, poi, il cursus fini per investire anche quella prosa in cui la narrazione ha luogo, cosi nella^ícŕio come nella re-altá, sempre in presenza di un uditorio17. Nel Decameron, come si sa, la voce assume un ruolo chiave: oltre a pluraliz-zarsi nella gran varieta di narratori - i quali, muovendo dal turno proemiale e introduttivo dell'autore (il narratore extradiegetico di primo grado), si alterna-no su due ulteriori livelli di racconto (quello di secondo grado dei novellieri e quello di terzo grado dei personaggi-narratori interni alle novelle)18 - essa fringe da filo conduttore e connettore tra le storie, gli ambienti e i personaggi che si dispiegano nell'opera, generando una linea stilistica uniforme che, al di lá e al di sopra delia molteplicitá dei toni, riesce a mantenere viva (seppur invisibile) ľatmosfera e la dimensione delľoralitá dal principio alia fine. E allora, la scelta di armonizzare quelle sue novellette «in florentin volga-re e in prosa scritte»19 reimpiegando (certamente con grande estro e liberta) le leggi ritmiche del cursus medievale, dovette forse scaturire non solo e non prin-cipalmente dalla volontá di impreziosirne la forma nel senso che a questa prassi aveva attribuito Schiaffini, quanto piuttosto dalla necessitá mimetica di ripro-durre nella scrittura l'originaria tradizione declamatoria del racconto, aspetto chiaramente legato anche al fatto che l'opera fosse nata per un'occasione orale ed essenzialmente destinata alia fruizione orale20. Né la prosa ritmica di Boccaccio dovette conformarsi alia degenerazione tarda della regola, dovuta, come abbiamo visto, all'affermarsi dello stile curiale; nei periodi decameroniani, infatti, quasi ogni pausa (breve o lunga) e ogni respiro sono comandati da una cadenza di cursus, che li caratterizza - nelle diverse tipo-logie - tanto in apertura quanto nel mezzo e nelle chiuse. Per l'andamento piu cauto e disteso - com'e, ad esempio, quello delProemio - sono di normapreferite le cadenze piane, vale a dire il cursus planus e il trispondaicus, mentre dominano esse dovevano essere indicate non dai segni di interpunzione dei copisti ma dal ritmo delle parole e dei pensieri. Si dice che Isocrate per primo abbia introdotto l'uso di sottomettere al ritmo lo stile disordinato delForatoria antica, alio scopo di dar piacere alle orecchie, come scrive il suo discepolo Naucrate]: Cicerone, De Oratoře, III, 173, trad, a eura diM. Martina, M. Ogrin, I. Torzi e G. Cettuzzi, note di I. Torzi e G. Cettuzzi, con un saggio introduttivo di E. Narducci, BUR, Milano 2010 (ed. orig. 1994). Cfr. G. Alfano, Nelle maglie della voce. Oralita e testualita da Boccaccio e Basile, Liguori, Napoli2006, p. 96. Cfr. G. Baldissone, Le voci della novella. Storia di una scrittura da ascolto, Olschki, Firenze 1992, pp. 7-11. Cfr. M. Picone, Autore/narratori, in R. Bragantini e P.M. Forni, Lessico critico decameronia-no, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 34-59: 36. Boccaccio, Dec, IVIntroduzione, 3. Cfr. G. Patota, La grande bellezza dell'italiano, Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 229-231 e P. Manni, La lingua di Boccaccio, il Mulino, Bologna 2016, p. 133. 56 AD ALTA VOCE quelle sdrucciole ogni volta ehe si sente la necessitá di unaccelerazione (cursus velox) o di un dilatato rallentamento (cursus tardus) del ritmo. Naturalmente, il cursus non caratterizza con la stessa intensita e coerenza tutte le sezioni dell'opera, né, alľinterno di un passo, 1'ornato mantiene sempře 10 stesso grado di ricercatezza, ma puö al contrario variare in dipendenza dal contenuto che veicola; in generale, il solco testuale della cornice - che include, oltre zWlntroduzione e alia Conclusione di ciascuna giornata, anche i preamboli alle novelle - ě caratterizzato da un suo lucido uso spesso congiunto ad altre figure retoriche e riprende per lo piú il modello del Proemio. Inoltre, come noto, al variare della voce narrante corrisponde in molti casi un mutamento del registra e, parallelamente a questo, delľandamento ritmico: oltre alla gravitá della materia trattata, dunque, anche il tipo di narratore puö in qualche modo con-correre a determinare il carattere del cursus. Per comprensibili ragioni stilistiche, ai fini delľanalisi degli aspetti ritmico -rétorici del Decameron di cui si rende conto nelle pagine che seguono, 1'opera ě stata suddivisa in tre sezioni, quella della cornice, quella della novella narrata e quella della novella dialogata21. 2. Ritmo e artifici rétorici nella sezione della Cornice 11 Proemio22 [l] Umana cosa ě aver compassióne deglivafflítti (tr.): e come che a ciascuna persona stea-béne (pi.), a coloro ě massimaménte richésto (pi.) li quali giá hánno di-confórto (tr.) avúto mestiére (pl.) e hannol trováto in alcúni (pl.); fra' quali, se alcuno mai n'ébbe bisógno (pl.) o gli fu caro o giá ne ricevétte piacére (pl.); io sonojino di-quégli (pl.). [2] Per ciö che, dallamiapríma giovanézza (tr.) infino a questo tempo oltre modo essendo acceso stato ďaltissimo e nobile amóre (tr2), forse piú assai che alla mia bassa condizióne non-parrébbe (tr.), narrándolo, si-richiedésse (sdr. con pent, piano), quantunque appo coloro ehe discréti érano (md.) e alla cui notizia pervenne io ne fóssi lodáto (pl.) e da molto piú reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatícava sofFeríre (tr.), certo non per crudeltá della donna amata, ma per soverchio fuoco nella ménte concétto da póco regolátovappetíto (pl. + tr. + pl. svrp): il quale, per ciö che a niuno convenevole termine mi lasciava contento stare, piú di noia che bisogno non m'era spesse volte sentír-mi facéa (pl.). [3] Nella qual noia tanto rifrigerio giá mi porsero i piacévoli ragionaménti (sdr. con pent, piano) d'alcuno amico e le sue laudévoli consolazióni (sdr. con pent, piano), che io porto fermíssima opinióne (vi.) per 21 Opero questa suddivisione sulla scorta di Manni, La lingua di Boccaccio, cit., pp. 151-58; Patota, La grande bellezza, cit., p. 226; L. Serianni, Italiano in prosa, Franco Cesati Editore, Firenze2012,p. 39. 22 I bráni qui antologizzati sono tratti da G. Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo ľautografo hamiltoniano a eura di Vittore Branca, Accademia della Crusca, Firenze 1976. 57 PAOLA MO N DAN I quelle éssere avenúto (vi.) che io non sia morto. [4] Ma si come a Colui piácque il-quále (pl.), essendo ÉglHnfmíto (pl.), diede per legge incommutabile a tutte le-cóse mondánevaver-fíne (pi. + pi. svrp), il mio amore, oltre a ogn'altro fervente e il quale niuna forza di proponiméntovo di-consígliovo di-vergógnavevidénte (tr. + tr. svrp + pi. svrp), o pericolo ehe seguír-ne potésse (pi.), avéva potúto (pi.) né-rómpere né-piegáre (vi.), per se medesimo in processo di tempo si diminui in guisa, che sol di sé nella mentě m'ha al presénte lasciáto quel-piacére (pl. + tr. svrp) che egli ě usáto di-pórgere (td.) a chi troppo non si mette ne' suoi piú cupipélaghi navigándo (vi.); per che, dove faticoso ésser soléa (pl.), ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento ésser rimáso (pl.). [5] Ma quantunque cessáta sia-la-péna (tr.), non per ciö ě la memoria fuggíta (pl.) de' benefici giá ricevuti, dátimi da-colóro (vi.) a' quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le míe fatíche (pl.); né passerá mai, si come io credo, se non per morte. [6] E per ciö che la gratitudine, secondo che io credo, trail'altre virtú ě som|ma|men|te| da| com|men|da|re| (novenario) - evil| con|tra|rio| da| bia|si|ma|re| (novenario), per non parere ingrato ho meco stesso propósto di-volére (tr.), in quel poco che per me si puö, in cambio di ciö che io ricevetti, ora che libero dir-mi-pösso (vi.), e se non a coloro che me atarono, alii quali per avventura per lo lor senno o per la loro buóna ventúra (pl.) non abisogna, a quegli almeno a' quali fa luogo, alcúnovalleggiaménto prestáre (tr. + pl. svrp). [7] E quantunque il mio sostentamento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia a' bisognosi assai poco, nondimeno pármi quello doversi piú tósto pórgere (md.) dove il bisógnovapparísce maggióre (pl. + pl. svrp), si perché piú utilita vi fara e si ancora perché piú vi fia cáro avúto (pl.). [8] E chi negherá questo, quantunque egli si sia, non molto piú alle vaghe donne ehe agli uomini convenírsi donáre (pl.)? [9] Essedentro a'dilicatipetti, teméndove vergognándo (tr.), téngono l'amoróse fiámme nascóse (vl. + pl.), le quali quanto piú di forza abbian ehe le palesi colóro il-sánno ehe l'hánno prováte (pl. + pl.): e oltre a ciö, ristrétte da'-voléri, da'-piacéri (tr. + tr. svrp), da' comandaménti de'-pádri, delle-mádri, de'-fratéllive de'-maríti (pl. + tr. svrp + tr. svrp + tr. svrp), il piú del tempo nel piccolo cireuito delle lóro cámere racehiúse dimórano (md. + td.) e quasi ozióse sedéndosi (td.), voléndove non-voléndo (tr.) in una medesima ora, séco rivolgéndo diversi pensiéri (tr. + pl.), li quali non é possibile ehe sempre síeno allégri (pl.). [10] E se per quegli aleúna malinconía (vi2), mossa da focóso disío (pl.), sopraviéne nelle-lor-ménti (vi2), in quelle conviene ehe con grave nóia si-dimóri (tr.), se da nuóvi ragionaménti (vl2) non é rimossa: senza che eile sono molto men forti che gli uóminiva sostenére (vi.); il che degli innamoráti uómini non-avviéne (md. + vi. svrp), si come noi possiamo apertaménte vedere (pl.). [ll] Essi, se alcuna malinconia o gravézza di-pensiéri glivafflígge (tr. + pl. svrp), hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciö che a loro, volendo essi, non manca l'andare a torno, udire e veder molte cose, uccelláre, cacciáre, peseáre, cavalcáre, giucárevo mercatáre (pl. + pl. svrp + tr. svrp + pl. svrp + tr. svrp): de' quali modi ciaseuno ha fórza di-trárre (pl.), ovin-tútto ovin-párte (pl.), l'animo a sé e dal noióso pensiéro (pl.) rimuoverlo almeno per aleuno spázio 58 AD ALTA VOCE di-témpo (pl.), appresso il quale, con un módovo con-áltro (pl.), o consolazion sopraviene o-divénta la-nóia minore (pl. + pl. svrp). [l 2] Adunque, acciö che in parte per me s'améndivil peccáto délla fortuna (pl. + pl.), la quale dove meno era di forza, si come noi nelle dilicate donne veggiámo (pl.), quivi piú avara fu di sostegno, in soccórso e-rifúgio di quelle che-ámano (tr. + td.), per ciö che alľaltre ě assai ľágo e-'l-fúsove ľarcoláio (pl. + tr. svrp), intendo di raccontare cénto novélle (pl.), o favole o parabole o-istórie (vi.) che dire le-vogliámo (tr.), raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso tempo della passata mortalita fatta, e alcúne canzonétte (tr.) dalle prederte donne cantáteval lor-dilétto (tr.). [13] Nelle quali novélle piacévoli (td.) e aspri cási ďamóre (pl.) e altri fortunátivavveniménti (tr.) si vederanno cosi ne' moderni témpivavvenúti cóme neglivantíchi (pl. + tr.); delle quali le giá derte donne, che quéste leggeránno (tr.), parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consíglio potránno pigliáre (tr2 + pl.), in quanto potránno cognóscere (td.) quello che sia da fuggire e che sia similménte da-seguitáre (piano con pent, piano): le quali cose senza passamento di noia non credo che póssanovinterveníre (vi.). Ii che se avviene, che voglia Idio che cosi sia, a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da' suoi legami m'ha conceduto il potere atténdereva' lor-piacéri (vi.) [Dec, Proemio]. L'andamento del «pensoso e distaccato proemio»23 ě moderato e discreto: il periodo ďapertura ě caratterizzato esclusivamente da cadenze piane, delle quali solo due di trispondaicus: la prima (compassióne degli^ajflítti), collocata in corri-spondenza di una pausa forte, ha una evidente funzione enfatica, dato il valore semantico delle parole che la compongono; la seconda {hánno di-confórto), al contrario, non ě messa in rilievo dalla sospensione del flusso del discorso, ben-si agevola il passaggio (accelerando un po' il ritmo) dal planus che la precede (massimaménte richésto) a quello che la segue (avúto mestiére), favorendo quin-di l'avvicendamento col piu cauto planus che chiude la prima metá del periodo (trovátojn alcúni); dopodiché, ľeloquio procede senza intoppi fino zlplanus in clausola {sonoúno di-quégli), preparato dai due precedenti ehe si intervallano a distanze quasi regolari. 11 secondo lunghissimo periodo ě contornato, come il precedente, da due cadenze piane: la prima pausa che lo caratterizza ě, infatti, un trispondaicus (príma giovanézza), in corrispondenza del quale la rapida sospensione sembra essere as-sociata ancora una volta alla necessitá di sottolineare il significato delle parole (il fatto che, ancora giovanissimo, l'autore fosse stato «acceso» da un «altissimo e nobile amore», motivo della composizione delľopera); la seconda cadenza piana corrisponde, invece, al planus della chiusa (sentír-mifacéa). Tra la chiarezza pacata del ritmo che apre e chiude questo passo si dispiega - in tutta la sezione centrale - un dinamismo generato dall'inserimento di due Branca, Boccaccio medievale, cit., p. 50. 59 PAOLA MONDÄN I cadenze sdrucciole (nobile amóre; discréti érano), di una catena di cursus che s'in-cardina nella sintassi articolata, quasi a voler riprodurre il turbamento emotivo descritto dalle parole (ménte concétto dapóco regolátojippetíto), e di una sequenza insolita (non rispondente, cioě, ad alcuna cadenza di cursus, né nella forma primaria, né tantomeno in una delle varianti secondarie) di polisillabo sdrucciolo piú pentasillabo piano (narrándolo si-richiedésse), riproposta anche nel periodo successivo (piacévoli ragionaménti; laudévoli consolazióni). Quest'ultimo, cosi breve e diretto, assume quasi il carattere di una frase incidentale; il ritmo, poi, ne favorisce l'immediatezza e la rapiditá attraverso l'uso esclusivo di cadenze sdrucciole, cioě dei due veloces (fermíssima opinióne; éssere avenúto) che si ag-giungono ai casi particolari appena segnalati. Da qui in avanti, a parte due veloces (né-rómpere né-piegáre; pélaghi navigán-do) e un tardus (usáto di-pórgere) nel quarto periodo, un velox nel quinto (dátimi da-colóro), uno nel sesto (líbero dir-mi-pósso) e un medius nel settimo (tóstopór-gere), il discorso procede riprendendo 1'iniziale andamento piano; prevalgono, infatti, cadenze di planus e trispondaicus, tra cui s'inseriscono anche elementi in vario modo risonanti: due novenari in rima desinenziale (som|ma|men|te| da| com|men|da|re|; e^il| con|tra|rio| da| bia|si|ma|re), un'anafora chiusadaun planus che ě in rima inclusiva con il primo costituente (per avventura per lo lor senno o per la hro buóna Ventura) e una rima ricca tra alleggiamento, che chiude il periodo 6, e sostentamento, che apre il settimo. Questa tendenza distesa e regolare s'interrompe con il nono periodo, carat-terizzato da grande enfasi retorica: in esso le cadenze conducono un discorso forgiato di numerosi artifici e non a caso introdotto da un'interrogativa senza risposta che ha in clausola un planus (convenírsi donáre): la prima cadenza di trispondaicus (teméndojz vergognándo) produce un omeoteleuto ed ě seguita da tre catene, una di velox + planus (téngono Vamorósefiámme nascóse), una di trispon-daici sovrapposti (ristrétte da-voléri, da-piacéri) e una, piu lunga, di planus + tre trispondaici sovrapposti (da' comandaménti de-pádri, delle-mádri, de-fratéllijí de-maríti), tutte caratterizzate da rime interne e, le ultime due, anche dalla ite-razione della r. La sequenza medius + tardus (lóro cámere racchiúse dimórano), interamente sdrucciola, ha nella cadenza di tardus che segue (ozióse sedéndosi) la sua corre-sponsiva, mentre un omeoteleuto la lega al trispondaicus (voléndo^e non-voléndo) le cui componenti sono in rima desinenziale tra loro e rimano, alio stesso modo, con il primo membro della catena successiva (séco rivolgéndo diversi pensiérí); in quest'ultima, invece, la cadenza áiplanus presenta un omeoteleuto che la accorda anche all'elemento finale del periodo, l'aggettivo (ritmicamente isolato) allegri. II periodo successivo mantiene lo stesso ardito andamento del precedente. Vi compaiono tre veloces secondari: il primo (alcúna malinconía) risuona con il planus che lo segue (focóso disío), mentre il secondo (sopraviéne nelle-lor-ménti) e il terzo (nuóvi ragionaménti) sono in rima inclusiva. Questa cadenza secundaria tornerá anche nell'ultimo periodo del Proemio (similménte da-seguitáre). Per finire, ě interamente piano anche il cursus dell'undicesimo periodo, costi-tuito, come quello iniziale, esclusivamente da cadenze áiplanus e trispondaicus. 60 AD ALTA VOCE del quale e degna di nota l'accumulazione in rima grammaticale che costituisce una catena diplani e trispondaici sovrapposti {uccdlarc, cacdarc, pcscarc, cavalcarc, giucärcjo mercatäre); nel dodicesimo e nell'ultimo, invece, il cauto andamento ritmico generale e scosso da pochi ma mirati inserti sdruccioli, atti a sottoline-are alcuni elementi essenziali del discorso (parabole o-istorie) - come nel caso di questa cadenza di vdox, con la quale viene finalmente presentato il contenuto dell'opera - o, come nel caso dell'ultimo vdox (attendere^a lor-piaceri), a chiu-dere il discorso secondo tradizione, ovvero con la cadenza che i trattatisti me-dievali consideravano la piü adatta alle clausole. Introduzione alia prima giornata: sei periodi iniziali [l] Quantunque volte, graziosíssime dónne (pi2), meco pensando riguardo quanto voi naturalmente tutte siete pietóse (pi.); tánte conósco (pi.) ehe la presénte opera (md.) alvóstroiudício (pi.) avrágrávevenoiósoprincípio (pi. + pi. svrp), si come ě la dolorosa ricordazióne (vl2) della pestifera mortalita trapassata, universalmente a ciascuno che quella vide o altraménti conóbbe dannósa (pi. + pi. svrp), la quale essa porta nella sua fronte. [2] Ma non voglio per ciô che questo di piú avanti léggere vi-spavénti (vl.), quasi sempře tra' sospiri e tralle lágrime leggéndo dobbiáte trapassáre (tr2 + tr.). [3] Questo órrido cominciaménto (sdr. con pent, piano) vi fia non altraménti cheva'-camminánti (vl2) una montagna áspra e-érta (pi.), presso alia quale un bellíssimo piánove dilettévole sia-repósto (pl2 + vl.), il quale tanto piú viene lor piacevole quanto maggiore é stata del salire e dello smontáre la-gravézza (tr.). [4] E si come la estremitá-dellavallegrézza (tr.) il dolóre óecupa (md.), cosi le miserie da sopravegnénte letízia sóno terminate (pl. + tr.). [5] A questa brieve noia (dico brieve in quanto in poche léttere si-contiéne (vl.)) séguita prestaménte la dolcézzavevil piacére (vl. + pl.) il quale io v'ho davánti promésso (pl.) e che forse non sarebbe da cosí fátto inízio (pl.), se non si dicésse, aspettáto (tr.). [6] E nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra párte menárvi (pl.) a quello che io desidero che per cosí áspro sentiéro (pl.) come fia questo, io ľavrei volentier fatto: ma per ciô che, qual fósse la-cagióne (tr.) per che le cose che appresso si leggeránnovavveníssero (td.), non si poteva senza questa ramemorazion dimostrare, quasi da necessitá constretto a scríverle mi-condúco (vl.) [Dec, Introduzione, 2-7]. Dalľandamento omogeneo del Proemio - che fin dalľesordio preannuncia un ritmo costantemente disteso, in cui prevalgono plani e trispondaid e le acce-lerazioni prodotte da cadenze sdrucciole e irregolari sono per lo piú una calibrata eccezione - si passa, nelľlntroduzione alia prima giornata, a un moto piú leggero e sfuggente, caratterizzato da cadenze piane che non dominano la scéna, bensi si accostano con diserezione (sostenendoli e preparandoli) ai veloces che, in linea con le parole del narratore, sembrano voler condurre rapidamente il discorso verso il passo successivo, vale a dire verso quel «bellissimo piano e dilettevo-le» che si raggiunge dopo aver scalato una «montagna aspra e erta»: il piacere del racconto dopo il ricordo doloroso della «pestifera mortalita trapassata». 61 PAOLA MO N DAN I II primo periodo presenta una maggioranza di plani (ben otto su dieci ca-denze), intervallati da un medius (presénte opera) e da un velox secondario (dolorosa ricordazióne); nel periodo che segue, invece, al trispondaicus della chiusa (dobbiáte trapassáre) si giustappongono due elementi sdruccioli: un velox (Ug-gere vi-spavénti) e un trispondaicus secondario (lágrime leggéndo). Anche il terzo periodo ha un andamento rapido, generato dalla collocazione in apertura della sequenza polisillabo sdrucciolo + pentasillabo piano (órrido cominciaménto), seguita da un ulteriore modulo pentasillabico, il velox1 risonante, per cosi dire, in virtu dell'omeoteleuto che lega i suoi membri e caratterizzato anche da parita sillabica tra i suoi costituenti (non altraménti che^a'-camminánti). Nel quarto periodo il medius (doláre óccupa) separa il trispondaicus inizia-le (estremita-dellajňlegrézza) da quello conclusivo (sáno terminate), mentre nel quinto lapartenza accelerata dei due veloces (léttere si-contiéne; séguita prestamén-te) viene subito appianata dalle cadenze successive: i treplani (dolcézzajzjlpia-cére; davántipromésso;fátto inízio) e 'útrispondaicusinclausola (dicésseaspettáto); infine, il sesto periodo ě caratterizzato da una struttura ritmica diametralmente opposta a quella del quinto, nella quale quasi si rispecchia: le tre cadenze piane (párte menárvi; áspro sentiéro; fósse la-cagióne) precedono e anticipano quelle sdrucciole, cioě il tardus (si leggeránno^avveníssero) e la cadenza finale (scríverle mi-condúco), che, proprio come nel Proemio, corrisponde a un regolarissimo velox. Alcuni periodi descrittivi tratti dal corpo delľIntroduzione La qualitä della pestilenzia narrata [l] Dico che di tánta-efficácia (pl.) fu la qualitä della pestilenzia narráta (pl.) nello appiccarsi da-úno a-áltro (pl.), che non solamente ľuómo alľuómo (pl.), ma questo, che ě molto piú, assai volte visibilmente fece, cioě che la cosa delľuomo infermo stato, o morto di tale infermitá, tocca da un altro animale fuori della spézie delľuomo (pl.), non solamente della infermitá il contaminasse, ma quello infra brevissimo spáziovuccidésse (pl.). [2] Di che gli occhi miei, si come poco davanti ě detto, presero tra ľaltre volte un di cosi fáttavesperiénza (pl.): che, essendo gli stracci ďun povero uomo da tale infermitá morto gittati nella via publica (md.) e avvenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e poi co' denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcúnovavvolgiménto (tr.), come se velénovavesser-préso (tr.), amenduni sopra li mal tirati stracci morti cáddero in-térra (tr2) [Dec, Introduzione, 17-18]. Ľun fratello ľaltro abbandonava [l] E come che questi cosí variamente oppinanti non moríssero tútti (pl2), non per ciô tútti campávano (td.): anzi, infermándone di-ciaseúna móltivevin ogni-luógo (vl. + tr.), avendo essi stessi, quando sáni érano (md.), essemplo dato a coloro che sáni rimanévano (piano con pol. sdr.), quasi abbandonati per tútto 62 AD ALTA VOCE languíeno (td.). [2] Elasciamo starechel'ú|no |cit|ta|dí|no| l'ál|tro| schi|fás|se| e (endecasillabo: tr. + pl.) quá|si| ni|ú|no| vi|cí|nova|vés|se| (endecasillabo: pl. + pl.) dellaltro eura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitásseroe di-lontáno (vl.): era con sí fátto spavénto (pl.) questa tribulazione entrata ne' pétti deglivuóminive delle-dónne (td. + vi. svrp), che lun fratello l'áltrovabbandonáva (tr.) e il zíovil nepóte e la soréllavil fratello (pl. + pl.) e spesse volte la-dónnavil suo-maríto (tr.); e, che maggior cosa ě e quasi non credibile, li-pádrive le-mádrivi figliuóli (pl. + pl. svrp), quasi lóro non-fóssero (td.), di visitáreve di-servíre schifávano (tr. + td. svrp) [Dec, Introduzione, 26-27]. Nel corpo delYlntroduzione, il piglio ritmico a tratti si distende, le cadenze si fanno piú rade o meno ricercate e aleuni accostamenti sembrano generarsi per pura casualitá; nei periodi che costituiscono 1'estratto La qualitá della pestilen-zia narrata, per esempio, la necessitá deserittiva prevale sull'accortezza formale e l'urgenza di rappresentare il dramma che fa da sfondo (e pretesto) storico e reale alia finzione del racconto lascia indietro, per un attimo, quell'incessante gioco di selezione dei vocaboli che aveva caratterizzato il Proemio e, di riflesso, la prima parte delYlntroduzione. II primo periodo ha un andamento piano; tuttavia le cadenze non sono distribute in modo omogeneo, ma si concentrano nell'avvio e nella conclusione. Tra questi due momenti ritmati, cinque pause non sono scandite secondo le leg-gi del cursus: tre sono caratterizzate da un bisillabo piano (questo; fece; stato) e due da un vocabolo tronco (piú; infermitá). Anche nel secondo periodo manca una vera e propria regolazione ritmica: nemmeno nella chiusa, infatti, si danno cadenze. Le uniche eccezioni sono rappresentate da un medius e da due trispon-daici (via publica; alcúnojawolgiménto; veleno ja.vesser-préso), che pero appaiono distanti tanto nella forma quanto nel contenuto, al punto di far pensare che si siano formati casualmente. Piú ricercati sono, invece, i periodi dellestratto L'un fratello Valtro abbando-nava, nel quale dominano accostamenti e sequenze dal carattere piano (Vúno cittadíno Váltro schifasse e quasi niuno vidno jivesse) - che generano anche degli endecasillabi - o alternato, come nel caso del tardus che completa il velox nel secondo periodo (ne'pétti deglivuóminive delle-dónne) e del tardus sovrapposto al trispondaicus in clausola (di visitáreve di-servíre schifávano). Mette inoltre conto segnalare, nel periodo ďapertura, il chiasmo che lega il planus1 (moríssero tútti) al tardus (tútti campávano) corresponsivo di quello in clausola (tútto languíeno) e le due cadenze sdrucciole (sáni érano; sáni rimanévano), anchesse corrispon-denti, che scandiscono e articolano le sezioni del discorso favorendone la com-prensione e al tempo stesso emulando, attraverso il ritmo, la gestualitá fisica che naturalmente lo accompagna. Tre discorsi a confronto: Dioneo, Pampinea e il narratore [l] E postisi nella prima giúntava sedére (pl.), disse Dioneo, il quale oltre a ogni altro era piacévole gióvaneve piéno di-mótti (td2 + pl.): — Donne, il vostro senno 63 PAOLA MO N DAN I phi che il nostro avvedimento ci ha qui guidati; io non so quello che de' vóstri pensiérivóiv'intendéte di-fáre (pi. + tr. + pl. svrp): limieilasciai io dentro dalla porta della cittá allora che io con voi poco fa me ne usci' fuori. [2] E per ció o voi a sollazzáreve a-rídereveva cantáre (td + tr2) con meco insieme vi disponete (tanto, dico, quanto alia vostra dignita s'appartiene), o voi mi licenziate che io per li miei pensier mi ritorni e steami nella cittá tribolata. — [3] A cui Pampinea, non d'altra maniera che se similmente tutti i suoi avesse da sé cacciati Jiéta rispóse (pi.): — Dioneo, ottimamenteparli: festevolmenteviver si-vuóle (pl.), né áltra cagióne dálle tristízie ci ha fátte fuggíre (pl. + pl. + pl.). [4] Maper ció che le cose che sono senza modo nonpóssono lungaménte duráre (vl. + pl. svrp), io, che cominciatrice fui de' ragionamenti da' quali questa cosi bella compagnia ě stata fatta, pensando al continuar della nostra letízia (pl.), estimo che di necessitá sia convenire esser tra noi alcúno principále (tr.), il quale noi e onoriámove ubidiámo cóme maggióre (tr. + pl.), nel quale ogni pensiero stea di dovérci | alietaméntevívere | dispórre (pl. sciolto + md.). [5] Eacció checiascun pruovi il peso della sollecitudine insieme col piacere délla maggioránza (tr.) e, per conseguente da una parte e ďaltra tratti, non possa chi noi pruova invidia avére alcúna (pl.), dico che a ciascuno per un giorno s'attribuisca e il pésove 1'onóre (pl.); e chi il primo di noi esser debba nella elezion di noi tutti sia. [6] Di quegli che seguiranno, come l'ora del vespro savicinerá, quegli o quella che a colui o a colei piacerá che quel giorno avrá avuta la signoria; e questo cotale, secondo il suo arbitrio, del tempo che la sua signoria dée bastáre (pl.), del luogo e del modo nel quale a vívere abbiámo órdini e-dispónga (tr2 + vl.). — [7] Queste parole sommaméntepiácquero (md.), e a una voce lei prima del primo giórno eléssero (td.); eFilomena, córsaprestaménte aúno allóro (tr. + pl.) (per ció che assai volte aveva udíto ragionáre di quánto onóre (tr. + pl.) le-fróndi di-quélloveran-dégne (pl. + pl. svrp) e quanto dégno d'onóre facévano (pl. + td. svrp) chi n'era meritaméntejncoronáto (tr.)), di quello alcuni rami colti, ne le fece una ghirlándavonorévole evapparénte (td. + vl. svrp); la quale, messale sópra la-tésta (pl.), fu poi mentre duró la lor compagnia manifesto segno a ciascuno altro della real signoríave maggioránza (tr.) [Dec, Introduzione, 92-97]. Un discorso di Pampinea che conclude I'introduzione e dá inizio al 'novellare' [l] E quivi, sentendo un soáve venticéllo venire (tr. + pl. svrp), si come voile la lor reina, tutti sopra la verde érba si-puósero in cérchio a-sedére (td. + tr.), a' quali ella disse cosi: — Come vói vedete (pl.), il sole ě alto e il caldo ě grande, né altro s'ode che le cicale su per gli ulivi, per che l'andare al presente in alcun luogo sarébbe senza-dúbbio sciocchézza (tr. + pl. svrp). [2] Qui ě bello e fresco stare, ehacci, come vói vedete (pl.), e tavoliéri e-scacchiéri (tr.), epuóte ciascuno (pl.), secondo che all'animo gli ě piú di piacere, dilétto pigliáre (pl.). [3] Ma se in questo il mio parer si-seguísse, non-giucándo (tr.), nel quale l'animo dell'una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell'altra o di chi sta a vedere, manovellando (ilchepuópórgere, | dicendouno, a tutta la compagnia chevascólta (pl.) | dilétto (tr2sciolto.)) questa calda parte del giórno trapasserémo (piano 64 AD ALTA VOCE con pol. piano). [4] Voi non avrete compiuta ciascuno di dire una súa novellétta (tr.), che il sole fía declináto (tr.) e il cáldo mancáto (pl.), e potremo dove piú a grado vi fia andare prendéndo dilétto (pl.): e per ciö, quando questo che io díco vi-piáccia (pl.), ché disposta sono in ciö di seguírevil piacer-vóstro, facciánlo (tr. + pl. svrp); e dove non vi piacesse, ciascuno infino all'ora del vespro quello faccia che piú gli piace. — [Dec, Introduzione, 109-112]. L'impiego del cursus parrebbe manifestarsi con maggiore o minore intensita e ricercatezza in misura direttamente proporzionale alle intenzioni e al tóno che assume chi pronuncia il discorso: dell'accuratezza ritmica insistita che caratterizza le parole del narratore si ě giá dato conto nell'analisi del Proemio e delYlntroduzione. L'esame del cursus applicato ai discorsi qui riportati, invece, pone a confronto questo stile rigoroso con quello piú immediato dei novella-tori, segnatamente del primo a prendere la parola, Dioneo, e della regina della Prima giornata, Pampinea. Ad aprire il discorso con ritmo calibratissimo ě il narratore, il quale introduce la figura del novellatore tramite due cadenze sequenziali: un tardus secondario (piacévole gióvanej) che si risolve in un planus regolare {piéno di-mótti) il quale, a sua volta, porge il turno a Dioneo. Il discorso di Dioneo inizia con un'apostro-fe e prosegue senza particolari accorgimenti ritmici: in nessuna delle tre pause forti, infatti, si riscontrano cadenze, mentre sono degne di nota le due catene di cursus in cui si inscrivono anche altre figure di suono quali l'allitterazione della v (vóstripensiéri vol v'intendete di-fáre) - riproposta anche piú avanti, in modo analogo, nel turno di Pampinea (festevolménte víver si-vuóle; dovérci a lietamén-te víver e dispone) - e la consonanza della r (sollazzáre^e a-rídere^a cantáre). Leggermente piú ricercato appare 1'eloquio della regina, che, tanto nella ri-sposta a Dioneo quanto (e forse ancor di piú) in Un discorso di Pampinea, pre-senta una notevole frequenza di cadenze, la quale, pur essendo manifestamente inferiore a quella che caratterizza la lingua del narratore, esibisce un maggiore sforzo di accuratezza rispetto al piú modesto discorso di Dioneo che, non a ca-so, ě notoriamente il custode dello spirito comico dellopera, il novellatore dal tono piú scanzonato e irriverente24. In particolare, vale la pena segnalare - oltre al poliptoto e alla figura etimologica nel quarto periodo di Un discorso di Pampinea (piaccia, piacesse, piace | piacer) e, piú in generale, alla corrispondenza di cadenze, rime e allitterazioni - due originali cadenze sciolte: nel quarto periodo di Tre discorsi a confronto, ilplanus in chiusa i cui membri sono separati da un medius (dovérci | a lietaménte vívere | dispone), che genera una tmesi tra il servile e l'infinito efficace anche dal punto di vista sonoro per la ridondanza delle liquide e delle dentali, e, nel terzo periodo di Un discorso di Pampinea, il trispon-daicus secondario sospeso da una sequenza chiusa in planus (il che pud pórgere\ dicendo uno, a tutta la compagnia chejascölta | dilétto). 24 Cfr. R. Fedi, Il regno di Filostrato. Natura e struttura della Giornata IV del «Decameron», «Italian Issue», CH (l), 1987, pp. 39-54: 49 e F. Bruni, Boccaccio. L'invenzione della lettera-tura mezzana, il Mulino, Bologna 1990, p. 237. 65 PAOLA MONDÄN I 3. II cursus nelle sezioni narrative Tra il ritmo misurato che caratterizza il Proemio, prodotto, come abbiamo visto, da accurate scelte lessicali e sintattiche, e quello piú spontaneo con cui (e in cui) si compiono i racconti, la differenza ě riscontrabile giá a una rapida oc-chiata: nel cuore della narrazione, le cadenze di cursus certamente non mancano, ma sono ben lontane dal generare accostamenti puntuali di aggettivi, gerundi o participi a sostantivi ricercati o dotti (pélaghi navigándo; memoria juggíta), di elementi rimanti fra loro, risonanti o in parita sillabica (teméndojz vergognándo; hánno di-confórto | avúto mestiére; ricevéttepiacére | io sonoúno di-quégli). Sono altresi lontane dalla creazione di structure ritmate solidamente incatenate dal senso prima e ancor piú che dal suono (téngono Vamorósefiámme nascóse). Lo stile narrativo diverge, del resto, anche da quello che caratterizza i discor-si della regina Pampinea, che sono, come abbiamo visto, piú vicini a quelli del narratore, mentre ě assimilabile ai concisi turni di parola di Dioneo che, giá nel-la sezione della cornice, parrebbero in qualche modo anticiparne 1'andamento ritmico piú naturale e spontaneo. Un fornaio e un cuoco a confronto: dalle novelle 2 e 4 della VI giornata Čisti Fornaio [l] Dico adunque che, avendo Bonifazio papa, appo il quale messer Geri Spina fu in grandíssimo státo (pl2), mandati in Firenze čerti suoi nóbilivambasciadóri (vi.) per čerte sue bisogne, essendo essi in casa di messer Géri smontáti (pl.), e egli con loro insieme i fatti del Pápa trattándo (pl.), avvenne che, che se ne fósse cagióne (pl.), messer Geri con questi ambasciadori del Papa tutti a piě quasi ogni mattina davanti a Santa Maria Úghipassávano (td.), doveCí|sti| for|ná|iovil| suo| fór|no| a|vé|vave| (endecasillabo) per|so|nal|mén|te| la|-suavár|teves|ser|cé|va| (endecasillabo) (pl. + pl. + pl. + pl. svrp). [2] Al quale quantunque la fortuna arte assai umile dáta avésse (pl.), tanto in quella gli era státa benígna (pl.), che egli n'eraricchíssimodivenúto (vi.),esenzavolerlamaiperalcunaáltravabbandonáre splendidissimaménte vivéa (tr. + pl.), avendo tra l'altre sue buone cose sempře i miglióri vini-biánchive vermígli (tr. + pl. svrp) che in Firenze si trovásserovo nel-contádo (vl.) [Dec, VI2, 8-9]. Chichibio [ 1 ] Tacevasi giá la Lauretta e da tutti era stata sommaménte commendáta la-Nónna (tr. + pl. svrp), quando la reina a Neifile impose che seguitasse; la qual disse: — Quantunque il prónto ingégno (pl.), amorose donne, spesso parole presti e-útili e-bélle (tr2), secondo gli accidentia' dicitóri (tr.), la fortuna ancora, alcuna volta aiutatríce de'-paurósi (tr.), sopra la lor lingua subitamente di quelle pone che mai ánimo riposáto (vl.) per lo dicitore si sarébbe sapúte trováre (pl. + pl. svrp): il che io per la mia novella intendo di dimostrarvi. 66 AD ALTA VOCE [2] Currado Gianfigliazzi, si come ciascuna di voi e udíto e-vedúto puóte avére (tr. + tr. svrp), sempře della nostra cittá ě stato notábile cittadíno (vl.), liberáke magnífico (td.), e vita cavallerésca tenéndo (pl.) continuamente in cani e in uccelli s'ě dilettato, le sue opere maggióri (tr2) al presente lasciando stare. [3] II quale con un suo falcone avendo un di presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola grássa e-gióvane (td.), quella mando a un suo buon cuoco, il quale era chiamáto Chichibío e éra viniziáno (tr. + tr.); e si gli mandô dicendo ehe a cena ľarostisse e governássela bene (pl2). [4] Chichibio, il quale come nuovo bergolo era cosi pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciô. [5] La quale essendo giá presso ehe cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che u|na| fe|mi|net|ta| dél|la| con|trá|da| (endecasillabo: pl.),la| qua|le| Bru|net|ta| é|ra| chia|má|ta| (endecasillabo: pl.) e di cui Chichibio era fórtejnnamoráto (tr.), entrô nella cucina, e sentendo ľodor della gru e veggendola pregô caramente Chichibio che ne le desse una coscia. [6] Chichibio le rispóse cantándo e-dísse (pl. + pl. svrp): «Voi non l'avri da mi, donna Brunetta, voi non ľavri da mi». [7] Di che donna Brunetta esséndo turbáta, gli-dísse (pl. + pl. svrp): «In fé di Dio, se tú-non la-mi-dái (tr.), tu non avraimai damecósache-ti-piáccia (tr.)», einbriévele-parólefuron-mólte (tr. + tr. svrp); alia fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata ľuna delle cosce alia gru, gliele diede. [Dec, VI4, 2-9] La sequenza Cisti Fornaio, da Dec. VI2, rappresenta il momento in cui il no-velliere dá avvio alia narrazione dopo aver concluso il rituále discorso introdut-tivo alia brigata; il primo periodo, infatti, risente ancora del tono mediamente sostenuto del precedente ed ě caratterizzato da un alternarsi di cadenze piane e sdrucciole, distribuite nel testo a distanze regolari, che confluiscono, in chiusa, nella bellissima catena diplani costituita da una coppia di endecasillabi, da una figura etimologica e da una rima (Císti fornáioJl suofórno avéva epersonalménte la-sua^artejzssercéva). Un ritmo simile ě mantenuto anche nel secondo periodo, caratterizzato da un andamento prevalentemente piano, che pero viene spezza-to e interrotto a metá da un velox isolato (ricchíssimo divenúto). Con i periodi (qui non riportati) che seguono il passo sopra antologizzato si entra nel vivo della narrazione, e ľattenzione agli artifici ritmico-sonori o sémantici della retorica si aŕEevolisce; le cadenze di cursus divengono piú rade e, quando presenti, tradiscono accostamenti casuali, prodotti dalla vicinanza di verbi e sostantivi che hanno prima di tutto una funzione descrittiva e narrativa: servono, cioě, a presentare il susseguirsi degli eventi. La necessitá di riprodurre aspetti del reále sembra prevalere sulla piacevolezza dell'eloquio che invece, come abbiamo visto, assume un ruolo di primo piano nella sezione della cornice. Nella sequenza Chichibio, tratta dalla celebre quarta novella della sesta gior-nata, ě evidente il passaggio di turno dal narratore di primo grado a quello di secondo grado, Neifile. In entrambe le brevissime sezioni introduttive, le cadenze si danno con una čerta regolaritá e coerenza: bašti, a titolo ďesempio, la corrispondenza tra trispondaici nel primo periodo, che coincide con ľapertura del turno di Neifile (accidentia' dicitóri; aiutatríce de p aur ó si). Per il resto (cioě 67 PAOLA MO N DAN I in relazione alia narrazione vera e propria), vale quanto giá detto in riferimento alia sequenza Cistifornaio, tranne che per il secondo periodo - in cui si conden-sano cadenze ricercate forse in ragione delia funzione introduttiva delpasso - e per il sesto, in cui si riscontrano due endecasillabi, rimanti internamente e ca-denzati m planus (unafeminetta délla contráda; la quale Brunetta éra chiamáta), e due trispondaici in parita sillabica (tú-non la-mi-dái = cósa che-ti-piáccia), evi-dentemente usati in funzione caricaturale. Giornata IV, novella 1: la narrazione di Filostrato e il discorso di Ghismunda La narrazione di Filostrato [ 1 ] Tancredi, préncipe di-Salérno (vl.), fu signore assái umáno (pl.) e di benígno ingégno (pl.); se egli nelľamoroso sangue nella sua vecchiézza non-s'avésse le-máni bruttáte (tr. + pl.); il quale in tutto lo spazio della sua vita non ebbe che úna figliuóla (pl.), e piú felice sarebbe stato se quella avúta non-avésse (tr.). [2] Costei fu dal padre tanto teneraménte amáta (pl.), quanto alcuna altra figliuóla da-pádre fósse giammái (pl. + pl.): e per questo ténero amóre (tr2.), avendo ella di molti anni avanzataľetá del dovére avére avúto maríto (pl. + pl.), non sappiendola da sé partire, non la maritava: poi alia fine a un figliuolo del duca di Cápova dátala (td2), poco tempo dimoráta con-lúi (pl.), rimáse védova e al pádre tornóssi (md. + pl.). [3] Era costei bellíssima del-córpove del-víso (tr2 + pl. svrp) quanto alcuna áltra fémina fosse-mái (md. + vl. svrp), e gióvane e-gagliárda e-sávia (vl. + pl. svrp) piú che a donna per avventura non si richiedea. [4] E dimorando col ténero pádre (pl2), si come gran donna, in molte dilicatezze, e veggéndo chevil-pádre (pl.), per l'amor che égli le-portáva (tr.), poca cura si dava di piú maritarla, né a lei onesta cosa pareva il richiedernelo, si pensô di volére avére (pl.), se ésser potésse (pl.), occultaméntevun valoróso amánte (tr. + pl. svrp) [Dec, IV 1, 3-5]. II discorso di Ghismunda [l] Ghismunda, udendo il padre e conoscendo non solamente il suo segreto amoreesser discoperto (tr.) maancorapreso Guiscardo (pl.), dolore inestimabile senti e a mostrarlo con romoreve con-lagrime (td.), come il piu le femine fanno (pl2), fu assai volte vicina (pl.): ma pur questa vilta vincendo il suo animo altiero (tr2), il viso suo con maravigliosa forza fermd, e seco, avanti che a dovere alcun priego per se porgere, di piu non stare in vita dispose (pl.), avvisando gia esser morto il suo Guiscardo. [2] Per che, non come dolente femina o ripresa del-suo-fallo (md. + tr.), ma come non curanteve valorosa (tr.), con asciutto viso evaperto (pl.) e da niuna parte turbato (pl.) cosi al padre disse: «Tancredi, neva-negare neva-pregare son-disposta (tr. + tr. svrp), per cio che ne l'un mi varrebbe ne l'altro voglio che-mi-vaglia (tr.); e oltre a cio in niuno atto intendo di rendermi benivola la tua mansuetudine e-'l-tuovamore (vl.): ma, il vero confessando (tr.), prima con vere ragioni (pl.) difender la fama mia e poi con fatti fortissimamente seguire (pl.) 68 AD ALTA VOCE la grandézza delľánimo mío (td. + pl2 svrp). [3] Egli é il vero ehe io ho amáto e-ámo Guiscárdo (pl. + pl. svrp), e quanto io viverö, ehe sará poco, ľamero, e se appresso la morte sama, non mi rimarrô ďamarlo: ma a questo non m'indusse tanto la mia feminile fragilitá, quanto la tua sollecitudine del maritarmi e la virtú di lui. [4] Esser ti dové, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuóla di-cárneve non-di-piétra o di-férro (pl. + tr. svrp + tr. svrp); e ricordár-ti dovévi e-déi (pl. + pl. svrp), quantunque tu ora sie vecehio, chenti e quali e con che forza véngano le-léggi delia giovanézza (tr2 + tr.): e come che tu, uomo, in parte ne' tuoi migliori anni nell'ármivessercitáto ti-síi (tr. + pl. svrp), non dovévi di-méno conóscere (pl. + td. svrp) quello ehe gli ozii e le dilicatezze possano ne' vecehi non ehe ne' giovani. [5] Sono adunque, si come da te generáta, di-cárne (pl.), e si póco vivúta (pl.), ehe ancor son giovane, e per luna cosa e per ľaltra piena di concupiscíbile disidéro (vl.), al quale maravigliosissime forze hanno date ľaver giá, per essere státo maritáta (tr.), conosciuto qual piacer sia a čosi fatto disidero dar compimento. [6] Alle quali forze non potendo ío resístere (td.), a seguir quello a che elle mi tiravano, si come gióvaneve fémina (td2), mi dispósivevinnamorá'mi (tr.). [7] E certo in questo opposi ogni mia vertu di non volere a te né a me di quello a ehe natural peceáto mi-tiráva (tr.), in quanto per me si potésse operáre (tr.), vergogna fare [Dec, IV 1, 30-35] Nelle sezioni narrative piú ricercate, vale a dire quelle in cui il tono si eleva congiuntamente alľinnalzarsi delia gravitá della materia trattata e delia condizio-ne socioculturale dei personaggi, le cadenze compaiono con una čerta regolaritá e coerenza strutturale, rafforzate e sostenute da numerose altre figure retoriche. In questi casi, le cadenze spesso si formano su una serie di accostamenti tipo-logici, veri e propri moduli formulári rintracciabili anche in altri passi analoghi della stessa opera o di opere diverse: é il caso, ad esempio, della sequenza agget-tivo + sostantivo (benígno ingégno; ténero amóre; ténero pádre; valoróso amánte; dolénte fémina), di aceumulazioni o dittologie aggettivali (gióvane e-gagliárda e-sávia; euránte^e valorósa), del modulo avverbio o sostantivo + infinito, participio o gerundio (teneraménte amáta; tempo dimoráta; véro confessándo;fortissimamén-te seguíre) o della coppia di sostantivi (o di aggettivo e sostantivo) intervallati dalle preposizioni di o da, semplici o articolate (préncipe di-Salérno; figliuóla da-pádre; bellíssima del-córpojz del-víso; figliuóla di-cárne\e non-di-piétra o-di-férro). Nella sequenza La narrazione di Filostrato, ehe riporta il momento introdut-tivo del racconto, il narratore indugia sulla presentazione e sulla caratterizza-zione dei personaggi: di Tancredi vengono segnalate in primo luogo la nobiltá ďanimo e ľumanitá in due pláni (assái umáno; benígno ingégno); piú avanti, in apertura del terzo periodo, lo stesso procedimento deserittivo é applicato alla figúra di Ghismunda, presentata attraverso una catena di trispondaieus secondario e planus sovrapposti, ehe ne esalta le qualitá esteriori (bellíssima del-córpo^e del-víso), e per mezzo di una terna di aggettivi in velox e planus sovrapposti, ehe si riferisce, invece, alle caratteristiche del suo spirito (gióvane e-gagliárda e-sávid). Mette altresi conto segnalare la corrispondenza strutturale riscontrabile tra la catena di pláni (figliuóla da-pádrefósse giammáí), ehe deserive ľunicitá del «te- 69 PAOLA MO N DAN I nero amore» paterno di Tancredi per Ghismunda, e la catena di medius e velox sovrapposti (áltra féminafosse-mái) che, analogamente alia precedente, insiste sulla singolaritá delia bellezza della protagonista. II monologo di Ghismunda - qui riportato solo in parte nell'estratto intito-lato II discorso di Ghismunda - si colloca perfettamente sulla linea stilistica del narratore che, come abbiamo visto, marca il Proemio e le sezioni introduttive di ciascuna giornata e novella. In questo caso ě la narrazione di Filostrato a pre-parare l'ingresso della voce della protagonista, alia quale viene poi concesso un consistente spazio drammatico, necessario a disvelare - in modo ancor piú au-tentico e realistico di quanto non potesse il tramite del racconto - i sentimenti e le emozioni alberganti in quell'animo femminile. Il primo periodo ě fitto di cadenze prevalentemente piane, tra le quali s'in-serisce - quasi a sospendere per un istante il generále andamento cauto - un bellissimo tardus (con romóre^e con-lágrime), richiamato poco piu avanti da un trispondaicus secondario e assonante (ánimo altiéro). Insieme alle leggi del cur-suSj concorrono a elevare il tono del discorso - giá preannunciato dalla rima in apertura (udendo il padre e conoscendo) - anchele insistite allitterazioni, collocate a distanze regolari e prevalentemente su coppie di parole (jemine f anno; volte vicína; viltä vincendo;forzafermô;priegoperséporgere). Il turno di Ghismunda ě anticipato, nel secondo periodo, da una sequenza particolarmente rilevata sul piano stilistico, caratterizzata da una catena di medius e trispondaicus creata su un modulo di aggettivo e sostantivo (doléntefémina o riprésa del-suo-fállo) e semanticamente completata dal trispondaicus su ditto-logia aggettivale ehe segue (euránte^e valorósa) e da un planus coincidente con un'epifrasi (con asciutto víso ejapérto). Un andamento analogo caratterizza, in generále, tutto il monologo, ehe esibisce un ritmo generalmente piano, variato solo da un velox (mansuetúdine e-'l tuojimóre) e una catena di tardus ^planus nel periodo 2 (grandézza delľánimo mío), da un trispondaicus1 (véngano le-léggi) e da un tardus (di-méno conóscere) nel quarto e da un velox (concupiscíbile disidéro) e un tardus secondario (gióvane^efémina) nel quinto; non mancanopláni e trispon-daici generati su altrettante figure di parola, quali la paronomasia (vóglio che-mi-váglia) e ipoliptôti (amáto e-ámo, amerb, ama, amarlo; dovévi e-déi). 4. II ritmo delle sezioni dialogiche Dalla novella della I giornata: il dialogo tra Ser Ciappelletto e il frate [l] Al quale ser Ciappelletto, ehe mai confessato non s'era, rispose: «Padre mio, la mia usanza suole essere di confessarsi ogni settimana almeno una volta, senza ehe assai sono di quelle ehe io mi confesso piú; ě il vero ehe poi ehe io infermai, ehe son passati da otto di, io non mi confessai tanta ě stata la noia ehe la infermitá m'ha data». [2] Disse allora il frate: «Figliuol mio, bene hai fatto, e cosi si vuol fáre per-innánzi (tr.); e veggio ehe, poi si spésso ti-conféssi (tr.), poca fatica avrô d'udire o di dimandare». 70 AD ALTA VOCE [4] Disse ser Ciappelletto: «Messer lo frate, non dite cosi: io non mi confessai mai taňte volte né si spesso, che io sempře non mi voléssi confessáre (tr.) generalmente di tutti i miei peccati che io mi ricordassi dal di che io nacqui infino a quello che confessáto mi-sóno (pl.); e per ció vi priego, padre mio buono, che cosi puntalmente ďogni cosa mi domandiate come se mai confessáto non-mi-fóssi (tr.); e non mi riguardate perché io infermo sia, ché io amo molto meglio di dispiacere a queste mie carni che, faccendo agio loro, io facessi cosa che potésse éssere perdizióne delťánima (md. + td.) mia, la quale il mio Salvátore ricomperó col suo prezioso sangue». [•••] [5] Al quale ser Ciappelletto sospirando rispose: «Padre mio, di questa parte mi vergogno io di dirvene il vero temendo di non peccárevin vanaglória (tr.) ». [6] Al quale il santo frate disse: «Di sicuramente, ché il vero dicendo né in confessione né in altro atto si peccó giammai». [7] Disse allora ser Ciappelletto: «Poiché voi di questo mi fáte sicúro (pl.), e io il vi diró: io son cosi vergine come io uscť del corpo della mamma mia». [8] «Oh, benedetto sie tu da Dio!» disse il frate «come bene hai fatto! e, faccendolo, hai tanto piú meritato, quanto, volendo, avevi piú ďalbitrio di fare il contrario che non abbiam noi e qualunque altri son quegli che sotto alcúna régola son-constrétti (md. + vl. svrp)» [Dec, 11, 32-35; 37-40]. Attraverso 1'espediente del dialogo, la voce narrante puó talvolta passare dal secondo al terzo grado: ě il caso, ad esempio - per rimanere nella prima giornata - del giudeo Melchisedech che racconta al Soldano la novella dei tre anelli (Dec. 1,3); in casi come questo, il momento dialogico sembra assumere una mera fun-zione di apertura e preparazione per la presa di turno da parte del personaggio che, da quel momento e fino alla conclusione del suo racconto, assume il ruolo temporaneo di narratore25. Dal punto di vista strutturale e formale (e dunque dal punto di vista ritmico), passaggi di questo genere di norma non divergono da quelli che qui ho incluso e descritto nel paragrafe dedicato alla novella narrata. Franco Fido ritiene che anche i turni di Ser Ciappelletto, nel dialogo in cui racconta al frate (e ai fratelli usurai che ascoltano di nascosto) la storia della sua san-ta vita, siano dei momenti narrativi di terzo grado26. Eppure in questi passaggi la frequenza delle cadenze di cursus ě decisamente inferiore rispetto a quella che si registra nelle parti narrate: ě praticamente nulla quando i turni di parola sono brevi e si alternano in maniera serrata, e ponderata in quelli piú lunghi, nei quali le cadenze si trovano solo laddove si rende necessaria, per fini suasori, una chiusa ad effetto. Nellestratto, per esempio, non vi sono cadenze nella prima battuta del mo-ribondo protagonista, mentre, al contrario, nella risposta del frate si trovano due cadenze regolari di trispondaicus (fáre per-innánzi; spésso ti-conféssi) e una sequenza allitterante in chiusa (ďudire o di dimandare). Segue la replica di Ciap- 25 Cfr. Fido, Architettura, in Bragantini, Forni, Lessico critico decameroniano, cit., pp. 13-33; in part. p. 17. 26 Ibidem. 71 PAOLA MO N DAN I pelletto, che, questa volta, non manca di fregiarsi - insistendo con un poliptoto sul dovere cristiano della confessione (confessai; confessare; confessáto), che tra l'altro si lega a quello snocciolato tra il primo e il secondo periodo (confessáto, confessarsi, confesso, confessai) confessi) - di tre cadenze piane, un planus e due tri-spondaici (voléssi confessáre; confessáto mi-sóno; confessáto non-mi-fóssi) allitteranti nella doppia s, certo legate da un rapporto di corresponsivitá e funzionali all'in-tento suasorio e manipolatorio del discorso, proprio come la catena di medius e tardus che segue (potésse éssereperdizióne dell'ánima), attraverso le cui parole Cepparello ostenta la retorica del buon cristiano che finge di essere. Sulla stessa linea si colloca il trispondaicus con cui si chiude il turno successivo (peccárejn vanaglória) e attraverso il quale il mentitore dimostra ancora una volta al fra-te di esser un buon fedele, consapevole e pentito per i tanti peccati commessi. Nessuna cadenza orna la conseguente e brevissima risposta del frate né la risposta di Cepparello, nella quale ilplanus (Játe sicúro) si dá evidentemente per pura casualitá. L'ultima battuta del primo, per finire, ě ornata in chiusa da una sequenza sdrucciola di medius e velox sovrapposti (alcúna régola son-constrétti), che, in perfetto accordo con 1'affettata sentenziositá del passo, per un attimo di-lata gravemente il ritmo, per poi chiuderlo in accelerazione. 5. Conclusione La prosa del Decameron esibisce chiare tracce del contatto del suo autore con le arti del dettato, tracce che affiorano, qua e lá, ora sul piano dell' invenzione, ora nella disposizione e nell'eloquio27. In questa breve indagine, sono stati messi in luce gli aspetti relativi zYízpronuntiatio, cioě alla «capacitá di regolare in modo gradito la voce, l'aspetto, il gesto»28: l'antica origine dellartificio retorico del cursus risiede nella naturale propensione degli oratoři greci a cadenzare ogni pausa dei loro discorsi con il ritmo delle ultime due, tre o quattro parole; una prassi che, come abbiamo visto, garantiva al respiro gli spazi necessari durante la decla-mazione, rendendola, al tempo stesso, piú accattivante e gradevole allascolto29. Il Decameron ě una raccolta di novelle e la novella ě un genere narrativo il cui statuto ě fortemente legato alloralitá, al punto tale da imporsi sulla pagina per il tramite di una voce (o di una pluralita di voci) che si fa scrittura, conducendo ininterrottamente la narrazione30: nella sezione della cornice (Proemio, Conclusione dell'autore, introduzioni, preamboli e conclusioni delle novelle) e nei mo-nologhi piú sostenuti pronunciati da personaggi interni al racconto, Boccaccio mima, per cosi dire, la declamazione orale della narrazione, tenta di riprodur- Cfr. F. Guardiani, Boccaccio dal «Filocolo» al «Decameron»: variazioni di poetka e retorica dalľesa-me di due racconti, «Carte italiane. AJournal of Italian studies», 7,1986, pp. 28-46, alle pp. 29-30. B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, Firenze 2018 (ed. orig. 1988), p. 82. Cfr., in questo studio, le nn. 11 e 16. Sulla fenomenologia del processo di transizione dalľoralitä alla scrittura, cfr. Alfano, Nelle maglie della voce, cit. 72 AD ALTA VOCE re sul těsto scritto 1'ideale pronuncia oratoria di cui esso ě testimone: realizza, in altre parole, una «pura e semplice "registrazione" di realiPerformances»31. In questo senso, allora, la funzione del cursus parrebbe essere quella di sod-disfare una necessitá mimetica, prima e ancor piú che formale o stilistica, e la sua presenza nel tessuto prosastico - per la quale non sempře ě rintracciabile un disegno esplicito o una chiara volontá autoriale - potrebbe a mio avviso essere spiegata come il risultato di un connubio: raziocinio e tecnica, da un lato, e trasporto musicale ovvero istintiva e inconsapevole «memoria acustica»32 dei ritmi delia prosa ďarte, dalľaltro. Le cadenze ritmiche, infatti, sono si riprese fedelmente dal latino e traspo-ste nel volgare in tutte (o quasi) le occorrenze possibili, ma vengono impiegate con maggiore liberta rispetto alle norme dei dictatores: nel ricercare 1'equilibrio e ľarmonia dei suoi membri sintattici, Boccaccio ripete lo spirito degli insegna-menti medievali, talvolta seguendone i precetti (in chiusa di periodo prevalgo-no decisamente pláni e veloces, nel mezzo non ě infrequente trovare il medius, mentre sono evitate le catene di polisillabi sdruccioli e i monosillabi in chiusa, proprio come suggeriva Alberto da Morra), talaltra generando, chissá se volon-tariamente o per puro caso, nuovi stilemi (le catene di cadenze sovrapposte, le clausole incastonate su dittologie o accostamenti misurati di aggettivi, gerundi, participi a sostantivi ricercati o su altre figure di suono e significato). Tutto questo, credo, meriterebbe maggiore spazio ďindagine, al fine di os-servare - nella duplice ottica delia modellizzazione linguistica e letteraria del Decameron e delprocesso di trasferimento dei modi delia narrazione orale nella scrittura - la presenza del cursus nella narrativa volgare successiva a Boccaccio, anche nel tentativo, ancora inesplorato, di delineare una storia delľevoluzione e delia trasformazione di questo artificio retorico-ritmico attraverso i secoli. Glossario e prospetto delle sigle e dei segni Cadenza corresponsiva33 = cadenza che presenta analogie ritmico-foniche, di contenuto e/o posizione con un'altra cadenza (o piú di una) che richiama o ri-prende, per ľappunto rispondendole. Cadenza secondaria34 = cadenza derivata da una sorta di slittamento dei limiti delle parole che la compongono rispetto a quella primaria corrispondente, ma costituita dallo stesso numero di sillabe atone interposte tra le due toniche: Battaglia Ricci, Boccaccio, cit., p. 139. D. Romei, La "maniera" romana di Agnolo Firenzuola (dicembre 1524-maggio 1525), Edizioni centro 2P, Firenze 1983, p. 41. Accolgo questa definizione sulla scorta di Ceci, II ritmo delle orazioni di Cicerone, cit., p. 7. Accolgo questa variante sulla scorta delia tesi di dottorato di Gudrun Lindholm, Studien zum mittellateinischen Prosarhythmus: seine Entwicklung und sein Abklingen in der Briefliteratur Italiens, Almqvist & Wiksell, Stoccolma 1963, in part. pp. 39-54, la quäle ha fatto sua l'ipo-tesi giä sostenuta a suo tempo da Wihlelm Meyer. La studiosa ammette, per le cadenze in 73 PAOLA MO N DAN I planus: x o | o x o -^planus2: x o o • x o tardus: x o | oxoo^ tardus2: x o o • x o o trispondaicus: x o | o o x o —>• trispondaicus2: x o o • o x o velox: xoo |ooxo^ velox2: x o • o o o x o Cadenza sovrapposta = cadenza il cui primo membro coincide con il secondo membro delia cadenza che la precede e con la quale forma una catena di cursus. Esempio: gráve^e noiósoprincípio (gráve^e noióso:planus; noiósoprinäpio:planus sovrapposto). md. = medius: cadenza costituita da un polisillabo piano e da un trisillabo sdrucciolo, secondo lo schema ritmico x o | x o o. Esempi: áltrafémina; discréti érano. pl. = planus: cadenza costituita da un polisillabo piano e da un trisillabo piano, secondo lo schema ritmico x o | o x o. Esempi: fiámme nascóse; memoria fuggíta. pl2 = planus secondario: cadenza costituita da un polisillabo sdrucciolo e da un bisillabo piano, secondo lo schema x o o • x o. Esempi: ténero pádre; graziosíssi-me donne. td. = tardus: cadenza costituita da un polisillabo piano e da un quadrisillabo sdrucciolo, secondo lo schema ritmico x o | o x o o. Esempi: tútti campávano; novélle piacévoli. td2 = tardus secondario: cadenza costituita da un polisillabo sdrucciolo e da un trisillabo sdrucciolo, secondo lo schema ritmico x o o • x o o. Esempi: gióvane^e fémina; piacévole gióvane. tr. = trispondaicus: cadenza costituita da un polisillabo piano e da un quadrisillabo piano, secondo lo schema ritmico x o | o o x o. Esempi: príma giovanézza; dobbiáte trapassáre. latino, tutte le varianti ehe si generano spostando ilimiti di entrambe le parole: per ú planus, ad esempio, aceoglie quattro forme, secondo i tipi íllum dedúxit, vineám nóstram, néc impe-trávi ed éxaudiétis. Non credo, tuttavia, ehe si possa fare altrettanto per la lingua italiana: sono sieuramente daeseludere, per esempio, ľipotetica variante delmedius (x - oxo o o) čosi come lepocoplausibiliterze varianti del planus (x • o oxo) e del tardus (x • o oxo o), chepre-senterebbero, nel primo membro, o un monosillabo non accentato (ehe pertanto non puô coincidere con una sillaba tonica perché ritmicamente si appoggia al vocabolo ehe segue o a quello ehe precede) oppure uno accentato (ovvero una voce tronca) ehe pero mi pare non corrisponda perfettamente al ritmo generato dalla prima sillaba tonica delia cadenza, essen-do il suo accento piú forte oltreché lievemente sospensivo. Per finire, é molto difficile, seb-bene plausibile, ehe occorrano cadenze corrispondenti alle terze varianti del velox (x o o o • o x o) e del trispondaicus (x o o o Ixo), mentre possono senz'altro darsi cadenze costruite su un unico vocabolo, cioé considerando al tempo stesso ľaccento tonico e il secondo accento. 74 AD ALTA VOCE tr2 = trispondaicus secondaries cadenza costituita da un polisillabo sdrucciolo e da un trisillabo piano, secondo lo schema ritmico x o o • o x o. Esempi: útile consíglio; bellíssima del-córpo. vl. = velox: cadenza costituita da un polisillabo sdrucciolo e da un quadrisilla-bo piano, secondo lo schema ritmico x o o | o o x o. Esempi: pélaghi navigándo; téngono Vamoróse. vl2 = velox secondario: cadenza costituita da un polisillabo piano e da un pen-tasillabo piano, secondo lo schema ritmico x o • o o o x o. Esempi: nuóvi ragio-naménti; aleúna malinconía. svrp. = sovrapposto: sta a indicare la cadenza sovrapposta (ad esempio, pl. svrp sta per planus sovrapposto). w= la legatura, collocata tra due vocali, sta a indicarne la sinalefe. - = il trattino segnala 1'unione di un monosillabo al polisillabo che lo segue o precede oppure 1'unione di piú polisillabi da cui si genera una sola parola me-trica. Se si trova tra due vocali, sta a indicarne la dialefe. Bibliografia Alfano G., Nelle maglie della voce. Oralitá e testualitá da Boccaccio e Basile, Liguori, Napoli 2006. Baldissone G., Le voci della novella. Storia di una serittura da ascolto, Olschki, Firenze 1992. Battaglia Ricci L., Boccaccio, Salerno Editrice, Roma 2008 (ed. orig. 2000). Boccaccio G., Decameron. Edizione critica secondo I'autografo hamiltoniano a cura di Vittore Branca, Accademia della Crusca, Firenze 1976. Branca V., Boccaccio medievale e nuovi studi sul «Decameron», Sansoni, Firenze 1996 (ed. orig. 1981). 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SerianniL., Italiano in prosa, Franco Cesati Editore, Firenze 2012. 76 «Ut testatur Ovidius»: Boccaccio lettore dei commenti alle Metamorfosi Lisa Ciccone Nel Primo Proemio delle Genealógie, rivolgendosi a Ugo IV di Cipro per trami-te del committente Donnino da Parma, Boccaccio dichiara che la materia della sua opera é la «Genealógia degli dei pagani e degli eroi che da essi discendono, secondo quanto narrano le finzioni degli antichi (iuxtafictiones veterum) e con ciô che cosa abbiano inteso, sotto il velo delle favole, illustri uomini del passa-to (atque cum hac quid subfabularum tegmine illustres quondam senserintviri)»l. Le parole di Boccaccio chiariscono che le Genealógie non vanno considerate come un repertorio enciclopedico di miti organizzati in forma di genealógia, quale senza dubbio appaiono a prima vista, ma come un'opera in cui i miti sono raccontati e spiegati secondo la lettura che esegeti degni di nota ne avevano precedentemente dato. La struttura delľopera dal I alXIII libro testimonia ad evidentiam l'intento dell'autore: Boccaccio elenca le genealógie nelle rubriche e divide ogni paragrafe in due parti, sintetizzando nella prima il mito, con rife-rimenti alle diverse versioni della fabula che le fonti documentano, e riportan- Gen. I Proh. I. Per il testo e la traduzione: G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a eura di V. Zaccaria, in Id., Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a eura di V. Branca, Mondadori, Miláno 1998, voll. VII-VIII. Per un quadro generale sulle Genealogie basti qui S. Fiaschi, Genealógia deorum gentilium, in T. De Robertis et al. (a eura di), Boccaccio autore e copista. Catalogo della mostra, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana (ll ottobre 2013-11 gennaio 2014), Mandragora, Firenze 2013, pp. 171-180, e relativa bibliografia. Lisa Ciccone, University of Zurich, Switzerland, lisa.ciccone@uzh.ch FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Lisa Ciccone, «Ut testatur Ovidius»; Boccaccio lettore dei commenti alle Metamorfosi, pp. 77-91, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.05, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 LISACICCONE do invece nella seconda le interpretazioni che del mito erano state date alla luce dellalettura allegorica. Lo scopo ultimo di tanto lavoro diventa esplicito nelXIV libro: dopo aver ben compreso la Utiera delia fabula, il lettore potrá scoprire che sorto \zfctio poetka ě riposto il vero, e che pertanto la poesia ha una funzione utile e non soltanto di diletto2. Ii modello scelto da Boccaccio per organizzare una materia tanto articola-ta potrebbe derivare dall'opera di Paolo da Perugia, a cui Boccaccio riconosce continuamente, nelle Genealogie, lo statuto di fonte principále3. II noto bibliote-cario della corte angioina fu infatti autore di una Genealógia, in cui sintetizzava in forma schematica le parentele degli dei e degli eroi, parzialmente trascritta da Boccaccio nel suo Zibaldone Magliabechiano. Alui si deve perö soprattutto il Liber Collectionum, una rassegna in cui alle narrazioni mitologiche si aŕEan-cavano spiegazioni allegoriche4. Boccaccio scrisse le Genealogie nelľultima fa-se della sua vita, quando il Liber Collectionum era da tempo andato perduto, ma ě ipotesi comune che negli anni del soggiorno napoletano egli ne avesse tratto un congruo numero di appunti cui poté ricorrere proficuamente nel corso della stesura delľopera5. La somma della Genealógia e del Liber Collectionum non esaurisce tuttavia il numero delle fonti basilari, ehe, a giudicare dalla quantitá di citazioni, conta, accanto a Paolo da Perugia, anche O vidio, in particolare le Metamorfosi, e il mi-sterioso Theodontius, il quale per decenni ha attirato 1'attenzione degli studiosi6. Secondo la convincente ricostruzione di Paul Roland Schwertsik, dietro il no-me di Theodontius si celerebbe uno dei piú antichi commenti alle Metamorfosi, presumibilmente dell'XI secolo7. Lo studioso ha infatti rintracciato interessanti parallelismi contenutistici tra le Genealogie e materiali delľesegesi ovidiana, ad Gen. XIV 1, 20-22 e 22, 15-22. Su Paolo da Perugia: F. Torraca, Giovanni Boccaccio a Napoli, «Archivio storico napoletano», 39, 1914, pp. 229-267; F. Ghisalberti, Paolo da Perugia commentatore di Persio, «Rendiconti delFlstituto Lombardo di Scienze e Lettere», s. I, 62, 1929, pp. 535-598. Sull'intera opera mitografica di Paolo da Perugia e la conoscenza che ne ebbe Boccaccio: A. Hortis, Studisulle opere latine del Boccaccio con particolare riguardo alla storia della erudizio-ne nel Medio Evo e alle letterature straniere, J. Dase, Trieste 1879, pp. 525-536, alle pp. 525-526; A.T. Hankey, Un nuovo codice delle «Genealogie deorum» di Paolo da Perugia (e tre ma-nualetti contemporanei), «Studi sul Boccaccio», 18, 1990, pp. 65-161; Ead., La «Genealogia Deorum» di Paolo da Perugia, in M. Picone et al. (a cura di), GH Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del Seminario internazionale di Firenze-Certaldo (26-28 aprile 1996), Cesati, Firenze 1998, pp. 81-94; M. Petoletti, Due nuovi manoscritti di Zanobi da Strada, «Medioevo e Rinascimento», 23,2012, pp. 37-59, alle pp. 49-50. Petoletti, Due nuovi manoscritti, cit., pp. 49-50; P.R. Schwertsik, Un commento medievale alle «Metamorfosi» d'Ovidio nella Napoli del Trecento: Boccaccio e l'invenzione di "Theodontius', «Medioevo e Rinascimento», 23, 2012, pp. 61-84, alle pp. 57-58. Per una sintesi delle proposte di identificazione di "Theodontius' vd. Schwertsik, Un commento, cit., pp. 69-77. Ii medesimo studioso ha poi approfondito l'indagine nel volume Die Erschaffung des heidnischen Götterhimmels durch Boccaccio. Die Quellen der «Genealogia Deorum Gentilium» in Neapel, W. Fink, Paderborn 2014, pp. 59-79 e 207-453. Schwertsik, Un commento, cit., pp. 68-73. 78 «UT TESTATUR OVIDIUS» esempio la comune presenza del Demogorgone, una sorta di demiurgo caposti-pite delia genia divina8. Lo studio di Schwertsik si ě concentrato in particolare sul commento leggibile in forma compendiata nel manoscritto Napoli, Biblio-teca Nazionale, V F 21, il codice allestito quasi interamente da Zanobi da Strada su commissione di Paolo da Perugia9. L'indagine di Schwertsik dimostra che il rapporto tra le Genealogie e ľesegesi ovidiana merita di essere approfondito. Ě impossibile d'altronde immaginare che Boccaccio leggesse il testo delle Metamorfosi, cui ricorre cosi taňte volte, in forma piú o meno esplicita, senza il supporto di glosse interlineari e marginali: ogni opera antica era infatti sempre filtrata dai commenti, che permettevano al lettore medioevale, attraverso la sua decodifica, di trarne gli strumenti di cui aveva biso-gno, le norme del latino e insegnamenti conformi alľetica cristiana10. Nelľambi-to della lectura degli auctores, le Metamorfosi costituiscono d'altra parte un caso a sé11. Composto interamente di miti, con i suoi racconti di dei pagani dai vizi tan- 8 Per il Demogorgone vd. n. 22 del presente lavoro. Per i dettagli deH'indagine: Schwertsik, Un commento, cit., pp. 70-78. 9 Marco Petoletti ha riconosciuto in buona parte del codice la mano di Zanobi da Strada e chiarito che Fantologia di testi ivi compresi doveva costituire una sorta di zibaldone com-missionato da Paolo da Perugia: Petoletti, Due nuovi manoscritti, cit., pp. 49-51. All'interno del manoscritto il nome del noto bibliotecario figura quale editore' del Matena, il piü noto commento all'Arspoetica di Orazio, ampiamente in circolazione giä dal XII secolo: C. Villa, Due Schede per 'editus, «Italia medioevale e umanistica», 31, 1988, pp. 399-402. 10 Sull'utilitä dei commenti: C. Villa, I commenti ai classicifra XII e XVsecolo, in N. Mann e B. Münk Olsen (eds.), Medieval and Renaissance Scholarship. Proceedings of the second European Science Foundation Workshop on the Classical tradition in the Middle Ages and the Renaissance (London, The Warburg Institute, 27-28 November 1992), E.J. Brill, Leiden-New York-Köln 1997, pp. 19-32; Ead., Libri e lettori in Valdelsa e Valdarno, in L. Bertolini e D. Coppini (a cura di), Gli antichi e i moderni. Studi in onore di Roberto Cardini, Polistampa, Firenze 2010, vol. Ill, pp. 1411-1429; L. Ciccone, Esegesi oraziana nel Medioevo: il commento «Communiter», Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2016, pp. 3-11. 11 Sulla lettura delle Metamorfosi nel Medioevo molti studi sono ormai imprescindibili; vd. almeno E.K. Rand, Ovid and his Influence, M.Jones, Boston 1925; S. Battaglia, La tradizione di Ovidio nel Medioevo, «Filologia Romanza», 6, 1959, pp. 185-224; D.M. Robathan, Ovid in the Middle Ages, in V.J.W. Binns (ed.), Ovid, Routledge-K. Paul, London-Boston 1973, pp. 191-209; R.J. Exter, Ovid and Mediaeval Schooling. Studies in Medieval School Commentaries on Ovid's «Ars Amatoria», «Epistulae ex Ponto» and «Epistulae Heroidum», Arbeo-Gesellschaft, München 1986; B. Münk Olsen, Ovide au Moyen Äge (du IX' au XIP siede), in G. Cavallo (a cura di), Le strade del testo, Adriatica, Bari 1987, pp. 65-96; F. Munari, Ovidio nel Medioevo, in G. Catanzaro e F. Santucci (a cura di), Tredici secoli di elegia latina. Atti del Convegno internazionale di Assisi (22-24 Aprile 1988), Accademia Properziana del Subasio, Assisi 1989, pp. 237-247; B. Münk Olsen, I classici nel canone scolastico altomedievale, Centro italiano di Studi sull'alto Medioevo, Spoleto 1991, pp. 117-122; Id., La reception de la littera-ture classique au Moyen Äge (IX'-XIP siede), Museum Tusculanum Press, Copenhague 1995, pp. 71-94. Tra i lavori piü recenti: J.G. Clark et al. (eds.), Ovid in the Middle Ages, Cambridge University Press, Cambridge 2011 e R.J. Tarrant, Ovid in the «Aetas Vergiliana»: on the Afterlife of Ovid in the ninth century, in P. Fedeli e G. Rosati (a cura di), Ovidio 2017. Prospettive per il terzo millennio. Atti del Convegno Internazionale (Sulmona, 3-6 aprile 2017), Ricerche & Redazioni, Teramo 2018, pp. 35-55. 79 LISACICCONE to umani, il poema delle mutate forme era rimasto quasi completamente oscura-to dal Tardoantico fino al X secolo ed escluso dal canone della scuola, che invece privilegiava altri auctores, ad esempio Virgilio, Orazio o Persio12. Attorno a questi continuavano a svilupparsi commenti che adeguavano la lettura dell'opera antica alle esigenze deH'intellettuale medioevale, ma che difficilmente prescindevano del tutto dalle rispettive esegesi antiche, quali ad esempio il commento di Servio per Virgilio, dello Pseudoacrone per Orazio, di Cornuto per Persio. Le prime lecturae delle Metamorfosi risalgono invece all'XI e XII secolo, e, quan-do non si limitano alia decodifica grammaticale e retorica di base dei versi ovi-diani, interpretano i miti con il filtro dell'allegoria, trasformando un poema tanto pagano in un ampio corpus di precetti morali densi di citazioni bibliche, proverbia o addirittura passi della liturgia.13 Vivendo il suo esordio nel pieno cuore del Me-dioevo, dunque, la ledum delle Metamorfosi risulta inscindibile dall'interpreta-zione delle glosse, molto piú di quanto giá non accadesse per gli altri testi antichi. La mia indagine intende illustrare come il debito delle Genealogie verso l'e-segesi ovidiana sia effettivamente molto alto, soprattutto sul piano strutturale, e quindi nella fase dell'ideazione dell'opera ancora piu che per i dettagli relativi ai singoli miti. A circoscrivere il lavoro sono innanzitutto i due limiti fondamentali con cui esso si scontra: l) sebbene gli studi sui commenti alle Metamorfosi ab-biano visto negli ultimi decenni un notevole sviluppo, abbiamo una conoscenza molto ridotta di quella che dovette essere la reale esegesi dell'opera14; 2) sono pochissime le edizioni dei commenti di cui disponiamo, sia per le difficoltá generali poste dalla natura delle glosse, che sono quasi sempre anonime, soggette a interpolazioni e a spostamenti da un corpus esegetico all'altro, sia per la gran mole delle Metamorfosi e della relativa esegesi15. Münk Olsen, Ovide auMoyenÄge, cit.; Id., I classici, cit., pp. 117-122; Id., La reception, cit. Perlanuova attenzione che riservarono alle Metamorfosi, l'XI eXII secolo furono definiti da Ludwig Traube aetas ovidiana: L. Traube, Vorlesungen und Abhandlungen, in V.P. Lehmann (hrsg.), Einleitung in die lateinische Philologie des Mittelalters, Beck, München 1965 (ed. orig. 1911), p. 133.1 limiti della definizione sono messi in luce da G. Cavallo, Lettori anonimi delle «Metamorfosi» tra antichitä e Medioevo, in G. Papponetti (a cura di), «Metamorfosi». Atti del Convegno Internationale di Studi (Sulmona, 20-22 Novembre 1994), Centro Ovidiano di Studi e Ricerche, Sulmona 1997, pp. 15-31, alle pp. 21-22; J.-Y. Tilliette, Savants etpoetes du Moyen Age face a Ovide. Les debuts de V «aetas Ovidiana» (v.1050-v.1200), in M. Picone e B. Zimmermann (eds.), Ovidius redivivus, M&P, Stuttgart 1995, pp. 63-104. I commenti ovidiani sono divenuti oggetto di indagine soprattutto negli anni Settanta del secolo scorso, come segnala ET. Coulson, Ovid's Transformations in Medieval France (ca. 1100-ca. 1350), in A. Keith e S. Rupp (a cura di), «Metamorphosis». The Changing Face of Ovid in Medieval and Early Modern Europe, Centre for Reformation and Renaissance Studies, Toronto 2007, pp. 33-60, a p. 33. Soprattutto negli anni piü recenti hanno visto la luce strumenti indi-spensabili, quali ad esempio il catalogo che censisce tutti i manoscritti delle Metamorfosi com-mentati e glossati: ET. Coulson e B. Roy, «Incipitarium». A finding Guide for texts related to the study of Ovid in the Middle Ages and Renaissance, Brepols, Turnhout 2000. In generale: E. Jeauneau, Gloses et commentaires de textes philosophiques (IX'-XIF siecles), in Les genres litteraires dans les sources theologiques et philosophiques medievales : definition, critique et exploitation. Actes du Colloque International (Louvain-La-Neuve, 25-27 mai 1981), Institut d etudes 80 «UT TESTATUR OVIDIUS» Ii commento piü antico che ci e pervenuto integralmente, del XII secolo, e stato edito di recente da Robin Wahlsten Böckerman; si tratta del testo tradito dal ms. München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 461016. Alle eure di Fausto Ghisalberti dobbiamo invece la possibilitä di leggere, seppure parzialmente, il commento di Arnolfo d'Orleans, gli Integumenta di Giovanni di Garlandia e le Allegorie di Giovanni del Virgilio17. Composto nel tardo XII secolo e divenuto un modello imprescindibile per le successive esegesi, il commento di Arnolfo fissö il metodo di lettura dei miti delle Metamorfosi. Come dichiara nelle brevi formule di accessus con cui introduce ciascun libro, Arnolfo espone le mutationes ovidiane allegorice, moraliter o historice18. Scritti poco dopo il 1230, gli Integumenta sono invece un poemetto allegorico che in poco piü di 250 versi sintetiz-za i miti dell'intero poema ovidiano. Parzialmente in versi sono poi le Allegorie di Giovanni del Virgilio, di cui leggiamo, come nel caso di Arnolfo, una sorta di compendio. Creando un prosimetro, l'autore intervalla glosse piü o meno pro-lisse, diverse nelle singole scelte contenutistiche da quelle di Arnolfo ma simili nell'impianto, con esametri che riepilogano o spiegano allegoricamente il mito. Riprendendo Arnolfo e inserendosi nel medesimo filone francese dell'esegesi alle Metamorfosi, intorno al 1250, forse ancora una volta a Orleans, un anonimo allesti il Vulgatus, un commento tradito da 22 manoscritti, vale a dire un numero estremamente alto per un genere destinato alla fruizione immediata. Ii I e parte del X libro sono editi da Frank Thomas Coulson, che sta curando, insieme a Piero Andrea Martina, lapubblicazione dell'intero commento nell'ambito di un progetto sulle fonti delYOvide moralise19. All'interno del medesimo progetto, che médiévales de ľUniversité Catholique de Louvain, Louvain-La-Neuve 1982, pp. 17-131; L. Pirovano, Prova latente e 'normalizzazione dei lemmi. Problemi filológia nelle «Interpretationes Vergilianae» di Tiberio Claudio Donato, in A. Cadioli e P. Chiesa (a cura di), Prassi Ecdotiche. Esperienze editoriali su testi manoscritti e testi a stampa. Atti delle giornate di Studio (Milano, 7 giu-gno e 31 ottobre 2007), Cisalpino, Milano 2009, pp. 37-63, alle pp. 37-38. Sui limiti che riguar-dano nello speeifico le edizioni dei commenti ovidiani: ET. Coulson, The Editing of Medieval Latin Commentary Texts: Problems and Perspectives, inE. Odelman e D.M. Searby (eds.), Edendi. Lecture Series, Stockolm University, Stockolm 2014, pp. 105-130. R. Wahlsten Böckerman, The Metamorphoses of Education. Ovid in the Twelfth-Century Schoolroom, Holmbergs, Malmö 2016. F. Ghisalberti, Giovanni del Virgilio espositore delle «Metamorfosi», «Giornale Dantesco», 34, 1931, pp. 3-107; Id., Arnolfo d'Orleans. Un cultore di Ovidio nel secolo XII, «Memorie dellTstituto Lombardo di Scienze e Lettere», 11,1932, pp. 157-234; Giovanni di Garlandia, «Integumenta Ovidii», poemetto inedito del secolo XIII, a cura di F. Ghisalberti, Principato, Messina-Milano 1933. Ghisalberti, Arnolfo, cit., pp. 180-181: «Modo quasdam allegorice, quasdam moraliter ex-ponamus, et quasdam historice». Tra i numerosi saggi che lo studioso ha dedicato al Vulgatus segnalo qui F.T. Coulson, Hitherto Unedited Medieval and Renaissance Lives of Ovid (i), «Mediaeval Studies», 49, 1987, pp. 152-207 e Id., The «Vulgate» Commentary on Ovid's «Metamorphoses»: The Creation Myth and the Story of Orpheus, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1991; nel primo lo studioso ha pubblicato Xaccessus, nel secondo il commento a. Met. I 1-150 e X 1-77. Vd. poi, del medesimo, la recente traduzione in inglese del I libro del Vulgatus e il riepilogo delia bibliografia 81 LISACICCONE intende valorizzare il ruolo decisivo dell'esegesi per la fortuna medievale delle Metamorfosi, rientra l'edizione di altro commento, tradito da un unico testimo-ne, il codice Biblioteca Apostolica Vaticana, Lat. 147920. Prodotto anch'esso in Francia, probabilmente nella prima metá del XIV secolo, e affidato alle cure di un copista delia Francia settentrionale, il commento Vaticano si rivela partico-larmente prezioso per il raffronto con le Genealogie, pur non costituendone la fonte21. L'anonimo magister che ne fu autore sottopone le Metamorfosi a una let-tura spiccatamente allegorizzante, rendendo visibile molto piu di altre esegesi il meccanismo' di moralizzazione dei miti, in tutte le sue fasi di passaggio, dal piano letterale a quello in cui la fabula si trasforma in un praeceptum fruibile da parte dei magistri o dai predicatori. Sistematicamente per ciascun libro delle Metamorfosi, il commento del Vat. Lat. 1479 scinde la trattazione di un mito in tre macroglosse principáli, che cor-rispondono, rispettivamente, al livello letterale, allegorico e morale di compren-sione del racconto ovidiano. Le glosse della prima tipologia sono solitamente introdotte da fabula talis est, le altre da allegoria talis est o allegorice, le ultime da moraliter o moralitas talis est. La gran parte delle glosse restanti concorre all'al-legorizzazione del těsto o alia trasmissione di nozioni relative alle tante discipline toccate dalla materia ovidiana, mentre le glosse interlineari e le marginali introdotte da construe, che riportano quasi esclusivamente la parafrasi del testo, assestano la comprensione letterale dei versi. La struttura scelta da Boccaccio per le Genealogie, cui ho sopra accennato, ě la stessa. Senza mai confondere i diversi livelli di lettura, l'autore presenta in sin- pregressa in The Vulgate Commentary on Ovid's «Metamorphoses»: Book 1, Western Michigan University-Medieval Institute Publications, Kalamazoo 2015. L'edizione integrale del Vulgatus fa parte del progetto «Les sources latines de YOvide moralise», coordinato da Richard Trachsler dell'Universitä di Zurigo e finanziato dal 'Fonds National de la Suisse'. 20 E attualmente disponibile il I volume dell'edizione: Un commentaire medieval aux «Metamor-phoses». Le Vaticanus latinus 1479, Livres I-V. Texte établi, introduit et annoté par L. Ciccone. Traduction de M. Possamal-Perez, avec la collaboration de P. Deleville, Gamier, Paris 2020. 21 II manoscritto figura tra i codici che hanno formato il primo nucleo della Biblioteca Vaticana: A. Manfredi, I codici latini di Niccolô V. Edizione degli inventári e identificazione dei manoscrit-ti, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cittä del Vaticano 1994, pp. 401 e 439-440; R. Bianchi, Manoscritti e opere grammaticali nella Roma di Niccolô V, in M. De Nonno e P. De Paolis (a cura di), Manuscripts and Tradition of Grammatical Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference held at Erice (16-23 Oct. 1997) as the 11th Course of International School for the Study of Written Records, Edizioni dell'Universitä degli Studi di Cassino, Cassino 2000, pp. 587-653, a p. 592, n. 15. Per la descrizione del codice vd. E. Pellegrin et al. (a cura di), Les manuscrits classiques latins de la Bibliothěque Vaticane, CNRS, Paris 1991, vol. III/1, pp. 60-64; M. Buonocore, I Codici di Ovidio presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, «Rivista di cul-tura classica e medioevale», 37, 1995, pp. 7-55, a p. 38. Per la bibliografia successiva: Coulson, Hitherto Unedited, cit., pp. 154,158,163; Id., A Bibliographical Update and Corrigenda Minora to Munari's Catalogues of the Manuscripts of Ovid's «Metamorphoses», «Manuscripta», 38, 1994, pp. 3-22, alle pp. 11-12. Una breve descrizione del manoscritto, oltre che l'edizione dell'acces-sus, era giä in B. Nogara, Di alcune vite e commenti medioevali di Ovidio, in Miscellanea Ceriani. Raccolta di scritti origináli per onorare la memoria di Mr. Antonio Maria Ceriani prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Hoepli, Milano 1910, pp. 415-431, ap. 416. 82 «UT TESTATUR OVIDIUS» tesi il mito, poi spiega i significati allegorici degli elementi che lo costituiscono, spingendosi in alcuni casi, a seconda del materiále esegetico di cui dispone, fi-no all'interpretazione moralizzante. Egli si mostra, comunque, sempre attento a segnalare l'esistenza di piú versioni dello stesso racconto mitologico o di let-ture discordanti rispetto a quella allegorica adottata. Tale metodológia seguita da Boccaccio ě prassi tipica dei commenti in generále, ma soprattutto di quelli ovidiani, che impiegano diversi stratagemmi di fronte alia pluralita di soluzioni offerta dal mito. L'autore del commento Vaticano, ad esempio, separa tramite vel le varie possibili interpretazioni letterali del testo e attribuisce ad alii o quidam le spiegazioni allegoriche diverse da quella scelta. In una glossa del Vulgatus, invece, la ripetizione della formula Opinio, con cui il commentatore introduce le diverse lecture allegoriche, scandisce l'esposizione, secondo una struttura non dissimile da quella che incontriamo nelle Genealogie, quando Boccaccio cita, a proposito dello stesso mito, fonti divergenti. Riporto qui di seguito un esempio in cui ri-sulta particolarmente visibile l'impianto strutturale, senza curarmi dell'identita dei soggetti trattati; la glossa del Vulgatus ě relativa a Met. 1108, uno dei versi sull'etá dell'oro, mentre ilpasso delle Genealogie riguarda Nitteo figlio di Nettuno: Vulgatus (ed. Coulson, p. 93) Vererateternum (Met.l 108): De tempore in quo natus fuit homo diversi diversa senciunt. Opinio autem Virgilii (Georg. n 336-345) fuit quod natus fuit in vere quia turn res nove essent et tenere [...]. Opinio autem Macrobii (in Somn. i 21-25) fuit quod natus fuit homo et creatus in estate [...]. Opinio autem Ovidii fuit quod mun-dus factus fuit in vere Gen. X 28,1-2 Nictheus, ut ait Lactantius, filius fuit Neptuni, et, ut Theodontius asserit, ex Celeno filia Athlantis susceptus. Hune dicit Lactantius Ethiopie fuisse regem [...]. Alii vero contrarium dieunt [...]. Quod is Neptuni filius íueňtpossibile est, cum fere contempo-raneus evo Neptuni hominis videatur. Si autem non is ea ratione Neptuni filius dici potest, qua dieuntur et ceteri [...]. Mentre le similarity di carattere strutturale riguardano le Genealogie nella loro interezza, e piu puntuale il rimando all'esegesi ovidiana nel caso del Demogorgo-ne, lo strano demiurgo, personificazione della natura primigenia, con cui, all'i-nizio della sua opera, Boccaccio identifica il primo dio. Estraneo alia mitologia classica e tardoantica, il Demogorgone non compare nella letteratura dei generi alti, almeno per quel che ne sappiamo alio stato attuale, ma in quella cosiddetta 'di servizio', ad esempio in opere mitografiche come il Fabularius di Conradus de Mure, e nella scoliastica, ad esempio nell'In principio, commento del XII se-colo alia Tebaide di Stazio, e, per venire al nostro campo di indagine, nelle glos-se a Ovidio22. Su indicazione dello stesso Boccaccio, che dice di aver attinto il Sulla presenza dei Demogorgone nelle Genealogie: C. Landi, Demogorgone. Con saggio di nuo-va edizione delle «Genealogie deorum gentilium» dei Boccaccio e sillogi dijrammenti di Teodonzio, Sandron, Palermo 1930; nelle fonti piü antiche: M.P. Mussini Sacchi, Per la fiortuna di Demogorgone in etä umanistica, «Italia medioevale e umanistica», 34, 1991, pp. 299-310; nel Fabularius, che a sua volta figura negli Zibaldoni di Boccaccio: L. Cesarini Martineiii, Sozomeno 83 LISACICCONE Demogorgone da Theodontius, Paul Roland Shwertsich ha individuato proprio nella glossa al Demogorgone uno degli indizi che ricondurrebbero l'identita del misterioso Theodontius all'esegesi ovidiana23. II demiurgo compare infatti nel commento tradito dal manoscritto Napoli, Biblioteca Nazionale, V F 21, che, di-rettamente o tramite Paolo da Perugia, Boccaccio ebbe modo di conoscere24. Lo stretto legame tra il Demogorgone e i commenti alle Metamorfosi ě confermato dal testo del Vat. Lat. 1479, in cui la glossa sullo strano essere costituisce addi-rittura uno degli esempi piu chiari del sincretismo tra il mito pagano e la veritá cristiana che i magistři medievali scorgevano dietro la lettera dei versi ovidiani. Tra le glosse che spiegavano la trasformazione del Chaos nelle diverse parti del mondo narrata da O vidio nei primi 70 versi del primo libro, il Demogorgone con-sentiva infatti di individuare un dio unico artefice del mondo e di neutralizzare pertanto a priori qualsiasi riferimento, nel prosieguo del commento, alle tante divinitá pagane: Iuppiter diveniva ad esempio iuvans-pater, il Dio cristiano che provvedeva al bene dell'uomo, mentre Apollo era allegoria della sapientia2S. Nella sua veste di creatore, il Demogorgone ě poi identificato, in una glossa relativa ai vv. 78-83, anche con Prometeo, che, senza essere un dio, aveva dato corpo e anima all'uomo. Nel passo, Ovidio aveva lasciato aperta la questione dell'origi-ne dell'uomo, attribuendola a un seme divino o, in alternativa, all'intervento di Prometeo. Commentando i versi, il Vat. Lat. 1479 spiega che, secondo \zfabula, Prometeo, conosciuto anche con il nome di Demogorgone, fu il primo Dio, supremo su tutti, il quale formö l'uomo dal fango e per questo fu mandato in esilio sul monte Caucaso. Secondo Yhistoria, invece, Prometeo era probabilmente un filosofo che studio la doppia natura dell'uomo, corporea e spirituále. La glossa allegorica, introdotta dal consueto Allegoria talis est, si limita a ribadire l'identita tra Prometeo e il dio autore dell'uomo ma aggiunge un rinvio alia Genesi di importanza fondamentale perché rende esplicita l'operazione di sincretismo che ha portato alia sovrapposizione fra il mito con cui si aprono le Metamorfosi e la creazione narrata dalla Bibbia. Nelle Genealogie Boccaccio, come l'autore del commento Vaticano, identifica il primo dio con il Demogorgone e nello stesso tempo con Prometeo, e riporta l'interpretazione alternativa, che riconosce invece a Prometeo natura umana. Ho maestro efilologo, «Interpres», 11, 1991, pp. 80-92; Hankey, Un nuovo codice, cit., pp. 75-77, n. 15; F. Di Benedetto, Presenza di testi minori negli Zibaldoni, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp. 13-28, a p. 25; nell'in principio: V De Angelis, I commenti medievali alia «Tebaide» di Stazio, in Medieval and Renaissance Scholarship, cit., pp. 75-132, a p. 81 e n. 13, ora in F. Bognini e M.P. Bologna (a cura di), Scritti difilologia medievale e umanistica, D Auria, Napoli 2011, pp. 151-212; nei commenti ovidiani: Shwertsich, Un commento, cit., p. 71. Piü in generale si veda M. Barsacchi, Il mito di Demogorgone. Origine e metamorfosi di una divinitá 'oscura, Marsilio, Bologna 2015. Shwertsich, Un commento, cit., pp. 70-78. Vd. supra n. 9. Vat. Lat. 1479, f. 54r: «Iu-piter: iuvans pater, id est Christi, qui nos iuvat»; f. 58v: «Moraliter intelligitur sic: per Phitonem intelligimus falsam credulitatem, quem Apollo, id est sapiens, quia Apollo dicitur deus sapientie, com (sic) radiis suis desiccat». 84 «UT TESTATUR OVIDIUS» evidenziato qui di seguito in corsivo le similaritá tra il testo delle Genealogie, in cui si cita come fonte Theodontius (Diät ergo Theodontius), e quello delle glosse del Vat. Lat. 1479, per dimostrare quäle sia il debito di Boccaccio nei confronti dell'esegesi ovidiana, riscontrabile anche dal confronto con un commento proba-bilmente ignoto all'autore, che riporta contenuti raramente attestati da altre fonti: Vat. Lat. 1479, f. 54r Allegoria talis est: iste Promotenus (sic) di-citurprimus deus qui de limo terre hominem fecit et in eo spiraculum vite spiritu oris sui inspiravit, ut in Genesi (2, 7) continetur. Fabula talis est: Promotheus, filius Iapeton, qui alio nomine dicitur Demogorgon, fuit primus et summus deorum, et de limo terre formavit imaginem terream, et earn in igne et sole desiccavit, et ilia desiccata mutata est in hominem, et inde pro tali facto in Caucaso monte a posteritate missus fuit in exilium. Historia talis est: Promotheus re vera qui-dam fuit qui, in Caucaso monte studens, pri-mo naturamJiominis,duplam consideravit, scilicet corpus terrenum, unde dicitur corpus de limo terre sive de terrafecisse, et animam celestem, unde dicitur spiraculum vite ce-lestis in eo imposuisse. Gen. IPron. III e IV 44, 7-18 Demogorgon [...] deorum omnium genti-lium pater. Primus autem deus verus et omnipotens est, qui primus honimem ex limo terre com-posuit, ut Prométheům fecisse fingunt, seu nátura rerum, que ad instar primi reli-quos etiam ex terra producit, sed alia arte quam Deus. Secundus est ipse Prometheus [...]. Dicit ergo Theodontius de Prometheo isto legisse quod [...] iuvenis et dulcedine studiorum tractus, [...] in verticem Caucasi secessit. Ex quo longa meditatione ex experientia percepto astrorum cursu, [...] ad Assy-rios rediit eosque astrológiám docuit [...]. L'ultimo caso che mi accingo a esporre riguarda invece il rapporto tra le Genealogie e un commento ovidiano che Boccaccio conobbe sicuramente, le Allegorie di Giovanni del Virgilio. Nell'XI libro Boccaccio tratta delle Muse, di-chiarando preliminarmente di aver attinto alle Etimologie di Isidora e allopera di Paolo da Perugia ed elencando le fonti impiegate: Persio, Macrobio e Fulgen-zio, oltre a Isidoro. Fatta eccezione per la menzione di Persio, la glossa con cui Giovanni del Virgilio commenta il mito delle Pieridi nel V delle Metamorfosi ripete la stessa sequenza: l'etimologia (pur senza fare il nome di Isidoro), Macrobio e Fulgenzio. In aggiunta, Giovanni del Virgilio si rifá a Robertus super summulis, intendendo probabilmente il commento di Roberto di Kilwardby alle Summule di Pietro Ispano, per sostenere 1'interpretazione secondo cui le Muse sarebbero nove poiché nove sono gli strumenti necessari per dar corpo alla voce26. II magister bolognese menziona anche il Graecismus di Eberardo di G.C. Alessio, I trattati grammaticali di Giovanni del Virgilio, «Italia medioevale e umanisti-ca», 24, 1981, pp. 159-212, a p. 176 e n. 38; vd. anche M. Ferretti, Per la recensio e la prima diffusione delle «Allegorie» sulle «Metamorfosi» di Giovanni del Virgilio, «L'Ellisse. Studi 85 LISACICCONE Béthune, senza perö riportarlo per esteso, poiché il poemetto grammaticale, a suo dire, gracida' riferendo cose giá note. Nonostante la eura di Giovanni del Virgilio nelľevitare uno strumento tanto scontato, il confronto fra il suo těsto e quello di Boccaccio, che riduco per necessitá di sintesi a pochi punti, ne evidenzia proprio la natura scolastica27: l) Giovanni del Virgilio rimanda alle medioevali Summule mentre Boccaccio vanta un'esatta citazione di Persio, con buona probabilita attinta da Paolo da Perugia28; 2) il magister spiega l'etimolo-gia del nome Muse connettendo la radice moyson al verbo querere, mentre Boccaccio non confonde le due etimologie a sua disposizione: il nome delle Muse deriva dal verbo querere oppure da moys, che significa acqua29; 3) Giovanni del Virgilio ricorre ripetutamente a formule piú comuni nelľesegesi, quali sciendum est, o dicunt e dicunt aliter, mentre Boccaccio modula formule diverse e senza dubbio piú eleganti, quali ad esempio placet Ysidoro, per introdurre le fonti. Ě proprio tuttavia la rafflnatezza stilistica con cui Boccaccio tenta di distanziare la sua scrittura dalla matéria grezza dei commenti a rendere visibile l'impronta di questi ultimi. Quasi all'inizio della glossa, in cui si legge Nos autem, his premissis, ad auferendum velumfictionibus veniamus, Boccaccio utilizza una formula (hispremissis) con cui spesso i commentatori passano dzWaccessus all'inizio del commento vero e proprio, ma soprattutto rivendica a sé il ruolo dell'esegeta30: a questo, infatti, spetta il compito di sollevare il velo, o Yintegumentum, della fictio poetica per scoprire il senso riposto al di sotto31. storici di letteratura italiana», 2,2007, pp. 9-20, a p. 20 e n. 55 per la ripresa della glossa sulle Muse di Giovanni del Virgilio nel Commento alla Commedia di Benvenuto da Imola. Nel testo in tabellaho evidenziato le analogie tra i due testi in corsivo eleprincipali diversitä in grassetto. Paolo da Perugia fu autore di un commento a Persio, che Boccaccio conobbe sicuramen-te: Ghisalberti, Paolo da Perugia, cit.; D.M. Robathan e F.E. Cranz, A. Persius Flaccus, in F.E. Cranz e P.O. Kristeller (eds.), Catalogus Translationum et Commentariorum. Medieval and Renaissance latin translations and commentaries, Catholic University of American Press, Washington D.C. 1976, pp. 201-231, alle pp. 246-247. L'etimologia dal verbo quaerere ě in Isid. Orig. III 15,1; piu completa la trattazione di Uguccione, in cui si leggono entrambe le etimologie, da quaerere e da moys, e le ragioni per cui le Muse sono nove. Mi limito a riportare, dall'edizione di riferimento, soltanto le etimologie: Uguccione da Pisa, Derivationes. Edizione critica princeps a cura di E. Cecchini, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2004, s.v. Moys: «Moys grece, latine dicitur aqua. [... ] Item a moys hec musa-e: muse sunt Villi [... ] Vel muse dicuntur a muso, idest querendo [...]». Basti qui il solo esempio del commento di Pace da Ferrara alla Poetria nova nel ms. London, Brirish Library, Add. 10095, f. 108r: «Premissis hucusque habitis que ad cognitionem huius libri [...] concurrebant, restat [...]». Tra i numerosi esempi di metafora del velo della poesia che copre il significato nascosto, rimando alla nota miniatura di Simone Martini sul Virgilio di Petrarca, in cui Servio con una mano scosta un velo mentre con l'altra indica Virgilio: Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 79 inf., f. lv; F. Petrarca, Lepostille del Virgilio Ambrosiano, a cura di M. Baglio et ah, pre-sentazione di G. Velli, Antenore, Roma-Padova 2006. Sul rapporto tra questa miniatura e i commenti: C. Villa, I classici come modello, in Intorno al testo. Tipologie del corredo esegetico e soluzioni editoriali. Atti del Convegno (Urbino, 1-3 ottobre 2001), Salerno Editrice, Roma 86 «UT TESTATUR OVIDIUS» Giovanni del Virgilio, Alleg. in Ov. Met. V 294-336 (ed. Ghisalberti) Ultima est de Pieridibus conversis in picas. Ubi sciendum est quod de Musis di-versa est opinio. Nam dicunt musici, sub quibus poete com-prenduntur, quod Muse dicuntur a moyson quod est querere. Unde novem Muse dicuntur novem modi vel novem vie, quibus me-diantibus octo principales toni dicuntur reperiri. [...] Sed naturales aliter dicunt. Nam dicit Robertus quod per novem Musae intelli-gimus novem instrumenta necessaria ad vocem formandam. [...] Ita dicit Robertus super summulis. Sed Macrobius dicit aliter; dicit enim quod in ordineplanetarum estquaedam coreapul-cerrimam melodiam conferens. Nec sentimus earn propter longam consuetudinem quefuit in anima priusquam veniret ad corpus. Unde per novem Musas cantatrices intelligimus septemplanetas [...]. Similiter Graecisums de his Musis vult gracitare quod abmicto ad presens quia omnibus potest patere. Sed Fulgentius dicit. Per novem Musas intelligimus novem proprietates administrativ as cuiuslibet ad perfectionem alicuius seiende cupientis devenire. Quod apparetper eorum nomina etinterpretationem. Prima enim vo-catur Clio quod idem est quod gloria [...]. Gen. XI2,1-9 Muse vero novem sunt, Iovis et Memorie filie, ut ubi De ethymologiis placet Ysido-ro, et Paulo Perusino. [...] Nos autem, his premissis, ad auferendum velum fictioni-bus veniamus. Placet Ysidoro (Orig. in 15, 2), christiano atque sanctissimo homini, has Musas appellatas a querendo [...]. Et, ut idem dicit Ysidorus, quoniam ipsarum Musarum sonus sensibilis res est, et que in préteritum fluit imprimiturque memorie, [...] et sic memorie servata expresserit, ut te quis scire noverit, ut ait Persius: «Scire tuum nil est, nisi scire hoc te sciat alter» (125-26), etc. [...] NecnonarbitrorMusa a moys, quod est aqua, dictas, causa in se-quentibus ostendetur. Cum autem novem sint in commentario se-cundo super Somnio Scipionisplurimum Macrobius (Somn. 113,1-4) conatur ostendere, eas equiparans octo sperarum celi cantibus, nonam volens omnium celorum modulatio-num esse concentum [...]. Porro idem Fulgentius (I IS, 48-49), quasi minus plene dilucidaverit quod de Musis intendit, ut nominum et operationum singulárům rationem deducatin medium, dicit sic: «Nos vero novem Musas doctrine atque scientie dicimus modos, hoc est: prima Clio quasiprima cogitatio discendi [...]». La continua menzione di Paolo da Perugia nelle Genealogie e la coincidenza di aleuni dettagli, come la citazione di Persio nel passo appena illustrato, con-sentono di ritenere 1'opera del dotto bibliotecario una fonte imprescindibile per Boccaccio, ma lo schéma osservato nella trattazione delle Muse ě troppo simile a quello di Giovanni del Virgilio perché si possa parlare di semplice poligenia 2003, pp. 61-75, a p. 75 e, recentemente, CM. Monti, Petrarcafinxit. La miniatura del Virgilio Ambrosiano e il disegno di Valchiusa nelPlinio Parigino, «Aevum», 93,2019, pp. 481-494, alle pp. 484-485. 87 LISACICCONE rispetto a fonti comuni. Riscontriamo piuttosto una situazione analoga a quel-la osservata da Mary Lord e Matteo Ferretti a proposito, rispettivamente, del commento al Culex e dell'autocommento al Teseida32. Boccaccio avrebbe attinto sia a Giovanni del Virgilio che a Paolo da Perugia, selezionando le fonti e sosti-tuendo quelle piú autorevoli a quelle piú scolastiche, oppure avrebbe prelevato i materiali esegetici direttamente da Paolo da Perugia, fruitore a sua volta delle Allegorie di Giovanni del Virgilio. In ogni caso la matrice dell'impostazione e anche l'origine dei materiali confluiti, direttamente o indirettamente, nelle Genealogie, va riconosciuta nel commento di Giovanni del Virgilio, come, piu in generále, per l'intera opera, nell'esegesi ovidiana. Dopo aver scelto l'impianto genealogico, che gli consentiva di prendere le mosse da un incipit ben definito, Boccaccio ha disposto la materia mitologica secondo lo stesso metodo utilizzato dai commentatori ovidiani, che potrebbe aver visto applicato su qualsiasi codice delle Metamorfosi: espone il mito, ricor-rendo a tutte le fonti necessarie per renderne chiaro il contenuto, poi lo com-menta, suggerendo tramite l'opportuna documentazione le diverse possibili interpretazioni. Il perno di queste ě rappresentato dalla lettura allegorica, che aveva permesso ai commentatori di moralizzare le Metamorfosi, trasformandole in una fonte di strumenti utili aH'intellettuale medievale. Lo scopo di Boccaccio ě quello di guidare il lettore nella comprensione della poesia, rendendolo auto-nomo, senza confonderlo con interpretazioni sovrapposte, nella fase piu difficile: la decodifica della^icim Bibliografia Alessio G.C., I trattati grammaticali di Giovanni del Virgilio, «Italia medioevale e umanistica», 24,1981, pp. 159-212. Barsacchi M., Il mito di Demogorgone. Origine e metamorfosi di una divinita. 'oscura, Marsilio, Bologna 2015. Battaglia S., La tradizione di Ovidio nel Medioevo, «Filologia Romanza», 6, 1959, pp. 185-224. Bianchi R., Manoscritti e opere grammaticali nella Roma diNiccoló V, inM. De Nonno e P. De Paolis (a cura di), Manuscripts and Tradition of Grammatical Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference held at Erice (16-23 Oct. 1997) as the 11th Course of International School for the Study of Written Records, Edizioni dell'Universita degli Studi di Cassino, Cassino 2000, pp. 587-653. 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Su Boccaccio lettore della Pharsalia Niccolö Gensini In un famoso passo delXIVlibro della Genealógia deorumgentilium, dedicato alia difesa della poesia, Boccaccio cita per inciso il nome di Lucano, ricordando un famoso giudizio sull'autore della Pharsalia: Nam poete, non ut hystoriographi faciunt, qui a quodam certo principio opus exordiuntur suum, et continua atque ordinata rerum gestarum descriptione in fine usque deducunt (quod cernimus fecisse Lucanum, quam ob causam multi eum potius metricum hystoriographum quam poetam existimant), verum artificio quodam longe maiori aut circa medium hystorie, aut aliquando fere circa finem inchoant quod intendunt, et sibi adinveniunt causam recitandi, quod ex precedentibus omisisse videbantur (Genealógia, XIV, 13,14)1. Secondo Guido Martellotti2 il giudizio di Boccaccio sarebbe una delle ulti-me tappe di una lunga e proterva tradizione tardo-antica e medievale3, profon- G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Zaccaria, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V Branca, Mondadori, Milano 1998, voli. VII-VIIL p. 1446 (corsivi miei). G. Martellotti, La difesa della poesia nel Boccaccio e un giudizio su Lucano, in Id., Dante e Boccaccio e altri scrittori dall'Umanesimo al Romanticismo, Olschki, Firenze 1983, pp. 165-183. E.M. Sanford, Lucan and His Roman Critics, «Classical Philology», XXVI (3), 1931, pp. 233-257: 233-236. Niccolö Gensini, University of Bologna, Italy, niccolo.gensini2@unibo.it FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Niccolö Gensini, «A' quai lucan seguitava». Su Boccaccio lettore della Pharsalia, pp. 93-114, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.06, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. 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Fin dall'antichita infatti il dilemma su Lucano riguardô la sua collocazione entro il sistema dei generi letterari e dunque il tipo di rapporto che si poteva stabilire tra i suoi versi e ľoggetto delia sua narrazio-ne4. La desolata e pessimistica, a tratti cinica, esposizione di Lucano, alternativa al luminoso racconto virgiliano5, aveva interrogato i commentatori antichi che le rimproveravano un'eccessiva adesione ad eventi troppo vicini nel tempo: una corrispondenza che allontanava inevitabilmente il testo dal compito, specifico delia poesia, di raccontare tramite «ambages deorum» e un «fabulosum senten-tiarium tormentum»6 gli, altrimenti troppo crudi, fatti delia realtá umana7. Parte delia critica medievale aveva ripreso tale giudizio, sostituendo tuttavia alla veritá storica, cui la retorica antica alludeva, la veritá morale o 'teologica'; rispetto ad essa ľ história di Lucano non sarebbe riuscita ad attivare suŕEcienti meccanismi di allegoresi, in grado di allinearsi, né tantomeno di competere, con le obliquae figurationes del mito8. Dunque secondo Martellotti, pur recuperando quasi let- Aben vedere il problema riguarda in parte anche ľesegesi moderna e contemporanea, cfr. P. Grimal, Le poete et ľhistoire, in M. Durry (éd.), Lucain: sept exposes suivi de discussions, Fondation Hardt, Vandoeuvres-Geněve 1970, pp. 53-117; P. Esposito, Aspetti dell'esegesi lu-canea attraverso i secoli. Alcuni esempi, in C. Santini, F. Stock (a cura di), Esegesi dimenticate di autori classici, ETS, Pisa 2008, pp. 291-310. Per ľintera questione si rimanda soprattutto a P. Von Moos, Lucain au Moyen Äge, in Id., Entre histoire et litterature. 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Al passo di Petronio si devono aggiungere Servio: «Lucanus namque ideo in numero poetarum esse non meruit, quia videtur históriám composuisse, nonpoema» (Aeneis, I, 382); Quintiliano: «Lucanus ardens, et concitatus, et sententiis clarissimus, et, ut dicam quod sentio, magis oratoribus quam poětis imitandus» (institutio oratoria, X, 1, 90). Cfr. Martellotti, La difesa dellapoesia, cit., pp. 167-171. Si tratta in particolare, associata ad un passo di Lattanzio - «Nesciunt enim qui sit poeti-cae licentiae modus, quousque progredi fingendo liceat, cum officium poetae in eo sit, ut ea quae vere gesta sunt in alias species obliquis figurationibus cum decore aliquo conversa traducant» (Divinae Institutiones, 1,11,24)- di una ripresa, pressoché letterale, delle parole di Servio da parte di Isidoro di Siviglia: «Quidam autem poetae theologi dicti sunt, quo-niam de diis carmina faciebant. Officium autem poetae in eo est ut ea, quae vere gesta sunt, 94 «A' QUAI LUCAN SEGUITAVA». SU BOCCACCIO LETTORE DELLA PHARSALIA teralmente le parole degli antichi commentatori9, Boccaccio non sarebbe stato in grado di comprenderne il significato piú profondo, poiché, invece di imputare la lontananza fra Lucano e i veri poeti alla diversa scelta delľoggetto delia nar-razione - la guerra civile di Césare e Pompeo e non il mito di Troia -, ricorreva al «fatto ch'egli non comincia il racconto in medias res ma dal suo principio»; un «fatto puramente formale» dunque, ehe «sembra tradire unascendenza piú schiettamente medievale», aderente alle artes dictandi piú che ad una rinnova-ta e vivificata lettura dei classici: in Boccaccio quindi, pur «investita da nuove forze, la costruzione della retorica medievale scricchiolapaurosamente, ma non accenna a cadere»10. Se si scorrono le pagine delľintera opera del Certaldese alla ricerca di ulteriori elementi che possano illuminarne il profilo di lettore lu-caneo, parrebbe in effetti di individuare nelle diverse fasi della sua biografia e dunque delľevoluzione della sua poetica11 un cambiamento quantitativo e qua-litativo - giá messo in luce da Antonio Enzo Quaglio12 - rispetto ai ricordi della Pharsalia, spesi tra opere latine o volgari, epiche o erudite, in prosa o in poesia. Se si confrontano le citazioni in due testi che appartengono senza dubbio a stagioni delľispirazione boccacciana molto lontane fra loro - il Filocolo e la Genealógia13 - si potrá notáre quanto le ragioni delľallusione a Lucano sembrino cambiate. NelFilocolo infatti Lucano ě citato esplicitamente soltanto ununica volta (V, 97, 4-6)) seppure in posizione sensibile, in un elenco di auctoritates: [...] e pero agli eccellenti ingegni e alle robuste menti lascia i gran versi di Virgilio. A te la bella donna si conviene con pietosa voce dilettare, e confermarla ad essere dun solo amante contenta. E quelli del valoroso Lucano, ne' quali le fiere arme di Marte si cantano, lasciali agli armigeri cavalieri insieme con quelli del tolosano Stazio14. Tuttavia nel Filocolo la sinopia della Pharsalia ě ben distinguibile in piú di un passaggio: come ebbe modo di dimostrare brillantemente lo stesso Quaglio15, in alias species obliquis figurationibus cum decore aliquo conversa transducant. Unde et Lucanus ideo in numero poetarum non ponitur, quia videtur históriám composuisse non poe-ma» (Etymologiae, VIII, 7, 9-10). Cfr. Von Moos, Lucain, cit., pp. 104-106. 9 Martellotti, La difesa dellapoesia, cit., pp. 171-172. 10 lvi, pp. 182-183. 11 L. Battaglia Ricci, Boccaccio, Salerno, Roma 2000, pp. 20-39. 12 A.E. Quaglio, Boccaccio e Lucano. Una concordanza e una fonte dal «Filocolo» alV «Amorosa visione», «Culturaneolatina», 23, 1963, pp. 153-171: 169-171. 13 La scrittura del Filocolo ě solitamente collocata entro la fine del soggiorno napoletano (1340); quella della Genealógia, iniziata prima del 1359, continuô almeno fino al 1372; cfr. G. Tanturli e S. Zamponi, Biografia e cronologia delle opere, in T. De Robertis et al. (a eura di), Boccaccio autore e copista, Mandragora, Firenze 2013, pp. 61-64; A. Mazzucchi, Filocolo, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 67-72: 67; S. Fiaschi, Genealógia deorum gentilium, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 171-176. 14 G. Boccaccio, Filocolo, a eura di A.E. Quaglio, in Tutte le opere, cit., 1967, vol. I, p. 674 (corsivi miei). 15 Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit. 95 NICCOLÔ GENSINI almeno un intero bráno del Bellům civile - ľaŕfresco di Farsalo devastata nel VII libro16 - funse da vero e proprio canovaccio al Certaldese, ehe lo utilizzô come scheletro sul quale modellare la deserizione del campo sconciato dalla squalli-da battaglia tra Lelio e Felice17. Nella Genealógia invece vari passi lucanei sono citati esplicitamente in quin-dici occasioni, con il richiamo a ben precisi versi latini, utili alla spiegazione di personaggi, situazioni, luoghi di volta in volta trattati18; un numero esiguo ri-spetto ad altri autori, ma aŕfatto risibile. Anche nelle tarde Esposizioni19 ľautoritá di Lucano viene evocata spesso e un passo in particolare (iVesp. litt 130-131)20 sembra consuonare perfettamente con quello giá ricordato21 delia Genealógia: Sono, oltre a ciô, e furono assai, li quali estimarono e stimano costui non essere da mettere nel numero de' poeti, affermando essergli stata negata la laurea dal Senato, la quale come poeta adomandava: e la cagione dicono essere stata per ciô, ehe nel collegio de' poeti fu diterminato costui non avere nella sua opera tenuto stih poetko, ma piú tosto di storiografo metrico. E questo assai leggiermente si conosce esservero achiriguardalo stilo eroico d'Omero o di Virgilio o iltragedo di Seneca poeta o il comico di Plauto e di Terrenzio o il satiro d'Orazio o di Persio o di Giovenale, con quello de' quali quello di Lucano non ě in aleuna cosa conforme; ma come ehe si trattasse, maravigliosa eccellenzia ďingegno dimostra22. Una concordanza quasi esatta a livello letterale corrisponde ad una probabi-le vicinanza concettuale fra i due passi: in entrambi i casi il giudizio su Lucano ě esplicitamente assegnato ad altri - «multi» nel primo, «assai» nel secondo -, si esprime per mezzo di verbi estimativi - «existimant» ed «estimarono», «stimano» -, si colloca la notizia entro una riŕlessione di tipo specificamente retorico piú ehe poetico. Dunque in eŕfetti nel commentare i versi danteschi, Boccaccio non si perita di sottolineare ehe, pur non avendo utilizzato propria-mente uno stile poetico, il valore letterario di Lucano non ě in alcun caso igno-rabile, proponendo in cauda quella ehe potrebbe sembrare solo una concessione Boccaccio dimostrava di cogliere la centralitá del bráno rispetto alle istanze artistiche, po- etiche e ideologiche delťintero poema; cfr. ad esempio G.B. Conte, La «Guerra civile» di Lucano. Studi eprove di commento, QuattroVenti, Urbino 1988, pp. 33-39. Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., pp. 153-162. Quaglio deserive le modalita con cui Boccaccio opera una «traduzione del "pezzo" latino» (ivi, p. 160) - Bellům civile, VII, 823-846 - in Filocolo, I, 32 (cfr. Boccaccio, Filocolo, cit., pp. 113-114), che insieme con un passo dellAmorosa visione (XXXVI, 37-54; cfr. G. Boccaccio, Amorosa visione, a eura di V. Branca, Sansoni, Firenze 1944, pp. 112-113), compone un «vero e proprio ciclo pompeia- no» (Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., p. 156) diversi lucanei trasposti in volgare. Si tratta di: I, pro. 3, 6 e 8; I, 13, 1-2; II, 3, 2; III, 6, 2; III, 13, 3; IV, 22, 4; IV, 63, 1; VII, 7, 4; VII, 30; VII, 58 1; IX, 31, 3; X, 10, 1; XI, 14,2; XI, 19, 5; XIV, 13, 14. M. Baglio, Esposizioni sopra la «Comedia», in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 281-283. G. Boccaccio, Esposizioni sopra la «Comedia» di Dante, a eura di G. Padoan, in Tutte le opere, cit, 1965, vol. VI, p.203. Boccaccio, Genealogie, cit., p. 1446. Boccaccio, Esposizioni, cit., p. 203 (corsivi miei). 96 «Ä QUAI LUCAN SEGUITAVA». SU BOCCACCIO LETTORE DELLA PHARSALIA di gusto, ma ehe invece potrebbe essere una delle chiavi per comprendere piú a fondo la sua posizione rispetto al dibattito su Lucano. L'analisi di Martellotti sembrerebbe confermata dagli studi di Quaglio ehe, in un saggio di qualche anno precedente a quello dello stesso Martellotti, ave-va sostenuto ehe nei riguardi di Lucano la «linea giovanile, "poetka" di ammi-razione» di Boccaccio veniva «spezzata dalľacribia del nuovo lettore» con un «passaggio dalla giovinezza alla maturita, da una impressionistica lettura sulla scia tradizionale a una critica considerazione ehe avviava a nuove strade»23. Dunque vi sarebbe un'evoluzione del giudizio del Certaldese nei confronti del classico latino, un percorso compiuto sulle pagine delia Pharsalia ehe portereb-be da una giovanile e appassionata ammirazione ad un ridimensionamento so-stanziale negli anni delia maturita; da vere e proprie riseritture di intere scéne lucanee, le cui immagini e situazioni riecheggiano nelle opere volgari, agli am-biziosi progetti eruditi delia vecehiaia, ehe declasserebbero ľeccellenza poetica di Lucano a repertorio storico e geografico; da citazioni sporadiche e conven-zionalmente debitrici verso un olimpo letterario di limpida ascendenza dante-sca, a nutriti e puntuali richiami enciclopedici. Tuttavia a fronte di un cambiamento quantitativo delle citazioni e dei richiami intertestuali, il poeta dei plus quam civilia bella24 continua ad essere una presenza costante in moltissimi testi boccacciani e non solo in quelli delia giovinezza, seppure non sempre evidente, non sempre esplicita; sembrerebbe dunque necessario rifuggire da una sintesi troppo rigida ehe individui due etá, ben distinguibili e isolabili, delia fortuna lucanea in Boccaccio e ehe non problema-tizzi da un lato la qualitá delle riprese nelle diverse etá delia sua vita, dalľaltro il signiŕicato piú adeguato riguardo il giudizio di valore nei passi giá citati delia Genealógia e delle Esposizioni. Alla prova di uno spoglio - ehe non si pretende af-fatto completo e di cui si propone soltanto un saggio - delle occorrenze lucanee nelle pagine di Boccaccio, si potrá cogliere quanto ogni riduzione a schemi sia problematica e rischi di non illuminare con la piú adeguata prospettiva il dialo-go ehe il Certaldese intrattenne con uno dei piú imponenti testi ehe la classicitá latina25 aveva trasmesso ad un Medioevo ehe a tratti fu letteralmente estasiato dalla maestositá dello scontro narrato. Come si ě giá ricordato, nel Filocolo e nelVAmorosa visione26, alľincirca fra la seconda metá degli anni Trenta e la prima metá degli anni Quaranta del Trecen-to, il nome di Lucano compare esplicitamente solo in medaglioni in cui il poeta di Córdoba ě ricordato per aver cantato «le ŕiere arme di Marte» (V, 97, 5)27, Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., p. 170. I passi del Bellum civile sono citati dalľedizione M. Annei LucaniDe hello civili Libri X, acura di D.R. Shackleton Bailey, Teubner, Stuttgart-Leipzig 19972. Sul legame con i classici, M. Petoletti, Boccaccio e i classici latini, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 41-49. Cfr. Tanturli, Zamponi, Biografia, cit. Boccaccio, Filocolo, cit., p. 674. 97 NICCOLÖ GENSINI ossia «la battaglia di Cesare» contro Pompeo, colui «che 'n Tessaglia / perdé il campo» (V, 20-23)28; il profilo e l'atmosfera del Bellum civile sono tuttavia rav-visabili anche altrove con una certa frequenza. Nella Comedia delle ninfefiorentine (XXIX, 13) per nominare la cittá di Mar-siglia l'autore ricorre ad una perifrasi, ricordando l'assedio cui l'aveva costretta Cesare: «E poi con paurapassammo [...] le mura [...] che furono negate al di-vino Cesare, allora che elli con volo subito se n'andö ad Herda»29. Ii riferimento ě tratto dalla descrizione della battaglia contenuta all'inizio del IVlibro (13-34) della Pharsalia, ed un passo in particolare (32-34) parrebbe indiziato per aver suggerito l'immagine boccacciana: «[...] collem subito conscendere cursu, / qui medius tutam castris dirimebat Ilerdam, / imperat»30. Oltre al famoso e giä ricordato paragrafo sullo sconcio del campo di battaglia, nel Filocolo tutti i riferimenti a Farsalo, a Cesare e a Pompeo sono in qual-che modo debitori nei confronti delle «rappresentazioni violente, a tinte cariche, [...] di una scrittura enfatica e corposa, tutta rilievi e contrapposizioni»31, come quella di Lucano: [...] Ii quali non vi porgeranno i crudeli incendimenti dell'antica Troia, né le sanguinose battaglie di Farsaglia, le quali nellanimo alcuna durezza vi rechino; [...] (Filocolo, I, 2, 3). E con queste ancora vi si mostrava Farsalia tutta sanguinosa del romano sangue, e' prencipi crucciati, l'uno in fuga e l'altro spogliare il ricco campo degli orientali tesori (Filocolo, II, 32, 4). [...] e il volere contra '1 piacere loro andare fece alla molta gente di Pompeo perdere il campo di Tesaglia, assaliti dal picciolo popolo di Cesare (Filocolo, III, 5,11). [...] ma non trovato lui, cercö le piü calde regioni, e pervenne in Tesaglia, dove per si fatta bisogna fu mandato da discreto uomo. E quivi dimorato piü giorni, non avendo ancora trovato quello che cercando andava, [...] incominciö tutto soletto ad andare per lo misero piano che giä tinto fu del romano sangue (Filocolo, IV, 31, 9-10). Ancora nella Comedia (XXIII, 15) ěiltesto di Lucano ad ispirare l'immagine dell'anima del morto resuscitata dalla maga Eritone che predice a Sesto Pompeo la sconfitta di Farsalo: Boccaccio, Amorosa visione, cit., p. 37. G. Boccaccio, Comedia delle ninfe florentine, a eura di A.E. Quaglio, in Tutte le opere, cit., 1964, vol. II, p. 761. Anche il těsto dantesco puó aver contribuito a far sgorgare Fimmagine: «Maria corse con fretta a la montagna; / e Cesare, per soggiogare Herda, / punse Marsilia e poi corse in Ispagna» (Purgatorio, XVIII, 100-102). Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., p. 155. 98 «A' QUAI LUCAN SEGUITAVA». SU BOCCACCIO LETTORE DELLA PHARSALIA E giä la vita lontana da lui, appena sostenendosi, si levö a sedere, cotale e ne' modi e nello aspetto quäle colui apparve tra' monti tesalici al non degno figliuol di Pompeo, rivocato per Ii versi d'Eritto da' fiumi stigii; [...]32. E vero che si pone, qui come altrove, il filtro intermedio dell'esempio dante-sco - «Ver e ch'altra fiata qua giü fui, / congiurato da quella Eritön cruda / che richiamava l'ombre a' corpi sui» (Inferno, IX, 22-24) -, ma e vero anche che la concordanza fra i sintagmi lucanei, «Sextus erat, Magno proles indigna paren-te» (VI, 420) e «Pompei ignava propago» (VI, 589) con il «non degno figliuol di Pompeo» boccacciano non parrebbe affatto casuale. Inoltre ancora le terzi-ne al capitolo XXXIII della Comedia, subito dopo aver evocato la proverbiale pira funebre dei fratelli Eteocle e Polinice che distende «i suoi caccumi in due flamme», accostano il prodigio al fuoco sacro di Vesta, scisso in due vampe a raffigurare la rottura nel corpo civile di Roma33. Anche in questo caso varrebbe il richiamo al XXVI deW Inferno, ma i due prodigi sono avvicinati soltanto nel-la Pharsalia (1,549-552), che dunque si suggerisce come la fönte piü produttiva per l'immagine boccacciana: Si come il foco, in fummi oscuri molto, nel quäle i figli di Iocasta accesi, miseramente saliva ravolto, i suoi caccumi in due fiamme distesi, diviso si mostrava a dichiarare di loro il poco amor, se ben compresi, e ancor come giä quel dell'altare di Vesta si divise in Roma, quando piacque a Pompeo Italia abandonare; cosi [...]34. [...] Vestaliraptus ab ara ignis, et ostendens confectas flamma Latinas scinditur in partis geminoque cacumine surgit Thebanos imitata rogos35. NelYElegia di madonnaFiammetta ilntratto di Cornelia Met ella (VIII, 12)36, la quinta moglie di Pompeo, e condotto seguendo il tratteggio di Lucano, tra-mite richiami puntuali dal V e soprattutto dall'VIII e dal IX libro37 in cui si rac- Boccaccio, Comedia, cit., p. 737 . Cfr. Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., pp. 168-169. Boccaccio, Comedia, cit., p. 781. Lucano, Bellum civile, cit., p. 19. G. Boccaccio, Elegia di madonna Fiammetta, a eura di C. Delcorno, in Tutte le opere, cit., 1994, vol. V, 2, p. 180. Cfr. soprattutto V, 724-727: «iam castris instare suis seponere tutum / coniugii deerevit onus Lesboque remota / te procul a saevi strepitu, Cornelia, belli / occulere»; VIII, 582-588: «sed surda vetanti / tendebat geminas aniens Cornelia palmas. / "Quo sine me, cru- 99 NICCOLÖ GENSINI conta la sconfitta di Pompeo e la sua morte. Un medaglione dedicato alia sposa di Pompeo ě singolarmente assente nel De mulieribus, mentre parrebbe di rico-noscere l'ipotesto lucaneo nelle contigue descrizioni di Porzia (LXXXIl) e di Cleopatra (LXXXVIII)38. NelDe casibus, oltre aipassi dedicati a Pompeo, parti-colarmente densi, come si vedrá, di richiami alia Pharsalia, vengono ricordate le tradizionali circostanze delia morte delľautore (VII, 4,43)39. Secondo modalita simili a quelle giá ricordate perla Genealógia, ovvero quale archivio di informa-zioni di carattere enciclopedico, storico e geografico, Lucano ě compulsivamen-te utilizzato come fonte geografica e come autorita nel De montibus per spiegare etimologie, caratteri, collocazioni di fiumi, monti e laghi. Dunque un vero e proprio carnet di pagine lucanee che sbocciano nei versi e nelle parole di Boccaccio, che con tutte le perizie del caso tesse una sintassi e sceglie un lessico funzionali a rendere apprezzabile il debito nei confronti del-la fonte classica. Vi sono poi temi che si rincorrono di opera in opera: ad esem-pio le proverbiali, quanto discusse, false lacrime di Césare. II pianto piú o meno sincero, piú o meno scaltro, dovette impressionare Boccaccio: al centro di una discussa imitazione (Rime, 107)40, verosimilmente legáta anche ad un sonetto attribuito ad Antonio da Ferrara, del petrarchesco Césare, poi che 'l traditor d'E-gitto (Rvf, 102)41, le insincere lacrime di Cesare sono debitrici alla potente im-magine lucanea piú che alla piana descrizione di Valerio Massimo (V, 1,10). II terna ě spesso ricordato nelle Epištole, quelle a Francesco Nelli (XIII, 50)42 e a Mainardo Cavalcanti (XXII, ll)43, redatte luna nel 1363, ľaltra nel 1373; ma anche nelYAmorosa visione (V, 19-24) ve ne ě un'ombra, proprio nel passo in cui Lucano viene esplicitamente nominato; segno di un'eccezionale persistenza, pure a distanza di molti anni, degli effetti delle letture giovanili. delis, abis? Iterumne relinquor, / Thessalicis summota malis? Numquam omine laeto / di-strahimur miseri. Poteras non flectere puppim, / cum fugeres alto, latebrisque relinquere Lesbi, / omnibus a terris si nos arcere parabas?»; IX, 171-176: «Sed magis, ut visa est lacri-mis exhausta solutas / in vultus effusa comas, Cornelia puppe / egrediens, rursus geminato verbere plangunt. / Ut primum in sociae pervenit litora terrae, / collegit vestes miserique insigniaMagni / armaque et impressas auro, [...]». G. Boccaccio, De mulieribus claris, a eura di V. Zaccaria, in Tutte le opere, cit., 1967, vol. X, pp. 326-330 e pp. 344-356; cfr. per Porzia Lucano, Bellum civile, cit., pp. 36 sgg. (II, 327 sgg.); per Cleopatra, Lucano, Bellum civile, cit., pp. 263 sgg. e pp. 266 sgg. (IX1044 sgg. e X1 sgg.). G. Boccaccio, De casibus virorum illustrium, a eura di P.G. Ricci e V. Zaccaria, in Tutte le opere, cit., 1983, vol. IX, p. 612. G. Boccaccio, Kirne, a eura di R. Leporatti, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2013, p. 289. Ivi, pp. 285-288; G. Billanovich, Tradizione e fortuna di Livio tra Medioevo e Umanesimo. La tradizione di Tito Livio e le origini dell'Umanesimo, Antenore, Padova 1981, vol. I, pp. 229-230; Id., Tra Livio, Petrarca, Boccaccio, «Archivio storico ticinese», 97, 1984, pp. 3-10; Antonio da Ferrara, Kirne, a eura di L. Bellucci, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1967, pp. 83-88. G. Boccaccio, Epištole, a eura di G. Auzzas, in Tutte le opere, cit., 1992, vol. V, 1, pp. 604-605. Ivi, p. 702. 100 «A' QUAI LUCAN SEGUITAVA». SU BOCCACCIO LETTORE DELLA PHARSALIA Superato il discrimine delia metá degli anni Quaranta del Trecento, ě vero che i debiti impliciti tendono sempře piú a ridursi, mentre aumentano le cita-zioni puntuali, affidate soprattutto alle opere latine, ma non sembra che si possa sottoscrivere in toto ľipotesi di un radicale e fin troppo lineare ripensamento del giudizio sulľautore latino. Quaglio sosteneva che «all'ombra del Petrarca, [...] quando il Boccaccio imposta i problemi della propria cultura, svanisce la luce dantesca di Lucano. Che resta perciö ai margini delle sue opere erudite, senza prestare loro, [...] i segni del favoloso e delľorrido [...]. La linea giovanile, "poetka" di ammirazione, viene spezzata dall'acribia del nuovo lettore: a dissipare ogni illusione fantastica sul De hello civili stava dinanzi al Boccaccio ľalto esempio umanistico del Petrarca»44. Iimodellopetrarchesco dovettegiocare senzaltro un ruolo di primissimo piano nel problematizzare la posizione di Boccaccio nei confronti del poema lucaneo, ma forse non nella direzione di un ridimensiona-mento del suo ruolo come archivio cui attingere informazioni preziose, come repertorio per immagini, sentenze, scene, situazioni; risulta infatti difficile in-quadrare in un percorso troppo lineare e dicotomicamente distinto i debiti di Boccaccio verso Lucano, se citazioni e scene della Pharsalia continuano a com-parire nelle opere latine, in luoghi sensibili per la sua documentazione erudita, ma anche per la sua personale costruzione poetica. Sembrerebbe piuttosto che l'esempio di Petrarca abbia confermato ľammirazione nei confronti di Lucano costringendo parimenti ad una riflessione sul significato profondo da attribui-re al giudizio degli antichi e alle conseguenze che da esso potevano derivare ri-guardo la propria poetica. Utilizzata come fonte storica privilegiata perVAfrica, il De viris e il De gestis Cesaris45, la Pharsalia venne infatti giudicata da Petrarca a tutti gli effetti un'opera di poesia e dunque il suo autore meritevole del titolo di poeta. Petrarca ammise ripetutamente che il genere della Pharsalia ě da ri-tenere quello della poesia epica e non quello storiografico46; le accuse antiche sono dunque ingiustificate poiché il Bellum civile ě denso di quelle finzioni che sono 1'elemento distintivo della poesia47. II giudizio petrarchesco fu ripetuto e rinnovato dai suoi 'devotť che significativamente allestirono commenti a Lu- Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., p. 170. Cfr. R.T. Bruěre, Lucan and Petrarch's Africa, «Classical Philology», 56, 1961, pp. 83-99; G. Martellotti, Petrarca e Césare, in Id., Scritti petrarcheschi, Antenore, Padova 1983, pp. 77-89; Id., Lucano come fonte storica del «De gestis Cesaris», in Id., Scritti petrarcheschi, cit., pp. 549-560. Cfr. anche l'edizione F. Petrarca, De gestis Cesaris, a eura di G. Crevatin, Scuola Normale Superiore, Pisa 2003. Cfr. G. Crevatin, Ii pathos nella scrittura storica del Petrarca, «Rinascimento», 35, 1995, pp. 155-171: 167-168: «Quanto al Petrarca, la sua posizione ě chiara: per lui Lucano ě poeta, e non c'ě confusione aleuna tra il genere da costui praticato, la poesia epica, e quello storiografico; bašti qui accennare al Triumphus Fame II a, in cui Lucano ě enumerato nella serie deipoeti, e úBucolicum Carmens, dove Lucano ě rappresentato nelľattitudine specificadel poeta, cioě mentre canta». Cfr. anche CM. Monti, Petrarca auctoritas nel commento ai classi-ci: il «Preambulum» a Lucano di Pietro da Parma, «Studi petrarcheschi», n.s., 11,1994, pp. 246-249. Cfr. sulle finzioni in Lucano Famiiiares, XIII, 9, 8. 101 NICCOLÖ GENSINI cano e ehe ripeterono la posizione del maestro. Una medesima difesa ě percorsa infatti da Benvenuto da Imola e Pietro da Parma, mentre anche il commento di Andrea da Mantova rivela punti di contatto con le esegesi lucanee di Petrarca e dei suoi sodali48. Boccaccio fu senzaltro inrluenzato almeno dal tono di tali ri-ŕlessioni e vi dovette prendere parte nel confronto con Petrarca; fu forse ispirato anche dai commenti di Goro d Arezzo e di Cione de' Magnalis, ma ě probabile che, perla sua personále considerazione di Lucano, sia soprattutto debitore della lunga fortuna scolastica del Cordovano che, dalla tarda antichitá fino al IX se-colo, quando furono elaborati i primi manoseritti lucanei sopravvissuti49, si se-dimentô in manuáli scolastici, grammatiche, commenti, enciclopedie e ŕlorilegi che lo proponevano, al pari di Virgilio, per 1'insegnamento della lingua e della retorica50. Una cospicua tradizione didattica indiretta che anticipô 1'esplosione della aetas lucanea del XII secolo51, quando i versi di Lucano vennero compulsi-vamente copiati, letti, commentati, citati e impiegati come ispirazione per nuo-vi prodotti letterari. La «maravigliosa eccellenzia d'ingegno» che Boccaccio riconobbe al poeta di Cordoba concorda dunque con 1'opinione che la retorica medievale aveva espresso nei confronti della Pharsalia fin dal XII sec. e di cui lo stesso Dante si era fatto portavoce52: Lucano ě enumerato nella dantesca «bella scola» (inferno, IV, 94) in cui non vi ě traccia di alcun pregiudizio riguardo al genere dell'opera. Ě Dante stesso che nel Convivio (IV, 28,13) pone sul medesi-mo livello i velamenta di Virgilio e Ovidio, ma anche quelli di Lucano (II, 327-337), per spiegare i discorsi sulle tre etá dell'anima, non distinguendo affatto tra gradi di poeticitá per i tre autori53. Tra il XII e il XIII sec. Lucano venne poi celebrato per le sue qualitá da Goffredo di Vinsauf e Giovanni di Garlandia; la Pharsalia funse da modello a Gautier de Chátillon per la sua Alexandreidě, ad CM. Monti, Il co dice Berkeley, Bancrofi Library, j2 Ms AC 13 cS, «Italia medioevale e uma-nistica», 22,1979, pp. 396-412; L.C. Rossi, Benvenuto da Imola lettore di Lucano, in Id., Studi stí Benvenuto da Imola, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2016, pp. 3-50; M. Petoletti, Leggere Lucano tra Mantova e la corte imperiale nel Trecento: Andrea da Goito e la sua spiega-zione al «Bellum civile», «Atti e memorie - Accademia Nazionale Virgiliana», 84,2016, pp. 173-220. Von Moos, Lucain, cit., p. 96. Brunetti, Lucano, cit., pp. 55-56 e 64-65. Cfr. C.H. Haskins, La rinascita del dodicesimo secolo, il Mulino, Bologna 1972. Cfr. J. Crosland, Lucan in the Middle Ages with special reference to the Old Trench Epic, «The Modern Language Review», 25, 1930, pp. 32-51; E. DAngelo, La «Pharsalia» nell'epi-ca latina medievale, in P. Esposito et al. (a cura di), Interpretare Lucano, Arte tipografica, Napoli 1999, pp. 389-453; C. Lee, From Epic to Epic: Lucan in the «Faits des Romains», in P. Esposito etal. (a cura di), Letture e lettori di Lucano, ETS, Pisa 2015, pp. 271-294. Per Dante lettore di Lucano cfr. la bibliografia in E. Paratore, Lucano, in Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1971, vol. Ill; ma soprattutto Id., Dante e Lucano, in Id., Antico e nuovo, Sciascia, Caltanisetta-Roma 1965, pp. 165-210; Id., Dante e il mondo classico, in U. Parricchi (a cura di), Dante, De Luca, Roma 1965, pp. 109-129; G. Martellotti, Dante e i classici, «Cultura e scuola», 13-14, 1965, pp. 125-137. Cfr. anche Quaglio, Boccaccio e Lucano, cit., p. 165. 102 «Ä QUAI LUCAN SEGUITAVA». SU BOCCACCIO LETTORE DELLA PHARSALIA Alano di Lilla per YAnticlaudianus; venne citata come fonte fededegna e come autorita morale da Guglielmo di Malmesbury, Ottone di Frisinga, Alessandro Neckám54; la scuola di retorica di Orleans ispirô le Glosule di Arnolfo d'Orléans a commento delľintero poema; un ŕitto apparato di accessus, postille, glosse si depositô nei margini dei codici copiati e diffusi nel corso del XIII sec, talvolta recuperando i commenti antichi come le Adnotationes super Lucanum o i Com-menta bernensia. Inoltre, secondo Peter von Moos il dibattito sulla poeticitá di Lucano fu quasi del tutto assente dalla prospettiva medievale e si limito, entro i conŕini dell'aetas lucanea, spesso ad una notazione di tipo erudito e strettamente formale55. Lo sguardo medievale avrebbe dunque considerato ilgiudizio antico -quello di Servio, ripreso poi da Isidoro - come un rilievo delľeccezionalitá delia poesia di Lucano, ehe in effetti non si oceupava di giungere alia Veritas tramite le tradizionali obliquaefigurationes mitiche, ma tramite il racconto di res gestae storiche narrate poeticamente: le une e le altre erano per il lettore medievale e cristiano funzionali alľobiettivo. Infatti ilpensiero medievale, pur distinguendo tra forma e soggetto del racconto, tra genere e specie del prodotto letterario, si interessava soprattutto dell'obiettivo che ogni forma d'arte dovrebbe raggiun-gere secondo i propri principi interni: la ricerca delia significatio verax e dunque christiana delle cose56. Lucano, raccontando eventi storici per mezzo del verso metrico, pose dunque, tra il fatto raccontato e la veritá che esso stesso di per sé nasconde, il velamentum del suo stile magniloquente. La prodigiosa grandezza di tale scelta avrebbe contribuito a valorizzare la Pharsalia, poiché sarebbe proprio grazie a questo supplemento di materiále utilizzato per armonizzare la sua scelta, altrimenti ibrida, che Lucano avrebbe raggiunto l'eccellenza poetica, tramite la cura e il continuo ricorso all'artificio: nella prospettiva medievale, Lucano era cosi riuscito a comporre una poesia piú che poesia', dato che l'oggetto storico non gli concedeva res giá di per séfabulosae. E fu proprio lo stile ciô che piu di tutto gli autori medievali apprezzarono di Lucano, definito spessissimo in virtu di esso: «graandiloquus», «disertissimus», «eloquens», «digrediens». La grandezza retorica permetteva alia fantasia di Lucano di creare immagini, talvolta inverosimili, che tuttavia riuscivano a trasmettere con maggiore ed inau-dita eŕEcacia il contenuto profondo delle res gestae e delľhistoria, il loro sensus spiritualis, e dunque svolgere al meglio il compito della letteratura. \Jrvzfabulosa narratio dunque, quella di Lucano, e non una semplice fabula poetica, un oggetto che aspirava ad un piano di veritá filosoŕica e teologica, del tutto integrabile nella teória dell'integumentum originariamente formulata a proposito di Virgilio da Bernardo Silvestře e poi Alano di Lilla. Cosi Giovanni di Salisbury, sulla base dei meccanismi ermeneutici appena tratteggiati, era giunto a definire Lucano «orator», ovvero piu che poeta, piu che storico, una sorta di vate che comuni- Haskins, La rinascita, cit., pp. 90-102. Von Moos, Lucain, cit., pp. 102-105. Cfr. ivi, pp. 107-109. 103 NICCOLÔ GENSINI cava tramite e in virtu del suo linguaggio non solo una Veritas per il suo pubbli-co reale, ma una Veritas per il lettore di ogni tempo57: [...] poeta doctissimus, si tamen poeta dicendus est, qui vera narratione rerum adhistoricos magis accedit. (Policraticus, II,19). Innuit hoc poeta gravissimus, aut, si iuxta Quintilianum rectius dicere malueris, orátorem, non repugno, dum constet praecavenda esse etiam quae possunt evenire pericula (Policraticus, VIII, 23)58. Come tuttavia interpretare allora il giudizio degli antichi, dubbiosi nel con-siderare Lucano un vero poeta? Come spiegare la posizione dei commentatori classici? Come coniugare la loro posizione con l'innegabile riconoscimento di un'eccellenza letteraria tanto affascinante da divenire vivo stimolo per la crea-tivitá e l'interesse dello stesso Boccaccio? Rispetto al confronto con Petrarca e con gli ambienti a lui piú strettamente legáti59 e rispetto all'evidente costanza con cui l'attenzione del Certaldese si rivolse alle pagine lucanee, ě forse necessario tentare un'ulteriore contestualizzazione dei termini entro i quali Boccaccio ri-portô le riserve degli antichi commentatori nella pagina delia Genealógia da cui si ě principiato. Quel giudizio infatti compare significativamente all'interno del XIV libro dedicato al vasto terna delia nátura della poesia, delle sue caratteristi-che, dei suoi fini. Le parole di Isidoro e di Servio, pur riecheggiando nel «vela-mento fabuloso atque decenti» che dovrebbe «veritatem contegere»60, ovvero uno dei piú importanti compiti della poesia secondo il Certaldese61, non sem-brerebbero a ben vedere da leggersi nella prospettiva boccacciana con un intento polemico nei confronti di Lucano, ovvero non avrebbero probabilmente nulla a che fare con la scelta di narrare poeticamente fatti storici piuttosto che mitici. Per Boccaccio il problema sará da considerare piuttosto sotto un'altra prospettiva. Come ě noto nel cap. 9 del XIV libro, Boccaccio distingue quattro tipi di/a-bulae: 1. i racconti poetici in cui non vi ě alcuna veritá letterale, ma una soltanto morale, ovvero quelli sullo stile di Esopo; 2. quelli che mescolano una parte di veritá letterale con una di tipo morale, ovvero le storie che i poeti hanno creato per parlare delle cose umane e divine in forma allegorica (si citano come esempio le metamorfosi narrate da Ovidio); 3. lefabulae che sono piu vicine alia storia, ovvero quelle che descrivono fatti che tuttavia hanno ben altro intento rispetto a ciô che mostrano (gli esempi sono le vicende di Enea agitato dalla tempesta o di Ulisse legato all'albero della nave per poter ascoltare il canto delle Siréne, o Von Moos, Lucain, cit., pp. 122-124; Esposito, Giovanni di Salisbury, cit., pp. 251 e 260-261. Ioannis SaresberiensisEpiscopi CarnotensiPolicratici LibriVIII,a.cma. di C.C.J. Webb, Oxford University Press, Oxford 1909, vol. I, p. 109; 1909, vol. II, p. 404. I termini, le occasioni e i toni di tali confronti sarebbero senz'altro da approfondire con sondaggi puntuali, tramite i quali comprendere piu a fondo soprattutto convergenze e diver-genze fra le diverse tradizioni e fra i diversi autoři. Boccaccio, Genealogie, cit., p. 1398. Battaglia Ricci, Boccaccio, cit., pp. 42-59. 104 «Ä QUAI LUCAN SEGUITAVA». SU BOCCACCIO LETTORE DELLA PHARSALIA le scéne di Plauto e Terenzio, che vogliono descrivere i diversi comportamenti degli uomini e dunque istruire il proprio pubblico); 4. le «delirantium vetula-rum inventio [nes] »62 che non dispongono di nessun tipo di veritá. Dei racconti del secondo tipo sono dense le pagine dell'Antico Testamente, in cui i teologi riconoscono moltissime^ígiťrae, mentre di quelle del terzo tipo si fece narrato-re lo stesso Cristo con «parabol[ae]>> ed <>), consent e, una seconda volta, di dominare l'impul-so emotivo provocato dalla sollecitazione dei sensi («veggendo»). Per quanto il desiderio erotico sia uscito di scéna, ľ«animo» di Rinieri ě ancora turbato dalľira - ľ«appetito» di vendetta - e dalla compassione. Se quest'ultima ě su-scitata dalla vista delia donna ehe piange e lo implora, ad alimentare la sua ira ě di nuovo la memoria delia «ricevuta ingiuria». Ma le due passioni non possono coabitare alungo nello spazio interiore del protagonista, perché orientate per nátura verso direzioni opposte. Le scelte stilistiche di Boccaccio sembrano sotto-lineare questa loro inconciliabilitá: la cifra retorica dell'intero passo ě ľantitesi tra la brama di vendetta e la benevolenza destata, a sua volta, dalla compassione («ŕierezza dell'appetito» / «umanitá»), le circostanze ehe le determinano («seco la ricevuta ingiuria rivolgendo» / «veggendo piagnere e pregare»), e gli effetti ehe proeurano nell'animo del protagonista («piacere» / «noia»). Ritengo ehe ľanalisi del passaggio consenta anche di deŕinire i due stati af-fettivi: se la deŕinizione dell'ira ě riconducibile alla Nicomachea («punicio enim, quietat impetum ire, delectacionem [...] faciens»)23, credo si possa ipotizzare ehe la deserizione dell'impulso pietoso, soltanto menzionato nel trattato morale24, derivi invece dalla Retorica aristotelica, dove la compassione ě vista come pas-sione opposta a una fattispecie dell'ira, ossia lo sdegno25. A questo proposito, va appena ricordato ehe in epoca medievale lo studio delia Retorica di Aristotele era per lo piú abbinato a quello delia filosofia morale. Nei corsi universitari per-ciô, il trattato ehe il ŕilosofo aveva dedicato alla persuasione veniva annoverato tra i libri morales - e come tale interpretato - insieme zWEtica e alia Politico16. Come ě noto, il secondo libro della Retorica ě dedicato alio studio delle passioni e, perciô, ě diffusamente citato nella Summa theologiae. Per deŕinire ľira e la compassione, Tommaso riporta anche i passi aristotelici che interessano ai fi- Ethica Nicomachea, IV12,11 26a, rr. 21-22. Lo stesso assunto ě richiamato, con riferimento esplicito al quarto libro del trattato, in Esp., Vil, 2 111: «Dico adunque che, secondo che ad Aristotile pare nel IIII delFEtica, che Fira [...] ě un disordinato appetito di vendetta». Aristotele tratta della compassione in un solo luogo della Nicomachea, includendola nella lišta di passioni stilata nel secondo libro del trattato; cfr. Ethica Nicomachea, 115, 11 05b, rr. 21-24. Seguo Aristoteles, Rhetorica, traslatio Guillelmi de Moerbeka, edidit B. Schneider, in Aristoteles latinus, Brill, Leiden 1978, vol. XXXI, 1-2. D'ora in poi Rhet., i corsivi sono sempře miei. Su questi temi, cfr. J.J. Murphy, The Scholastic Condemnation of Rhetoric in the Commentary of Giles of Rome on the «Rhetoric» of Aristotle, in Arts libéraux et philosophic auMoyen Age. Actes du Quatrieme Congres international dephilosophic medievale,]. Vrin, Paris 1969, pp. 833-841; J.O. Ward, Rhetoric in the Faculty of Arts at the Universities of Paris and Oxford in the Middle Ages: A Summary of the Evidence, «Bulletin DuCange», 54, 1996, pp. 159-231, p. 217; C.F. Briggs, Aristotle's «Rhetoric» in the Eater Medieval Universities: A Reassessment, «Rhetorica», XXV (3), 2007, pp. 243-268: 245-246. Perlaricezione della Rhetorica in epoca medievale, rinvio a R. de Filippis, La ricezione della «Retorica» nelMedioevo latino, in B. Centrone (a cura di), La «Retorica» di Aristotele e la dottrina delle passioni, Pisa University Press, Pisa 2015, pp. 63-85. 122 IRA E COMPASSIONE. FONTI ARISTOTELICO-TOMISTE Dl DECAMERON VIII 7 ni del nostro discorso; per comoditá, ho trascritto le concordanze con il těsto decameroniano: Rhetorica, II2 e Ethica Nicomachea, IV, 12 Summa Theologiae, IaIPe, 46-47 Dec, VIII 7, 80 Sit autein ira appetitus [...] punitionis [...] et ad omnem iram sequi aliquam delecta-tionem a spe puniendi (Rhet. 112,1378a, r.29; 1378b, rr. 2-3) Punicio enim, quietat impetum irae, delectationem [...]faciens(£řfe., IV12, 1126a, rr. 21-22) Sed contra est quod philosophus dicit, in II Rhetoric, ira est appetitus [...] punitionis. (iallae, qu. 47, a. 2) [...] ira semper est cum spe: unde et delectationem causat, ut dicit Philosophus, in II Rhetoric (laIIae, qu. 46, a. 2) seco la ricevuta ingiuria rivol-gendo [...] aveva [...] piacere della vendetta la quale piü che altra cosa disiderata avea, [...] ma pur, nonpotendo [...] vin-cere la fierezza dell'appetito Rhetorica, II, 8 Summa Theologiae, IIaIIae, 30 Dec, VIII7, 80 Sit itaque misericordia tristitia quedam super apparenti malo corruptivo vel contristativo (Rhet., II8, 1385b, rr. 13-14). Unde philosophus dicit, in II Rhet., quod misericordia est tristitia quaedam super apparenti malo corruptivo vel contristativo. (IIa Ilae, qu. 30, a. 1) veggendo piagnere e pregare, [...] noia sentiva movendolo la umanitä sua a compassion della misera L'ira ě un «appetito» di «vendetta» che, quando ě in procinto di realizzarsi, procura «piacere» in chi ne ě affetto; la compassione ě invece un sentimento di dolore («noia sentiva») per l'altrui miseria, vale a dire per un male che arreca sofferenza («veggendo piagnere e pregare»). Anche la coppia oppositiva compassione-sdegno, pertinente nella novella boccacciana, sembrerebbe un motivo derivato dalla Retorica e poi recuperato da Tommaso: tra i soggetti poco inclini a lasciarsi muovere a pieta, Aristotele menziona «qui [...] in virilitatis passione sunt, puta in ira aut audacia [...] ne-que in contumeliativa dispositione»27. Si tratta dunque di un impulso emotivo Per quanto non si tratti di una citazione esplicita, Tommaso sta chiaramente parafrasan-do Rhet., II 8, 1385b, rr. 30-32: «illi qui sunt in contumeliativa dispositione, sive quia sint contumeliam passi, sive quia velint contumeliam inferre, provocantur ad iram et audaciam, quae sunt quaedam passiones virilitatis extollentes animum hominis ad arduum» (Summa Theologiae, IIaIIae, qu. 30, a. 2, p. 1228). In questa cornice teorica, Tommaso inquadra, poche righe piü avanti, la citazione biblica «Ira non habet misericordiam, neque erumpens furor» (Prov. 27, 4). Nella sezione de ira della Summa vitiorum, al quale potrö solo accen-nare in questa sede, Peraldo propone una diversa lettura del passo biblico: l'ira non solo priva l'uomo del bene della misericordia, ma finisce anche per intralciare l'esercizio della vera giustizia (Guilielmi Peraldi Summae virtutum ac vitiorum, studio et opera Rodolphii Clutii, t. II, Parisiis, apud Ludovicum Boullenger, 1646, pp. 353-354). Secondo Carlo Delcorno, Boccaccio conosceva la Summa peraldiana, opera che ebbe un'ampia diffusione nel Medioevo e che fu nota anche Guittone, a Brunetto Latini e a Dante; cfr. C. Delcorno, Gliscritti danteschi delBoccaccio, inE. Sandal (a cura di), Dante eBoccaccio, Antenore, Roma-Padova2006,pp. 109-137:122-125; Id.,Exemplumeletteratura. TraMedioevo eRinascimento, 123 MIRIAM PASCALE ehe non attecehisce in coloro ehe hanno subito o intendono inŕliggere un'offe-sa, in quanto predisposti verso «passiones virilitatis», come ľira. E in effetti, il richiamo a questo principio di derivazione aristotelico-tomistica aiuta anche a spiegare perché nelle novelle dedicate al terna delia beffa e, in particolare, nel racconto oggetto di questo studio, «there is no room [...] for compassione at the level of the fictional characters»28. E infatti la «fierezza dell'appetito» di Rinieri, ossia ľinsensibilitá delľira alle pene altrui29, finisce infatti col vincere anche l'ultimo residuo della passione antagonista'. Alcune pagine piú avanti, la vista del corpo di Elena «tutto riarso dal sole» e la «debolezza» fisica e psico-logica manifestata da «gli umili suoi prieghi» ridestano nello scolare «un po-co di compassione» (§ 124); «ma non per tanto»: l'impulso pietoso suscitato dall'osservazione diretta della pena ě ora piu facile da reprimere rispetto a quel-lo dettato dalla sua iniziale prefigurazione («seco pensando quali infra piccol termine dovean divenire»). Dai riscontri da me effettuati, emerge ehe i materiali lessicali con i quali ě descritto l'universo interiore dello scolare derivano in maniera circostanziata dalla Retorica di Aristotele. Possiamo dunque ipotizzare che Boccaccio ne aves-se una conoscenza diretta o il testo aristotelico gli era stato mediato dalla Sum-ma theologiae? II trattato di Tommaso era certo ben noto a Boccaccio all'altezza cronologica del Decameron, ma va ricordato d'altra parte che Simone Marchesi ha individuato una citazione puntuale di Retorica II, 20 nel Proemio del Decameron, e piu precisamente nell'auto-definizione dell'opera, facendola risalire a una conoscenza diretta del testo da parte di Boccaccio, riconducibile, nell'ipo-tesi dello studioso, alia traduzione latina contenuta nel manoscritto Laurenzia-no 13.sin.6 degli inizi del XIV secolo, un codice che potrebbe essere stato nella disponibilita di Boccaccio30. Secondo Marchesi, inoltre, la Retorica aristotelica aveva fornito anche la cornice teorica del progetto di volgarizzamento della quar- il Mulino, Bologna 1989, p. 210; M. Corti, Lefonti del «Fiore di virtú» e la teória della nobiltá nel Duecento, «Giornale storico della letteratura italiana», CXXXVI (413), 1959, pp. 1-82: 63-82. 28 Papio, «Non meno di compassion piena che dilettevole», cit., p. 116. Sebbene la novella anno-veri il maggior numero di occorrenze lessicali tratte dal campo semantico della compassione, le azioni dei suoi personaggi - non solo di Elena e Rinieri, ma anche delľamante e della fantesca, entrambi complici della donna - di fatto non sono mai dettate da questo senti-mento, che invece impronta le reazioni emotive delle giovani della brigata, destinatarie del racconto insieme al lettore. Ma nell'ambito piu generále delle giornate dedicate al tema della beffa, la novella VIII 7 rappresenta la sola eccezione: da una prima ricognizione lessicale ě infatti emerso che, nelle giornate settima e ottava, i lessemi impiegati da Boccaccio per esprimere la compassione contano in tutto una sola occorrenza (Dec, VII7,20). 29 Traggo la definizione dalla vocefierezza § 2 del TLIO, redatta il 22 giugno 2011. 30 Cfr. S. Marchesi, Stratigrafie decameroniane, Olschki, Firenze 2004, pp. 6-16. Per una de-scrizione del Laur. Plut. 13.sin.6, si vedano G. Lacombe, Aristoteles Latinus, Cambridge University Press, Cambridge 1955, pp. 939-940; C. Davis, The Early Collection of Books of S. Croce in Florence, «Proceedings of the American Philosophical Society», CVII (5), 1963, pp. 399-414: 401. Ulteriori informazioni sul manoscritto laurenziano si trovano in G. Brunetti e S. Gentili, Una biblioteca nella Firenze di Dante: i manoscritti di Santa Croce, in 124 IRA E COMPASSIONE. FONTI ARISTOTELICO-TOMISTE Dl DECAMERON VIII 7 ta decade di Tito Livio, che, in base alle recenti indagini di Giuliano Tanturli31, pare ragionevole attribuire alia penna di Boccaccio32. Nel Proemio del volgariz-zatore, oltre che un rimando esplicito al primo libro della Retorica («secondo che Aristotele vuole nel primo della Rettorica sua»), Marchesi ha rintracciato un richiamo alparagrafo aristotelico sulYexemplum, dal quale alcuni anni dopo Boccaccio avrebbe tratto anche la definizione decameroniana del genere novella. Se, come credo, l'argomentazione di Marchesi ě fondata, occorrerebbe am-mettere che Boccaccio conoscesse il trattato di Aristotele giá negli anni '4033. Ció induce a ipotizzare l'esistenza di un canale di trasmissione ancora tutto da indagare, riguardante la figura di Dionigi da Borgo Sansepolcro34, al quale Os-singer attribuiva un commento della Retorica oggi perduto35. Presente a Napoli e in contatto con Boccaccio dalla fine del 1337, Dionigi potrebbe aver introdotto il giovane allievo alla lettura della sua glossa o della Retorica stessa. La scarsitá di dati oggettivi sul corpus di commenti attribuito a Dionigi - con la significa-tiva eccezione del commento a Valerio Massimo - e su un possibile ciclo di le- E. Russo (a eura di), Testimoni del vero. Su alcuni libri in biblioteche ďautore, Bulzoni, Roma 2000, pp. 21-55. Rispetto alle posizioni di Giuseppe Billanovich e Maria Teresa Casella a sostegno della paternita boccacciana dei volgarizzamenti delle decadi terza e quarta di Livio sul těsto latino corretto e integrato da Petrarca nel ms. Harley 2493 della British Library, Giuliano Tanturli, con tutte le precauzioni del caso, attribuisce a Boccaccio soltanto la quarta Deca. Tra le mo-tivazioni che hanno spinto il filologo verso tale ipotesi, vi ě la disparitá di conoscenze, di stile e metodo di traduzione dei due volgarizzamenti. Cfr. G. Tanturli, Volgarizzamenti e ri-costruzione dell'antico. I casi della terza e quarta Deca di Livio e di Valerio Massimo, laparte del Boccaccio (aproposito di un'attribuzione), «Studi medievali», XXVII (2), 1986, pp. 811-888: 811-839; Id., Ii volgarizzamento della quartaDeca di Tito Livio, inT. DeRobertis etal. (acura di), Boccaccio autore e copista, cit., pp. 125-126; G. 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XL, pp. 194-197, con bibliografia; i saggi del volume miscellaneo F. Suitner (a cura di), Dionigi da Borgo Sansepolcro fra Petrarca e Boccaccio, Petruzzi Editore, Cittä di Castello 2001. J.F. Ossinger, Bibliotheca Augustiniana historka, critica et chronologica, Inglostadii et Augustae Vindelicorum, 1785 pp. 167-168. SuH'attribuzione a Dionigi di un commento alla Retorica, si vedano inoltre Moschella, Dionigi da Borgo Sansepolcro, cit., p. 196; M. Lapidge et al., Compendium Auctorum LatinorumMedii Aevi (500-1500), Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2009, vol. 111.1, p. 87; CH. Lohr, Medieval latin Aristotle commentaries, «Traditio», 23, 1967, pp. 313-413: 397; M. Oldoni, Dionigi alla corte di re Roberto, in Suitner (a cura di), Dionigi daBorgo Sansepolcro, cit., pp. 105-113: 112. 125 MIRIAM PASCALE zioni ehe egli tenne a Napoli36, non consente al momento di spingerci al di lá del piano ipotetico. Da questi primi riscontri testuali, emerge una certa dimestichezza con il těsto classico da parte di Boccaccio. Nel caso specifico della novella dello scolare, l'autore sembra inquadrare le osservazioni di Aristotele sulľira e la compassio-ne entro la cornice teorica del trattato de passionibus di Tommaso. Per dare forma alia psicologia dello scolare, egli ha infatti collegato materiali di derivazione aristotelica, come la definizione degli impulsi opposti di sdegno e compassione, alle riflessioni tommasiane sulle cause attribuibili alľira e sul ruolo della me-moria nel manifestarsi della passione. Bibliografia AlighieriD., La «Commedia» secondo I'antica vulgáta, a cura di G. Petrocchi, Mondadori, Milano 1966-1967,4 voll. Almansi G., Alcune osservazioni sulla novella dello scolaro e della vedova, «Studi sul Boccaccio», 8,1974, pp. 137-145. Aristoteles, EthicaNicomachea translatio Roberti GrossetesteLincolniensis (recensiopura), a cura di R. A. 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Moschella, Dionigi da Borgo Sansepolcro, cit., pp. 195-196; A.B. Langeli, Un agostiniano del Trecento, in Suitner (a cura di), Dionigi da Borgo Sansepolcro, cit., pp. 1-11: 1. 126 IRA E COMPASSIONE. FONTI ARISTOTELICO-TOMISTE Dl DECAMERON VIII 7 Botti F.P, Alle origini della modernita. Studi su Petrarca e Boccaccio, Liguori, Napoli 2009. Briggs C.F., Aristotle's «Rhetoric» in the Later Medieval Universities: A Reassessment, «Rhetorica», XXV (3), 2007, pp. 243-268. Brunetti G., Gentili S., Una biblioteca nella Firenze diDante: i manoscritti di Santa Croce, in E. Russo (a cura di), Testimoni del vero. Su alcuni libri in biblioteche ďautore, Bulzoni, Roma 2000, pp. 21-55. Carruthers M.J., The book of memory. A study of memory in medieval culture, Cambridge University Press, Cambridge 1998. Casagrande C, Ragione e passione. Agostino e Tommaso ďAquino, «Giornale Critico della Filosofia Italiana», 87, 2008, pp. 421-434. Casagrande C, Ragione e passioni: Agostino e Tommaso ďAquino, in S. 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Le Amazzoni combattono, si dilettano nella caccia, disprezzano Y eros o lo vivono in forma di passioni intense e tempestose ('da uomini') rifiutando il ruo-lo materno; per questo il loro destino, aŕfinché si ripristini ľordine delle cose, é sempre quello di venire sconfitte e ricacciate nelle remote terre da cui provengo-no, e al contempo di essere oggetto di uno sguardo misto di attrazione e disagio. É forse questo il motivo del successo delle vergini guerriere, che percorrono alcune delle pagine piú celebri della letteratura occidentale, attraverso le piú varie personificazioni del 'tipo' della donna in armi: dalla Debora del Libro dei Giudi-ci alia Camilla virgiliana, alle eroine delľepica rinascimentale, fino alla gustosa paródia, in chiave ammiccante e licenziosa, di queste insolenti 'irregolari' che troviamo nel catalogo stilato dalla penna arguta di Pierre Bordeille de Brantôme2. 1 Sulle Amazzoni nella Classicitä si puo vedere G. Guidorizzi (a cura di), Il Mito Greco, II, Gli eroi, Mondadori, Miláno 2012, con antológia di passi, pp. 716-728 (note a pp. 1422-1424). 2 P. Bordeille de Brantôme, Les dames galantes, a cura di M. Rat, Le Livre de Poche, Paris 1962, pp. 229-231. Matteo Luti, University of Siena, Italy, matteo.luti@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Matteo Luti, Itinerári amazzonici in Boccaccio: il retroterra romanzo, pp. 129-148, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.08, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 MATTEO LUTI II tenia delle Amazzoni sembra essere stato anche per Boccaccio un soggetto di costante riflessione, e ne accompagna la vasta produzione dagli anni giovani-li alia maturita, dal motivo dominante del Teseida alia ricchezza di riferimenti del De mulieribus claris, mettendone in luce l'evoluzione interna3. Infatti il Nostra pare aver compreso come tale soggetto si prestasse, per sua stessa natura, a letture sempre nuove, declinato ora in senso epico-romanzesco ora in chiave storico-mitologica o erudito-geografica. In riferimento a questo tema, gli studiosi, concentrandosi soprattutto sull'e-reditá di Boccaccio, hanno fatto luce sul ruolo dell'autore nella codificazione delia fortunata immagine delia 'donna guerriera' che aprirá la strada alia schie-ra di celebre combattenti che popolano la letteratura tra Quattro e Seicento4. Volendo invece indagare gli antecedenti di questo tema, rispetto alle felicissi-me elaborazioni nella penna Certaldese, tenteremo di mappare le declinazioni del soggetto amazzonico in alcuni dei testi romanzi francesi, diffusi e letti nella Penisola ai tempi di Boccaccio. Per non smarrirci in questa selva, veramente amazzonica, di riferimenti, cer-cheremo di delimitare il campo della ricerca: tratteremo qui solo delle Amazzoni nelľaccezione piú ristretta, e non di generiche donne guerriere o vergini caccia-trici. Nella lista delle prime si dovrebbe infatti includere il personaggio di Camilla, dal «virile animo»s, che compare spesso nelle opere boccacciane ed ě di fatto assimilabile a un'amazzone; nel nutrito gruppo delle seconde andrebbero invece considerate le cinquantanove dame che, indossati i costumi venatori, in un travestimento galante e boschereccio dell'aristocrazia napoletana, celebrano il trionfo finale dell'amore sulla loro casta vita nella Caccia di Diana, o i perso-naggi della triste favola del Ninfalefiesolano, in cui Mensola, che aveva consa-crato la sua verginitá all'onnipresente Diana, finisce per cedere alia bellezza e all'intraprendenza dell'amato Africo, scatenando le ire della dea6. 3 Le opere di Giovanni Boccaccio si citano secondo V. Branca (a cura di), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, lOvoll., Mondadori, Milano 1964-1998. 4 La Bradamante ariostesca, la Clorinda di Tasso, per non citare che quelle universalmen-te note, fino alia protagonista del Libro della Regina Ancroia, uno dei piú importanti poe-mi cavallereschi del XV secolo o áúYAmazonida (1503) di Andrea Stagi. Sulla fortuna delle Amazzoni nel Rinascimento, rimandiamo agli studi (e alia relativa bibliografia) di E. Stoppino, Genealogies of Fiction: Women Warriors and the Dynastic Imagination in the "Orlando furioso", Fordham University Press, New York 2012; Ead., Boccaccio mediatore: narrazioni amazzoniche tra cantare e poema, «Critica del Testo», XIX (2), 2016, pp. 233-246. 5 G. Padoan (a cura di), Esposizioni sopra la "Comedia" di Dante, Mondadori, Milano 1965, IV, esp. litt, 202. Altri riferimenti alia guerriera virgiliana in Eposizioni, I, esp. litt, 137 sgg.; Teseida delle nozza d'Emilia, a cura di A. Limentani, Mondadori, Milano 1964, VI, chiosa, 53.1; Amorosa visione, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano 1964, IX 31-33 e De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria, Mondadori, Milano 1970, XXXIX. De Camilla Volscorum regina. 6 II legame tra le Amazzoni e Diana, dea della caccia, ě noto; a loro si deve secondo la tradi-zione la fondazione della cittä di Efeso in Asia Minore e la consacrazione alia dea vergine del celeberrimo santuario (episodio ricordato nel De Montibus, silvis, fontibus, lacubus, flu-minibus, stagnis seu paludibus, et de diversis nominibus maris, a cura di M. Pastore Stocchi, 130 ITINERÁRI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO Passando alle Amazzoni propriamente dette, si vede che nel Teseida, scrit-to negli ultimi anni del soggiorno napoletano: tra il 1339 e il 1341, l'intero primo libro (vero e proprio romanzo nel romanzo') e dedicato all'impresa di Teseo, giunto fino in Scizia con la sua armata per combattere contro questo popolo di guerriere. E l'autore stesso a valorizzare la scelta di trattare un tenia poco noto e pere-grino, accingendosi a riscrivere «una istoria antica, / tanto negli anni riposta e nascosa / che latino autor non par ne dica, / per quel ch'io senta, in libro alcuna cosa» (1.2). Poco piu avanti, nella chiosa 8.1, si giustifica l'ampio spazio accor-dato alia vicenda amazzonica, rispetto all 'equilibrio complessivo dei 12 libri del poema, dicendo che «percio che la materia, cioe li costumi delle predette donne amazone, e alquanto pellegrina alle piu genti, e percio piu piacevole, [l'autore] la voile alquanto piu distesamente porre che per adventura non bisognava»7. Si narra infatti di come le Amazzoni avessero sterminato i loro uomini e, non pa-ghe della loro scelleratezza, continuassero a infierire contro il genere maschile, non solo uccidendo tutti i malcapitati trovati nel loro territorio, ma anche de-predando e vessando le popolazioni circostanti (I, 16). Nella chiosa 5.7 si dan-no precisazioni sulla genesi dell'organizzazione sociale delle guerriere; sui loro costumi («sono, l'Amazone, donne, le quali, uccisi tutti li maschi loro, si die-dono a l'armi, e fecersi seccare tutte le destre poppe, percio che le impedivano a tirare l'arco; e pero sono chiamate amazone, che vuole tanto dire quanto senza poppa») e sulla remota collocazione delle loro terre, localizzate in Scizia («un paese di la da Constantinopoli, sopra il mare della Tana»)8, in un Oriente lon- Mondadori, Milano 1998 : «CallipiafonsestinEpheso civitate penes eximium Amazonum opus, Diane Ephesie templum»; «Yonium mare [...] Ephesus, clarissima templo Diane ab Amazoniis consecratum»). Inoltre troviamo le guerriere spesso impegnate in attivitä vena-torie, per esempio: Genealógia deorum gentilium, a cura di V. Zaccaria, Mondadori, Milano 1998, XI.XXIV De Arpalice Lygurgifilia. «Arpalicem dicit Papias Tracern fuisse et Lygurgi filiam ac venationibus deditam. De qua Virgilius: Vel qualis equo Treissa fatigat Harpalice, volucremque fuga prevertitur Hebrum etc. Theodontius dicit hanc patriam reliquisse, et ad Amazones abiisse, et ibidem imperasset. Servius autem scribit de hac, quod cum patrem senem a Gethis captum sensisset, collecta confestim multitudine, et celerius quam de femina existimaripotuerit, ilium armis et robore liberavit». Teseida delle nozza d'Emilia, a cura di A. Limentani, Mondadori, Milano 1964. Ricordiamo anche la recente edizione a cura di E. Agostinelli e W. Coleman, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2015. Si veda inoltre l'omonimo capitolo di W. Coleman, in T. De Robertis et al. (a cura di), Boccaccio autore e copista, Firenze Biblioteca Medicea Laurenziana, 11 ottobre 2013-11 gennaio 2014, Mandragora, Firenze 2013, pp. 89-93 (schede dei mss. pp. 94-99). Per la diffusione del Teseida in Italia meridionale si veda M. Maggiore, "Scripto sopra Theseu Re". Il commento salentino al "Teseida" di Boccaccio (Ugento/Nardö, ante 1487), 2 voll., De Gruyter, Berlin-Boston 2016. Teseida, I, chiosa 6.1. La narrazione del viaggio di Teseo per raggiungere le Amazzoni alle ottave 40-41 del primo libro offre lo spazio per un breve excursus geografico, amplificato dalle relative Chiose. Una piü precisa disamina dei luoghi geografia legáti alle Amazzoni ě offerta dal De Montibus. 131 MATTEO LUTI tano e misterioso.9 Questa materia ě sviluppata nelle stanze 6-8, dove si narra piú distesamente l'origine della societa delle Amazzoni, individuata, come si diceva, in una rivolta femminile contro la societa patriarcale avvenuta al tempo del re Egeo, padre di Teseo, ossia all'epoca della generazione immediatamente precedente rispetto a quella del protagonista. Al tempo che Egeo re d'Attene era, fur donne in Scizia crude e dispietate, alle qua' forse parea cosa fiera esser da' maschi lor signoreggiate; per che, adunate, con sentenzia altiera diliberar non esser soggiogate, ma di voler per lor la signoria; e trovar modo a fornir lor follia. E come fer le nepoti di Belo10 nel tempo cheto alii novelli sposi, cosi costor, ciascuna col suo telo de' maschi suoi li spirti sanguinosi cacció, lasciando lor di mortal gielo tututti freddi, in modi dispettosi; e 'n cotal guisa libere si fero, ben che poi mantenersi non potero. Recato adunque co' ferri ad effetto lor malvoler, voliér maestra e duce che correggesse ciascun lor difetto e a ben viver desse forma e luce; né a tal voglia dier lungo rispetto, ma delle donne che '1 luogo produce elesser per reina en la lor terra Ipolita gentil, mastra di guerra. II trattamento del tema amazzonico si collega sempre all'evocazione di un 'altrove' lonta-no; cfr. E. Fáral, Recherches sur les sources latines des contes et romans courtois du moyen age, Champion, Paris 1913, in particolare il capitolo Le merveilleux etses sources dans les descriptions, pp. 307-383; D. Poirion, Il meraviglioso nella letteraturajrancese delMedioevo, Einaudi, Torino 1988 (ed. orig. 1982), in part. pp. 24-26; I. Bejczy e M-J. Heijkant, Ilprete Gianni e le Amazzoni: Donne in un'utopia medievale (secondo la tradizione Italiana), «Neophilologus», 79, 1995, pp. 439-449. Sull'enciclopedismo medievale si veda il ricchissimo contributo di M. Ciccuto, Meraviglie ďOriente nelle enciclopedie illustrate del Medioevo, in M. Picone (a cura di), L'enciclopedismo medievale, Atti del convegno (San Gimignano, 8-10ottobre 1992), Longo, Ravenna 1994, pp. 79-116. Sugli interessi geografici di Boccaccio si veda R. Morosini (a cura di), Boccaccio geografa. Un viaggio nel Mediterraneo tra le cittá, igiardini e... il 'mondo' di Giovanni Boccaccio, Mauro Pagliai, Firenze 2010. La vicenda viene accostata al tragico mito delle Danaidi, le uxoricide nipoti di Belo su cui avremo modo di tornare piú oltre. 132 ITINERÁRI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO Alľorigine delia ginecocrazia amazzonica sta dunque un atto di deliberata ribellione, ed ě proprio questo affronto delle donne al sentire comune ehe Teseo decide di punire con le armi, pronto a «vengiare il difetto» loro e a ripristinare ľordine, come recita il sonetto espositivo («in sé di ciô forte crucciato, propose dipurgarcotalpeccato» 1,13.7): sará il felice matrimonio delľeroe ateniese con Ippolita, la regina delle vergini guerriere, a chiudere in chiave galante ľambigua e ammiccante spedizione militare; nozze ehe sanciscono il definitivo reintegro di queste irregolari alľinterno del consorzio umano, una volta rese innocue e inquadrate nelľistituto del matrimonio. Nella Genealógia deorum gentilium11 - cui il nostro si dedicô a partire dagli anni '50 rielaborandola continuamente fino agli ultimi anni delia sua vita - ri-troviamo aX.XLIX (De Theseo EgeifiliOj qui genuit Ypolitum, Demophontem et Anthigonum) una rapida sintesi delia campagna militare di Teseo e del suo matrimonio con Ippolita, senza pero ehe venga deseritta la societá amazzonica o ehe si affronti la questione delia sua genesi; inoltre, a differenza delle strofe del primo poemetto, Ippolita non figura come sovrana, bensi come una delle prin-cipesse del sangue', sorella, assieme a Menalippe, delia regina Antiope12. Un ulteriore e fugace riferimento alla storia di Teseo si ritrova nel De casi-bus virorum illustrium (1355/57-1360/70; 1373-1374)13 a I.X (De TheseOj rege Athenarum), dove ľautore si limita a ricordare la spedizione delľeroe ateniese contro le guerriere. II medesimo terna viene ripreso, a distanza di qualche anno, nel De mulie-ribus claris (1361-1362)14, questa volta in una trattazione assai piú estesa, ehe conferisce al soggetto ben altro spessore. Di contro alla vaghezza del Teseida, la vicenda delle Amazzoni viene inquadrata in una serrata impostazione dinasti- 11 Genealógia deorum gentilium, acura di V. Zaccaria, 2 voll., Mondadori, Miláno 1998. Si veda il capitolo di S. Fiaschi, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 171-176 (schede dei mss. pp. 177-180). 12 «Theseus inclitus Athenarum rex fuit Egei regis filius et Ethre. Ingentis atque generosi animi iuvenis plura memoratu digna peregit, adeo ut inter Hercules plurimos nominetur unus. Hic quidem ante alia cum Hercule ab Euristeo misso adversus Amazones expedi-tionem suseepit, ut dicit Iustinus, et cum multas occidissent atque cepissent, cepere inter alias Menalippem atque Ypolitem Anthyope regine sorores. Sed Hercules pro armis regine Menalippem sorori restituit. Theseus vero Ypolitem, que sibi in sortem prede contigerat, sumpsit uxorem, ex qua Ypolitum filium suseepit». Nel capitolo successivo troviamo un ulteriore brevissimo accenno a Ippolita e alia sua uccisione per mano di Teseo davanti agli ocehi di Ippolito, il figlio ehe gli aveva generato, nel cui carattere schivo e refrattario alľa-more si riflette ľereditä delia madre. Ulteriori accenni alle Amazzoni si ritrovano a XIII.I, in cui viene ricordata la sedicesima fatica di Ercole e la cattura del balteo delia regina Antiope, e a XIII.LVIII, in cui si racconta la vittoria del giovane Bellerofonte contro le guerriere nella spedizione potenzialmente mortale voluta da Iobate. 13 De casibus virorum illustrium, a eura di P. G. Ricci e V. Zaccaria, Mondadori, Miláno 1983. Si veda il capitolo a eura di E. Romanini, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 189-191 (schede dei mss. pp. 192-195). 14 De mulieribus claris, a eura di V. Zaccaria, Mondadori, Miláno 1970. Si veda il capitolo di C. Malta, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 197-200 (schede dei mss., pp. 201-202). 133 MATTEO LUTI ca e 'storiografica', ehe vede la successione, a due a due, delle regine Marpessa e Lampedone; Orizia e Antiope, per finire con Pentesilea. Ai capp. XI, XII, si precisano inoltre aleuni dati circa ľorigine delia societa amazzonica, proponen-do ai lettori una diversa ipotesi: a quanto pare si rifiuta la leggenda riŕlessa nel Teseida, secondo cui sarebbero state le Amazzoni stesse a uccidere i loro sposi, con ľofferta di tutťaltra versione, confortata dalla consultazione di fonti autore-voli quali Giustino e Orosio. Riassumiamo: si narra di come i due principi sciti Sylisios e Scolopico, in cerca di nuove terre dopo essere stati cacciati dalla Sci-zia, si fossero insediati con il loro séguito di esuli presso le rive del fiume Ter-modonte, in un territorio appartenente al popolo dei Cirii, vivendo di razzie e saceheggi a spese delia popolazione locale. In seguito, nel corso delle ripetute controffensive dei Cirii, in risposta alle scorrerie degli invasori, molti degli uo-mini sciti trovarono la morte. Ě a questo punto ehe le loro donne, rimaste ve-dove dei compagni combattenti, decisero di organizzarsi e scendere in campo come guerriere, afŕiancate dai pochi uomini sopravvissuti. Queste riuscirono non solo a frenare le truppe dei Cirii, ma si spinsero persino a muovere guerra di loro iniziativa alle popolazioni circostanti. Le vedove giunsero inoltre alla conclusione ehe un eventuale loro nuovo matrimonio con uomini, ormai neces-sariamente stranieri, le avrebbe private delľindipendenza duramente conqui-stata con le armi; stabilirono perciô di conservarsi caste e, al fine di eliminare ogni disparita di status tra loro, presero ľinaudita quanto efferata decisione di uccidere i pochi maschi superstiti delia tribú. Da quel momento in poi, decise a non sottomettersi mai piú ad aleuno, continuarono a vendicare col sangue ľan-tica strage dei mariti. II passo si conclude con la menzione delia pratica di farsi ingravidare dagli uomini delle popolazioni circostanti per poter assicurare una continuitá alla societa matriarcale, e delia truce usanza di uccidere i bambini di sesso maschile, allevando invece le femmine in una rigida disciplina basata sul-la caccia e sulľesercizio delle armi15. LeEsposizionisoprala Comedia (ottobre 1373-gennaio 1374)16, glossandola figura di Pentesilea, ripropongono integralmente questa versione, per cosi dire 'storica', ehe riportiamo in parte: Ai capitoli XIX, XX. De Orythia et Anthiope reginis Amazonum, si riscostruiscono le vicen-de successive del regno: alla morte di Marpesia infatti (Boccaccio dice di non aver trova-to in aleuna fonte la sorte di Lampedone) sali al trono la figlia Orizia ehe divise il trono con Antiope, ehe aleuni eredono essere una sua sorella. Si narra dunque delia spedizione di Ercole per la conquista del balteo e delia sanguinosa battaglia ehe ne segui (giä ricordato nel De casibus) e si conclude con un accenno alla vicenda di Teseo e Ippolita, preša e por-tata ad Aténe dalľeroe greco. Da notare come quesťultima vicenda, ehe oceupava tutto il primo libro del Teseida, qui non é ehe uno tra gli avvenimenti delia cronistoria amazzonica. Completa il quadro genealogico il capitolo su Pentesilea (XXXII) ehe inserisce le Amazzoni nella vicenda delia guerra di Troia. Esposizioni sopra la "Comedia" di Dante, a eura di G. Padoan, Mondadori, Miláno 1965. Si veda il capitolo di M. Baglio, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 281-283 (schede dei mss. alle pp. 284-287). 134 ITINERÁŘI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO Le mogli de' quali [seil, gli Scizi], veggendo essere aggiunto alloro essilio l'esser private de' mariti, preson l'armi e con fiero animo andarono incontro a coloro che Ii loro mariti uccisi aveano e quegli cacciarono fuori del loro terreno: e, oltre a ciö, continuando la guerra animosamente per alcun tempo, da ogni nimico il difesero. Poi, congiungnendosiper matrimonio co' populi circunstanti, posero giü alquanto la ferocitä dell'animo; ma poi, ripresala, e intra se ragionando, estimarono il maritarsi a coloro, a' quali si maritavano, non esser matrimonio, ma piü tosto un sottomettersi a servitudine. Per la qual cosa diliberarono di fare e fecero cosa mai piü non udita: e questa fu che tutti quegli uomini, Ii quali con loro erano a casa rimasi, uccisono, e, quasi resurgendo vendicatrici delle morti degli uccisi loro mariti, nella morte degli altri datorno tutte d 'uno animo conspirarono. E per forza d'arme con quelli, che rimasi erano, avuta pace, acciö che per non aver figliuoli non perisse la lor gente, presero questo modo, che a parte a parte andavano a giacere co' vicini uomini e, come gravide si sentivano, si tornavano a casa; e quegli figliuoli maschi che eile facevano, tutti gli uccidevano, e le femine guardavano e con diligenzia allevavano. Le quali non a stare oziose o a filare o a eucire ne ad alcuno altro feminile uficio adusavano, ma in domare cavalli, in cacce, in saettare ed in fatica continua l'essercitavano. E, acciö che esse potessero nutricare quelle figliuole che di loro nascessero, essendo loro le poppe agli essereizi delle armi noiose, lasciavano loro la destra e della sinistra le privavano; ed il modo era che, quando eran piecole, tirata alquanto la carne in alto, quella con alcun filo strettissimamente legavano: di che seguiva che la parte legata, non potendo avere lo scorso del sangue, si seceava e cosi poi, venendo in piü matura etä, non v'ingrossava la poppa. E da questa privazione dell'una delle poppe nacque loro il nome, per lo quale poi chiamate furono, cioe «Amazone», il quale tanto vuol dire quanto «senza poppa». E, cosi perseverando piü tempo, quando sotto una reina e quando sotto due, si governavano, continuamente ampliando il loro imperio. Appare a questo punto evidente come Boccaccio, abbandonato il vago delle suggestioni romanzesche dell'opera giovanile, abbia in seguito preferito proce-dere a una ricostruzione attenta, con il ricorso all'autoritä di comprovate fonti storiche: sono trasposti quasi alla lettera i capitoli di Orosio, Historiae adversus paganos, I, 1517 e Giustino, Epitoma historiarum Philippicarum Pompci Trogi, II, 1-4, a cui il Nostra era forse giunto attraverso la consultazione del detestato quanto insostituibile Compendium sive Chronologia magna di Paolino veneto18. Sipuö Ricordiamo che Boccaccio possedeva un codice mutilo di Orosio (sec. XII) che integrö di suo pugno attorno al 1350. Ii codice sipresenta oggi smembrato e conservato in due diverse biblioteche: Firenze, Biblioteca Riccardiana 627 e 2705; Londra, British Library, Harley 5383. Cfr. la Scheda di T. De Robertis in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 343-346. Com'e noto nelle pagine dello Zibaldone Magliabechiano (Firenze, BNC, Banco Rari 50) Boccaccio traserisse ampli stralci dell'opera di Paolino Veneto traendoli dallo splendido volume del Compendium da lui postillato (Parigi, BnF, Latin 4939 sec. XIV, secondo quarto). Si vedano la Scheda di I. Ceccherini e la nota di commento di C. M. Monti in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 374-376; cfr. anche G. Brunetti, M. Fiorilla et ah, Autograft dei letterati italiani. 1. Le Origini e il Trecento, Salerno, Roma 2013, p. 50, 55. Su Paolino Veneto (ca. 135 MATTEO LUTI notáre infatti come Boccaccio avesse trascritto nel suo Zibaldone Magliabechia-no (c. 129v [c. 17lv]) il medesimo passo relativo alle Amazzoni ehe si legge alla carta 13r del manoscritto da lui posseduto delľenciclopedia storica di Paolino, il quale riprende, in una sintesi puntuale, la versione offerta dai due autori latini. Resta a questo punto da chiarire quale sia la fonte piú probabile del racconto ehe si trova nelle ottave del Teseida. Un indizio ci viene dalla Tebaide di Stazio, l'opera che Boccaccio stáva compulsando parallelamente alľallestimento del suo poemetto. II Certaldese sembra operare una deliberata contaminazione tra la rivolta delle Amazzoni, che di propria iniziativa si sollevano contro il genere maschile, e il famigerato episodio di androcidio avvenuto a Lenino, reso celebre proprio dal V libro della Tebaide (vv. 28-498). Nel racconto - che Stazio afřida alle accorate parole dalla principessa Isifile - si narra infatti della notte in cui le donne, in předa a un furor scelerato, decisero di sottrarsi alla tirannia dei mariti e sterminarono tutta la popolazione maschile delľisola19. Non occorre sottolinearelaprofonda conoscenza che Boccaccio aveva dell'opera staziana; del resto ě noto il suo possesso del codice Fi, BML, Plut. 38.6 (sec. XII in.) contenente la Tebaide corredata dal commento di Lattanzio Placido, che Boccaccio stesso integrö con alcune carte trascritte di suo pugno attorno al 1340-1345 e ar-ricchi di notabilia e glosse, proprio mentre era impegnato a progettare il Teseida20. La terribile storia delle feroci donne di Lemno sembra giungere a Boccaccio anche mediata dal nitro dantesco di Inf. XVIII88-90 «Ello [seil. Giasone] passo per l'isola di Lenno / poi che ľardite femmine spietate / tutti li maschi loro a morte dienno», come appare dalla feroce requisitoria contro le donne del Filoco-lo (1335 o '39) III.35.9 «Quanto ardire e quanta crudeltáfu quelladelle femine di Lenno, che, essendo degnamente suggette degli uomini, per divenire donne, quelli nella tacita notte con armata mano tutti diedero alla morte?». Ľepisodio venne poi ripreso da Boccaccio stesso nel fugace riferimento deWAmorosa Visione (XXI 19-51)21, dove si parla del «regno ond'ogni maschio era cacciato», fino alle piu diffuse narrazioni della produzione matura: Genealógia, V.XXIX (De Ysiphyle Thoantisfilia)22 e De Mulieribus XVI (De Ysiphile regina Lemni)23. 1270-1344) si vedaM. Ciccuto e R. Morosini (a eura di), Paolino Veneto. Storico, Narratore e Geografa, L'Erma di Bretschneider, Venezia 2020. Sipuö vedere Guidorizzi, IlMito Greco, II, Gli eroi, cit., pp. 679-693 (note a pp. 1414-1418). Si veda la scheda diM. Cursi in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 337-339: p. 339; cfr. anche Brunetti, Fiorilla, Autograft dei letterati italiani, cit., p. 50. Amorosa visione, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano 1964. Si veda il capitolo di B. Fedi in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 121-122 (schede dei mss., p. 123). «Ysiphyles filia fuit Thoantis, teste Statio, dum dicit: Cui regnum genitorque Thoas et luci-dus Euan Stirpis avus etc. Hec autem, ut idem refert Statius, cum adhibuisset consensum in publico mulierum Lemniadum consilio de occidendis masculis suis, et suis legibus vive-re, ea nocte, qua scelus a ceteris feminis perpetratum est, Thoantem patrem navi imposuit, eumque Bacho patri commendavit, et in insulam Chyum transmisit, et construeto in regia rogo, se patrem interemisse monstravit, eiusque loco homicidis mulieribus imperavit...». «Ysiphiles insignis fuit femina, tam pietate in patrem quam infelici exilio et Archemori alumni morte atque subsidio natorum, oportuno in tempore repertorum. Fuit etenim hec Thoantis, 136 ITINERÁRI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO Unulteriore prova di questa suggestione staziana ě offerta dal fatto che sia 1'autore latino che Boccaccio facciano ricorso - come termine di paragone delle vicende narrate - a un altro terribile mito, anchesso emblematico della distru-zione dei vincoli di parentela e dei legami matrimoniali: la vicenda delle nipoti di Belo, che uccisero su istigazione dal padre Danao i loro cinquanta mariti nel corso di una sola notte. Giá Stazio (V, 117-119) aveva accostato la vicenda delle donne di Lemno alla storia delle Danaidi24, e Boccaccio fa uso dello stesso termine di paragone ricordando la vicenda proprio nel Teseida 1.7.1: «E come fer le nepoti di Belo nel tempo cheto alli novelli sposi...» e relativa chiosa: Belo fu re in una parte di Grecia, e ebbe due figliuoli; luno ebbe nome Danao, il quale fu re dopo la mořte del padre e ebbe cinquanta figliuole; 1'altro ebbe nome Egisto e ebbe cinquanta figliuoli maschi; e di pari concordia diedono le cinquanta figliuole di Danao per mogli alli cinquanta figliuoli d'Egisto; e ordinó Danao, per terna la quale aveva de' figliuoli ďEgisto che non gli togliessero il regno, che ciascuna delle figliuole, la prima notte che co' mariti giacessero, ciscuna uccidesse il suo; e cosi fecero, fuori che una etc. Ipermestra, Lino, etc.25 2. «Rivolgere 1'antiche storie». Le Amazzoni in area romanza La disinvoltura di Boccaccio nell'utilizzo delle diverse versioni della leggenda amazzonica non sembra dovuta - come si potrebbe pensare in prima battuta -al passaggio dalle disordinate, ma suggestive, lecture della giovinezza alla severa erudizione latina degli anni della maturita; ě invece ragionevole pensare che Boccaccio facesse un uso consapevole delle sue fonti, modulandole e sceglien-do i riferimenti da utilizzare di volta in volta, in accordo con il genere letterario che in quel momento lo vedeva impegnato nella scrittura. Lemniadum regis, filia, eo evo regnantis quo rabies ilia subivit mulierum insule mentes, sub-trahendi omnino indomita colla virorum iugo. Nam parvipenso senis regis impio, adhi-bita secumYsiphile, unanimes in eum devenere consilium ut sequenti nocte gladiis seviretur in quoscunque masculos; nec defuit opus proposito. Sane, sevientibus reliquis, consilium mitius menti Ysiphilis occurrit; nam rata fedari paterno sanguine inhumanum fore, genitori detecto reliquarum facinore eoque in navim demisso ut Chium effugeret publicam iram, evestigio; in-genti constructo rogo, se patri postremum exhibere finxit ofEcium... ». Si veda Guidorizzi, IlMito Greco, II, Gli eroi, cit., pp. 695-712 (note a pp. 1418-1422). La vicenda e frequentemente riecheggiata nella Tebaide, oltre al passo menzionato: II, 222; IV, 132-135; VI, 290-293. II mito delle Danaidi ricorre spesso nelle opere di Boccaccio: Filocolo III.35.9 «E simile crudelta nelle figliuole di Belo si trovo, le quali tutte i novelli sposi la prima notte uccidero»; De Mulieribus XIV; Genealogia, II.XXII-XXIV; Esposizioni sopra la Comedia, Accessus, 55: «Pongonvi ancora le figliuole di Danao e dicono, per l'avere esse uccisi i mariti, essere dan-nate a dovere empiere d'acqua certi vasi senza fondo, per la qual cosa, sempre attingendo, si faticano invano: volendo per questo dimostrare la stoltizia delle femine, le quali, avendosi la ragione sottomessa, la quale dee essere loro capo e lor guida, come e il marito, intendono con loro artifici far quello che giudicano non ne avere fatto la natura, cioe, lisciandosi e dipi-gnendosi, farsi belle; di che segue le piu volte il contradio, e percio e la loro fatica perduta». 137 MATTEO LUTI Notiamo inoltre come l'utilizzo delle diverse versioni della leggenda amaz-zonica sia caratteristico anche della produzione in francese, nota e diffusa nel-la coeva Napoli angioma26; in particolare, un simile gioco di citazioni si ritrova nella penna di Benoít de Sainte-Maure, a cui si deve il celeberrimo Roman de Troie: «quella fonte» che sparse «di parlar si largo fiume» almeno fino alia ri-scoperta dei testi omerici27. Fondamentale per noi resta il contributo di Aimé Petit28, da cui prendiamo le mosse, che traccia una mappa capillare della presenza amazzonica in quelli che sono i tre capisaldi della ricezione della Classicitá all'alba delle letterature volgari, i tre Romans d'Antiquité di area anglo-normanna e plantageneta: The- Per una visione d'insieme della cultura napoletana delFepoca agioina rimandiamo ai contributi raccolti nei volumi: G. Alfano, M.T. D'Urso e A. Perriccioli Saggese (a cura di), Boccaccio angioino. Materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, Peter Lang, Bruxelles 2012; G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, Atti del convegno Boccaccio angioino. Per il VII Centenario della nascita di Giovanni Boccaccio (Napoli-Salerno, 23-35 ottobre 2013), Franco Cesati, Firenze 2014. Si vedano i contributi di F. Zinelli, Inside/Outside Grammar. The French of Italy between Structuralism and Trends of Exoticism, pp. 31-72 e C. Lee, That Obscure Object of Desire: French in Southern Italy, pp. 73-100, entrambi in N. Morato e D. Schoenaers (eds.), Medieval Francophone Literary Culture Outside France. Studies in the Moving Word, Brepols, Turnout 2018. Tra la vastissima bibliografica ricordiamo innanzi tutto: M.R.Jung, La legende de Troie en France au moyen age, Francké, Tübingen-Basel 1996. Si vendano inoltre A. Punzi, La circo-lazione della materia troiana nell'Europa del '200: da Darete Frigio al «Roman de Troie en prose», «Messana», 6, 1991, pp. 69-108; Ead., Le metamorfosi di Darete Frigio: la materia troiana in Italia (con un'appendice sul ms. Vat. Barb. Lat. 3953), «Critica del Testo», VII (l), 2004, pp. 163-211; L. Barbieri, Le «epistole delle dame di Grecia» nel "Roman de Troie" in prosa, Francké, Tübingen-Basel 2005; A. D Agostino, Le gocce d'acqua non hanno consumato i sassi di Troia. Materia troiana e letterature medievali, CUEM, Milano 2006; A. D Agostino e L. Barbieri, Istorietta troiana con le Eroidi gaddiane glossate. Studio, edizione critica e glos-sario, Ledizioni, Milano 2017; L. Di Sabatino, Une traduction toscane de V'Histoire ancien-ne jusqu'a César" ou "Histoires pour Roger". La fondation de Rome, la Perse et Alexandre le Grand, Brepols, Turnhout 2018. Per la voga della materia troiana nei domini angioni si vedano i contributi diM. Desmond, Magna Graecia and the Matter ofTroy in the Francophone Mediterranean, pp. 412-431 e J. Stoll, Translatio Networks in the Prose Troy Tradition, pp. 433-449, entrambi raccolti in Morato e Schoenaers, Medieval Francophone Literary Culture, cit. Per le prosificazioni del Roman de Troie legate alia Napoli angioina si vedano le Schede diL. Barbieri in M. Colombo Timelli etal. (ed.), Nouveau Repertoire demises en prose (XlVe-XVIe siěcles), Classiques Garnier, Paris 2014, pp. 773-848, disponibili anche sulla banca-datiLavieen proses Riscrivere in prosa nella Francia dei secoli XIV-XVI, (12/20) sotto la voce Roman de Troie. A. Petit, Le traitement courtois du theme des Amazones d'apres trois romans antiques: "Eneas", "Troie" et "Alexandre", «Le Moyen Äge», 89, 1983, pp. 63-84. Lo studioso aveva affrontato in un contributo precedente la figura di Camilla nell'Eneas: La Reine Camille dans le "Roman d'Eneas", «Les lettres romanes», XXXVI (1), 1982, pp. 5-40. Si vedano anche F. Denis, Ces étranges étrangěres: Les Amazones, in M. Vernet (a cura di), Etrange topos étranger, Actes du XVIe Colloque de la SATOR (Société d'analyse de la topique romanesque), Kingston, 3-5 Octobre 2002, Presses Universitě Laval, Quebec 2006, pp. 89-102. 138 ITINERÁRI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO bes (1150), Eneas (1160) e Troie (l 160-1170)29. Certo l'attrazione per le donne guerriere non e esclusiva degli autori del XII secolo, ma si deve rilevare come la nascente letteratura volgare - e in modo speciale il nuovo genere romanzo' - accordi un posto importante alle Amazzoni, in concomitanza con il crescen-te interesse erudito e antiquario verso la Classicita e il paganesimo antico30. In-fatti - nonostante alcune sporadiche apparizioni nelle Chansons de Geste31 - la materia amazzonica, accompagnandosi per sua stessa natura alia fascinazione verso 1'antico' e 1' esotico', non trova generalmente posto nell'epica; trova in-vece la sua sede piu consona nello spazio romanzesco aperto all'enciclopedia e al meraviglioso32. Per questo non si riscontra che un rapido accenno nel precoce Roman de Thebes, ancora troppo legato alia tradizione epica33; mentre e il Ro- Ametä del XII secolo, nell'area che comprende il Nord-Ovest delia Francia e il Sud dellTn-ghilterra, vediamo apparire il corpus dei tre romanzi. Questi testi costituiscono un gruppo abbastanza compatto; provengono tutti dai territori della compagine statuale plantageneta, che ne ě il centra propulsore, anche se da diverse regioni (pittavino sembra il Roman de Thěbes, normanni sono il Roman de Troie el'Enéas) e laloro composizione va collocata in una stretta successione temporale. Il Roman de Troie ě l'unico dei tre testi a portare una firma, quella di Benoit de Sainte-Maure: al medesimo autore viene ascritta dagli studiosi - supe-rate le riserve del passato - anche la Chronique des dues de Normandie (1174) continuazione del Roman de Rou 0 Geste des Normanz, iniziato circa dieci anni prima da Wace e lasciato incompiuto. Per una messa a punto sul contesto di produzione dei tre romanzi, con una dettagliata storia degli studi si rimanda a F. Mora-Lebrun, «Metre en Romanz» Les romans, ďantiquité du XII siede et leurposteérité (XIII-XIVsiěcle), Champion, Paris 2008, in part, il cap. I, pp. 25-94; si veda anche A. D'Agostino (a eura di), IlMedioevo degli antichi. I romanzi francesi della «Triade classica», Mimesis, Miláno 2013. Riepiloghiamo i saggi fondamentali per la lettura di questi testi: G. Angeli, Ľ "Eneas" e iprimi romanzi volgari, Ricciardi, Napoli-Milano 1971; R.R. Bezzola, Les origines et la formation de la littérature courtoise en Occident, III, Slatkine-Champion, Geneve-Paris 1984; A. Petit, Naissance du roman: les techniques lit-téraires dans les romans antiques du XII siěcle, 2 voll, Champion-Slatkine, Paris-Geněve 1985; la raccolta dei saggi diE. Baumgartner, Del'histoire de Troie au livre du Graal: le temps, le récit (XlIe-XIIIesiěcles), Paradigme, Orleans 1994. Ii XII secolo fu un periodo di intensa produzione di testi troiani, prima in latino poi in fran-cese, e numerosi sono i poemetti latini che presentavano, sulla scia áúYEneide o di Ovidio, momenti significativi della storia antica, soprattutto la vicenda di Troia. Cfr. M.R. Jung, Virgilio egli storici troiani, in P. Boitani, M. Mancini, A. Varvaro (a cura di), Lo spazio lettera-rio del Medioevo. 2: ilMedioevo volgare, III: La ricezione del testo, Salerno, Roma 1999-2005, pp. 179-192; C. Alessio e C. Villa, Il nuovo fascino degli autori antichi tra i secoli XII e XIV, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a cura di), Lo spazio letterario di Roma antica. III: La ricezione del testo, II, Salerno, Roma 1990, pp. 473-488. Petit, Le traitement courtois, cit., p. 64. Le Amazzoni sono menzionate, assieme ai Pigmei e agli Ermafroditi nell'occitana Chanson de sainte Foi (sec. XI), mentre nella Mort Aymeri de Narbonne (fine XII o inizio XIII s.) arriva dalla Spagna un esercito di Amazzoni, guerriere di Femenie, sconfitte dall'asercito cristiano. Cfr. Poirion, Il meraviglioso, cit., p. 25. Cfr. Fáral, Recherches sur les sources latines, cit., in particolare il capitolo Le merveilleux et ses sources dans les descriptions, pp. 307-383. Quando non indicato diversamente si cita da Le Roman de Thebes, ed. et trad, du ms. S, a cura di F. Mora-Lebrun, Le Livre de Poche, Paris 1995. In Thěbes (2405- 2430) troviamo solo l'accenno alia vicenda delle donne di Lemno, di cui abbiamo parlato: «Une merveille avint en Lenne: / tiel n'oitmais homme nefemme,/carles dames par lour outrage, /porparlerent 139 MATTEO LUTI man d'Eneas il primo a introdurre nella letteratura francese il tenia, se non delle Amazzoni propriamente dette, almeno della donna in armi, dedicando ampio spazio al personaggio della Camilla virgiliana34. Ma e il piü recente tra questi romanzi a soggetto antico, il Roman de Troie, a concedere un larghissimo spazio alle Amazzoni. Proprio la Veste' da summa enciclopedica che conferisce all'opera, permette all'autore di indugiare a digression! veicolate da un'affinata tecnica descrittiva; su animali stravaganti; su pietre straordinarie o, piü estesamente, sulla geografia o la cosmologia35. Per introdurre la discesa in campo, in soccorso dei Troiani, delle Amazzoni al seguito della regina Pentesilea, si apre dunque un amplissimo excursus storico e geografico che occupa i vv. 23127-2335636: Co que terre e mer avirone / si com la Letre dit e sone, / est Ocean dreit apele. / En quatre parz est devise / li monde toz: c'est Orienz, / Meridies e Occidenz, / Septentrion; en 90 contient / li cercles qu'Abismes sostient. [...] C.o nos recontent li Traitie / e li grant Livre Historial, / qu'en la partie Oriental / est Amazoine37, terre grant: / oez, que nos trovons lisant. / De femmes est totehabitee: / detant com dure la contree, / n'ienterrahomanuljor. / Mais, si com dient li autor, / delez la terre pres assez / a un isle qui bien est lez: / seisante liues tient al meins; / de precios arbres est pleins / et derbes chieres speciaus. / Plains est li isles e eguaus / e delitos e riche e bei. / La vont contre le tens un grant rage. / Par merveillos tra'ison / oscist chescun son baron; / qui n'ot marri ocist son piere, / filz ou nevou, cosin ou frere...». [Un fatto straordinario avvenne a Lemno, / mai uomo o donna udi una cosa simile, / infatti le donne dell'isola con loro grande infamia, / escogitarono un grande crimine. / Con un incredibile delitto / ciascuna di loro uccise il suo sposo, / e chi non aveva marito uccise il padre, / il figlio o il nipote, il cugino o il fratello].». 34 Petit, La Reine Camille dans le "Roman d'Eneas", cit., pp. 5-40; Id., La reine Camille de V'Eneide" au "Roman d'Eneas", in R. Chevallier (a cura di), Colloque V epopee greco-latine et sesprolongements europeens: Calliopell, Les Belles Lettres, Paris 1981, pp. 153-166. 35 Sivedano inparticolare: C. Croizy-Naquet, Thebes, Troie et Carthage. Poetique de la ville dans le roman antique au Xlle siede, Champion, Paris 1994; V. Gontero, Parures d'or et des gemmes, l'orfevrerie dans les romans antiques du Xlle siede, Publications de l'Universite de Provence, Aix-en-Provence 2002; F. Mora-Lebrun, «Metre en Romanz» Les romans, d'antiquite du Xlle siede et leurposterite (Xllle-XlVe siede), Champion, Paris 2008. 36 L'edizione di riferimento e ancora quella curata da L. Constans, Le "Roman de Troie" par Benoitde Sainte-Maurepublie d'apres tous les manuscrits connus, 6 voll., Firmin Didot, Paris 1904-1912, da cui citiamo. Si veda anche Le Roman de Troie, Extraits du manuscrit de Milan, Bibliotheque ambrosienne, D 55, a cura di E. Baumgartner e F. Vielliard, Librairie Generale Francaise, Paris 1998. 37 Come rilevato da Constans (Le "Roman de Troie", vol. V, Notes, pp. 8, 17), l'autore confonde -come accadeva frequentemente nel Medioevo - l'Amazzonia, o paese delle Amazzoni con la terra di Femenie (nome che si dava a una regione abitata esclusivamente da donne, genericamente collocata oltre il Mar Rosso), di cui e regina Pentesilea. Troviamo questa confusione anche nel catalogo degli alleati di Priamo, (w. 6893-2900); notiamo inoltre come nel corso del romanzo la Regina della terra di Femenie sia prima identificata con l'amante del giovane greco Celidis (w. 8829 ss.), poi assimilata a Pentesilea (w. 23769,24059, 24169, 24430). 140 ITINERÁRI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO novel. / Bel s'atornent e richement: / precios sontlor vestement / de dras de seie a orbatuz; / noblement ontles cors vestuz. / Des questlimeis ďavrilentrez / desci que juinz sen est alez, / i sont a joie e a sojor. / Li horne des regnes entor / vienentaeles: c'estlorus. /Tresmeisisonteneientplus./ A mout grant joie les receivent: / adonc empreignent e conceivent. / Les plus beles, les plus preisiees / n'i sont eúes n'atochiees / se de ceus non qui ont valor / e qui plus ont pris e honor: / li plus vaillant as plus vaillanz. / Iluec aportent les enfanz / qui masle sont e ďeles né: / as peres sont iluec doné, / que ja un sol n'en retendront / ne plus dun an nel norriront; / les meschines, celes norrissent. / E quant 90 vient qu'il departissent, / tot ľan sont puis, ja de ses ieuz / nes verra hom, jovnes ne vieuz: / s'en lor terre meteit les piez, / sempres sereit toz detrenchiez. / D'eles i a mout grant partie / que ja a nul jor de lor vie / ne seront domes adescees / ne ja n'ierent despucelees. / Armes portent: mout sont vaillanz / e hardies e combatanz, / e en toz lieus en sont preisiees. / Avenu est li maintes feiees / que eisseinet de lor pais: / armes portent por aveir pris. [Ciô ehe circonda la terra e il mare, / cosi come la mia fonte afferma, / é correttamente chiamato Oceano. / In quattro parti é diviso / il mondo intero: ci sono Oriente, / Meridione, Occidente / e Settentrione. In questo insieme é contenuto / il mondo ehe gli Inferi sostengono. [...] Ci raccontano i trattati / e il grande libro di storia, / ehe nella parte orientale, / c'é ľAmazzonia, una grande regióne; / ascoltate cosa abbiamo trovato leggendo. / Da donne é interemente abitata / questa regióne in tutta la sua estensione, / non vi si stabilirá mai un uomo. / Inoltre, come dicono gli autori, / assai vicino a questa terra/ c'éun'isola cheémolto grande: / éestesaalmenosessantaleghe; / é piena di alberi pregiati /e di piante rare; /1' isola é tutta pianeggiante, / amena, ricca e bella. / Lá vanno le donne durante la bella stagione. / Si fanno belie e si adornano riccamente: / le loro vešti sono preziose, / di stoffe di seta ricamate ďoro / vestono nobilmente i loro corpi. / Dagli inizi di aprile / fino alia fine di giugno / lá stanno con piacere e in ozio. / Gli uomini dei regni circostanti / le raggiungono: é la loro usanza. / Vi trascorrono tre mesi e non di piú. / Con molta gioia queste li ricevono: / dunque rimangono gravide e concepiscono. / Le piú belle, quelle ehe hanno piú valore / non sono possedute né toccate / se non da coloro ehe sono valorosi / e ehe piú hanno pregio e onore: / chi ha piú valore va a chi ha piú valore. / Lá portano i fanciulli / di sesso maschile, nati da loro: / lá sono aŕfidati ai padri, / elle non ne terranno nemmeno uno / e non lo alleveranno per piú di un anno; alleveranno invece le femmine. / E quando giunge il momento delia partenza degli uomini /nessuna di loro per tutto il resto delľanno / ne vedrá piú uno con i suoi ocehi, giovane o vecehio. / Se un uomo nella loro terra mettesse i piedi, / sarebbe fatto a pezzi. / Tra loro ce n'é una gran parte / ehe in nessun giorno delia sua vita / sará adescata da uomini / e non perderá la sua verginitá. / Sono dedite alle armi; sono molto valorose, / ardite e guerriere; / in tutti i luoghi sono apprezzate. / É aceaduto molte volte / ehe elle uscissero dal loro paese: / combattono in cerca di gloria]. 141 MATTEO LUTI Come vediamo, non c e nessun riferimento a una geografia precisa: si evoca qui, con sensuale fascinazione, un Oriente lontano quanto favoloso, come incan-tata ě del resto l'isola, vero giardino delle delizie' dove si svolge il rituále di accop-piamento a cui si dedicano le Amazzoni, le quali, deposta ogni rudezza guerriera, appaiono agli occhi del narratore quasi creature di una specie esotica e rara38. Ma Benoit de Sainte-Maure si mostra di ben altro rigore quando, nella piú tarda Chronique des dues de Normandie (l 174), traspone in volgare la storia della dinastia ducale normannacimentandosi in una vasta compilazione storica39. Se il Roman de Troie abbondava di mirabolanti descrizioni, per trasmettere ai letto-ri l'idea di un passato evocato nella sua suggestiva lontananza, la seconda opera appare piu strettamente vincolata al rispetto e alio sfoggio di fonti autorevoli40. Riprendendo dunque il tema del precedente Roman, l'autore appare nella Chronique piu sensibile alia ricostruzione delle lontane origini dei popoli e, in un lun-ghissimo excursus, discetta sui costumi delle Amazzoni, nel quadro di un'ampia descrizione storico-geografica del mondo (1-256; 415-454)41: Itant savum bien [que li] munz / est tot igaus e toz roonz; / li granz Oceans l'avironne, / si com la lettre dit et sonne, / ausi com cercle en roonde[ce] / dum nus ne set [sa] parfondece. / Enmi le monde set la terre / que l'Ocean aclot e serre. / [•••] Itex est la formations / deu monde e la divisions / quequatreparzia, nonplus, / ce nos retrait Ysidorus: / e'est orient, meridiés / e Occident qui vient enprés, / septentrien: en ce s'estent / toz li cercles deu firmament. [...] A Ase tient tot en roont / les dous parties d'icest mont, / les autres parz, les deus parties / que vos avez ici oies. / Qui ci a toz demandemenz / e as grejos Lo stesso carattere di fiaba galante assumerä il tema amazzonico nella III brauche del Roman de Alexandre: M.S. La Du, E. Cooke Armstrong e A. Foulet (ed.), The Medieval French "Roman D'Alexandre'', vol. II, Princeton University Press-Les Presses universitaires de France, Princeton-Paris 1937, vv. 7226-7711 lasse 425-451. Cfr. G. Paradisi, Etnogenesi e leggenda troiana neiprimi storiografi normanni, in R. Brusegan e A. Zironi (a cura di), L'Antichitä nella cultura europea del Medioevo/L'Antiquite dans la culture europeenne du moyen age, Atti del convegno internazionale (Padova, 27 settembre-01 ottobre 1997), Reineke, Greifswald 1998, pp. 59-69; Ead., Lepassioni della storia, scrittura e memoria nell'opera di Wace, Bagatto, Roma 2002; Ead., Enrico II Plantageneto, i Capetingi e "ilpeso della storia", «Critica del Testo», VII (l), 2004, pp. 123-162. Lopera di Benoit ha inizio con la creazione, in seguito l'autore si sofFerma a descrivere le varie parti dell'ecumene, accompagnando il lettore in un itinerario che va della zona tropi-cale alle terre artiche, dalla fascia temperata alle piü familiari regioni dell'Europa cristiana. Viene poi raccontata la spartizione della terra tra i figli di Noe: Sem, Cam e Jafet, la nascita di Gog e Magog, la storia delle Amazzoni e la loro rivolta, la storia dei Goti, e l'emigrazione del popolo goto in Danimarca da cui giunsero i primi invasori nordici della Francia, tra cui Rollone (Rou), fondatore della dinastia ducale normanna. Cfr. F. Viellard, Benoit de Sainte-Maure etles modeles tardo-antiques de la description du monde, inL'Antichitä nella cultura europea delMedioevo, cit., pp. 70-71. 142 ITINERARI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO enqueremenz / que Ton li porreit ici faire / savreitmostrer, dire e retraire / com les mers vunt ne le contrees / ne com eles sunt habitees, / de quex oiseaus ne de quex jenz, / de quez bestes, de quex serpenz / ne les merveilles granz e fieres / dum el i a de mil manieres: / ou sunt les pierres principaus / ne saveir por q'eus suntitaus / ne si diverses de colors. / Nepor queiles chosses menors / prennent e veinquent les plus granz; / qui ci sereit par tot saichanz / moct li fereit buen demander, / buen aprendre buen escouter... [in una sorta di compendio di storia universale si ripercorrono le tappe della civilta a partire dall'eta biblica, con la discendenza dei figli di Noe. Si passano dunque in rassegna le origini dei vari popoli della terra fino ad arrivare alia popolazione guerriera dei Sarmati, identificati con i progenitori di Goti, presso i quali accade un fatto straordinario: le mogli di questi combattenti, abbandonate per lungo tempo dai mariti, impegnati nella guerra contro gli Egiziani, decidono di lasciare le loro case dando origine alia societa matriarcale delle Amazzoni] E celes, qui point n'esteit bel, / pristrent entr'eus conseil novel, / pesme, dum trop se desleierent, / quelormariz deu totlaisserent. / Tex fu lor estaiblissemenz / que d'eus n'iert mais ajostemenz / od homme nul qui od eus maigne / ne qui demuert en lor compaigne; / isieu firent, e isieu tendront / toz les jorz mais qu'eles vivront. / Deus reines firent des lor, / qui moct erent de grant valor: / ce fuLampete eMarpessen, / qui moct orentproece e sen. / Plusors des nobles, des vaillanz, / forz, hardies e combattanz / eslurent mestres e pricesses / e a cez deus ajuerreses. / Les mameles destre se coistrent / qu'avis lor fu qu'eles lor nuistrent / a lor jenz cors sovent armer, / a armes prendre e a porter, / a traire d'arz e a lancer / les trenchanz gaveloz d'acer. / Cestes dames amazoneises, / qui moct furent proz e corteises, / envairent puis par cenz anz / Europe, qui si est granz, / que les contez e les reiaumes, / les provinces e les ducheaumes / sozmistrent puis a lor danger / au fer trenchant e a l'acier. / Par tot ala lor seignorie, / tex merveille ne fu oie. / D'eles neu vuil plus maintenir, / mais qui lor faiz voudreit oir / si Use l'estoire des Goz, / qui moct est plus granz que les noz; / iloc orra lor ovre entiere, / qui moct i est granz e pleniere. Di certo sappiamo che il mondo / e tutto uniforme e tutto rotondo; / il grande Oceano lo circonda / cosi come afferma la mia fonte, / e fatto a mo' di cerchio rotondo / di cui non si conosce la profondita. / Al centro del mondo si trova la terra / che l'oceano circonda e racchiude. [•••] Questa e la conformazione / del mondo e la divisione, / il quale e formato da quattro parti e non di piu, / questo ci dice Isidoro: / sono Oriente, Meridione, / segue Occidente / e Settentrione: in queste sono comprese / tutte le sfere del firmamento. [•••] LAsia occupa tutt'intorno due parti di questo mondo, / le altre parti, le due / di cui avete sentito parlare. / Chi a tutte le domande / e alle piu grandi richieste / che si potrebbero fare a questo punto / sapesse mostrare, dire e descrivere / 143 MATTEO LUTI come i mari penetrino nelle terre; / come queste siano abitate / da quali ucceli, da quali popolazioni, / da quali bestie, da quali serpenti; / oppure le meraviglie grandi e terribili, / di cui esistono tantissime varieta; / dove si trovino le pietre piú importanti / e perché siano tali / e cosi diverse di colore; / o sa perché le cose piú piccole / přendáno il sopravvento sulle piú grandi; / a colui che sapesse tutte queste cose/ sarebbe bene domandare molto, / appendere e ascoltare con attenzione. / [•••] E quelle, che non erano per niente soddisfatte, / presero tra di loro un proposito nuovo, / pessimo, per cui agirono molto slealmente / e tutte lasciarono i loro mariti. / Questa fu la loro decisione /cosi che da parte loro non ci sará mai alcuna riconciliazione / conunuomo che con loro viva / o che dimoriinloro compagnia, / cosi fecero e cosi faranno / per tutta la loro vita. / Tra loro elessero due regine, / che erano di gran valore: / furono Lampete e Marpessa, / che ebbero molto coraggio e senno. / Molte tra le nobili e valorose / forti, ardite e combattenti / scelsero condottiere e principesse / come aiutanti a queste due. / Si recisero il seno destro / perché secondo loro era d'impedimento / nelľarmare il loro bel corpo, / nel prendere e portare armi, / nel tirare d'arco e nello scagliare / i micidiali giavellotti d'acciaio. / Queste donne chiamate Amazzoni / che furono molto prodi e cortesi / invasero poi per cento anni / l'Europa che ě cosi grande, / cosi che le contee e i reami, / le province e i ducati / sottomisero con danno / con ľuso delia spadá e delle armi. / II loro dominio si estese ovunque, / mai fu udita una cosa cosi straordinaria. / Di queste non voglio piú parlare, / ma chi volesse udire i loro fatti / legga la storia dei Goti, / che ě molto piú ampia della nostra; / lá troverá tutte le loro gesta / che vi sono descritte in maniera diffusa e completa. Benoít mostra la serietá con cui ě stata affronta questa sezione 'scientifica' della sua compilazione, servendosi di opere che godevano di comprovata autorita, come i manuáli imprescindibili di Plinio, Solino, Orosio e Isidoro di Si-viglia42. Dunque anche nelle opere delľautore francese le Amazzoni possono La stessa ricostruzione ě ofFerta da Brunetto Latini nel Tresor I, 30 Dou reingne des fernes. Ricordiamo che il Tresor godette di ampia circolazione nel Regno angioino sia in francese sia tradotto in napoletano. Altri riferimenti alle Amazzoni si trovano in testi enciclopedici di larga difFusione come Ylmago Mundi di Onorio di Autun (Honorius Augusto dunensis. Imago Mundi, a eura di V. I. J. Flint, «Archives ďhistoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 49,1982:18. De regionibus orientis, 19. Asya); le due redazionidel Chronicon maius di Isidoro di Siviglia (Isidoři Hispalensis Chronica, a eura di J. C. Martin, Brepols, Turnhout 2003, § 93, pp. 54-55) e i suoi volgarizzamenti, come quello francese diprovenienza napoletana, o la tra-duzione toscana traseritta dal celebre copista del Novellino. Notiamo che, oltre alla frequen-tazione degli stessi generi letterari, un'altra caratteristica accomuna Boccaccio alťestensore del Libro di Novelle: entrambi leggevano Ylmago mundi di Onorio di Autun (che il primo ha copiato in traduzione alle cc. volg. cc. 56v-76v del Magi. XXXVIII127, e che Bocaccio cita frequentemente nella Genealogia) in unaversione circolante con 1'attribuzione a un Anselmo arcivescovo / Anselmus (cfr. M. Luti, Un nuovo volgarizzamento del Chronicon maius di Isidoro di Siviglia [Firenze, BNC, Magi. XXXVIII 127], «Carte romanze», Universita di Milano, 144 ITINERÁRI AMAZZONICI IN BOCCACCIO: IL RETROTERRA ROMANZO essere oggetto di due differenti livelli di trattazione: piú libera e svincolata nel genere romanzesco, piú séria e dettagliata, con esibizione di precisi riscontri, nelľopera storiografica. Le indagini sul possibile retroterra romanzo non ci esimono dalľaccennare, in chiusura, al dibattuto problema delia conoscenza da parte del Boccaccio dei classiď delia letteratura francese delia sua epoca: il determinare in ehe misu-ra e in quale modalita il Nostro conoscesse la narrativa francese del XII seco- 10 ě ancora (e forse resterá) diŕEcile da determinare con precisione. Tuttavia ě ormai acclarata la sua onnivora disponibilita a servirsi di materiali eterogenei, in cui ľinsistita contaminazione tra fonti diverse si accompagna a una loro ra-dicale ricontestualizzazione43. Al contempo ě innegabile una consonanza spirituále' tra Boccaccio e la cultura galloromanza, come prováno i testi copiati di suo pugno44; ma ě soprattutto la visione stessa dell'Etá antica ehe trapela dalla produzione di Bocaccio a essere in sostanza ancora quella definita dai Romanzi del XII secolo. Una suggestiva immagine ehe permette di visualizzare con eŕE-cia questo orizzonte culturale, e ehe mi piace ricordare in chiusura, si trova nel Filocolo (11.32.1-4), dove la rappresentazione delia Classicitá, plasmata dai bas-sorilievi ehe decorano le marmoree pareti delia sala regia del palazzo di Felice ě perfettamente coincidente con quella consegnata al Medioevo dai romanzi di matéria antica. Qui si vedono infatti «ne' rilucenti marmi intagliate ľantiche storie» tra cui spiccano «la dispietata ruina di Tebe, e la fiamma dei due figliu- 011 di Iocasta, e ľaltre erudeli battaglie fatte per la loro divisione, insiememen-te con luna e con ľaltra distruzione delia superba Troia. Né vi mancava aleuna delle gran vittorie del grande Alessandro». Bibliografia C. Alessio e C. Villa, II nuovofascino degli autori antichi tra i secoliXIIeXIV, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (a eura di), Lo spazio letterario di Roma antica. III: La ricezione del těsto, II, Salerno, Roma 1990, pp. 473-488. Alfano G., D'Urso M.T., Perriccioli Saggese A. (a eura di), Boccaccio angioino. Materiali per la storia culturale diNapoli nel Trecento, Peter Lang, Bruxelles 2012. Alfano G. et al. (a eura di), Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, Atti del convegno Boccaccio angioino. Per il VII Centenario delia nascita di Giovanni Boccaccio (Napoli-Salerno, 23-35 ottobre 2013), Franco Cesati, Firenze 2014. Angeli G., Ľ"Eneas" e iprimi romanzi volgari, Ricciardi, Napoli-Milano 1971. VII (l),2019,pp. 11-59: p. 15, n. 3). Perle attribuzioni spurie a cui era di frequente soggetta ľoperetta di Onorio si veda Ciccuto, Meraviglie d'Oriente, cit., pp. 100-102, in part. p. 101, n. 91. 43 Si cita il capitolo di A. Mazzucchi dedicato al Filocolo in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 67-74, alla p. 69. 44 Cfr. F. di Benedetto, Presenza di testi minori negli "Zibaldoni", in M. Picone e C. Cazalé-Bérard (a eura di), Gli Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, serittura, riserittura, Atti del Seminario inter-nazionale (Firenze-Certaldo, 26-28 aprile 1996), Cesati, Firenze 1998, pp. 13-28. 145 MATTEO LUTI Barbieri L., Le «epistole delle dame di Grecia» nel "Roman de Troie" in prosa, Francké, Tübingen-Basel 2005. Baumgartner E., De l'histoire de Troie au livre du Graal: le temps, le récit (Xlle-XIIIe siécles), Paradigme, Orleans 1994. Bejczy I., Heijkant M-J., Ii prete Gianni e le Amazzoni: Donne in un'utopia medievale (secondo la tradizione Italiana), «Neophilologus», 79,1995, pp. 439-449. 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La figura di Petrarca, superiore e autorevole, compare spesso nelle opere boccacciane: nei passi di De casibus VIII1 e De montibus VII126, per esempio, egli compare come personaggio; in Genealógia XV 6, 11 e nella voce Sorgia di De montibus III 114 se ne tratteggia il ritratto3. In passato sono stati spesso evi- Vorrei ringraziare la prof.ssa Carla Maria Monti per la guida paziente e scrupolosa con cui mi ha accompagnato nella stesura del presente contributo. 1 Per una rapida ma completa panoramica cfr. CM. Monti, Boccaccio e Petrarca, in Boccaccio autore e copista, catalogo della mostra tenutasi alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, 11 ottobre 2013-11 gennaio 2014, a eura di T. De Robertis, C. M. Monti, M. Petoletti, G. Tanturli, S. Zamponi, Mandragora, Firenze 2013, pp. 33-40. 2 CM. Monti, Boccaccio «itineris strator» del Petrarca, «Studi sul Boccaccio», 46, 2018, pp. 1-11. 3 Si fa riferimento all'edizione di Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a eura di V. Branca, 10 voll., Mondadori, Milano, 1967-1994, in particolare: Genealogie deorum gentilium, a eura di V. Zaccaria, 1998, voll. VII-VIII; De montibus, a eura di M. Pastore Stocchi, 1998, vol. VIII; De casibus virorum illustrium, a eura di P.G. Ricci e Zaccaria, 1983, vol. IX; De Chiara Ceccarelli, Catholic University of Sacra Cuore, Italy, chiaraceccarelli94@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Chiara Ceccarelli, Boccaccio erudito e il prologo del «De viris illustribus» petrarchesco, pp. 149-163, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.09, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Atta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 CHIARA CECCARELLI denziati i 'debiti' di Boccaccio nei confronti dell'amico - la cui produzione post 1351 fu fortemente influenzata dall'Aretino4. Riesce difficile, infatti, non notáre gli influssi petrarcheschi nell'ideazione delle opere boccacciane della maturita: a una raccolta di biografie di uomini illustri come il De viris illustribus corrisponde una selezione di biografie di mulieres clarae dell'antichitá; la raccolta di egloghe boccacciane, il Buccolicum carmen, riprende il Bucolicum carmen petrarchesco, tanto nel genere quanto nel titolo stesso dell'opera5. L'influenza di Petrarca su Boccaccio si avverte spesso anche a livello microtestuale, con echi e riprese piu o meno espliciti delle sue opere o delle sue lettere. L'indagine degli influssi petrarcheschi, giá percorsa da altri studiosi6, non ě tuttavia conclusa, anzi, risul-ta ancora foriera di novitá. Mostrerô in questa sede quanto e in quali termini il prologo del De viris illustribus petrarchesco influisca sui prologhi e gli epiloghi delle opere erudite di Boccaccio, presentando alcune analogie ehe non erano state evidenziate in precedenza. Quest'opera petrarchesca ebbe una gestazione complessa, fatta di interru-zioni e ripensamenti, che portarono l'autore a modificare nel tempo il proget-to iniziale7. Cominciata attorno al 1338 e ripresa nel 1341-1343 con la stesura di biografie di uomini dell'antica Roma, essa conobbe un secondo stadio re-dazionale a Valchiusa negli anni 1351-1353; quest'ultimo, dotato di una pre-fazione (Prefazione B) e portatore di una prospettiva universale, prevedeva la composizione di dodici vite da Adamo a Ercole. Boccaccio conobbe con ogni probabilita il progetto petrarchesco nell'incontro milanese con l'amico nel 1359 e ne trasse ispirazione per il De mulieribus claris. Tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, su richiesta di Francesco da Carrara, Petrarca pose di nuovo mano all'opera, con un ambizioso programma che prevedeva trenta- mulieribus claris, a cura di Zaccaria, 1967, vol. X. Per il De viris illustribus petrarchesco si fa riferimento all'edizione F. Petrarca, De viris illustribus. Adam-Hercules, a cura di C. Malta, Universita degli studi di Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, Messina 2008 per il prologo in redazione B e a F. Petrarca De viris illustribus, a cura di S. Ferrone, Le Lettere, Firenze 2006, vol. I (che riprende il testo critico di De viris illustribus, a cura di G. Martellotti, Sansoni, Firenze 1964) per la redazione A. Primo fra tutti G. Billanovich, Petrarca letterato. I. Lo scrittoio del Petrarca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1947. Il primo modello per la produzione bucolica di Boccaccio era stato pero la corrispon-denza fra Dante e Giovanni del Virgilio, che il Certaldese trascrisse nel suo Zibaldone Laurenziano (ff. 67v-72v). Cfr. A. Piacentini, Buccolicum carmen, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 203-208; S. Lorenzini, La corrispondenza bucolica tra Giovanni Boccaccio e Checco di Meletto Rossi. Legloga di Giovanni del Virgilio ad Albertino Mussato, Olschki, Firenze 2011, pp. 18-27. Alcune influenze petrarchesche sul Boccaccio latino sono state evidenziate da V. Zaccaria, Presenze del Petrarca nel Boccaccio latino, «Lectura Petrarce», 7, 1987, pp. 245-266, ora in Id., Boccaccio narratore, storico, moralista e mitografo, Olschki, Firenze 2001, pp. 156-175. Per la cronologia dell'opera vd. V. Fera, I «jragmenta de viris illustribus» di Francesco Petrarca, inj. Kraye, L. Lepschy (eds.), Caro Vitto: essays in memory of Vittore Branca, The Warburg Institute, London 2007, pp. 101-132, che riunisce e aggiorna le riflessioni di Martellotti. 150 BOCCACCIO ERUDITO E IL PROLOGO DEL DE VIRIS ILLUSTRIBUS PETRARCHESCO sei vite, da Romolo a Traiano. In questi anni infatti, oltre a lavorare al corpo e alia struttura dell'opera, egli compose anche una nuova prefazione dedicata al signore di Padova (Prefazione A), simile nel contenuto ma piu sintetica ri-spetto alla precedente. Durante la visita padovana del 1368 non si puö esclu-dere che Boccaccio avesse avuto di nuovo accesso alio scritto - o almeno a ciö che a quell'epoca era giá pronto - anche in questo terzo stadio redazionale8. La conoscenza del De viris petrarchesco (nella redazione 1351-53), come si diceva, ispirö la composizione del De mulieribus, una raccolta di biografie di donne illustri delľantichitá intrapresa non prima dell'estate del 13619. Boccaccio stesso, nelle prime righe del proemio dell'opera, afferma che in passato al-tri autori scrissero biografie di uomini illustri e che, nel tempo presente, si sta accingendo alia stessa impresa il suo preceptor Petrarca: Scripsere iam dudum non nulli veterum sub compendio de viris illustribus libros; et nostro evo, latiori tarnen volumine et accuratiori stilo, vir insignis et poeta egregius Franciscus Petrarca, preceptor noster, scribit; et digne (De mul, Proh.,í). Ii Certaldese apre la sua opera all'insegna del nome - e dell'opera - del suo maestro; ciö, oltre a essere assai indicativo della devozione nei suoi con-fronti, mostra come il progetto sotteso al De viris petrarchesco fosse davve-ro lo spunto per l'ideazione del De mulieribus: partendo dalla constatazione che solo gli uomini illustri sono stati in passato oggetto di trattazione, sua in-tenzione ě quella di rivolgere l'attenzione alle donne virtuose. L'operazione che Boccaccio si accinge a compiere nel De mulieribus ě sul modello anche di quella petrarchesca, come emerge dalle dichiarazioni di metodo presenti nei rispettivi prologhi: a. I due autori mirano a raccogliere in unum le biografie di personaggi illustri10. b. Le biografie dovranno avere valore esemplare e proporre modelli da seguire o da e vit are11. c. Lopera dovrá essere al contempo utile e godibile, secondo il principio ora-ziano del miscere utile dulci12. 8 Cfr. V. Branca, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Sansoni, Firenze 1977, p. 162. 9 Vd. Zaccaria, Boccaccio narratore, cit., p. 3. 10 «Ulustres itaque viros [...] colligere locum in unum et quasi quodammodo constipare arbitrates sum», De viris, Proh. B, 8; «Venit in animum ex his quas memoria referet in glorie sue decus in unum deducere», De mul, Proh., 4. 11 «Hic enim, nisi fallor, fructuosus ystorici finis est, ilia prosequi que vel sectanda legentibus vel fugienda sunt, ut in utranque partem copia suppetat illustrium exemplorum», De viris, Proh. B, 33; «Verum, quoniam extulisse laudibus memoratu digna et depressisse increpatio-nibus infanda non nunquam, non solum erit hinc egisse generosos in gloriam et inde ignavos habenis ab infaustis paululum retraxisse [...]», De mul., Proh.,7. 12 «Nec vero me tanta in re segnem atque attenuatam operam consumpsisse profiteor, ut et prodessem simul ac placerem», De viris, Proh. B, 30; «[...] et sic fiet ut, inmixta hystoriarum delectationi, sacra mentes subintrabit utilitas», De mul., Proh.,7. 151 CHIARA CECCARELLI d. Entrambi preferiscono trattare illustri antichi e non personaggi contempo-ranei, data la corruzione e la scarsa moralita imperanti nei tempi presenti13. e. La loro opera, infine, non ě esaustiva: essi ammettono di aver necessariamen-te tralasciato alcuni personaggi a causa deWinfinita rerum magnitude- per Pe-trarca, del tempus triunphatorfame per Boccaccio14. Le riprese boccacciane, sempre di carattere programmatico, non sono mai letterali e, se non fosse l'autore stesso a mettere in relazione la propria opera con quella dell'Aretino, si potrebbe anche ascrivere le somiglianze contenutistiche a una comune topica degli inizi. Le analogie, d'altro canto, non si arrestano al prologo: ě stato dimostrato ehe la biografia di Semiramide, unico personag-gio comune al De viris del 1351-53 e al De mulieribus, ě fortemente debitrice dell'opera petrarchesca tanto nella struttura quanto nelle fonti utilizzate15. Date queste premesse, ci si aspetterebbe che le analogie piu stringenti fos-sero rilevabili tra i prologhi di De viris e De mulieribus, ma cosi non ě. II prologo del De viris petrarchesco dialoga in modo molto piu serrato con i prologhi e gli epiloghi di Genealógia e De montibus, al centro della cui riflessione stanno pro-fonde dichiarazioni di metodo filologico. I due autori ebbero modo di confron-tarsi spesso, per via epistolare o di persona durante i loro incontri, su problemi di ordine storico-letterario e su questioni filologiche di notevole importanza nella composizione di opere compilative erudite. Gli esiti dei loro colloqui trovano accoglienza nelle pagine incipitarie e conclusive dei loro scritti. Prima dipassare al confronto sinottico, pero, ě necessario fornire qualche coordinata temporale anche per le opere boccacciane. Una prima stesura della Genealógia doveva essere pronta nel 1365, in modo tale da essere trascritta tra il 1365 e il '70 in uno scartafaccio perduto - da cui fu poi tratto il codice autografo, l'attuale Laurenziano Pluteo 52.9, che rappresenta la prima redazione (A) del testo16. Boccaccio portô con sé il co-dice nel suo viaggio a Napoli nel 1370-1371 e lo lasciô in deposito a Ugo di Sanseverino, pregandolo di non diffonderlo; il manoscritto passô invece nelle mani di Pietro Piccolo da Monteforte, amico di Boccaccio, che vi appose Perbrevitä, bastiilrimando aDe viris, Proh. B, 9-11; De mul., Cond., 1-2. De viris, Proh. B, 21; De mul., Cond., 1-2. Petrarca, De viris illustribus. Adam-Hercules, pp. CXCI-CCXXIX. Allontanandosi dal De viris, ě stata notata un'altra possibile influenza di Petrarca sull'opera boccacciana: la FamiliareX.X.1 8, scrittanel maggio del 1358 e diretta all'imperatrice Anna, moglie di Carlo IV di Boemia, raecoglie e tratteggia 31 biografie di mulieres clarae; ben 26 di queste donne sono trattate anche da Boccaccio nel De mulieribus. Una prova della dipendenza delle biografie boccacciane da quelle petrarchesche sarebbe la vita di Ipsicratea: Boccaccio utilizza come fonte la Farn. XXI 8, 9 nel De mulieribus, Valerio Massimo (Factorum et dictorum memorabilium libri, IV 6 ext. 2) nella Consolatoria a Pino de' Rossi. Cfr. E. Filosa, Petrarca, Boccaccio e le «mulieres clarae»: dalla «Famiiiare» 21, 8 al «De mulieribus claris», «Annali dTtalianistica», 22,2004, pp. 381-395, orainld., Tre studi sul «De mulieribus claris», LED, Milano2012, pp. 51-59. S. Fiaschi, Genealógia deorum gentilium, in Boccaccio autore e copista, cit., p. 172. 152 BOCCACCIO ERUDITO E IL PROLOGO DEL DE VIRIS ILLUSTRIBUS PETRARCHESCO note e correzioni, per poi essere rinviato alľautore nel 137217. II Certaldese continuô a lavorare sulľopera da allora fino alla morte, giungendo quindi alla redazione definita Vulgáta' (Vulg.), con l'introduzione di alcuni aggiu-stamenti e delle correzioni segnalate dal giurista e ľeliminazione di parti ri-tenute superflue18.1 cambiamenti intercorsi fra A e Vulg. interessano il corpo delí'opera, lasciando invariati invece i luoghi incipitari e conclusivi; il prolo-go e ľepilogo delia Genealógia, pertanto, erano giá pronti nel 1370, anno in cui Boccaccio si recô a Napoli con ľopera completa. Anche la datazione del De montibus ě piuttosto fluida: ě ragionevole pensare ehe il nueleo originario dell'opera si collochi negli anni 1355-1360, in parallelo alla composizione delia Genealógia, a seguito delia conoscenza di Plinio e dei geografi antichi ottenuta grazie a Petrarca19. Per la vicinanza di temi trattati, il prologo e ľepilogo del De montibus furono probabilmente composti nello stesso torno di tempo di quelli delia Genealógia, a costituire un dittico erudito teso alla com-prensione del mondo antico20. Al fine di mostrare la comunanza di pensieri dei due amici, le due opere boc-cacciane verranno ora messe a confronto con la prima redazione del prologo petrarchesco, ehe fu conosciuta con ogni probabilita dal Certaldese in occa-sione delľincontro milanese del 1359 e utilizzata per il prologo del De mulie-ribus. Dagli elementi raccolti finora non si puô essere čerti, invece, ehe questi avesse visto anche la seconda redazione del prologo, poiché non ě sieuro ehe alľaltezza delľincontro padovano del 1368 questafossegiá statacomposta. II prologo A, del resto, ě a tutti gli effetti una riduzione del B, ne condivide molti argomenti e mantiene alcuni bráni quasi totalmente inalterati. In particolare, i passi interessati nel confronto sinottico sono tutti presenti, pressoché invariati, in entrambe le redazioni. Non ě quindi possibile sbilanciarsi con certezza a favore delľuno o delľaltro prologo petrarchesco: se ě vero ehe per un motivo cronologico ě piú probabile ehe il Certaldese abbia attinto alla prima redazione, ě altrettanto vero ehe le riprese boccacciane sembrano riferirsi in modo piú stringente alla seconda, dal momento ehe in quesťultima non c'e pensie-ro, o quasi, del prologo A ehe non venga riproposto anche dal Boccaccio. Solo un paio di elementi presenti nel testo B ma non nell'A, comuni al Certaldese non tanto per somiglianze microtestuali, quanto perché inseriti in un discor-so piú ampio, avvicinerebbero con piú sieurezza Boccaccio a questa prima fa- G. Billanovich, Pietro Piccolo da Monteforte tra il Petrarca e il Boccaccio (1955), in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, Sansoni, Firenze 1955, pp. 1-76, ora in Id., Petrarca e ilprimo umanesimo, Antenore, Padova 1996, pp. 459-524. Fiaschi, Genealógia deorumgentilium, cit., pp. 172-173. C.M. Monti, De montibus, in Boccaccio autore e copista, cit., p. 181. La comunanza di temi presenti nel prologo delia Genealógia e nelľepilogo del De montibus, ehe permette di ipotizzare ľunitarietä del progetto sotteso alle Stesse, é stata mostrata da C.M. Monti, La «Genealogia» e il «De Montibus»: due parti di un unico progetto, «Studi sul Boccaccio», 44, 2016, pp. 327-366. E proprio ammettendo questa unitarietä ehe si puô intraprendere un confronto fondato con il De viris petrarchesco. 153 CHIARA CECCARELLI se testuale. Al contrario, vi ě un solo elemento riscontrato nel testo Ama non nel B, che sembra essere rilevante anche per il Certaldese. Le questioni affrontate dai due amici, che saranno analizzate piu minuta-mente, vertono soprattutto su aspetti filologici e compositivi e sulla dirficol-tá di reperimento di fonti antiche fededegne. Si fornirá in nota, ove diverso, il testo A. 1. Entrambi gli autori lamentano la diŕEcoltá nel raccogliere il materiále utile alla composizione dell'opera, dal momento che le informazioni sono sparse in un infinito numero di volumi di difficile reperibilitá. Ii loro progetto, di conseguenza, sará quello di radunare in un unico corpus ciö che si trova disperso in molti autori e libri diversi. L'espressione coUigere fragmenta uti-lizzata da Boccaccio assume inoltre una rilevanza simbolica, di ascendenza evangelica. Gesu, dopo aver compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e aver sfamato molti fedeli, esorta gli apostoli a raccogliere quanto avanzato aŕfinché nulla vada perduto con le parole: «Colligite quae su-peraverunt fragmenta ne quid pereat» (io., 6, 11-13)21. Anche Petrarca aveva utilizzato la stessa locuzione - riprendendola perö dalle Confessiones agosti-niane22 - nella Farn. X 1, 7 e nella XIII 6, 223 e, in modo ancora piu significa-tivo, nella conclusione del Secretum (III 18,5): «Adero michi ipse quantum potero, et sparsa anime fragmenta recolligam, moraborque mecum sedulo»24. Al termine fragmenta lAretino era cosi affezionato da utilizzarlo spesso nella sua produzione25 e, soprattutto, da accoglierlo nel titolo della sua raccolta poetica volgare26. CM. Monti, I darmi della tradizione, l'umiltä dell'imperfezione: Boccaccio, la filológia e ilpub-blico, in S. Costa, F. Gallo, M. Petoletti, S. Martineiii Tempesta (a cura di), Filológia e societa, Biblioteca Ambrosiana-Centro Ambrosiano, Miláno 2020 (Ambrosiana Graecolatina, 11), pp. 133-152. R. Antognini, Ii progetto autobiografico delle «Famiiiares» di Petrarca, LED, Milano 2008, pp. 59-60, cita Confiessiones II 1,1; ma si veda anche Confi. X, 18. Farn. X 1, 7 (a Carlo IV re di Boemia, 1351): «[•••] Nullus igitur ignavie locus est, ut ad nu-tum cuncta succedant; magnum fuerit tantarum ľeľum jragmenta colligere»; Farn. XIII 6, 2 (a Francesco Nelli, 1352): «Interim ergo ne inanis rusticatio mea sit, cogitationum con-sumptarum jragmenta recolligo, ut omnis dies, si fieri possit, aut aliquid maioribus ceptis adiciat aut minutum aliquid absolvat». F. Petrarca, Le Familiari, a cura di V. Rossi, Sansoni, Firenze, vol. II (1934), p. 279 e vol. III (1937), p. 72. F. Petrarca, Secretum, a cura diE. Fenzi, Mursia, Milano 1992, p. 282. M. Feo, «Fragmenta». Gli avanzi della mensa di Dante, «Studi petrarcheschi», n.s., 27, 2014, pp. 1-46. Alle pp. 38-46 l'autore raccoglie una nutrita serie di attestazioni del termine jragmenta sia alľinterno della produzione petrarchesca che nella letteratura successiva, nella quale tuttavia mancano le numerose occorrenze in Boccaccio. Sulproblema del titolo del Canzoniere petrarchesco cfr. P. Vecchi Galli, Onomasticapetrarchesca. Per il «Canzoniere», «Italique», 8, 2005, pp. 27-44. Ii titolo autoriale (nella forma Fragmentorum liber) compare anche nella copia autografa di Boccaccio, Vat. Chig. L V 176, f. 43v. 154 BOCCACCIO ERUDITO E IL PROLOGO DEL DE VIRIS ILLUSTRIBUS PETRARCHESCO Illustres itaque viros, quos excellenti qua-dam gloria floruisse doctissimorum ho-minum ingenia memorie tradiderunt, eorumque laudes, quas in diversis libris tan-quam sparsas ac disseminatus inveni, colligere locum in unum et quasi quodammodo con-stipare arbitratus sum (De viris, Proh. B, 8)27. Ordinem quisque et dispersorum conge-riem advertat et quod fideliter affeci gra-to animo suscipiat, sin eleganter quoque gratissimo, cogitans me, ut sibi querendi preriperem laborem, colligendi molestiam suscepisse. Namque ea que scripturus sum, quamvis apud alios auctores sint, non tarnen ita penes eos collocata reperi-unt (De viris, Proh. B, 14-15)28. Undique in tuum desiderium, non aliter quam si per vastum litus ingentis naufragii jragmenta colligerem sparsa, per infinitafere volumina deorum gentilium reliquias colli-gam, quas comperiam, et collectas evo dimi-nutas atque semesas et fere attritas in unum genealogie corpus, quo potero ordine, ut tuo fruaris voto, redigam (Gen. I, Proh. I, 40). Vagantur igitur tarn deorum quam pro-genitorum nationes at nomina, huc illuc dispersa per orbem. Habet enim liber hic ex his aliquid, et aliquid liber alter (Gen. I, Proh. I, 32). Ě interessante notare la vicinanza dei termini adoperati dai due amici: Petrarca afferma di voler colligere locum in unum le informazioni reperite tramite la sua ri-cerca; Boccaccio, in modo del tutto analogo, vorrebbe colligere i frammenti della cultura antica giunti fino al suo tempo e redigere in unum corpum i risultati delle sue ricerche sulle genealogie degli dei antichi. Ii verbo colligere era divenuto termine 'tecnico' presso gli enciclopedisti medievali per indicare la raccolta e la giu-stapposizione di materiali29. Ě significativo, oltre l'utilizzo di tale verbo, il comune proposito di riunire la molteplicitá delle informazioni reperite in un unico luogo, presente in entrambi gli autori con una leggera variazione terminologica30. «Illustres quosdam viros quos excellenti gloria floruisse doctissimorum hominum ingenia memorie tradiderunt, in diversis voluminibus tanquam sparsos ac disseminatus, rogatu tuo, plaustrifer insignis qui modestissimo nutu inclite urbis Patavine sceptra unice geris, locum in unum colligere et quasi quodammodo stipare arbitratus sum», De viris, Proh. A, 1. «Ordinem quisque et dispersorum congeriem advertat. Namque ea que scripturus sum, quamvis apud alios auctores sint, non tarnen ita penes eos collocata reperiuntur [...]», De viris, Proh.A, 3. Cfr. Vincenzo di Beauvais, Speculum maius, prohemium; Giovanni di Galles (Treccani), Compendiloquium, prohemium; pseudo-Burley, Liber de vita et moribus, prohemium. Vincen-tius Bellovacensis, Speculum quadruplex, sive Speculum maius: naturale, doctrinale, morale, historiale, Akademische Druck- u. Verlagsanstalt, Graz, 1964-1965, col. 1 (ripr. facsim. ed. Duaci, ex OfEcina typographica Baltazaris Belleri, 1624). Non esistendo edizioni critiche moderne di Giovanni di Galles, si rimanda all'incunabolo Iohannes Gallensis, De regimine vitae humanae seu Margarita doctorum, G. Arrivabene, Venetiis 1496 (ISTC ij00333000), pp. 180-182. Walter Burley, Liber de vita et moribus philosophorum, herausgeben von H. Knust, Tübingen 1886. Questa pratica era diffusa fra gli storici del XIII secolo, che nei loro prologhi utilizzavano espressioni come in unum corpus redigere, oppure uno volumine coartare, o ancora in unum congerere. Cfr. B. Guenee, Lo storico e la compilazione del XIII secolo, in C. Leonardi e G. 155 CHIARA CECCARELLI Un altro aggancio lessicale ě costituito dall'utilizzo dei medesimi attribu-ti relativi alia dispersione dei dati. Dove Petrarca afferma di aver trovato le in-formazioni sulle vite degli uomini illustri «in diversis libris tanquam sparsas ac disseminatas», Boccaccio si propone di colligere gli sparsa fragmenta dell'anti-chitá «per infinita fere volumina»; dove il maestro avverte di prestare attenzione alia «dispersorum congeriem», il discepolo lamenta che nationes e nomina degli dei e delia loro progenie giacciono «huc illuc dispersa per orbem». Non solo ľutilizzo comune degli aggettivi sparsus e dispersus, ma anche l'accenno al grande numero di volumi consultati - per quanto presente giá nella lettera dedicatoria all'imperatore Tito della Naturalis história pliniana31 - segnalano la vicinanza dei due scritti ed esprimono le difřicoltá dei due amici, impegnati con le loro opere a porre rimedio alia dispersione della conoscenza, ognuno nel proprio ambito di interesse. Nel processo di raccolta e sistematizzazione della grande quantitá di infor-mazioni reperite gioca un importante ruolo la disposizione di queste secondo un ordine razionale, problema che coinvolge entrambi gli autori32. Petrarca esorta il lettore a notare l'ordine («ordinem quisque... advertat») in cui ha disposto i fatti narrati, dal momento che in nessuna opera da lui consultata essi compa-iono cosi sistemati; Boccaccio, a sua volta, afferma di voler ridurre in un unico corpus le genealogie degli dei nell'ordine in cui potrá («quo potero ordine»), per appagare il desiderio del committente delľopera. 2. Non esistono libri completi di tutte le informazioni necessarie, ma queste ul-time andranno desunte da questo o da quel volume («quedam enim que apud unum desunt ab altero mutuatus sum» per Petrarca e «Habet enim liber hic ex his aliquid, et aliquid liber alter» per Boccaccio). Gli autori ammettono poi che talvolta la loro esposizione sará piú ricca, talaltra piú scarna, in base alia consi-stenza delle informazioni reperite: ciö non ě imputabile a loro, bensi alle fonti di cui si sono serviti. Entrambi affermano di aver tentato di risolvere il problema traendo da un libro ciö che mancava in un altro. Orlandi (a eura di), Aspetti della letteratura latina dei secolo XIII, La Nuova Italia, Perugia-Firenze 1986, pp. 57-76: 58-59. La Naturalis história pliniana fu opera molto consultata da entrambi gli autori, per cui vd. G. Perucchi, Boccaccio geografa lettore dei Plinio petrarchesco, «Italia medioevale e umani-stica», 54, 2013, pp. 153-211. Ilpasso in cui Plinio parla della grande quantitá dei materiali consultati ě la dediča a Tito, 17: «XXRerum dignarum eura - quoniam, ut ait Domitius Piso, thesauros oportet esse, non libros - lectione voluminum circiter II, quorum pauca admodum studiosi attingunt propter secretum materiae, ex exquisitis auctoribus centům inclusimus XXXVI voluminibus, adiectis rebus plurimis, quas aut ignoraverant priores aut postea in-venerat vita». Petrarca acquistö una copia delľopera a Mantova nel 1350, ľattuale Paris, Bibliothěque nationale de France, lat. 6802, che studio e postillö assiduamente. Nel mar-gine destro vicino al passo «quas aut...vita» (f. Ivb) si trova un segno di attenzione, che dimostra ľinteresse delľautore nei confronti della pericope di testo. Ii problema delľordinamento dei fatti raecolti ě tipico delle compilazioni storiche bassome-dievali. Cfr. Guenée, Lo storico e la compilazione deiXIIIsecolo, cit., p. 68. 156 BOCCACCIO ERUDITO E IL PROLOGO DEL DE VIRIS ILLUSTRIBUS PETRARCHESCO Namque ea que scripturus sum, quamvis apud alios auctores sint, non tarnen ita penes eos collocatareperiunt. Quedam enim que apud unum desunt ab altero mutuatus sum, quedam brevius, quedam clarius, quedam que brevitas obscura faciebat expres-sius eoque clarius dixi; multa etiam sciens apud alios ystoricos interserta vel vetusti moris vel insulse religionis, dicam melius superstitionis, plus tedii quam utilitatis aut voluptatis habitura preterii; multa apud alios carptim dicta coniunxi et vel de unius vel de diversorum multis ystoriis unam feci (De viris, Proh. B, 15-16)33. Vagantur igitur tam deorum quam pro-genitorum nationes at nomina, hue illuc dispersa per orbem. Habet enim liber hie ex his aliquid, et aliquid liber alter (Gen. I, Proh. I, 32). Insuper si equo non incedo passu, nunc scilicetpingui et amplissimo stilo procedens, nunc tenui atque macilento, antiquis aucto-ribus ascribatur, quod ampliora de his que exangui scribuntur calamo non liquere (De mont., VII122). [...] et hoc faciens, primo, que ab antiquis hausisse potero scribam; inde, ubi defecerint seu minus iudicio meo plene dixe-rint, meam apponam sententiam (Gen. I, Proh. I, 44). 3. Altro punto di tangenza ě il problema della discordanza delle fonti consultate per la stesura dell'opera, dilemma di particolare importanza in opere compilative come De viris, De montibus e Genealógia. Esso non si esaurisce in se stesso, ma riflette una piú profonda questione filologica, che viene affrontata dai due autori in modo diametralmente opposto. Petrarca afferma di non essere un collector o pacificator di notizie storiche, di non giustapporre cioě i dati alia maniera medievale (colligere, appunto), ma di voler individuare la fonte piu sicura e quindi piu corretta; egli non mira a raccogliere indifferentemente tutte le informazioni trovate nei libri, ma a selezionare quelle che per verisimilitudo o per auctoritas siano piu fededegne34. La sua ě una vera e propria critica delle fonti', che ha lo scopo di risolvere le discordanze, vagliando tutti i dati raccolti, scegliendo quelli validi e riconducendoli ad unum. II Certaldese adotta l'atteggiamento opposto: per non commettere errori nella scelta della lezione piu corretta e per fornire lo spettro di alternative' piu ampio possibile, tra le quali il lettore ě chiamato a scegliere, decide di non fare una selezione, ma di fornire tutti i dati reperiti35. II těsto Aě uguale, con ľomissione della frase «multa etiam sciens... habitura preterii». V. Fera, Storia e filológia tra Petrarca e Boccaccio, «Quaderni petrarcheschi», 15-16, 2012, pp. 369-389; cit.p. 376: «Petrarca lottava in particolare contro il metodo storiografico della giustapposizione dei dati, che nel Trecento era vincente. La giustapposizione mirava ad ap-pagare ogni esigenza, inventariava tutte le istanze della sfera del possibile, appianava alline-andoli i contrasti fra le fonti; non si doveva operare una scelta, tutto era accettato e concorre-va all'informazione, anche due opposti sentieri potevano condurre a due veritä ugualmente possibili». Sul metodo filologico di Petrarca si veda anche V. Fera, La filológia del Petrarca e i fiondamenti della filológia umanistica, «Quaderni petrarcheschi», 9-10, 1992-1993, pp. 367-391. Cfr. Fera, Storia e filológia tra Petrarca e Boccaccio, cit., p. 376. 157 CHIARA CECCARELLI Ego neque pacificator historicorum ne-que collector omnium sed eorum imitator sum quibus vel veri similitudo certior vel autoritas maior ut eis potissimus ste-tur impetrat. Quamobrem si qui futuri sunt qui huiuscemodi lectione versati aut aliud quicquam aut aliter dictum reppe-rerint quam vel audire consueverint vel legere, hos hortor ac moneo ne confestim pronuntient, quod est proprium pauca noscentium, cogitentque historicorum di-scordiam, que tanto rebus propinquiorem Titum Livium dubium tenuit36 (De viris, Proh. B, 18-19)37. Sane ne omiserim, nolo mireris aut errore meo contigisse putes (veterum crimen est!), quod sepissime leges multa scilicet adeo ve-ritate dissona et in se ipsa non nunquam di-screpantia, ut nedum a phylosophis oppinata, sed nec a rusticis cogitata putes, sic et pessi-me temporibus congruentia. Que quidem, et alia, si qua sunt a debito variantia, non est mee intentionis redarguere vel aliquo modo corrigere, nisi ad aliquem ordinem sponte sua se sinant 'redigi'; satis enim michi erit comperta rescribere et disputationes phylo-sophantibus linquere (Gen. I, Proh. 1,48-49). Et ideo advertendum, si sepius idem flu-vius aut mons seu lacus, vel quern mavis ex aliis, sub diversis nominibus vel diver-sis in partibus nulla ex hoc facta mentione ponatur, aut dissidentium auctorum opus est, aut scriptorum, imo pictorum, igna-via contigisse potuit (De mont., VII118). Nec ego aliquando coniecturis advertens de-sistere volui, quin potius duo vel tria nomi-na superflua ponere quam in uno deficere et de una re duas vel plures facere malui quam falso inadvertenter nomine unam in nullam quandoque convertere (De mont., VII120). I termini utilizzati dai due autori per accennare alia discordanza delle fonti sono simili ma non identici: alia discordia di Petrarca fa riscontro la discrepantia di Boccaccio; alia «historicorum discordiam» delDe viris corrisponde il «dis-sidentium auctorum» dell'epilogo del De montibus. Un'altra sottile analogia, tanto contenutistica quanto lessicale, si riscontra neH'avvertimento rivolto al lettore a non affrettare il giudizio o a non incolpare l'autore se nell'opera sono presenti fatti o informazioni narrati diversamente da come si e soliti sentirli o leggerli. Per riferirsi a cio Petrarca utilizza le parole «aliter dictum [...] quam vel audire consueverint vel legere»; Boccaccio sembra riprendere gli stessi termini con una variatio, adoperando l'aggettivo dissona, che possiede in se un rimando al suono e quindi all'udire: «quod sepissime leges multa [...] veritate dissona». Lo scopo di entrambi gli autori, benche mediante percorsi diversi, e il me-desimo, ossia essere utile al lettore che si accosta alio studio del mondo antico. Petrarca dichiara di mirare alia brevita e aH'accertamento dei fatti, eliminando tutto cio che arrecherebbe confusione piu che utilita: «Nec vero me tanta in re 36 Come giä segnalato dall'edizione Martellotti, Petrarca si riferisce qui a Livio, Praef., 10. 37 IltestoAepressocheidentico. 158 BOCCACCIO ERUDITO E IL PROLOGO DEL DE VIRIS ILLUSTRIBUS PETRARCHESCO segnem atque attenuatam operam consumpsisse profiteor, ut etprodessem simul ac placerem, multa resecantem que plus confusionis, ut dixi supra, quam com-moditatis allatura videbantur» (De viris, Proh. B, 30). Boccaccio, da parte sua, afferma di scrivere un'operaper essere di utilita (prodesse) ai rüdes che si sono ap-pena accostati agli studi classici: «Quos ego tanquam inclitum laudabilium exer-citiorum specimen imitaturus, ne omnino tempus inerti ocio elabatur assumpsi loco iocosi laboris studentibus poetarum illustrium libros aut antiquorum hysto-rias revolventibus in aliquo levi opere, si possem, velleprodesse» (De mont., 12). 4. Viste le grandi diřEcoltá nel reperimento dei materiali e nella composizione dell'opera, ě inevitabile che questa si presenti imperfecta, e questo ě motivo di rammarico per i due amici. Se hanno aggiunto dati che si potevano tralasciare o ne hanno omesso alcuni che andavano inseriti, se quindi hanno peccato per eccesso o per difetto, chiedono perdono allettore. «Homo sum» ammette Boccaccio, per ribadire nuovamente che da una creatura imperfecta qual ě l'uomo non puö deri-vare un'opera perfecta.38 La presenza di errori e imperfezioni non sia ascritta alla cattivafede maall'ignoranza e alla debolezza dell'ingegno («inopi ingenio [...] ascribitur» per Petrarca e «ignavie mee [... ] imputanda sunt» per Boccaccio). Hec si minus quam intenderam assecutus sum, tu, precor ignosce, quisquis hec per-legis; de successu enim te iudicem statuo, de proposito michi credi velim. Siquid igitur aut satietati ingestum aut desiderio subtractum reppereris, vel inopi ingenio vel discerpentibus animum curis ascribito et die tecum: «voluit iste preclarius, voluit utilius, voluit iocundius, sed nequivit» (De viris, Proh. B, 37-38)39. Verum quoniamhomo sum, novique nullum adeo oculatum, quin, nisi divina protegatur manu, sepissime cadat in lubricum, arbitror satis possibile, me non nunquam aut omisisse dicenda, aut non dicenda seripsisse, aut dicta non satis rationibus roborasse, aut minus plene in votum tuum ivisse, seu aliis modi pec-casse plurimis, de quibus doleo. Et quoniam nosco, quod ignavie mee mea imputanda sunt crimina, supplex veniamposco, teque humilis per tui capitis insigne decus exoro, ut tui in-genii celsitudine defectus suppleas, superflui-tates excidas, dicta minus accurate exornes, et omnia pro iudicio tue sincere mentis pari-ter corrigas et emendes (Gen. XV, Cond, 2). Le Stesse parole di ammissione della propria imperfezione sono utilizzate anche da Plinio nel prologo della Naturalis história (lettera a Tito, 18): «Homines enim sumus et occupati officiis subsicivisque temporibus ista curamus, id est nocturnis, ne quis vestrum putet his cessatum horis». Boccaccio ebbe modo di consultare ľimmensa opera pliniana sul manoscritto apparte-nuto alľamico Petrarca (il giä citato Par. lat. 6802), non senza lasciare traccia del suo passaggio, come nel caso della celebre nota sulle cipolle di Certaldo al f. 153v. Tuttavia egli ebbe a dispo-sizione un altro esemplare - non ancora identificato - della Naturalis história, da cui trascrisse nel suo Zibaldone Magliabechiano alcuni passi ehe non dipendono dal codice petrarchesco. M. Petoletti, Boccaccio e Plinio il Vecchio: gli estratti dello Zibaldone Magliabechiano, «Studi sul Boccaccio», 41,2013, pp. 257-293. Il těsto A ě identico, con ľomissione delľultima parte del periodo (da «et die tecum» fino alia fine). 159 CHIARA CECCARELLI Pur non essendo presenti riprese testuali esplicite, qualche considerazione sul lessico impiegato puö aiutare ad awicinare i due passi e, messa a sistema con le al-tre analogie giá presentate, a ipotizzare un rapporto fra i due testi. Petrarca chiede perdono al lettore utilizzando il verbo ignosco, mentre Boccaccio si serve di veniam posco; il composto ignosco compare perö in Boccaccio nella forma semplice nosco, quando ľautore riconosce la propria insufficienza al compito. Un caso simile si pre-senta poco dopo nell'ammissione di ignoranza che entrambi gli autori rivolgono al lettore: alľinopi ingenio petrarchesco fa riscontro Vignaviee mee boccacciano. Il termine ingenium ritorna perö poco dopo, questa volta in accezione positiva, rife-rito al committente dell'opera, che viene lodato dall'autore in quanto dotato di cel-situdo ingenii. Del resto, Boccaccio aveva ripetutamente ammesso la scarsezza del proprio ingegno nel prologo delia Genealógia, sempře utilizzando il termine ingenium, come nel famoso passo di Gen. I, Proh. I, 20: «Brevis sum homuncio, nulle michi vires, ingenium tar dum et fluxa memoria». Inoltre ě interessante notáre che nelle altre opere erudite delia maturita ľammissione di insufficienza non era mai stata accompagnata dalla richiesta di perdono rivolta al lettore40. 5. Da ultimo, ě comune anche la notazione di aver condotto le ricerche o composto l'opera durante le veglie notturne, topos giá utilizzato dagli antichi ma non cosi frequentemente41. Si vero forsan studii mei labor expectationis Non expectes, post multum temporis di-tue sitim ulla ex parte sedaverit, nullum a te spendium et longis vigiliis elucubratum aliud prémii genus efflagito, nisi ut diligar, li- opus, corpus huiusmodi habere perfectum cet incognitus, licet sepulcro conditus, licet (Gen. I, Proh. 1,41). versus in cineres, sicut ego multos, quorum me vigiliis adiutum senseram, non modo de-functos sed diu ante consumptos, post annum millesimum dilexi (De viris, Proh. B, 39)42. Non ě presente, per esempio, in De mul., Cond., 5 e in De cas., XXVII5-6. T. Janson, Latin prose prefaces: studies in literary conventions, Almqvist & Wikseil, Stockholm 1964, pp. 147-148. Di nuovo il modello potrebbe essere l'epistola rivolta all'imperatore Tito che apre la Naturalis História pliniana (par. 18): «Nec dubitamus multa esse quae et nos praeterierint. Homines enim sumus et occupati officiis subsicivisque temporibus ista cura-mus, id est nocturnis, ne quis vestrum putet his cessatum horis. Dies vobis inpendimus, cum somno valetudinem computamus, vel hoc solo praemio contenti, quod, dum ista, ut ait M. Varro, musinamur, pluribus horis vivimus. Profecto enim vita vigilia est». Il passo dovette attirare l'attenzione di Petrarca: nel Par. lat. 6802 appone una manicula nel margine destro in corrispondenza delia frase «Homines... curamus». Nel margine inferiore, inoltre, anno-ta «Vita vigilia, mors sompnus», sententia giä citata anche in altre occasioni (De rem. II 86, 2 e 10; Farn. XXI 12, 21 e 34). Possiamo quindi ipotizzare che Petrarca, durante la stesura del prologo, ricordasse il passo pliniano; Boccaccio, invece, per la ripresa lessicale del termine vigilia, ě piü probabile che si rifacesse direttamente al testo petrarchesco. Si noti perö la diversa sfumatura di significato: se Plinio era costretto a lavorare di notte a causa degli impegni diurni, Petrarca predilige la notte come momento di studio e di preghiera. Il testo A ě identico. 160 BOCCACCIO ERUDITO E IL PROLOGO DEL DE VIRIS ILLUSTRIBUS PETRARCHESCO Ci sono alcuni elementi, infine, che sono presenti soltanto nella prima o nella seconda redazione del prologo del De viris, su cui é opportuno rifiettere. L'accenno di Petrarca alia fatica legata alia raccolta dei materiali («colligendi molestiam», De viris, Proh. B, 14) potrebbe avvicinare con piú probability il Cer-taldese alia prima redazione del prologo petrarchesco: anche Boccaccio, infatti, in tutto il proemio delia Genealógia insiste sullo stesso problema, lamentando inoltre che la credenza negli dei pagani - e, di conseguenza, l'esistenza di libri inerenti - era diffusa in moltissimi luoghi, elencati a Gen. I, Proh. I, 4-10. Il se-condo elemento contenuto soltanto nel prologo B é l'accenno aWinsulsa religio degli antichi, intesa spregiativamente come superstitio. Nel proemio delia Genealógia il Certaldese, mentre enumera la lunga serie di luoghi in cui questa credenza ha avuto seguito (Gen. I, Proh. I,4-10), utilizza per definirla un'ampia rosa di termini, tutti negativi (insania veterum, tanquam ridiculum quoddam, stultitia, contagio, labe, per nicies, caligo, inscitia, credulitas), tra cui, pero, non compare mai il termine superstitio; egli fa questo per prendere le distanze dalla cultura paga-na e smarcarsi dall'accusa di aver composto un'opera immorale. In assenza di precisi rimandi testuali non si puô pero stabilire per questi due argomenti una sicura connessione fra il testo petrarchesco, dove i riferimenti alia molestia e alia religio non sono piu che cenni, e quello boccacciano, in cui i concetti sono in-vece molto amplificati. Al contrario, vi é un solo elemento riscontrato nel testo A ma non nel B, che sembra essere rilevante anche per il Certaldese: la richiesta insistita dell'opera da parte di un committente43. Anch'essa, pur accomunan-do il prologo del De viris (A) e delia Genealógia, non mette in stretta relazione i due testi, poiché potrebbe essere dovuta alia comune adesione alla topica delia committenza illustre44. Le analógie, numerose e puntuali, dimostrano chiaramente il contatto fra i due autori. Le vicende compositive e gli scambi di idee avvenuti fra i due amici costituiscono tuttavia una questione complessa e non ancora risolta, innanzi-tutto per quanto concerne la datazione delle tre opere, che resta incerta. In se-condo luogo, rimane aperta una questione rilevante, ossia a quando risalga la riflessione dei due amici sulle tematiche esposte nei proemi. Si puô certamente pensare che meditarono su tali problemi ŕilologici durante i loro incontri, come in quello di Miláno del '59 - occasione in cui studiarono e rifletterono insieme sul codice di Plinio appartenuto a Petrarca - e in quello di Padova del '68. Vista la rilevanza di tali questioni per la stesura delle opere di quegli anni, si puô pre-sumere che la riflessione continuô anche nelle lettere che i due si scambiarono, andate pero in gran parte perdute. II gran numero e la precisione dei rimandi evidenziati nel confronto sinottico indurrebbero a pensare a un possibile con- Si tratta di Francesco da Carrara per Petrarca e Ugo IV di Lusignano, re di Cipro e Gerusalemme, per Boccaccio. Petrarca utilizza espressioni come rogatu tuo (De viris, Proh. A, l) e ad quern rogatus (Proh. A, 10); Boccaccio iussu igitur tuo (Gen. I, Proh. I, 40) e quo datum estordine (Conch, l). Janson, Latin prose prefaces, cit., pp. 116-124. 161 CHIARA CECCARELLI tatto di Boccaccio con il testo scritto del maestro. Ma in quale redazione? Piu probabilmente la prima, ossia il prologo B, conosciuto nell'incontro milanese, ma non si puö del tutto escludere che egli abbia potuto vedere anche la seconda redazione a Padova nel 1368. Nell'assenza di rimandi o echi testuali sicuri, pero, non si puö che rimanere nel campo delle supposizioni. Bibliografia AntogniniR., Ilprogetto autobiografico delle «Famiiiares» diPetrarca, LED, Milano 2008. Billanovich G., Petrarca letterato. I. Lo scrittoio del Petrarca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1947. Billanovich G.,PietroPiccolo daMonteforte tra ilPetrarca e ilBoccaccio (1955), inMedioevo e Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, Sansoni, Firenze 1955, pp. 1-76, confluito in Id., Petrarca e ilprimo umanesimo, Antenore, Padova 1996, pp. 459-524. Boccaccio G., De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria, Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, 10 voll., Mondadori, Milano 1967, vol. X. Boccaccio G., De casibus virorum illustrium, a cura di P.G. Ricci e V. Zaccaria, Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, 10 voll., Mondadori, Milano 1983, vol. IX. Boccaccio G., Genealogie deorumgentilium, a curadi V. 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Questa tipologia di indagine, sosteneva lo studioso, qualora opportunamente utilizzata, sarebbe stata in grado di for-nire successi e risultati paragonabili agli studi sugli exempla medioevali2. Parti- 1 G. Chiecchi, Sentenze eproverbi nel Decameron, «Studi sul Boccaccio», IX, 1975-1976, pp. 119-168. 2 SuWexemplum nel medioevo si veda: M.A. Beaulieu (éd.), Formes dialoguées dans la littéra-ture exemplaire du Moyen Áge. Actes de colloque [25-26 juin 2009 et 21-22 juin 2010, Paris, INHA], Champion, Paris 2012; C. Delcorno, Formě deHexemplum in Italia, in G. Cherubini (a cura di), Ceti, modelli, comportamenti nella societa medievale, sec. 13.-metá 14, Centro ita-liano di studi di Storia delťarte, Pistoia 2001, pp. 305-336; Id., Exemplum e letteratura. Tra Medioevo e Rinascimento, il Mulino, Bologna 1989; A. Strubel, Exemple, fable, parabole: le récitbreffiguré au Moyen Áge, «Le Moyen Áge», 94,1988, pp. 341-361; J. Welter, LexempZwm dans la littérature religieuse et didactique du Moyen Áge, Occitania, Paris et Toulouse 1927. Valerio Cellai, University of Pisa, Italy, valerio.cellai@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Valerio Cellai, La bisbetica domata: proposta di lettura di Decameron IX 9 attraverso i proverbi e i novellieri toscani tra Tre e Quattrocento, pp. 165-180, ©2020 Author(s), CC BY4.0 International, DO110.36253/978-88-5518-236-2.10, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 VALERIO CELLAI colarmente rilevante questo accostamento con gli exempla, specie per il caso di studio ehe cercherô di approfondire, vista anche l'importanza che le varie ar-tespredicandi (ma anche altre artes, come Vars dictandi o \zpoetria) conferivano alľinserto proverbiale o al detto, entrambi capaci di ammaestrare o racchiudere un insegnamento in maniera concisa e tagliente, e di cui consigliavano l'utilizzo molti dei prontuari e delle summae in uso tra i predicatori3. Le due tipologie del detto e dei proverbi venivano anche distinte nelle loro principáli caratteristiche, sebbene poi nell'utilizzo pratico la definizione appaia molto nebulosa, rendendo a volte complesso e aleatorio distinguere nettamente l'uno dall'altro. Cosi Bene da Firenze, professore dello Studium bolognese attivo tra ilXII e il XIII secolo4, nel libro VI del Candelabrum definiva il proverbio e il detto: Candelabrum VI, 32 Proverbium est sermo brevis comuni hominum oppinione generaliter comprobatus, hoc modo: 'frustra iacitur rete ante oculos pennatorum'; et sic proverbium est velut quaedam maxima que dat fidem aliis sed non recipit aliunde. Nec sunt multa proverbia inserenda nec plura in mediate proverbia socianda. Candelabrum VI33 Sententia est oratio de moribus sumpta, quid deceat breviter comprendens, hoc modo: 'Is est existimandus liber qui nulli turpitudini serviť. Item: 'Omnes homines qui de rebus dubiis consultant, ira, odio, misericordia, vacuos esse deceť. Sepe tamen apud dictators, et maxime Aurelianenses, proverbium idem prorsus quod sententia reputatur5. Innanzitutto, la caratteristica principe del proverbio e del detto ě quella del-la brevitas, come espresso anche da Giovanni di Garlandia nella sua Poetria; i due pero si distinguono nell'ordine di due motivazioni: il proverbio rappresenta un sermo communi hominum opinione generaliter comprobatus, un fatto ritenuto corretto e utile alia maggior parte degli uomini e da loro comprovato, mentre il detto si appoggia sulla trasmissione di un senso e significato, per cosi dire etico, ma appare dotato rispetto al proverbio di mino re autonómia e ha quindi bisogno di poggiarsi su di una precisa auctoritas e riguarda specificatamente i costumi (de moribus sumpta), con finalitá piu spiccatamente morali. Si potrebbe quindi anche dire che il proverbio ě in qualche misura a-temporale e a-sociale, condivi- Di questi prontuari medievali sopravvive un grandissimo numero di codici, Cfr. Delcorno, Exemplum e letteratura, cit., pp. 265-294; su questo uso si veda anche M. Zink, La predication en langue romane avant 1300, Edition Honoré Champion, Paris 1976; C. Del Corno, Giordano da Pisa e ľanticapredicazione volgare, Olschki, Firenze 1975. Per una breve biografia si veda F. Tateo, Bene da Firenze, (12/2020), in Enciclopedia Dantesca. Bene Florentini, Candelabrum, ed. a cura di G.C. Alessio, Antenore, Padova 1983, pp. 198-199. In Chiecchi, Sentenze e proverbi, cit., p. 121n, per sottolineare l'importanza di questa definizione, viene riportato che essa ě fedelmente ripresa da Bono da Lucca nel suo Cedrus Libani (ed. a cura di G. Vecchi, Societa tipografica Editrice Modenese, Modena, 1963) e nell'anonimo Formularium von Bargantenberg. 166 LA BISBETICA DOMATA sibile da tutti i riceventi indipendentemente dalla loro appartenenza a un determinate) gruppo e a una determinata temporalitá; la sententia ě di contro legata alle sue coordinate storiche e sociali e alľaŕEdabilitá di colui che lo produce. Questo vastissimo materiále, di natura molte volte orale e folklorica, fu quindi raccolto in vari prontuari che lo organizzarono principalmente o per argomen-ti o per ordine alfabetico6.1 grandi saggi e filosoŕi dell'antichita costituiscono le maggiori auctoritates, insieme anche ai poeti. Inutile ricordarepoil'importanza assunta dalla retorica in Boccaccio7 e ľaŕEnitá delia produzione paremiologica con quest'arte, per cui il proverbio, nella sua caratteristica pedagogica, risulta inquadrabile in un'ottica di praticitá, che credo dovesse essere apprezzata dal certaldese. La definizione di detto, detto proverbiale, proverbio e wellerismo ě stata sottilmente specificata negli studi linguistici della Ageno8, con una finesse interpretativa che pero, ě spesso difficile da applicare a un contesto multiforme e 'liquido' come quello del Decameron in cui le forme tendono a confondersi e a mantenere dei contorni estremamente sfumati. Negli ultimi anni gli studi paremiologici applicati úDecameron sono aumen-tati e su questa scia si collocano i vari lavori di Paolo Rondinelli, il quale ha pun-tato ľattenzione sulľinfluenza che questa tipologia di produzione potrebbe aver esercitato sul giovane Boccaccio9. Si pensi al Liberphilosophorum, copiato da un giovanissimo Boccaccio nel cosi detto Zibaldone Laurenziano e contenente una lunga serie di detti memorabili di filosofi e antichi10.0 ancora alle due maniculae 6 Cfr. S. Wenzel, Medieval Artes Praedicandi a Synthesis of Scholastic Sermone Struttures, Toronto Press, Toronto 2015; S. Hallik, Sententia und Proverbium. Begriffsgeschichte und Texttheorie in Antike undMitteralter, Bôlhau, Wien2007; Th.-M. Charland, Artes praedicandi. Contribution a ľhistoire de la Rhetorique au moyen age, Publications de l'institut d'etudes médiévals d'Ottawa, Paris-Ottawa 1936. 7 Cfr. P.D. Stewart, Retorica e mimica nel «Decameron» e nella commedia del Cinquecento, Olschki, Firenze 1985 (spec. pp. 7-18); V. Branca, Boccaccio medievale, Sansoni, Firenze 1956 (spec. pp. 32 sgg.); A. SchiaŕEni, Tradizione epoesia nellaprosa d'arte italiana dalla latinita medievale a G. Boccaccio, Edizione degli Orfini, Genova 1934. 8 F. Brambilla Ageno, Studi e note sulle antichefrasiproverbiali e sui wellerismi, in Id., Studi les-sicali, CLUEB, Bologna 2000, pp. 263-465. La studiosa si ě anche occupata del rapporto tra proverbio e novella in F. Brambilla Ageno, Tradizione favolistica e novellistica nella fraseologia proverbiale, «Lettere Italiane», VIII, 1956, pp. 351-384. 9 Cfr. P. Rondinelli, «JVeZ campo [...] si ben coltivato» dei proverbi e dei modi proverbiali del Decameron. Contrassegni linguistici della multiformita del reale, in D. Capasso (a cura di), Nella moltitudine delle cose: Convegno internazionale su Giovanni Boccaccio a 700 anni dalla nascita, Aonia, Raleigh 2016, pp. 174-196; Id., Il proverbio come strumento di rappresentazione delle 'cose del mondo': un elemento innovativo nelV'ars narrandi decameroniana", in P. Salwa et al. (a cura di), Boccaccio e la nuova "ars narrandi", Atti del convegno internazionale di studi, Istituto di filológia classica dell'Universitä di Varsavia (10-11 ottobre 2013), UW, Instytut Filologii Klasyxznej, Warszawa 2015, pp. 29-42; Id., «Ho udito dire mille volte...» Presenza dei proverbi nel Decameron e la loro fortuna in lessicografia, in M. Marchiaro e S. Zamponi (a cura di), Boccaccio letterato, Atti del convegno internazionale (Firenze-Certaldo, 10-12 ottobre 2013), Accademia della Crusca, Firenze 2013. 10 II testo del Boccaccio ě a tutt'oggi inedito, pur presentando notevoli differenze rispetto all'e-dizione critica del testo a cura di E. Franceschini, Liberphilosophorum antiquorum: testo cri- 167 VALERIO CELLAI rinvenute da Marco Petoletti nel Giovenale appartenuto a Giovanni, una delle quali all'altezza testuale di una sentenza Intollerabilius nichil est quamfemina dives11 il cui volgarizzamento pedissequo ricorre poi nel Corbaccio.12 Ecco quin-di che il proverbio e la sentenza dovevano appartenere a una forma mentis che Boccaccio e i suoi contemporanei, come emerge anche dallo splendido libro de' buoni costumi di Paolo da Certaldo13, erano chiamati a possedere. L'utilizzo da parte di Boccaccio di questi repertori ě sapiente e controllato, sedi privilegiate sono Vexordium e la conclusio, riservando quindi al proverbio nel secondo caso (la conclusio) il compito di condensare Vexemplum dalla novella e nel primo di anticipare quello che poi la novella avrá il compito di esplicare (citando Ron-dinelli: «per rendere evidente il passaggio del giá udito, proprio del proverbio, all'inaudito della novella»)14. I proverbi non sembrano sempre riconoscibili all'interno della narrazione decameroniana, ma in quattro occorrenze, tutte poste all'incirca nell'exordium, quindi all'interno della cornice e attribuibili alia voce del narratore, ě lo stesso Boccaccio a presentarli in quanto tali: 110, 8; II9, 3; IV 2, 5; IX 9, 7: Dec. 110, 8 Per che, acciô che voi vi sappiate guardare, e oltre a questo acciô che per voi non si possa quello proverbio intendere che comunemente si dice per tutto, cioě che lefemmine in ogni cosa semprepigliano ilpeggio [...] Dec. II9, 3 Suolsi tra' volgari spesse volte dire un cotal proverbio: che lo 'ngannatore rimane a pie dello 'ngannato Dec. IV 2, 5 Usáno i volgari un cosifatto proverbio: "Chi é reo e buono é tenuto, pub fare il male e non é creduto"i\ quale ampia materia a ciô che m'e stato proposto mipresta difavellare [...]15. tico, Ferrari, Venezia 1932. Per la descrizione dello Zibaldone Laurenziano si veda in T. De Robertis et. al. (a cura di), Boccaccio autore e copista, Mandragora, Firenze 2013 e G. Brunetti et. al. (a cura di), Autograft dei letterati italiani. Le Origini e il Trecento, Roma, Salerno 2013. 11 Giovenale, Satire., 6,460. 12 M. Petoletti, IlMarziale autograf o di Giovanni Boccaccio, «Italia medioevale e umanistica», XLVI, 2005, pp. 35-55; Id., Le postille di Giovanni Boccaccio a Marziale (Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 67 sup.), «Studi sul Boccaccio», XXXIV, 2006, pp. 103-184. 13 Su Paolo Da Certaldo si veda L. De Angelis, Paolo di Messer Pace da Certaldo, s.v., in Dizionario Biograf co degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 81, Roma 2014, pp. 183-185; V. Branca, Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, Rusconi, Milano 1986, pp. 1-99. Si vedano anche le due edizioni del Libro di buoni costumi, la prima a cura di S. Morpurgo (Le Monnier, Firenze 1921), la seconda di A. SchiarEni (Le Monnier, Firenze 1945). 14 Rondinelli, «Ho udito dire mille volte...», cit., p. 305. Per un'ulteriore panoramica sul proverbio e le novelle cfr. F. Palma, Paremiografia efunzioni del proverbio nette Novelle di Matteo Maria Bandello, «Lettere Italiane», LXXI (2), 2019, pp. 293-315 (spec. pp. 294-297). 15 Tutte le citazioni dal Decameron saranno tratte da G. Boccaccio, Decameron, ed. a cura di A. Quondam et al., BUR, Milano 2013; le citazioni sono tratte rispettivamente da pp. 270,457, 716 (corsivo mio). 168 LA BISBETICA DOMATA In altre Boccaccio presenta anche piu proverbi nella stessa novella, ma senza dichiararlo esplicitamente16. Credo pero che nulla nel Decameron sia lasciato al caso e che questa presenza informativa che segue il verbum dicendi non sia da sottovalutare. Intendo analizzare quindi l'uso del proverbio e il suo legame con ľopera (compresa non solo la novella, ma anche la liminare cornice) nella IX 9. La novella, narrata dalla regina Emilia, viene raccontata quasi in risposta alle donne delia brigata, le quali avevano riso della bastonatura di Biondello nella novella precedente: Dec. IX 9, 2 Niuno altro che la reina, volendo il privilegio servare a Dioneo, restava a dover novellare; la qual,poi che le donne ebbero assai riso dello sventurato Biondello, lieta cominciô cosi a parlare [...]17. La descrizione punta immediatamente il dito sulle risate femminili, rivol-te alia sorte toccata al protagonista della IX 8. In risposta a questa reazione, la narratrice, dopo una lunga tirata sul ruolo della donna, connessa alia riflessione condotta tra Filomena e Elisa nelľIntroduzione alia prima giornata18, descrive due giovani, Melisso e Giosefo, i quali per risolvere i loro problemi decidono di recarsi a Gerusalemme dal saggio re Salomone. Il racconto di Boccaccio ě for-temente squilibrato nei confronti della problematica di Giosefo, a cui ě dedicata la maggior parte della narrazione, contro la vicenda di Melisso, relegata - dopo la breve introduzione - alle ultime battute della novella. La problematica di Giosefo ě di natura pratica: il giovane ha problemi a stabilire il suo controllo alľinterno delle mura domestiche a causa di una moglie riottosa ad obbedirgli. Di contro, Melisso ě caratterizzato da una problematica di natura etico-mora-le: cioě il come riuscire ad essere amato. A queste due problematicitá (pratica e morale), corrisponde da parte di Boccaccio l'utilizzo di un proverbio e un detto, posti ilprimo nelľ'exordium della cornice e il secondo nella conclusio della novella. Il proverbio ě citato alľinterno della lunga introduzione misogina di Emilia: Dec. IX 9, 7-8 Per che m'agrada di raccontarvi un consiglio renduto da Salamone, si come utile medicina a guerire quelle che cosi son fatte da cotal male; il quale niuna che di tal medicina degna non sia reputi ciô esser detto per lei, come che gli uomini un cotal proverbio usino: «Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, buonajemina e mala femina vuol bastone». Le quali parole chi volesse sollazzevolmente interpretare, di leggier si concederebbe da tutte cosi esser vero; ma pur vogliendole moralmente intendere, dico che ě da concedere19. Si punti poi l'attenzione sulla modalita con cui per Boccaccio va intesa la vicenda, cioě moralmente e non sollazzevolmente, rinforzando il valore pedagogi- 16 Si veda il punto 14.6 della sezione Le parole e le cose in ivi, p. 1759. 17 Cfr. ivi, p. 1446. 18 Come notata anche da Alfano in ivi, p. 1379. Particolarmente importanti i paragrafi 74-77 (ivi, pp. 185-186). Cfr. ivi p. 1448. 169 VALERIO CELLAI co del proverbio e delia vicenda narrata. II rapporto con la predicazione ě poi esplicitato ancora da Emilia poco piú avanti nel testo dove, prima di iniziare a narrare, dirá che conviene lasciare andare il predicare. Siamo quindi di fronte all' utilizzo del proverbio per fornire una forma di sostentamento alia predicazione. Ě lo stesso Boccaccio ad autorizzare in questo caso l'inquadramento della novella all'interno degli exempla medievali, radicandone il testo nella specifica tradizione delle artes dictandi e predicandi. La novella sviluppa come un exem-plum il tema della moglie disubbidiente, che sfida l'autorita regale e casalinga delľuomo20. Giosefo otterrá da Salomone il consiglio di dirigersi al ponte dell'o-ca, dove vedrá un mulattiere che, non riuscendo a fare attraversare dal mulo il ponte, comincia a batterlo con un bastone. Il dialogo tra Giosefo e il mulattiere ě illuminante per il giovane e al suo interno ritroviamo ancora una volta, come nel proverbio, il riferimento al mondo equino: Dec. IX 9,19-20 Per che Melisso e Giosefo, li quali questa cosa stavano a vedere, sovente dicevano al mulattiere: «Deh, cattivo, che farai? Vuoil tu uccidere? Perché non ti ingegni tu di menarlo bene e pianamente? Egli verrá piú tosto che a bastonarlo come tu fai». A' quali il mulattier rispose: «Voi conoscete i vostri cavalli, e io conosco il mio mulo: lasciate far a me con lui»; e questo detto ricominciô a bastonarlo, e taňte ďuna parte e d'altre gli die, che il mulo passô avanti, si che il mulattiere vinše la pruova21. Boccaccio crea quindi un collegamento ancora piú esplicito tra il proverbio e la novella: in questa scéna ci vengono mostrati gli equini disobbedienti battu-ti con lo sprone, e insieme viene ricordato il paragone con il cavallo. Ě pertanto impossible che nel lettore piú avveduto non si colga ľimmediato parallelismo scatenato dalla risposta conoscete i vostri cavalli: lo stesso Giosefo collegherá poi la battuta del mulattiere, come non avrebbe mai fatto se non si fosse recato da Salomone, con la sua situazione e deciderá di adottare la medesima stratégia per farsi rispettare. Arrivato a casa, alľennesimo rifiuto della moglie ad obbedirgli, la picchierá con un bastone nella stessa modalita con cui il mulattiere si era fatto obbedire dal mulo: bastonando fino alio stremo la povera donna. Ecco che viene esemplificata la validita generále del proverbio, qui non a-storico, ma con-nesso direttamente a una precisa realtá storica e a unauctoritas di tutto rispetto: Salomone, del quale circolava anche una tradizione volgare di suoi proverbi. II monarca ě infatti spesso associato a una tradizione di detti misogini. Una delle piú significative si trova nel capitolo III (il De Improperio Mulierum) del Liber consolationis et consilii di Albertano da Brescia (1266), nel quale il protagonista Melibeo utilizza ľautoritá di Salomone per giustificare la sua avversione al genere femminile, riportando quelli che potremmo giudicare come proverbi: Alfano nota come manchi una sicura fonte diretta, ma il tema sia di ampissima circolazione tra Oriente e Occidente sia in antico che nel Medioevo; ivi, p. 1379. Cfr.ivi,p. 1451. 170 LA BISBETICA DOMATA [...] Secunda ratione, quia mulieres malae sunt, nullaque bona repetitur, Salomone testante, qui dixit: «Virum de mille unum reperi, mulierem ex omnibus non inveni»22. Anche se i due capitoli successivi saranno dedicati all'esaltazione delia donna, in ogni caso l'autorita tirata in gioco per cementare il ruolo malefico femminile ě Salomone. Dell'opera esistono anche moltissimi volgarizzamenti (come quel- 10 pistoiese del 1278 di Soffredi del Grazia, edito nel 1832 da Ciampi, o quello anonimo del Palatino 75 della Biblioteca di Parma), da aggiungere ad una tra-dizione manoscritta molto ampia, perciö non stupirebbe che Boccaccio l'abbia ben presente. I proverbi presi in esame da Albertano sono estrapolati dal libro Ecdesiasticus della Bibbia vulgáta, specificatamente: Ecdesiast. VII28, XXXIII 19-20 e XXXIII22; senza citare un interessante proverbio citato nello stesso ca-pitolo di Albertano e molto vicino alia nostra novella tratto dal libro del Siracide: Mulier si primátům habeat, contraria est vir o suo, anch'esso ripreso da Ecdesiast. XXV 30. Ma nello stesso libro dei Proverbi, la cui paternita ě tradizionalmente salomonica, non mancano attestazioni di questo carattere contro le donne di-subbidienti. In nuce alia novella del Decameron in questione mi sembra di poter cogliere in filigrána quello che poi sará uno degli scontri filosofici principáli e maggiormente presenti nella cultura rinascimentale e dal Burchiello in poi: quello cioě tra un sapere scolastico, artificiale, rappresentato dai saggi e dalle autorita come Salomone, e un sapere pratico e naturale, basato sulľesperienza di figure poco scolarizzate come il mulattiere23. D'altro canto, una simile polarizza-zione era canonizzata in epoca medievale nel fortunatissimo Dialogus Salomonis et Marcolphi24. Boccaccio perö crea un ponte tra queste due modalita di cono-scenza: qui la tensione non ě espressa e anzi le due forme di sapere concorrono al raggiungimento del medesimo risultato (per cui, il consiglio del figlio di David non sarebbe mai stato colto senza ľesemplificazione offerta dal mulattiere). 11 racconto, nelle sue connotazioni fortemente misogine, viene perö in qualche maniera riequilibrato dalľinizio della IX 10, dove si legge: Dec. IX 10 2 Questa novella della reina diede un poco da mormorare alle donne e da ridere a' giovani. Ma poi che ristate furono, Dioneo cosi cominciö a parlare25. Le donne mormorano perché non apprezzano la vicenda, in cui ravvisano una sorta di ideale contrappasso per le risate espresse per la vicenda di Bion-dello (IX 8), ma gli uomini della brigata dimostrano il loro plauso per la stessa. Albertano da Brescia, Liber de coctrina dicendi ettacendi. la parola del cittadino nellTtalia del Duecento, ed. a eura di P. Navone, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1999. Cfr. M. Zaccarello, Ingegno naturale e cultura materiále: i motti degli artisti nel Trecento Novelle di Franco Sacchetti, «Italianistica» 2, 2009, pp. 129-140; Id., Indovinelli, paradossi e satira del saccente: 'naturale' e 'accidentale nei 'Sonetti del Burchiello', «Rassegna europea di letteratura italiana», 15,2000, pp. 111-127. Dialogo di Salomone e Marcolfo, a eura di Q; Marini, Salerno, Roma 1991. Boccaccio, Decameron, cit., p. 1455. 171 VALERIO CELLAI Per chiudere questa analisi paremiologica la metafora donna/cavallo sará ri-presa anche nella novella 10 della stessa giornata, mostrando un sottile fil rouge tra novella, proverbio, cornice. Nei riguardi di questa storia la tastiera boccac-ciana batte infine su due metafore: quella equina e quella ornitologica. Mentre sulla prima ě piu palese l'intento del certaldese, la seconda ě proposta piú vela-tamente. Salomone consiglia di recarsi al ponte dell'Oca, cosi come all'inizio della IV giornata Boccaccio inserisce la novella delle papere, si tratta di due uc-celli utilizzati per definire la donna. Infine, nella IX 10 oltre al cavallo tornerá, perboccadiDioneo,l'accostamento della donnaatre uccelli: IX10,3 «Leggia-dre donne, infra molte bianche colombe agiugne piu di bellezza un nero corvo che non farebbe un candido cigno»26. L'immagine del nero corvo ricollega poi queste novelle alia figura femminile presentata nel Corbaccio, il cui stesso titolo (sebbe-ne la questione sia complessa) potrebbe rimandare proprio a questo uccello27. In sintesi, nel corso di due novelle della IX giornata, ritorna e viene utiliz-zato un vasto patrimonio metaforico animale, capace di riattivare nel lettore collegamenti con larga parte del Decameron e il tutto originato dalla presenza incipitaria di un proverbio, operazione tutt'altro che casuale, ma perfettamente consapevole da parte di Boccaccio. Mentre quindi un proverbio apre la vicenda principále della novella (e ne ě forse in qualche misura ispiratore), un detto pro-verbiale viene usato per chiudere la vicenda di Melisso. Questa seconda vicenda ě scarsamente sviluppata nella novella, molto piu attenta ad esaltare i particolari della punizione femminile della prima. Per Alfano essa non viene sfruttata dalla narratrice epenso che non sipossanon essere d'accordo con lo studioso28. Sciol-ta e sviluppata in un solo paragrafe, contiene al suo interno un detto, altrettanto interessante perché ci riporta nell'alveo della cultura classica cara al Boccaccio: Dec. IX 9, 34 E dopo alquanti di partitosi Melisso da Giosefo e tomato a casa sua, a alcun, che savio uomo era, disse ciô che Salamone avuto avea; il quale gli disse: «Niuno piu vero consiglio né migliore gli potea dare. Tu sai che tu non ami persona, e gli onori e' servigi li quali tu fai, gli fai non per amore che tu a alcun porti ma per pompa. Ama adunque, come Salamon ti disse, e sarai amato»29. La sentenza ě diffusissima nei classici e nei moralisti medievali, ma affonda le sue radici in Ovidio, Ars amatoria II107, ed ě qui attribuita a Salomone, legan-dosi strettamente con le sententiae proverbiali del personaggio, vero e proprio prontuario di vita medievale. Mentre del primo detto abbiamo un riscontro nella cultura mercantile di Paolo da Certaldo, dove il proverbio iniziale ricorre con Cfr.ivi,p. 1455. Sulla questione del titolo del Corbaccio e sul suo significato cfr. M. Zaccarello, Del corvo, animale solitario, ancora un ipotesiper il titolo del Corbaccio, «Studi sulBoccaccio», XLII, 2014, pp. 179-194; C.S. Nobili, Per il titolo del Corbaccio, «Studi e problemi di critica testuale», XLVIII, 1994, pp. 93-114; A. Rossi, Propostaperun titolo delBoccaccio: il 'Corbaccio', «Studi di filológia italiana», XX, 1962, pp. 383-390. Boccaccio, Decameron, cit., pp. 1378-1380. Cfr. ivi, p. 1454. 172 LA BISBETICA DOMATA una minima variante (Buon chavallo e mat chavallo vuole sprone: buona donna e mala donna vuol signiore, e tale bastone)30, questo secondo e solo in Boccaccio e denota la sua conoscenza della lettura classica e il suo sapiente utilizzo. La debolezza narrativa della novella e il minore appeal costituito dalla sen-tenza proverbiale finale, sta pero proprio in quest'ultima vicenda. L'attenzione del lettore si riverbera e concentra totalmente sul racconto di Giosefo. E questo squilibrio narrativo viene percepito anche dai lettori antichi e dai novellieri, alle prese con la riscrittura di questa novella, i quali tenteranno di correggere, per ren-derla piu accattivante, la vicenda di Melisso o eliminarla. Un esempio del modo in cui essa poteva essere letta ce lo fornisce Raimondo d'Amaretto Mannelli nelle postille del celebre manoscritto laurenziano Plut.XLII.l, quel Mannelli definito da Clarke un «professional reader» del Centonovelle31. Il copista del Decameron scrive nota e sottolinea tutta la lunga filippica iniziale sul giusto ruolo della moglie pronunciata da Emilia e poi, accanto al proverbio, pone una divertente battuta misogina postillandolo (a commento di Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, buonafemmina e malafemmina vuol bastone): «Si ma non di legno», con chiara allusione sessuale e contravvenendo in un certo senso all'indicazione di Boccaccio a leggere la novella moralmente e non sollazzevolmente. La concentra-zione del Mannelli si rivolge poi, ancora «sollazzevolmente», alia scena in cui la donna viene bastonata postillando «Dalle ad questa troia dalle», poi ripreso piu sotto da un ulteriore «dalle dalle». La seconda vicenda sembra non accendere la fantasia del postillatore che la ignora. Del proverbio, inoltre, Mannelli coglie solo il facile gioco di parole tra il bastone di legno e l'organo genitale maschi-le, esplicitando l'allusione sessuale, ma non sembra coglierne l'importanza per la scrittura della novella e neanche i richiami metaforici presenti nel testo della successiva IX 10. Su questa scia di lettura si pud collocare la riscrittura operata da Franco Sacchetti nelle Trecento Novelle32. E stata scorta un'eco della novella decameroniana in un dittico sacchettiano costituito dalle novelle LXXXV e LXXXVI, dove ricorre il tema della moglie disubbidiente e castigata, ma mi concentrero maggiormente sulla LXXXVI, nella quale ritroviamo il proverbio. Cfr. Paolo da Certaldo, Libro de' buoni costumi, ed. a cura di A. SchiafEni, Le Monnier, Firenze 1945, p. 137, n. 209. K.P. Clarke, Taking the proverbial: Reading (at) the Margins of Boccaccio's Corbaccio, «Studi Sul Boccaccio» XXXVIII, 2010, pp. 105-144, cit. p. 106; Id., Leggere il Decameron a mar-gine del codice Mannelli, in G. Anselmi et. al. (a cura di), Boccaccio e i suoi lettori, il Mulino, Bologna 2013, pp. 195-208. Lo studioso riprende la definizione di M. Parkes, The literacy of the laity, in D. Daichaes et al. (eds.), Literature and western civilization: the Mediaeval World, Aldus, London 1973, pp. 555-577. Le postille del Mannelli sono state inoltre brevemente lette e analizzate da Stefano Carrai in quanto «effettivamente degne del massimo interesse, configurandosi in pratica come un primissimo abbozzo di commento al Decameron», cfr. S. Carrai, La prima ricezione del Decameron nelle postille di Francesco Mannelli, in M. Picone (a cura di), Autoři e lettori del Boccaccio, Atti del convegno internazionale (Certaldo 20-22 settembre 2001), Cesati, Firenze 2002, pp. 99-111, cit. p. 99. Per tutte le citazioni del testo utilizzo l'edizione critica: F. Sacchetti, Trecento Novelle, ed. critica a cura diM. Zaccarello, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2014. 173 VALERIO CELLAI La novella prende le mosse da un terziario francescano, come tiene a specifica-re Sacchetti, Fra Michele Porcelli, mercante fra la Romagna e la Toscana. Egli, giunto a Tosignano, decide di fermarsi in un'osteria dove la moglie dell'oste ri-fiuta di obbedire al marito e di aiutarlo nel lavoro (prima rifiutando di andare a cogliere l'insalata e poi di andare a prendere il vino in cantina). L'accettazione passiva della situazione da parte del marito scatena in Fra Michele una battuta sulla condizione dell'oste, il cui nome e Ugolino Castrone, e giocando sul co-gnome (un nome parlante): tu sei ben castrone, anco pecora33; sostenendo che a parti inverse sarebbe capace di farsi ubbidire. Alia morte di Ugolino Fra Michele prende la moglie Zuana e, la prima notte, la visita con un bastone e comincia a dare34 (anche qui ritorna la facile allusione suggerita dal Mannelli). Il prover-bio del Boccaccio si ritrova in una sorta di conclusione d'autore della novella: TN LXXXVI Io per me, come detto e, credo che i mariti siano quasi il tutto di fare e cattive le mogli e buone. E qui si vede che quello che Castrone non aveva saputo fare, fece il Porcello. E come uno proverbio dica: «Buona femmina e mala femmina vuol il bastone», io sono colui che credo che la mala femmina vuole bastone, ma alia buona non sia di bisogno; pero che se le battiture si danno per far mutare i costumi cattivi in buono, alia mala femmina si vogliono dare perche ella muti i rei costumi, ma non alia buona, perche se ella mutasse li buoni, potrebbe pigliare i cattivi, come spesso interviene: quando li buoni cavalli sono battuti et aspreggiati, diventano restii35. La differenza con la novella boccacciana sta tutta nei particolari; il primo e che qui e la stessa auctoritas, intesa come colui che propone la corretta' soluzio-ne al problema, a risolverlo. Questa figura e traslata in un frate e vi si ritrova anche la sentenza comica giocata sull'allusivita intrinseca al cognome Castrone. Il proverbio e invece anche qui estrapolato dalla vicenda, ma con una differenza essenziale: la posizione. Mentre Boccaccio lo aveva posto nell'exordium, Sac-chetti decide invece di porlo nella conclusio, in concomitanza con la sua tendenza a prendere la parola nelle conclusioni, o moralita', delle novelle. La posizione incipitaria rendeva la novella dipendente dal proverbio, stabilendosi un rappor-to padre (proverbio)-figlio (la novella), rapporto ribaltato nel Sacchetti, dove il proverbio sintetizza, rendendosi indipendente dalla novella, ed e solo grazie alia presenza di questo proverbio che siamo in grado di connettere con sicurezza la novella del Sacchetti con la novella del Boccaccio, invece di inserirla all'in-terno della cospicua tradizione popolare di mogli castigate, senza pero questo dialogo diretto con il centonovelle. L'operazione sacchettiana e perfettamente Cfr. ivi, p. 197. Il Sacchetti insiste spesso nelle sue novelle sull'interpretatio nominis, su questa attitudine si veda: M. Zaccarello, Storicitá, correlazione, espressionismo nell'onomastica sacchettiana, «11 Nome nel Testo», VII, 2005, pp. 177-190. L'atteggiamento non ě certamen-te nuovo nella novellistica ed ě presente anche nel Dec, cfr. R. Ambrosini, Sull'onomastica nel Decameron, «Rassegna europea di Letteratura Italiana», XVI, 2000, pp.13-32. Cfr. Sacchetti, Trecento Novelle, cit., p. 198. Cfr. ivi, p. 200. 174 LA BISBETICA DOMATA consapevole, vista la presenza della voce narrante che decide di intervenire non per discutere la novella attraverso il proverbio, ma il proverbio stesso. Sacchetti smussa la tradizione proverbiale concedendo l'utilizzo della misura correttiva del bastone alle sole donne disubbidienti e non a tutte come vorrebbe la tradizione riportata da Paolo da Certaldo, e giälievemente smussata dal Boccaccio36. Interessante anche l'uso delle metafore animali, il paragone con il cavallo e si espulso dal proverbio, che perde il paragone con l'equino andando ad assomi-gliare a un detto, ma viene recuperato sia nell'allusivo nome dell'oste (Castrone, soggetto a interpretatio nominis) sia soprattutto nel finale dove e esplicitato che la soluzione proverbiale puö essere mediana per le donne disubbidienti, ma e con-troproducente utilizzarla sulle buone, come si puö notare dall'osservazione na-turalistica dei cavalli, (osservazione naturalistica che costituisce uno dei cardini di molta parte delle Trecento Novelle). La medicina proverbiale e si correttiva, ma puö quindi sviare dalla giusta via e confondere. Ii Sacchetti ha perfettamente in mente il proverbio nella versione presentata dai due certaldesi Paolo e Giovanni, ponendo perö in crisi la definizione di Bene da Firenze, in quanto lo discute e non gli sembra comprovato, ma anzi dannoso se mal utilizzato. A differenza del Mannelli, Sacchetti si connota come un «professional reader» avvedutissi-mo e un osservatore sociale acutissimo. Assistiamo inoltre per la prima volta ad una tendenza comune a molte riscritture boccacciane, quella cioe di riportare a un contesto piü affine alio scrittore l'intera vicenda, calando i due personaggi in un contesto urbano e borghese. Sparisce di contro la vicenda non legata al proverbio, quella di Melisso: come il Mannelli, anche Sacchetti non doveva averla particolarmente apprezzata.37 La novella del Deameron e infine ripresa nella V 2 del Pecorone38 e nella face-zia 136 dei Motti e Facezie delPiovano Arlotto39, qui senzal'inserto proverbiale. I due narratori presi in esame mi sembrano molto meno attenti del Boccaccio nel ricostruire la vicenda, concentrandosi, al pari di un lettore come il Mannelli, molto piü sul divertimento generato e sul presentare una morale pratica facilmente comprensibile, conducendo una lettura dell'intera vicenda sollaz-zevolmente e non moralmente. Viene difatti ripresentata la storia di Melisso, ampiamente riscritta e rivalutata in un'ottica non morale, ma ancora una volta pratica, evidentemente piü interessante per l'autore del Pecorone e della silloge Cfr. Boccaccio, Decameron, cit. p. 1448 (IX, 9,7): «Per che m'agrada di raccontarvi un con- siglio renduto da Salomone, si come utile medicina a guerire quelle che cosi son fatte da co- tal male; il quale niuna che di tal medicina degna non siareputi ciö esser detto per lei [...]». Boccaccio perö, a differenza di Sacchetti, non cita il possibile effetto negativo della bastona- tura sulle donne che giä si attengono alle regole di obbedienza coniugale. In generale, sull'utilizzo dei proverbi nel Sacchetti si veda F. Brambilla Ageno, Ispirazione proverbiale del «Trecentonovelle», «Lettere Italiane», X, 1958, pp. 288-305. Giovanni Fiorentino, Ii Pecorone, ed. a eura di E. Esposito, Longo, Ravenna 1974; da qui tutte le successive citazioni del testo. I Motti e Facezie del Piovano Arlotto, ed. a eura di G. Folena, Ricciardi, Milano-Napoli 1995 (ed. orig. 1953); da qui tutte le successive citazioni del testo. 175 VALERIO CELLAI arlottiana e viene ripresentata la figura deWauctoritas lontana a cui i questuanti si devono recare per avere la soluzione ai loro problemi. La vicenda di Melisso, da un astratto problema morale (come essere amati), viene portata su un piano commerciale', utilitaristico' e amministrativo': il giovane ha qui un problema legato anchesso allamministrazione casalinga, egli infatti, sebbene guadagni molto, vede ogni giorno decrescere il suo patrimonio, senza sapersi spiegare la ragione. II suggerimento di 'Boezio' (Pecorone) o del romito' (Arlotto), una nuova auctoritas, ě di levarsi presto. Ascoltato il consiglio il giovane scoprirá che i suoi camerieri e governanti lo derubano ogni sera e ogni mattina, licenziatili non avrá quindi piú problemi. Salomone diventa Boezio o un anonimo eremita, sparisce il proverbio, il detto si riduce a delle indicazioni pratiche non piú di utilita generále, ma specifica rispetto alle problematiche dei due interlocutori («levati presto» e «Va al ponte dell'Agnolo»). Mentre, per la vicenda principále, i due narratori si concentrano e calcano la mano sulla punizione misogi-na inferta alla moglie: Pecorone V 2 [61-77] Avvenne che uno vetturale passö con parecchi muli carichi; lüno di questi muli aombrö, e non volea passare. II vetturale il prese per cavicciule e tira per farlo passare il ponte: non v'eb-be modo, perö che quanto piú il tirava, il mulo piú si tirava indrieto. E '1 vetturale si comincia a stizzire, e dagli, e '1 mulo ne facea di peggio. Quando il vetturale ebbe assai sofferto, toglie una stecca con ch'egli legava le balle, e dagli di sorto, da lato, per lo capo, per le coste, e viensi isvelenando sopra questo mulo: e brievamente, e' li rup-pe questa stecca addosso. Di che el mulo diventö maniero e passa oltre, e costui pi-glia e fallo passare parecchi volte di qua e in lá; e poi che vide che al mulo era uscita la pazzia delia těsta, e egli andö per' fatti suoi. Cucciolo vide ciö che fece il vetturale e '1 mulo; partissi e disse fra sé medesimo: «Or so io ciö ch'io m'ho afare»[...]. [94-98] Disse il marito: «Se' tu il diavolo?» Levasi ritto, e suona costei; ella grida, e e' piglia un bastone, e correle addosso, dálle e ridálle per le spalle, per le braccia, per lo capo. E quando il bastone fu rotto, e e' ne piglia un altro, e dálle. [...] Motti e Facezie 136 [69-79] Sempře quando derte vacche venivano, era grande fatica a passare loro detto ponte. Avevano quel-li vergai čerti pungetti aúzzi confitti in su čerte aste lunghe dua e tre canne; comin-ciano quelle vacche a non volersi accostare al ponte: quelli vergai tra nelle cosce e nel corpo tanto forano, che tutte filano sangue, e in modo le conciarono che per bruta for-za le fanno passare- E ogni giovedi fanno questi simili atti. [84-88] Edinnanzi si partissi di li, compe-rö da uno fabro cinque di quelli pugnetti; e venutosene a Firenze vanne a casa e crede che per la lunga istanza ha fatto la moglie gli faccia carezze, ed ella lo guarda in tra-verso e con molte parole villane gli rispose [...]. [104-112] Sanzapiueparole gli derte parecchi pugnettate tra le cosce e tutta fi-lava sangue e gridando nando a letto. La mattina costui dice: «Lieva su». Costei dice: «Tu mi hai morta; e' non mi posso levare». Come ella vide che il marito tol-se il pugnetto, di subito si levö e fue poi tanta piacevole che non bisognava adope-rare pugnetto. Dopo che la moglie si inginocchia a chiedere perdono notiamo ancora nel Pecorone il riferimento alla metafora cavallo/donna, espunta in Arlotto: 176 LA BISBETICA DOMATA Pecorone V 2, [109-119] Di che il marito, per cavalle bene la bizzarria del capo, la fece trottare e ambiare parechi volte in qua e in lá per la sala, tuttavia porgendo di questo bastone a due mani. Questo fu in quel benedetto punto ehe la donna sogna-va di fare tutte quelle cose che piacessero al marito; e diventö la piú mansueta fem-mina e la piú umile che fosse in Orma. A questo modo cavö Cucciolo la bizzarria di capo alia moglie; e dove egli viveva prima sempre in guerra e in mala ventura con la donna sua , da quel punto innanzi visse sempre in pace e in amore. E perö chi ha la moglie ritrosa, pigli asempro da Cucciolo, come egli prese dal vetturale. Motti e Facezie, 136 [110-115] Come ella vide che il marito tolse il pugnetto, di subito si levo e fue poi tanta piacevole ehe non bisognava adoperare pugnetto. Cosi voglio dire a te, impara da quello calzolaio e ga-stigala con il bastone o con uno di quelli pugnetti dal Ponte delľOca. Nel Pecorone ě vivo ancora Yexemplum: la novella ě difatti usata per istruire gli uomini a 'domare' le proprie consorti ribelli, mentre in Arlotto l'attenzione ě completamente focalizzata sulla bastonatura della donna, qui resa in una maniera molto violenta e con un'attenzione sadica verso il sangue. Sebbene spari-sca la dimensione proverbiale, anche qui ě mantenuta la dimensione esemplare e pedagogica della novella, raccontata da Arlotto per istruire un suo paesano su come comportarsi con la moglie ribelle. Arlotto viene quindi portato a coinci-dere con Vauctoritas, anche se, la mancata ripresa della cornice, come avviene in altre facezie, potrebbe forse tradire l'interesse dell'autore nei riguardi del divertimento generato dal racconto punitivo40. In conclusione, Boccaccio fonda la sua novella su una tradizione proverbiale molto forte, fornendo un exemplum a un argomento popolare, nobilitando in una certa misura il proverbio, elevato a elemento semplice, ma fondante della vi-cenda. Questa tradizione invece si incrina in Sacchetti, che discute criticamente della tradizione popolare e proverbiale, giudicandola non completa e inadatta a tutte le situazioni. Nei successivi novellieri, pur mantenendo la dimensione pedagogica, prevale il gusto voyeuristico e misogino della punizione (portato ai violentissimi estremi arlottiani), mentre manca totalmente la connessione con il proverbio e la parola. Pur conservando la sua dimensione esemplare, la novella lascia cadere il proverbio, pedagogicamente affldabile e supportato, communis opinio, dal racconto e diviene un luogo di divertimento sadico e slegato dalla tradizione che ě ancora molto sensibile nel Boccaccio. La bastonatura del cavallo come unico mezzo per far muovere l'animale, ma slegata dalla metafora femminile ě inoltre presente anche in Motti e Facezie fac. 10 e in A. Poliziano, Detti Piacevoli (a cura di T. 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L'opera continua a essere citata, sempre con ľattribuzione a Boccaccio, anche nella seconda impressione (1623; in 44 voči) e poi nella terza (1691; con un vistoso incremento di citazioni, ben 69)2. Solo a partire dalla Tavola dei citati delia quarta Crusca (1729-1738) - vero monu- Nel quadro di una comune elaborazione ě da attribuire a Camilla Russo il § 2 e a Giulio Vaccaro il § 1. Ringraziamo Daniela Delcorno Branca per i numerosi suggerimenti e per l'entusiasmo con cuiha seguito questo nostro lavoro. Ii titolo integrale delia Giuntina ě Opera di m. Giouanni Boccaccio, tradotta di lat. in volgare da Niccolô Liburnio, dove per ordine d'alfabeto si tratta diffusamente de' monti, sehe, boschi, fonti, laghi, stagni,paludi, golfi, emari dell'universo mondo. E delle lor cose memorabili, come da poeti, cosmografi, overo storicisono descritte. E nelfine sono le provincie di tutto il mondo ď Asia, Africa, Europa, e comefurono chiamate dagl'antichi, e come si nominano dipresente, scritte dal sopraddetto Liburnio. Aggiuntovi lafavola dell'Urbano del medesimo Boccaccio, per Filippo Giunti, in Fiorenza 1598. Cito i dati da Lessicografia della Crusca in rete, (12/2020). Camilla Russo, University of Trento, Italy, camilla.russo@unitn.it Giulio Vaccaro, ISEM, Istituto di Storia dell'Europa Mediterranea, Italy, giulio.vaccaro@isem.cnr.it FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Camilla Russo, Giulio Vaccaro, L'Urbano. Origine e fortuna di una novella pseudo-boccaccesca, pp. 181-205, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.11, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Atta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress. com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO mento della filologia settecentesca, come ha sottolineato Valentina Pollidori3 -gli accademici sottrassero l'opera alia paternita boccaccesca4. La dissero anzi: Opera da alcuni erroneamente attribuita a Messer Giovanni Boccacci (339) Si cita l'edizione de' Giunti del 1598. in 8. (339) Tra gli scritti di Don Vincenzio Borghini, che erano giá in mano di Baccio Valori, poi de' Guicciardini, ed oraper la maggior parte sono passati nella Libreria delMarchese Carlo Rinuccini, ě una Lettera, nella quale il Borghini chiaramente dimostra, che 1'Urbano non ě opera del Boccaccio. Se ne trascriverá qui una parte, perché vedano i Lettori, che non senza fondamento nella presente impressione ci siamo allontanati dal sentimento de' primi Compilatori: All'Urbano diedi giá ě molti anni un'occhiata, e mi parve, per quel, che mi posso ben ricordare, molto lontano dalla lingua, e dalla invenzione del Boccaccio. E quantunque si potesse credere da alcuni scritto nella sua gioventú, e ne' tempi del Filocolo, veggendovisi alcuni modi del parlare di quel libro, e spezialmente molti aggiunti gonfiati, o vani, o vogliamo dire oziosi, tuttavia il nervo, e la proprieta della lingua non v'e, e si conosce agevolmente d'un altro secolo... Aquesto s'aggiugne, che io non l'ho mai veduto tenere in conto alcuno, ma ně pure ricordare da' nostri, né da quei del 27. o da altri dietro a loro di molta pratica, e buon giudizio, ed ě una novella, o poco da lei variata, che va attorno in un libretto di cose di Roma, che giá se ne soleva vedere, non mi ricordo appunto con qual titolo, e poco rileva il cercarne. Emmi venuto voglia di rivederlo un poco, e finalmente sebben poche facce ne ho letto, mi confermo affatto nella primiera opinione, che sia d'ogn'altr'uomo opera, che di lui... Il Libro, che io dicea di sopra, l'ho pur ritrovato, e si chiama Imperiále, ně accade dubitare, che sia composizione d'altri, che del Boccaccio, perché vi ě il nome dell'Autore, che fu un Cambio di Stefano da Cittá di Castello Canonico di San Fiordo, che lo scrisse intorno all'anno 1400. ed ě stata rinnovata da chicchessia a' tempi nostri, e quel, che in questo si dice Urbano, qui si chiama Selvaggio, e Lucida ě mutata in Lucrezia, e vi sono alcune altre varieta della nascita sua, e de' paesi, come fanno i ladri, che alle mezzine, e secchie rubáte scambiano i manichi, perché non si riconoscano. Questo Libro comincia dalle cose di Césare, e poi d'Augusto, e viene giu un pezzo con molte favole, fralle quali mescola la novella di questo Selvaggio... Ora credo a novantotto per cento, che qualcuno abbia voluto provarsi, se sapeva contraffare il Boccaccio, ma con poco giudizio, e manco ventura ec. Un testo del Libro suddetto chiamato Imperiále ě tra' MS. de' Guadagni dietro un Valerio Massimo segnato col num. 166. e tragli Scritti dello Stritolato [Pier Francesco Cambi] conservati nell'Accademia ě mentovato un altro Testo di quest'Opera, V. Pollidori, Le tavole dei citati della IV e V impressione, in La Crusca nella tradizione lettera-ria e linguistica italiana, Atti del Congresso internazionale per il IV centenario delí Accade-mia della Crusca, s.e., Firenze 1985, pp. 381-386. Ciô non impedisce, tuttavia, non soltanto un lieve aumento di voči in cui ľopera é citata (79), quanto soprattutto del numero delle citazioni complessive, che passano dalle 281 della terza impressione alle 562 della quarta. 182 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA Dl UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA l'autore del quale ě chiamato Cane da Castello, il qual Testo era stato copiato l'anno 1463. da Pagolo Piccardi Cittadino Fiorentino. Gli accademici fondano, dunque, l'esclusione del testo dal canone boccacce-sco sulla base del parere espresso da Vincenzio Borghini in una lettera (con data e destinatario ignoti) che si incontra nelle Prose florentine raccolte da Carlo Da-ti, pubblicata poi nel 1745s. Agli accademici, in ogni caso, la lezione borghiniana arriva grazie agli studi di Tommaso Bonaventuri, riassunti in una lettera a Rosso Antonio Martini datata 2 maggio 1725, che si conclude per l'appunto con la ci-tazione dellampio passo borghiniano riportato in modo pressoché integrále nel-la Tavola. La lettera del Bonaventuri fu poi pubblicata integralmente nel 1814 da Luigi Fiacchi6. I motivi che inducono Bonaventuri a sottrarre YUrbano al canone boccac-cesco sono essenzialmente l'assenza di manoscritti antichi (ossia trecenteschi), il che implicherebbe o che l'opera sia moderna o che essa non sia stata ritenuta, giá in antico, degna d'essere copiata, il che non sarebbe accaduto se la si fosse ritenuta del Boccaccio; il fatto che nessuno dei principali studiosi cinquecente-schi del Boccaccio (Bembo, Salviati, Borghini e i deputati su tutti) menzioni mai YUrbano tra le opere del Certaldese e che il testo, anzi, ě «stato sempre sepolto nelle tenebre dell'oblivione» (p. 8); la parte piu rilevante delle considerazioni del Bonaventuri, tuttavia, muove sul piano stilistico o narrative II novellatore, per esempio, «non badó a porre i nomi acconci, a divisare il carattere de' Per-sonaggi che egli introduce a ragionare, ně le sue parole furono ad essi dicevoli e proprie» (p. 9); molte sono anche le ridondanze o le incongruenze del racconto, come per esempio la presenza di due fratelli di Blandizio che non hanno alcuna parte attiva nella narrazione, o come l'inverosimiglianza del fatto che il (pre-sunto) figlio di un oste potesse avere stretta familiaritá col figlio di un impera-tore o che il soldano di Babilonia mandasse in sposa la figlia col primo venuto, ancorché costui si dichiarasse figlio deH'imperatore, senza chiedere ulteriori informazioni e, soprattutto, senza un'adeguata scorta. Bonaventuri segnala in-fine una série di incongruitá lessicali che ritiene senza dubbio non attribuibili al Boccaccio, e probabilmente neppure a un toscano (per esempio brodo a rita-glio, che non trova riscontri in altri testi)7. Nonostante gli argomenti portati dal La raccolta era alľepoca nella disponibilita del Bonaventuri, che la stava pubblicando in collabo-razione con Giovanni G. Bottari e lo stesso Rosso Antonio Martini: cfr. Raccolta di prosefiorentine [raccolte dallo Smarrito accademico della Crusca], 17 voll., nella Stamperia di S.A.R. per Santi Franchi [poi: nella Stamperia di S.A.R. per Gio. Gaetano Tartini e Santi Franchi], in Firenze 1716-1745. II volume in cui si pubblica la lettera (vol. TV, parte IV, pp. 305-308) ě del 1745. L. Fiacchi (a cura di), [Lettera di Tommaso Bonaventuri a Rosso Antonio Martini sopra l'autore dell'Urbano], «Collezione d'opuscoli scientifici e letterari ed estratti dopere interessanti», 17,1814, pp. 97-118 (anche in estratto conpaginazione autonoma, da cui si cita). In realtä non tutte le incongruitá rilevate dal Bonaventuri nel lessico dell'Urbano rispetto al Boccaccio e, in generale, alia lingua del buon secolo sono effettivamente tali:, come mo-strano oggi le voci del Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (di qui in poi TLIO), fondato da RG. Beltrami, consultabile all'indirizzo (12/2020): ě attestato nella 183 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO Bonaventuri fossero tutti abbastanza solidi, ľaura del Boccaccio, in ogni modo, rimase ancora per oltre un secolo sulľ Urbano: lo attribuiscono infatti ancora al Certaldese non soltanto ľedizione parmense del 1801 (uscita prima delia pub-blicazione delia lettera bonaventuriana da parte del Fiacchi), ma anche ľedizione contenuta nelľopera omnia volgare del Boccaccio, pubblicata nel corso degli anni Trentaperle cure di Ignazio Moutier, editore tutt'altro ehe sprovveduto8. Ě questa 1'ultima edizione delľUrbano, su cui, di li in poi, ě sceso di fatto il si-lenzio critico ed editoriale9, lá dove si eccettuino i lavori di Achille Coen prima e di Amos Parducci poi, e un cospicuo numero di studi dedicati alla ricezione francese delľopera nel Cinquecento10. La vicenda narrata nelľUrbano ě piuttosto complicata: dopo una giornata di caccia neipressi delia corte (a Roma), ľimperatore Federico Barbarossa, ehe per inseguire un cinghiale ě rimasto isolato dai suoi famigli, giunge in una caset-ta, dove s'imbatte in una giovane, Silvestra, e la violenta. Poiché la giovane non smette di piangere dopo la violenza subita, ľimperatore (ehe non si ě palesato come tale) le dá in pegno un anello, promettendo di ritornare e di provvedere a un successivo matrimonio riparatore. Federico, tuttavia, sparisce e Silvestra, insieme con la madre (ehe poco dopo muore), si reca a Roma, dove viene ac-colta nella casa delľostiere presso cui la madre presta servizio; qui partorisce un figlio maschio, cui mette nome Urbano; allo stesso tempo nasce anche il ŕi-glio legittimo delľimperatore, cui viene dato il nome di Speculo, la cui madre, Smiralda, muore di parto. I due bambini erescono e, ignari di essere figli dello Fiammetta, per esempio, commaculato (TLIO, s.v. commaculare [Pagnotta]); oppure bariletta ě pluriattestato in fiorentino antico (cfr. TLIO, s.v. [Chiamenti]). Si tratta rispettivamente di ĽUrbano di messer Giovanni Boccaccio, co' caratteri de' fratelli Amoretti, Parma 1801; I. Moutier (a eura di), Opere volgari di Giovanni Boccaccio corrette sui testi apenna, vol. XVI, s.e., Firenze 1834: tutte le cit. delľopera sono tratte da questa ed. II volume XVI si articola in due parti (ciaseuna delle quali con paginazione autonoma), conte-nenti rispettivamente le Rime e l'Urbano. Si noti, tuttavia, che mentre le Rime sono precedu-te da un'ampia presentazione delľeditore, delľUrbano si stampa il solo těsto. F. Zambrini, Opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, Zanichelli, Bologna 18844, col. 1035 dá notizia anche di un'edizione a stampa fiorentina del 1823, per la quale tuttavia non si hanno altri riscontri (non la cita neanche B. Gamba, Serie dei testi di lingua e di altre opere importanti nella italiana letteratura seritte dal secolo XIV al XIX, co' tipi del Gondoliere, Venezia 18394, n° 1053, che cita invece ľedizione Moutier). Si noti, per esempio, che l'Urbano non ě tra le opere censite da V. Branca, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio, I. Un primo elenco dei codici e tre studi, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1958 e II. Un secondo elenco dei manoseritti e studi sul těsto del Decameron con due appendici, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1991. Cfr. rispettivamente A. Coen, Di una leggenda relativa alla nascita e allagioventů di Costantino Magno, «Archivio delia Societa romana di storia patria», 4, 1880, pp. 1-55, 293-316 e 535-561, 5, 1881, pp. 33-66, 489-541; A. Parducci, La leggenda della nascita e delia gioventů di Costantino Magno in una nuova redazione, «Studj romanzi», 1, 1903, pp. 57-105. Sulla ricezione delľopera in Francia, cfr. J. Incardona et P. Mounier (éd.), Urbain le mescongneu filz de l'empereur Fedric Barberousse, traduitper Claudine Sceve. Edition bilingue, Droz, Geneve 2013. 184 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA Dl UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA stesso padre, divengono amici. Passano quattordici anni, e un giorno tre fratelli mercanti fiorentini (Pippo Scarmo e Pirotto, guidati da Blandizio) arrivano alia locanda di Silvestra. Notáta la somiglianza di Urbano con Speculo, decidono di approfittarne per escogitare una truffa ai danni del sultáno d'Egitto, acerrimo nemico dell'imperatore: Urbano dovrá imbarcarsi con loro fino al Cairo fingen-dosi Speculo e portare un messaggio di pace al sultáno, in modo da estorcergli con l'inganno doni destinati a Federico. II giovane, che non sopporta di dover prestare servizio in una locanda, accetta la proposta senza esitare. II gruppo va dunque a Genová e di qui parte per il Cairo. Giunti a destinazione, tuttavia, gli impostori scoprono che il sultáno ha una splendida figlia in etá da marito, e decidono di rivedere i loro piani: Urbano dovrá chiedere la giovane in sposa, in modo da ottenere anche la dote. Il piano va in porto, tanto piu che il finto principe si innamora davvero, ricambiato, della bella Lucrezia, e le nozze vengono celebrate. Prima di ripartire alia volta di Roma, la madre di Lucrezia dona di na-scosto alia figlia due pietre preziosissime, raccomandandole di non separarsene mai. Durante uno scalo su un'isola deserta, mentre i giovani consumano il loro matrimonio, i mercanti decidono di abbandonarli, portando con sé tutti i doni mandati dal Sultáno a Federico; giungono dunque a Genová e di qui si recano a Parigi, dove stabiliscono di trascorrere il resto della loro vita; il proprietario della nave, invece, decide di trasferirsi in Catalogna. Nel frattempo, i giovani e la vecchia balia di Lucrezia stanno per morire di fame, ma vengono salvati da alcuni mercanti (guidati da Gherardo) che si stanno recando a Napoli. Di qui i giovani partono per Roma, dove Lucrezia vende una delle gemme donate dalla madre e compra cosi un grande palazzo esattamente di fronte a quello dell'imperatore, cui intanto ě morto il figlio Speculo. Dopo aver visto Blandizio e i suoi fratelli (giunti a Roma come ambasciatori del re di Francia, in vista della guerra contro il sultáno), Lucrezia decide di farsi riconoscere dall'imperatore. Ha quin-di luogo Yagnitio finale, non solo di Lucrezia ma anche di Silvestra (che diventa moglie di Federico e imperatrice) e di Urbano; il padrone della nave salvatrice, ingiustamente accusato, viene fatto liberare da Lucrezia, mentre i mercanti in-gannatori vengono puniti. Come notava giá Borghini, la storia rimanda assai da vicino a quanto narra-to in un'altra opera volgare, composta a Roma tra gli anni Settanta e Ottanta del Trecento, e assai diffusa fino al Quattrocento inoltrato: il Libro imperiále. Il Libro imperiále si compone di due parti distinte: la prima, articolata in quattro libri, e presente in tutti i manoscritti tranne uno, ě la sola che arriva alia stampa e ripro-pone per il primo e il secondo libro il testo dei Fatti di Cesare. Il terzo libro, dopo il proemio (cap. l), narra la guerra tra Ottaviano, Antonio, Bruto e Cassio (capp. 2-17) e prosegue quindi con l'episodio dell'adorazione di Cristo da parte di Ottaviano (cap. 18). Con questo capitolo termina la parte propriamente storica e co-mincia invece la parte genealogica, prima con la narrazione dell'impero di Iulio, successore di Ottaviano, che regno per sei anni prima di Tiberio (cap. 19) e quindi con la narrazione della nascita dei Colonna (cap. 20). Terminata la genealogia colonnese, la storia nel Libro imperiále fa un passo indietro e torna prima a Giulio Cesare e racconta quindi le vicende del figlio avuto con Cleopatra, Cesarione. Ce- 185 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO sarione - riconosciuto legittimo re dell'Egitto da Ottaviano - regno per ventitré anni; gli succedettero quindi il figlio Talamo, che regno trentadue anni, e poiMen-zio (che regno tredici anni), Salario (che regno sedici anni) e infine «il crudele re Pompilio», che, dopo aver regnato per diciannove anni e quattro mesi, fu ucciso durante un tumulto. La «donna» di Pompilio fuggi, portando in grembo il figlio del re: giunse dunque, dopo un viaggio in nave, in Italia, a Gaeta, e partori il figlio (chiamato Selvaggio) a Tagliacozzo. Questi venne dunque portato a Laurento e afüdato a una donna, Diosita, cui vengono dati anche una corona e una palla che Ottaviano aveva donato a Cesarione quando lo aveva fatto re d'Egitto. Di qui la vicenda prosegue (pur con qualche ampliamento narrativo) secondo lo schema giá visto neu' Urbane Dopo il riconoseimento dell'origine imperiale di Selvaggio, che diviene imperatore col nome di Massimo, il Libro imperiale si conclude legan-do questa vicenda all'origine dei Prefetti di Vico, a loro volta discesi dal figlio di Massimo, di nome - per l'appunto - Prefetto (L. IV, cap. 66), il cui patrimonio fu confermato dal nuovo imperatore, Severino (cap. 67) e ampliato attraverso dodici figli (cap. 68). Dopo un capitolo sulla donazione di Costantino (cap. 69), riprende la narrazione della vicenda dei Prefetti (capp. 70-78) con una breve digressione per descriverne l'arma (cap. 75). Un rimaneggiamento dal Libro imperiale, corri-spondente alia porzione L. III, cap. 23-28, ha anche una circolazione autonoma, apparentemente episodica, sotto il titolo di Novella delfigliuolo di Pompilio: ne ho notizia solamente nel quattrocentesco ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2254 (il těsto ě edito diplomaticamente da Gaetano Romagnoli in appendice alla co-siddetta Storia della crudele matrigna)11. La stretta vicinanza narrativa tra Libro imperiale e Urbano aveva portato il Borghini a ipotizzare per entrambe le opere un unico autore da identificare o con il Cam/Can/Cambio/Camillo che compare in una parte della tradizione del Libro imperiale, o con Giovanni Bonsignori, cui rimandano alcuni elementi in-terni (primo tra tutti il richiamo costante alle Metamorfiosi di O vidio, di cui esi-ste un rimaneggiamento realizzato dal Bonisgnori medesimo), e cui parrebbero rimandare anche le ragioni genealogiche del raeconto: al Bonsignori si deve in-fatti anche un poemetto, oggi perduto, sull'origine della famiglia Frangipane, fatta risalire alia gens Anicia e a Gregorio Magno. Tuttavia la fonte prima delYUrbano non ě neppure, come pensava Borghini, da ricercare direttamente nel Libro imperiale: questo, quello (e altri testi anco-ra) attingono tutti da un'opera latina bassomedievale, apparentemente assai piu fortunata nella rieezione volgare che nella trasmissione latina (appena quattro manoscritti, di cui uno - il tardo Chigiano QJI.51 - che tramanda una secon-da redazione): il Libellus de Constantino Magno eiusque matre Helena11'. La storia 11 Cfr. G. Romagnoli (a eura di), Storia d'una crudele matrigna ove si narrano piacevoli novelle. Scrittura del buon secolo della lingua, Romagnoli, Bologna 1862, pp. 61-68. La Storia della crudele matrigna ě, in realtä, una delle varie versioni del Libro dei sette savi. 12 Per ľedizione cfr. G. Giangrasso (a cura di), Libellus de Constantino Magno eiusque matre Helena. La nascita di Costantino tra storia e leggenda, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1999. 186 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA narrata in quest'anonima opera si origina, in realtá, dalla fusione di due parti originariamente distinte, come dimostrato da Achille Coen (1881-82). Nella prima di esse si narra la vicenda di Elena: venuta a Roma da Treviri per recarsi in pellegrinaggio alia chiesa degli apostoli Pietro e Paolo, incontra casualmente l'imperatore romano Costanzo, che s'invaghisce di lei. Trattenuta con una scu-sa a Roma, la giovane viene violentata daH'Imperatore, scopre quindi di esse-re incinta e decide, per la vergogna, di rimanere a Roma, ospite di alcuni buoni cristiani. Partorisce dunque un figlio, cui pone nome Costantino. A quest'altez-za del racconto si innesta la seconda parte. Circa dieci anni dopo la nascita di Costantino, mentre infuriava un'aspra guerra tra l'imperatore romano e quello greco, due mercanti romani, grandemente stimati dall'imperatore greco, incon-trano Costantino. Ammirandone la bellezza e il nobile portamento, e saputolo privo di padre e figlio di una donna poverissima, decidono di portare con loro il fanciullo, di educarlo e di presentarlo all'imperatore greco come figlio di Co-stanzo, dicendo che l'imperatore romano voleva che il proprio figlio sposasse la figlia dell'imperatore greco: in questo modo essi avrebbero ottenuto grandi ricchezze e avrebbero portato un gran danno al nemico dei Romani. Dopo circa tre anni, i mercanti partono da Roma alia volta della Grecia; qui espongono la simulata ambasceria e ottengono di portare con loro a Roma la figlia dell'imperatore. Sulle navi vengono caricate grandi ricchezze, mentre l'imperatrice consegna di nascosto alia figlia alcune pietre ďoro e gemme purissime. Le navi salpano alia volta di Roma e i due promessi sposi vengono abbandonati, notte-tempo, su un'isola deserta. Salvati da una nave di passaggio giungono a Roma e si presentano a Elena: grazie alle gemme portate dalla figlia dell'imperatore, aprono una locanda. Dopo circa sei anni, Costantino acquista gloria in hastiludiis ettorneamentis, fino a essere notato dall'imperatore, che gli chiede di esporre la propria origine. A questo punto si ha l'agnizione di Costantino e lo scioglimen-to dell'intera vicenda, con la celebrazione di un nuovo matrimonio e la pubbli-cazione dei decreti che dichiarano Costantino erede dei due imperi. Di questo testo esistono almeno cinque differenti versioni: alle due reda-zioni del Libellus (raccolte da Parducci sotto la sigla A13), vanno infatti aggiunte Ylnstoria Hekne matris Constantini Inperatoris scoperta dal Parducci nel codi-ce 1755 della Biblioteca Statale di Lucca (siglato L da Parducci14), il De nativi-tate Constantini imperatoris scoperto da Hilka nel elm 19544 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco15, la narrazioni fatte nella nelYHistoria imperialis di Giovanni da Verona (chiamata B da Parducci) e nel Chronicon imaginis mundi di Iacopo d'Acqui (C in Parducci). Si trattava, dunque, di un materiále abbon-dantemente disponibile in epoca medievale, che confluisce anche in altri testi, Cfr. Paducci, Leggenda, cit., p. 62. Entrambe le redazioni sono pubblicate in Giangrasso, Libellus, cit., rispettivamente alle pp. 2-55 (pagine pari) e 55-73. Paducci, Leggenda, cit., pp. 101-105. A. Hilka, Aufsaetze Fritz Milkau gewidmet, hrsg. G. Leyh, Hiersemann, Leipzig 1921, pp. 147-152 (il testo ě pubblicato allepp. 149-152). 187 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO come per esempio nel Dittamondo (L. II, cap. 11, vv. 46-69) o nel volgarizza-mento italiano della Legenda aurea realizzato da Nicolö Manerbi, che dichiara di trarre la leggenda di sant'Elena dalla Historia imperialis di Giovanni da Verona (probabilmente con la mediazione del Catalogus Sanctorum di Pietro Nadal). Sara tuttavia opportuno ricordare che il Libellus ha, molto probabilmente, giä un'origine encomiastico-genealogica. Come ha proposto convincentemente Giulietta Giangrasso, la composizione del testo andrebbe collocata tra il 1290 e il 1305, quando il re di Boemia Venceslao II riusci, attraverso una serie di unio-ni dinastiche, a unificare sotto un'unica corona i regni di Boemia, Polonia e Un-gheria, creando di fatto un complesso statale che si estendeva dalle pianure russe e dal Baltico all'Adriatico. In quest'ottica Venceslao sarebbe dunque il novello Costantino che, attraverso le nozze, ha nuovamente unito Oriente e Occidente. La possibile origine boema ě interessante anche per un altro motivo, ossia per il legame con il primo testo di area italiana in cui si riverberano echi del Libellus. Si tratta della lettera scritta nell'agosto del 1350 da Cola di Rienzo a Carlo IV di Boemia. Cola scrive aH'imperatore una lunga lettera nella quale chiede insistentemente di essere liberato, adducendo tre motivi: il primo ě la paura della fama di eretico che gli deriverebbe dalla carcerazione, il secondo ě il danno alla salute che gli sarebbe procurato dalla carcerazione, il terzo ě la rivelazione di un grande arcanum che Cola ha da fare all'imperatore. L'arcanum sono i fatti accaduti nel maggio del 1312, quando l'imperatore Enrico VII era sceso a Roma con l'idea di farsi incoronare in San Pietro; ciö, tuttavia, gli fu impedito da alcuni guelfi romani e fu incoronato a San Giovanni in Laterano16. L'imperatore - prosegue Cola - volle comunque recarsi in visita a San Pietro, accompagnato da una guida «qui vias occultas agnosceret, et cum eo in habitu peregrino». La voce, tuttavia, si diffonde rapidamente, sieche l'imperatore e la sua guida sono costretti non solo a desistere dal loro proposito, ma anche a nascondersi rapidamente in una taberna publica per non essere scoperti: Quam quidem vocem ubilibet susurratam imperator et Latinus pariter advertentes per occultam viam, que dicitur Ripa fluminis, in qua domus mea permanet situata, ambo pariter transierunt. Verum cum sbarras domui mee propinquas ante clausas et custoditas adverterent, quasi simulantes in domo mea, que taberna erat publica, velle tunc bibere, intraverunt in illam, et deinde pro nocturna quiete hospitium et cameram petierunt. Qui a matre mea, absente tunc viro ad cuiusdam loci custodiam destinato, hospitati faerunt liberaliter «Nam excitati fuerunt premiis et subdueti nonnulli Romanorum potentes, qui cum brachio regis Apulie imperatorem ipsum impediverunt in tantum, quod idem imperator nequivit in Sancti Petri Basilica, sicut moris est imperatorum omnium, coronari, pro eo videlicet, quod in Romana Civitate tota, sbarris, trabeis, machinis et obstaculis ligneis viis omnibus clausis et stratis omnibus impeditis, bella inter partes continue seviebant, et sie dominus imperator, ut premittitur, coactus est in Lateranensi ecclesia coronari» (K. Burdach e P. Piur [hrsg.], Briefwechsel des Cola di Rienzo, im Auftrage derkonigl. preussischen Akademie der Wissenschaften, 5 voll, in 7 tt, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1912-29, vol. III, p.202). 188 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA et recepti. Et secundum aliquorum relationem per dies x et secundum aliquos per dies xv se infirmum simulans ibi latuit imperátor, donee videlicet fuit ilia in totum sublata suspicio et tante solicitudini et custodie finis datus. Et de hoc latitacionis puncto ab illis, qui cum eo tunc morabantur assidui, si aliquis vivit ut oppinor, poteritis, si recolunt, declarari17. Poco tempo dopo, il 16 agosto, Enrico VII moriva a Buonconvento, mentre a Roma nasceva postumo il figlio, Cola. II fatto, raccontato dalla madre di Cola, Matalena, a un'amica, e da quest'ultima a un'altra arnica, era rapidamente pas-sato di bocca in bocca (non modicum sussurratum); la moglie del taverniere Lorenzo, vicina alia morte, confessö il suo peccato a un sacerdote. Solo molti anni dopo la confessione di Matalena e dunque dopo lo svolgimento dei fatti narrati, Cola - alia morte del padre Lorenzo - venne a sapere dal sacerdote che aveva raccolto la confessione della madre e dali'arnica la vicenda legata alia nascita. Quali siano l'origine e la datazione delYUrbano ě argomento controverso. La proposta di attribuire alia stessa mano úzYUrbano sia WLibro imperiale era. stata respinta seccamente da Achille Coen18, che considerava l'autore del primo ben piu attrezzato dal punto di vista letterario rispetto al secondo, giudicato invero assai modesto. Secondo Coen, infatti, «YUrbano [...] sembrerebbe anteriore al Libro Imperiale, in quanto che qualche circostanza accessoria dei fatti narrati dagli autori delle due opere apparisce intrata nel Libro Imperiale ázYYUrbano e non viceversa. Ora, poiché il Libro Imperiale, quantunque non si conosca preci-samente di che anno sia, pure [...] nonpuö essere stato seritto néprima del 1377, né molti anni dopo questa data, ne consegue ehe YUrbano deve collocarsi fra il 1375 e (per tenerci in uno spazio alquanto largo) il 1380» (ibidem). Vi ě tuttavia un ulteriore punto ehe parrebbe dividere YUrbano dal Libro imperiale: mentre il secondo ha, come si ě detto, un intento genealogico, YUrbano si sviluppa esclusivamente sul fronte narrativo. Il racconto, del resto, non si preoceupa neppure di fornire un qualsivoglia aggancio storico alla realtá (ľu-nico possibile congruenza storica, peraltro assai lasca, ě la preparazione di una spedizione contro il «Soldano» che potrebbe sovrapporsi alla terza crociata) e non pare nemmeno potersi agganciare alla narratologia genealogica del tempo. Piuttosto l'autore sembra voler legare la propria opera a fonti mitografiche clas-siche (d'altronde sulla falsariga del Boccaccio e del Bonsignori), come si evince dai numerosissimi parallelismi che vengono tracciati tra i protagonisti o le situazioni delYUrbano e aleuni personaggi mitologici: cosi il taglio della testa del cinghiale ě come quello che fece «il giovane Meleagro, quando del capo ad Atalanta fece l'onoratro dono» (p. 6); all'arrivo dell'imperatore nella capanna, Silvestra «non altrimenti faceva per ascondersi che l'abbandonata Arianna del sopravvenente Bacco» (p. 7); lo stupro di Federico ricorda «la non colpevol Dafne in quelle [seil, braccia] d'Apollo trasformata» (p. 9); accortasi di essere incinta, Silvestra pensa di «torsi la vita nel modo che la dolente Filii da Demo- 17 Ivi, pp. 202-203. 18 Coen, Leggenda, 4, cit., p. 549. 189 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO fonte sposata» (p. 11); gli inganni ehe tessono i mercanti sono paragonati a quel- 10 di Teseo e a quello di Giasone (p. 20); la partenza delle navi dal Cairo ě «da Nettuno e da Eolo favoreggiata» (p. 37); Urbano contempla la sua Lucrezia non credendo «Paris giammai contento quant'io si gloriasse della sua rapita Elena» (ibidem) e per tessere le lodi di Blandizio afferma che per gratitudine verso di lui «non prima sarô disceso in terra, che con solleciti passi di Giove, di Giunone e d'Imeneo visiterô con degne offerte i suoi benigni e sacri altari» (ibidem), e nel dire queste parole «non altrimenti dicea, che faceva il re Tereo avendo seco in nave Filomena» (ibidem); il garzone incaricato di uccidere Urbano e Lucrezia decide di risparmiarli convinto che sulľisola «a loro resterá di provvede-re all'ingegno di Dedalo, o agl'incanti di Medea» (p. 40); quando Lucrezia si accorge di essere stata abbandonata sulľisola «umilmente la morte chiamava nel modo che la paurosa Andromeda nella riva» (p. 43). Il costante richiamo al mondo classico (talvolta anche incoerente, come nel caso della promessa di fare sacrifici agli altari di Giove, Giunone e Imeneo) pare sottrarre definitivamente 11 testo al Trecento, e collocarlo invece pienamente nel Quattrocento in un am-bito umanistico, o almeno che aspirava a considerarsi tale. In ogni caso, come detto, la narrazione ě tutta proiettata su un piano squisitamente narrative Ciô accade anche nella ripresa, ancorché parziale, della stessa vicenda che si trova in un testo certamente trecentesco. Si tratta di una novella trádita in un unico ma-noscritto datato al 1377 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrále II.n.15). Nella novella il nucleo narrativo ě ridotto alia seconda parte, quella delle avventuro-se vicende del protagonista (che qui si chiama Manfredo), e della sua nomina a erede dell'imperatore. Manca del tutto la parte deWagnitio. Manca, anzi, un qualunque ruolo per la madre del protagonista, che anzi ě sempře qualiŕicato so-lamente come il figlio di «Guido salsiere». Per questa via, anche la somiglianza con il figlio dell'imperatore viene proiettata su un piano completamente fortuito: E '1 giovane disse: uno ch'a nome Guido, che fa la salsa e la mostarda, che sta alia piazza Traiana, si á uno suo figliuolo, che risomiglia ilfigliuolo dello imperadore, e dicovi, che, sefosse vestito ďuno panno col figliuolo dello imperadore, egli il risomiglia tanto, che non saria niunapersona che riconoscesse ľuno dalľaltro; e pero diremo a Guido suo padre, che noi vogliamo che questo suo garzone istia con noi, e noi il vestiremo a modo di figliuolo d'imperadore, e andrencene co molte navi e galee armate in Gostantinopoli, e diremo alio 'mperadore di Gostantinopoli, che questi ě il figliuolo dello 'mperadore di Roma, e ch'egli il manda, che vuole ch'egli gli dialafigliuolapermoglie; elo 'mperadore di Gostantinopoli sarámolto allegro, e darágli molto tesoro: e in questo modo n'avremo tutto ciô ch'abbiamo perduto19. La novella era giá edita con normalizzazioni grafiche e alcune modifiche (non indicate) alia lezione in F. Zambrini (a cura di), Novelle ďincerti autori del secolo XIV, Romagnoli, Bologna 1861, pp. 9-29, che avanza (sia pur prudentemente) l'ipotesi di un'attribuzione a Ser Giovanni. Il testo ě ristampato poi in appendice al Pecorone nell'ed. di S. Battaglia (a cura di), Il Pecorone e due racconti anonimi del Trecento, Bompiani, Milano 1944, pp. 163-171 e in L. Battaglia Ricci (a cura di), Novelle italiane. Il Duecento. Il Trecento, Garzanti, Milano 190 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA La circolazione italiana del modello del Libellus, dunque, muove su due li-neeprincipáli: daunlato quello solonovellistico (Urbano eManjredo), dall'altro quello delle genealogie incredibilť (Cola e Prefetti di Vico), per riprendere qui i termini di Roberto Bizzocchi20. In ogni caso, l'avvio della circolazione di queste narrazioni pare legato alia grande crisi dinastica prodottasi in Francia durante la prima fase della Guerra dei Cent'anni, con la morte di Filippo VI di Valois e con lo scontro per la successione al trono tra Giovanni II e Carlo II di Navarra. Ě infatti in seguito a questa crisi che cominciano a apparire per l'Europa i re nascosti', e conseguentemente comincia a diffondersi per l'Europa questa apologia di testi genealogici21. 2. UUrbano e la sua fortuna manoscritta Dopo aver chiarito il quadro storico entro cui nasce e si sviluppa VUrbano avviciniamoci al testo, per cercare di capire in quale ambiente venne composto e in che modo la falsa attribuzione al Certaldese, giá autorevolmente smentita dal Borghini e dagli accademici della Crusca, possa averne influenzato la fortuna. 1982, pp. 259-268; per una nuova ed., cfr. G. Vaccaro, Commedia, commenti danteschi,fiorite, genealogie: lo strano caso dell'Aquila, in D. De Martino e R. Rabboni (a eura di), UsareDante. Leggere tradurre commentare, Longo, Ravenna 2020, pp. 29-88 (da cui cito il těsto, pp. 75-79). II secondo componente del codice, in cui ě compresala Storia diManfredo, ě sottoseritto al f. 24r «Chonpiuto di serivere lunedi sera a di 26 ďottobre 1377»: cfr. anche A. Andreose, Tra ricezione e riserittura: la fortuna romanza della «Relatio» di Odorico da Pordenone, in G. Carbonaro et al. (a eura di), Medioevo romanzo e Orientale. Ii viaggio nette letterature roman-ze e orientali. V Colloquio Internazionale, VII Convegno della Societa Italiana di Filológia Romanza (Catania-Ragusa, 24-27 settembre 2003), Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 5-21: 12. Lanovella 1 della Xgiornata del Pecorone (cito qui dallapurperfettibile edizio-ne di E. Esposito [a eura di], Ser Giovanni, Ii Pecorone. In appendice i sonetti di donne antiche innamorate del ms II, II, 40 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Longo, Ravenna 1974) narra una vicenda abbastanza simile. Dionigia, figlia del re di Francia, sposa segre-tamente il Re d'Inghilterra e ha da lui due figli. In assenza del Re, partito per la guerra, tut-tavia, la regina madre decide di far uccidere nuora e nipoti, fingendo una lettera seritta dal figlio. Dionigia, vendendo delle preziose gemme che le erano state donate dalla madre, rie-sce a salvarsi e a partire alla volta di Genová, e dunque ad arrivare a Roma. Il Re torna dalla guerra, scopre ľinganno e fa uccidere la madre, ma non riesce a ritrovare la moglie. Il ricon-giungimento avviene a Roma in occasione di una missione del Re alla corte papale in vista di un «passaggio ďoltremare sopra i Saracini» (ivi, p. 247; la novella ě alle pp. 240-250); Esposito propone di identificare Dionigia con Alice, figlia di Luigi VII di Francia e il Re d'Inghilterra con Riccardo Cuor di Leone. Si noti, inoltre, che la novella precede quella che narra la fondazione di Roma (giornata X, 2) e il dittico dedicato alla fondazione di Firenze (giornata XI: la novella 1 ě dedicata alla fondazione antica; la novella 2 alla rifondazione medievale successiva alla distruzione da parte di Attila: il materiále ě tratto dalla Chronica de origine civitatis Florentie o dal suo volgarizzamento, il cosiddetto Libro fiesolano). 20 R. Bizzocchi, Genealogie ineredibili. Scritti di storia nell'Europa moderna, il Mulino, Bologna 20092 (ed. orig. 1995). 21 Cfr. anche Y.-M. Bercé, Le roi caché: sauveurs et imposteurs. Mythes politiques populaires dans 1'Europemoderně, Fayard, Paris 1990 (trad. it.: Ure nascosto: mitipoliticipopolari nell'Europa moderna, Einaudi, Torino 1996). 191 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO Come si ě detto non esiste ancora un'edizione critica delia novella22: dopo il lungo silenzio seguito alľedizione Moutier del 1834, ehe ne convalidava la paternita boccaccesca, ě stato solo negli ultimi anni ehe gli studiosi hanno riaperto il dibattito critico. Frailavoripiú recenti vanno ricordati ľedizione delia traduzio-ne in francese delľUrbano condotta da Claudine Scěve nel Cinquecento, pub-blicata nel 2013 per la Droz a cura di Janine Incardona e Pascale Mounier23, e soprattutto il recentissimo studio di Daniela Branca ehe aífronta una puntuale ricognizione delia tradizione manoseritta e a stampa delia novella, corredata da una prima serie di sondaggi sui rapporti genealogici fra i testimoni24. Ľedizione Incardona-Mounier segnalava cinque manoscritti: il Pal. 200 del-la Biblioteca Nazionale Centrále di Firenze, il Vat. Lat. 5337, i due Riccardiani 1078 e 1095 e, infine, il ms. 2001 delia Hessische-Landes-und-Hochschulbi-bliothek di Darmstadt. Accanto a questi ě stato possibile individuare, ad oggi, il ms. Bywater 37 delia Bodleian Library di Oxford, il Laudense XXVIII.B. 16 delia Biblioteca Comunale di Lodi e un codice giá conservato nella biblioteca privata dei Sigg. Coppi di Gorzano. Dobbiamo infine alla generosita di Daniela Branca ľaverci segnalato i mss. Additional 10144 delia British Library di Lon-dra e Barb.Lat.4051 delia Biblioteca Apostolica Vaticana25. Un primo esame del corpus consentirá in questa sede di mettere a fuoco la tipologia ed eventualmente l'identita dei testi assieme ai quali la novella si tra-manda piú spesso - quello che Michael Reeve ha definito il «cluster of texts»26 - ma anche di provare a stabilire a che altezza sia stata introdotta la falsa attri-buzione a Boccaccio, e come quest'ultima possa aver eventualmente influito sulla sua circolazione. Il primo aspetto da rilevare ě il fatto che la tradizione si compone interamen-te - Stando almeno a questo primo, provvisorio censimento - di manoscritti quattrocenteschi, i piu antichi dei quali non sembrano oltrepassare la metá del secolo. Il codice ex Coppi (d'ora in poi Co) riporterebbe sulla prima carta la da- Ad essa stanno lavorando gli autori di questo lavoro. Incardona, Mounier (a cura di), Urbain, cit., pp. 28-32. D. Delcorno Branca, Vicende di una falsa attribuzione a Boccaccio: prime osservazioni sulla «Novella di Federico Barbarossa» detta l'«Urbano», «Studi sul Boccaccio», 48, 2020, pp. 213-271. All'uscita dell'articolo il presente lavoro ě giä in bozze: ringraziamo tuttavia lAu-trice per averne condiviso con noi i risultati, nonché per i numerosi e preziosi consigli elar-giti sempre con generosita ed entusiasmo. Questo lavoro ě giä in bozze quando giunge notizia della segnalazione, da parte di Marco Petoletti, di un nuovo testimone delľUrbano: il ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Z 123 sup. (M. Petoletti, Per la tradizione manoseritta della «Novella delgrasso legnaiuolo». Un nuovo testimone della versione palatina, in S. Cremonini e F. Florimbi [a cura di], Il colloquio circolare. I libri, gli allievi, gli amici. In onore di Paola Vecchi Galli, Patron, Bologna 2020, pp. 433-443). Cfr. ad esempio M. Reeve, Dionysius the Periegete in Miscellanies, in E. Crisci, O. Pecere (a cura di), Il codice miscellaneo. Tipologie efunzioni. Atti del Convegno internazionale (Cassino, 14-17 maggio 2003), Universita degli Studi di Cassino, Cassino 2004, pp. 365-378. 192 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA ta del 146327, che pure sembrerebbe di altra mano e non riferibile con sicurezza allatto di copia28. Una data ě presente anche nel Pal. 200 (ďora in poi P), scritto da tre diverse mani, 1'ultima delle quali si sottoscrive al gennaio del 1473-1474, secondo lo stile fiorentino; la novella, che pure si legge nella sezione precedente, potrebbe essere stata copiata nello stesso giro ďanni, come sembra sugge-rire la fisionomia unitaria del codice a livello di mise enpage, tipologia grafica e sistema di ornamentazione29. Sono databili alla seconda metá del secolo il Lau-denseXXVIII.B.16 (L), l'Additional 10144 (A), il Vat. Lat. 5337 (V)30, ilBywa-ter 37 (O) e il ms. 2001 di Darmstadt (D)31. Per quesťultimo codice ě possibile restringere ulteriormente 1'arco cronologico grazie ai dati offerti nelledizione critica del volgarizzamento quattrocentesco della Pro Marcello, pure ospitato nel codice: dal momento che uno dei suoi discendenti, il ms. II.V.77 della Biblio-teca Nazionale Centrále di Firenze, ě sottoscritto al 146032, se ne puó dedurre che anche D sia stato copiato prima di quella data33. Ě ascrivibile grossomodo alla metá del Quattrocento il Barb. Lat. 4051 (B)34, mentre sembrano piú tardi il Ricc. 1078 e 1095 (ďora in poi R1 e R2), databili allultimo quarto di secolo35. Sette codici su dieci tramandano YUrbano in un contesto miscellaneo: si trat-ta in particolare di B, Co, D, P, R1, R2, V. II dato non stupisce, trattandosi di un těsto novellistico; piú sorprendente, semmai, ě che ben quattro di essi (D, V, R1 e R2) appartengano a una tipologia antologica piuttosto connotata, quella del- Non ě stato possibile visionäre direttamente e per intero questo testimone (cfr. L. Bertolini, E. Tortelli, scheda 24 [Roma,proprietaprivata, ms. senza segnatura (giá Coppi di Gorzano)], in R. Cardini [a eura di], Leon Battista Alberti. La biblioteca di un umanista, Mandragora, Firenze 2005, p. 305); ringraziamo Daniela Branca per averci messo a disposizione le ripro-duzioni fotografiche relative alle carte contenenti YUrbano e per averci fornito indispensa-bili ragguagli sulla fisionomia generale del codice. Questo dato mi viene gentilmente riferito da Daniela Branca. La descrizione e la tavola del manoscritto si trovano in L. Bertolini, Leon Battista Alberti. Censimento dei manoscritti, 1. Firenze, I-II, Polistampa, Firenze 2004,1, pp. 703-726. C. Russo, Firenze nuova Roma. Arte retorica e impegno civile nelle miscellanee di prosa delpri- mo Rinascimento, Cesati, Firenze 2019, p. 27. lvi, p. 19. Cfr. S. Berti (a eura di), Cicerone, Pro Marcello. Volgarizzamento quattrocentesco giá attribu-ito a Leonardo Bruni, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2010, pp. 120-122. Sebbene, a rigore, la novella sia stata copiata dopo il těsto della Pro Marcello, esso appartene-va senza dubbio alla silloge originaria, copiata infatti nella stessa consistenza e ordine anche nei testimoni R1 ed R2. Questo dato, assieme alla considerazione che molte di queste sillogi prendevano forma in maniera unitaria, vale a dire tramite un unico atto di copia (cfr. Russo, Firenze nuova Roma, cit., p. 193, n. 115), consente di estendere il terminus ante quem anche agli altri testi della silloge. Cfr. A. Decaria, Le rime di Francesco d'Altobianco degli Alberti secondo la silloge del codice BNCF II II 39. Edizione critica. Parte I (Censimento e classificazione delle testimonianze), «Studi di filológia italiana», 63, 2005, pp. 47-238 (p. 54) e F. d Altobianco Alberti, Rime, edizione critica e commentata a cura di A. Decaria, Commissione per i testi di lingua, Bologna 2008, p. 155. Russo, Firenze nuova Roma, cit., p. 24. 193 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO le raccolte di lettere e orazioni in volgare, all'interno della quale il genere della novella rappresenta di solito una presenza minoritaria. Essendo allestiti come prontuari per l'esercizio dell'attivita politica, infatti, questi codici riunivano in prevalenza modelli esemplari di oratoria ed epistolografia, cosi da rispondere alle esigenze di quei cittadini, sempre piú numerosi, che pur non avendo rice-vuto una specifica formazione letteraria erano coinvolti nelľattivitá politica, e dovevano dunque preparare discorsi in volgare da pronunciare nelle diverse oc-casioni del cerimoniale cittadino. Questi codici, ideatiprobabilmente nei circoli dell'umanesimo civilmente impegnato dei Manetti e degli Acciaiuoli, e prima ancora del Filelfo e del Bruni, iniziarono a essere prodotti a Firenze intorno alia metá del Quattrocento - non a caso in concomitanza con l'ascesa dei Medici, che favorendo un piu largo accesso alle cariche minori miravano a creare l'illu-sione di un potere ampiamente condiviso - e restarono popolarissimi fino alia fine del secolo, se si pensa che sono almeno 118 gli esemplari giunti fino a noi36. Come possiamo vedere dalla tavola riportata in appendice, D, R1 e R2 presen-tano sillogi quasi identiche; ľaffinitá strutturale, che riguarda sequenze di testi difficili da riprodurre in maniera poligenetica37, ě confermata sul piano ecdoti-co almeno per il testo della Novella di Seleuco e per quello del volgarizzamento quattrocentesco della Pro Marcello, pubblicati in edizione critica rispettivamente da Nicoletta Marcelli e Sara Berti38. Mentre per la novella bruniana non ci sono indizi stemmatici per precisare ulteriormente i rapporti genealogici fra i testimony in base a quelli presentati nell'edizione del volgarizzamento ciceroniano il codice di Darmstadt sarebbe antigrafo degli altri due, che da questo sarebbe-ro discesi in maniera collaterale. Quali che siano gli effettivi rapporti genealogici fra le tre raccolte, che bisognerá verificare tramite una recensio condotta su tutti i testi39, si puô osservare che esse si caratterizzano, rispetto al resto della tradizione, per due aspetti in particolare: il primo ě l'ampia presenza della no-vellistica, genere, come si diceva, non molto frequentato dagli antologisti, che fatta eccezione per il Seleuco tendono ad accogliere pochi testi, di solito relega-ti nella sezione finale delle raccolte. Il secondo dato risiede nello spiccato inte-resse per la figura di Leonardo Bruni. Nel codice di Darmstadt, in particolare, Sulľoratoria civile in volgare dei Quattrocento restano tuttora insuperati i lavori di Emilio Santini (E. Santini, Firenze e i suoi "oratoři" nel Quattrocento, Sandron, Milano 1922 e Id., La 'Protestatio de iustitia' nella Firenze medicea dei secolo XV, «Rinascimento», 10,1959, pp. 221-238), cui si puö affiancare oggil'ampio saggio di Uwe Neumahr (U. Neumahr, Die protestatio de Iustitia in Der Florentiner Hochkultur. Eine Redegattung, LIT, Münster-Hamburg-London 2002). Sulla tipologia in esame mi permetto di rimandare da ultimo a Russo, Firenze nuova Roma, cit., con altra bibliografia. Nell'analisi della tradizione di queste miscellanee i codici sono stati riuniti, sulla base di criteri strutturali, nel gruppo denominato Ro (cfr. Russo, Firenze nuova Roma, cit., p. 92). N. Marcelli, La «Novella di Seleuco eAntioco». Introduzione, testo e commento, «Interpres», 22,2003, pp. 1-177. Cicerone, Pro Marcello, cit., pp. 120-122. I sondaggi effettuati da Daniela Branca sul testo áúYUrbano, in particolare, smentirebbero tale classificazione, collocando piuttosto il codice di Darmstadt su un piano di collateralitä rispetto ai due Riccardiani. 194 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA la Novella di Seleuco funge in un certo senso da testo-cerniera fra la prima parte del codice, di carattere politico-civile e comprendente le vite bruniane di Dante e del Petrarca eVOrazioneperNiccolö da Tolentino, e la seconda, apparentemente meno impegnata ma non priva di una funzione esemplare, sia sul piano etico-morale che su quello retorico: vi si leggono il Tancredi di Boccaccio40, YUrbano, il volgarizzamento del De nobilitate di Buonaccorso da Montemagno il Giova-ne e la novella di Guglielma regina d'Ungheria. Se YUrbano, pure adespoto in tutti e tre i codici, non sará sembrato incongruo nel novero delle novelle appena citate, il dialogo del Montemagno gli potrá essere stato accostato per una čerta vicinanza di ambientazione (romana, in entrambi i casi) e tema (quello della nobiltá, sia pure affrontato da prospective e con esiti diversi), ma anche per una banale coincidenza del nome delle rispettive protagonisté femminili. La stessa silloge ě riprodotta con poche differenze in R2, che aggiunge, dopo il Tancredi, il ternario dell'Accolti ad esso ispirato (Poichel'amato cor videpresente), lalette-ra I a Francesco de' Bardi del Boccaccio e una selezione dei protesti del Porcari, in chiusura. Piu ristretta, come vedremo meglio piú avanti, la selezione di R1, limitata solo ad alcuni dei testi presenti nelle altre due antologie. Come abbiamo detto, appartiene alia stessa tipologia anche la silloge di V, avvicinabile alle tre appena esaminate per la sua impostazione erudita e per la presenza comune di alcuni testi: essa si apre con una serie di paralleli tra uomini illustri (tratti da Luciano, Giustino e Sallustio) cui seguono l'apocrifa Lettera di Lentulo, il Seleuco bruniano e il De nobilitate in volgare. Questa volta, perö, YUrbano viene copiato in una sequenza di testi inequivocabilmente boccacceschi - la Consolatoria a Pino de' Rossi e due novelle decameroniane, la seconda delle quali ě il Tancredi - ed ě a sua volta assegnato al Certaldese. Molto vicino alle miscellanee retorico-civili appena esaminate ě anche B, anche se qui si legge solo una minima parte dei testi piu spesso riuniti in questa tipologia - una sequenza ridotta di dicerie del Porcari e la Novella di Seleuco, ol-tre al piu raro dittico composto dalla dichiarazione di guerra di Giangaleazzo 40 Questo era stato originariamente inviato dal Bruni in traduzione latina, assieme al Seleuco, a Bindaccio Ricasoli, come seconda parte di un dittico che mirava a risarcire il volgare dalla sot-trazione subita dalla latinizzazione del Tancredi, e al tempo stesso a temperarne la tristezza at-traverso l'aggiunta di una novella a lieto fine. Fondamentali, oltre al saggio di Nicoletta Marcelli giä ricordato (Marcelli, La «Novella di Seleuco eAntioco», cit.), i lavori di Mario Martelli dedi-cati a questa coppia di testi (M. Martelli, Considerazioni sulla tradizione della novella spicciolata, in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola, 19-24 settembre 1988, 2 voll., Salerno, Roma 1989, vol. I, pp. 215-244; Id., Ii «Seleuco», attribuito a Leonardo Bruni, in G. Albanese, L. Battaglia Ricci e R. Bessi [a cura di], Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento, Atti del Convegno di Pisa [26-28 ottobre 1998], Salerno, Roma 2000, pp. 231-255). Lo studioso osserva come la sistematica sostituzione, nei codici, della traduzione in latino del Tancredi con l'originaria novella decameroniana sia ormai rappresentativa delle esigenze di un pubblico di lettori in volgare (Martelli, Considerazioni sulla tradizione, cit., p. 233). Egli ritiene inoltre che, ferma restando l'ideazione bruniana della novella, a comporre la versione che effettivamente si legge nei codici debba essere stato un autore diverso dal Bruni, il quale avrebbe commesso una serie di errori storici troppo eclatanti per attribuirli a un umani-sta del suo calibro (ivi, pp. 254-255). 195 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO Visconti al comune di Firenze e dalla risposta del Salutati (1390) -, cui se ne mescolano altri di ispirazione diversa (come la novella di Lisetta de Levaldini41, le prose Uxoria, Deifira ed Ecatonfilea e i ternari Mirtia e Agilitta di Leon Bat-tista Alberti42) e un cospicuo gruppo di componimenti poetici, fra gli altri di Niccolö Tinucci, Buonaccorso da Montemagno il Giovane e Cino Rinuccini. Al netto della scarsa rilevanza, in questo contesto, del genere novellistico, ci potrebbe essere un altro aspetto che avrebbe reso il nostro testo non indegno, agli occhi degli antologisti, di essere incluso nelle raccolte cosiddette di «dicerie e pistole»; la novella, infatti, si sviluppa secondo una partitura retorica partico-larmente ricca, dal momento che i principáli momenti delľazione - la violenza subita da Lucrezia, il viaggio dei mercanti a Costantinopoli, il viaggio di ritorno con il tradimento di Blandizio, il ritorno a Roma dei due giovani e ľagnizione finale - vengono scanditi puntualmente da orazioni di diversa ampiezza, piú o meno necessarie alio sviluppo della storia: quelle scambiate fra Silvestra e Federico Barbarossa durante il loro primo incontro, quelle fra Urbano e il Sultáno di Babilonia e fra la madre di Lucrezia e sua figlia (quest'ultima quasi a costituire un brevissimo saggio del genere degli ammaestramenti alla sposa)43, i dialoghi fra Lucrezia e Urbano sulľisola deserta e poi a Roma, infine quelli che accompagnano il riconosci-mento di Urbano e ľincontro finale fra ľimperatore e Silvestra. Centra ideale di questo fitto corredo retorico ě lo scambio di orazioni pronunciate rispettivamente da Blandizio - nome, come gli altri, piu che mai parlante - per convincere i suoi fratelli a orchestrare la truffa ai danni del sultáno, cui segue la risposta del fratello Pippo Scarmo e la contra replica del primo: esse sono cosi lunghe e articolate che vi si possono rintracciare alcuni dei piú comuni espedienti usati dagli oratoři nelle loro concioni per scandire le diverse parti dell'argomentazione44. Di altro genere sono infine le ultime due miscellanee: nel Palatino, tipica raccolta fiorentina di testi in poesia e in prosa, YUrbano trova posto, assieme ad altre due famose spicciolate quattrocentesche - la novella di Ippolito e Liono- Cfr. R. Bessi, Un dittico quattrocentesco: le novelle del Bianco Alfani e Madonna Lisetta Levaldini. Testo e commento, «Interpres», 14,1994, pp. 7-106. La tavola del codice, sia pure limitata alle opere dell'Alberti, ě in C. Grayson (a cura di), L. Battista Alberti, Opere volgari, I-III, Laterza, Bari 1960-1973, vol. II, p. 408. «E se in te, o figliuola mia, ě punto rimaso alcuno amor materno [...] ti prego che ti piaccia questi miei ultimi comandamenti seguitare. Primamente, che tu ti sforzi con ogni ingegno e sollecitudine di compiacere onoratamente al tuo padre e signore imperiale di Roma. E anco-ra ťingegnerai con debita riverenza obbedire il tuo marito, servendolo fedelmente. E sopra tutto ti comando e prego, che ti piaccia regger la tua bellezza onestamente; perché quando il contrario nelle donne accade, sappi, che quello piú ďalcun altra cosa suole essere cagione fra moglie e marito di tribolata e penosa vita, e alle volte di mořte vituperata» (Ps.-Boccaccio, L'Urbano, inMoutier, Opere volgari di Giovanni Boccaccio correttesui testi apenna, cit., p. 35). «E per venire al mio efFetto, dicovi...» (Ps.-Boccaccio, L'Urbano, cit., p. 16) «E questo a questa parte voglio che basti» (ivi, p. 17), «Ma discorrendo piu oltre» (ibidem), «Ma a che bisogna ch'io mi stenda piu in simili parole?» (ivi, p. 18), «E prima a quello che hai detto d'Urbano [...] edio del contrario spero» (ivi, p. 19), «All'altra parte dubbiosa [...] so cer-to» (ibidem), «A quello ancora... » (ivi, p. 20). 196 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA ra dello ps.-Alberti e quella del Grasso legnaiuolo, quest'ultima nella redazione esclusiva di questo manoscritto45 - nella sezione centrale; precedono e seguo-no due sezioni interamente poetiche, che contengono testi lunghi (la Sfera del Dati, il Geta e Birria e il Cantare di Piramo e Tisbe) e rime, fra gli altri, di Dante, Petrarca, Bindo Bonichi e Simone Serdini. Qui YUrbano, come del resto le altre due novelle antologizzate, ě adespoto e anepigrafo. L'attribuzione a Boccaccio ě invece presente nel codice ex Coppi, dove il nostro testo, mutilo, segue la Dei-fira dell Alberti, ed ě preceduto dal solo sonetto Tanto mingombra Amor, tanto m'affanna di Giusto de' Conti. Il testo delYUrbano forma invece un dittico con la Novella del Grasso legnaiuolo - qui nella redazione vulgáta - nel ms. Additional 10144 della British Library. Nei soli codici L ed O, infine, la novella si tramanda da sola: il Laudense ě un codice di modesta fattura giá appartenuto al monastero di San'Agnese di Lodi; non reca tracce di cartulazione antica, ma ha una fascicolatura regolare (quat-tro quinterni con richiami) ed ě stato vergato tutto dalla stessa mano. Piu di-namica la vicenda del ms. di Oxford, oggi articolato in sei unitá codicologiche originariamente indipendenti e probabilmente riunite solo alia fine del Seicen-to, quando il codice entrö a far parte della biblioteca veneziana di Jacopo So-ranzo46. La novella occupa da sola la terza sezione; a suggerire che costituisse in origine un'unitá autonoma sta la sopravvivenza di una cartulazione coeva, che numera le carte da 1 a 5447. Sebbene la nostra novella si tramandi in prevalenza assieme a testi fiorentini, ben quattro dei dieci testimoni finora individuati (Co, L, O, V) presentano una fisionomia linguistica ehe si allontana dal tipo toscano, per avvicinarsi alle varieta settentrionali48. Accanto a fenoméni piugenerici (scempiamenti, sonorizzazioni, forme metafonetiche e non anafonetiche) si registrano trattipiu specificamente riconducibili alle varieta padané, che riguardano fatti grafici, fonetici e morfo- Cfr. P. Procaccioli (a cura di), La novella del Grasso legnaiuolo, Fondazione Pietro Bembo/ Ugo GuandaEd., Parma 1990. Sulla costituzione della biblioteca dei Soranzo cfr. V. Rossi, La biblioteca manoscritta del senátore veneziano Jacopo Soranzo, «11 libro e la stampa. Bullettino uŕEciale della Societa bi-bliografica italiana», n.s. 1,1907, pp. 3-8, 122-133. Si tratta di una numerazione in cifre arabe vergata e inquadrata a penna, ancora ben visibile nell'angolo superiore esterno nonostante l'usura dei margini; nella stessa sede, ma appena piu in basso, una numerazione recente numera le carte da 62 a 116, proseguendo anche sul recto della carta bianca successiva alia novella. E presente anche una terza cartulazione, ugualmente moderna - ma forse anteriore a quella appena esaminata - e realizzata al centro del margine inferiore, ehe numera le carte di questa sezione da 37 a 89. Il testimone V, in particolare, viene riunito su base strutturale (Russo, Firenze nuova Roma, cit., pp. 88-89, gruppo Eta) e stemmatica (Marcelli, La «Novella di Seleuco e Antioco», cit., pp. 114-117 e 125) assieme ad altri codici che presentano tutti una veste linguistica diver-sa da quella fiorentina (probabilmente mediána, almeno nel caso del ms. 44 B 26 della Biblioteca Corsiniana e dei Lincei). La nostra novella, del resto, si tramanda unicamente nella miscellanea di V, e nella sezione finale, il che suggerirebbe l'ipotesi di un'aggiunta in un certo senso estranea alia silloge dipartenza. 197 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO logici: fra questi l'impiego del graféma per la sibilante sonora (Co, L e V); gli esiti in affricata alveolare sorda dei nessi di C + J e di C + vocale palatale i ed e (L-.piaza [= piaccia]; O: querza, cominzib, brazzia etc.; Co: abrazando); la presenza di forme assibilate (Co: conoserai, conossendo, cressuto etc.; V: usire etc.; L: resiuga etc.; O: scieguire [ipercorr.] etc.); la ricorrenza dei possessivi monot-tongati toi, soi ecc. (Co, L, O, V) e, nel solo V, l'impiego delle forme oggettive toniche mi e ti, rispettivamente di prima e seconda persona, dopo preposizione. Indicativa, infine, anche la presenza della forma miser nelle rubriche di Co e di L. La provenienza padana dei codici L e O ě suggerita anche da indizi esterni: le due sole filigrane presenti in L, infatti (del tipo Stella, simile a Briquet nr. 6001, e del tipo fiore, simile a Briquet nr. 6599), risulterebbero diffusi in area veneta e lombarda, mentre il codice O contiene, nelle altre sezioni, materiále coevo di provenienza veneta, come gli scambi di lettere fra Niccoló Sagundino e il cardi-nale Bessarione e opere di Livio Sanudo e di Felice Feliciano. Passando ad affrontare la questione attributiva, osserveremo in primo luogo che l'assegnazione del testo a Boccaccio ě minoritaria, riguardando appena tre dei dieci testimoni finora individuati (Co, L e V), che si distribuiscono peraltro in maniera omogenea nei contesti di trasmissione appena descritti: V ě infatti un codice «di dicerie e pistole», Co tramanda la novella assieme alia Deifira al-bertiana e ad altri testi poetici e il Laudense, infine, la ospita da sola. Ad essere sistematica, semmai, ě la presenza nel titolo del nome del Barbarossa - vera e propria celebrita della vicenda, anche se tutto sommato secondaria nell'econo-mia dell'intreccio - e nel riferimento al genere della novella (vd. Appendici, b). Una correlazione piú stretta potrebbe essere individuata invece fra attribu-zione e provenienza geografica: il nome di Boccaccio si legge, finora, soltanto nei codici di matrice settentrionale, anche se non in tutti. Si tratta, del resto, di un'attribuzione piana nella tendenza tardotrecentesca a «nominare gli anonimi», che potrá aver agito in maniera ancora piu forte fuori dalla Toscana: non c'e da sorprendersi che due dei testimoni in questione (il codice di Lodi e lex Coppi di Gorzano) contengano, nella rubrica, la specificazione della provenienza fio-rentina di Boccaccio49, cosa che a un copista toscano non sarebbe forse venuta in mentě. Dunque se ě probabile che l'attribuzione illustre, introdotta nelle stam-pe a partire dall'incunabolo bolognese tardo-quattrocentesco50, abbia rappre-sentato un incentivo forte per la diffusione a stampa deWUrbano, non ě escluso che nella tradizione manoscritta possa essere avvenuto il contrario, e che cioě sia stato 1'inserimento dell'opera entro contesti caratterizzati dalla presenza di L: «Incomincia la novella de Federigo Barba rossa impatore [con probabile caduta del segno abbreviativo] di Roma composta per miser Giovani Boccaccio da Fiorenza» (c. Ir); Co: «Novelletta delľimperador Federico Barbarossa imperátor romano composta per miser Giovanni Bocachi da Firenze. Bochaccio legete» (c. 12r). La stampa non riporta la data, che pure ě stata stabilita, ricorrendo all'analisi dei caratteri tipografici impiegati dallo stampatore Piatone de' Benedetti, grossomodo fra il 1487 e il 20 luglio 1493 (cfr. E. Gatti, Francesco Platone de' Benedetti. Ii principe dei tipografi bolognesifra corte e Studium [1482-1496], Forum, Udine 2019, pp. 501-503 [scheda 18]). 198 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA Boccaccio, o semplicemente novellistici, ad aver attratto il nome del Certaldese, indiscussa auctoritas nel genere di riferimento. In questo caso, piú che a una fal-sificazione, dovremmo pensare semmai a un semplice caso di pseudoepigrafia. Per riprendere i dati finora presentati, riassunti per comoditá nella tabella in appendice, si direbbe che il nostro testo abbia iniziato a circolare intorno alia metá del Quattrocento entro sillogi miscellanee piu o meno ampie e connotate sul piano strutturale, ma ugualmente popolari nella Firenze del secondo Quattrocento (codici B, Co, D, P, R1, R2 e V; per A si potrebbe forse parlare piu pro-priamente di dittico) e come testo autonomo (codici L e O). Nelle miscellanee retorico-civili (D, R1, R2 e V) la novella ě sempře riunita assieme al Seleuco del Bruni, che attrae sistematicamente il Tancredi del Boccaccio e, nel solo caso di V, un'altra novella decameroniana. Presenza costante, come abbiamo visto, ě anche il volgarizzamento anonimo delDe nobilitate di Buonaccorso da Montemagno il Giovane. Nel Barb. Lat. 4051 - raccolta per čerti versi afline, come abbiamo detto, alia tipologia della miscellanea retorica - oltre al Seleuco si leggono la novella di Lisabetta de Levaldini e alcune prose amorose di Leon Battista Alberti, una delle quali, la Deifira, ě presente anche nell'ex Coppi di Gorzano. NellAdditio-nal, infine, VUrbano forma un dittico con la Novella del Grasso legnaiuolo, men-tre il Pal. 200, oltre a trascrivere una redazione diversa del Grasso, vi aggiunge anche la novella pseudo-albertiana di Ippolito e Lionora. Per comoditá potremmo dunque parlare di tre principáli poli di attrazione: quello bruniano, che si richiama esplicitamente al modello di Boccaccio, in fun-zione di un'esigenza ricreativa ed etico-morale, ma anche retorica; quello alber-tiano, piu specificamente incentrato sul terna della riflessione amorosa51; infine, quello della tradizione municipale delle novelle alia spicciolata. Pur se distinti per ragioni di chiarezza, essi andranno considerati all'interno di un contesto unitario, non solo per il comune richiamo alia tradizione fiorentina, ma anche per la tensione elegiaca che accomuna in particolare il Seleuco, le prose albertia-ne e VUrbano: era stato proprio il Bruni a introdurre, nella novella umanistica in volgare, la riflessione sul rapporto fra amore e morte, da una parte, e amore come malattia, dall'altra, rinnovando cosi una tradizione inaugurata dal Tancredi e, piu in generále, dai testi della quarta giornata del Decameron52. Se VUrbano, dal canto suo, riproduce e anzi amplifica il consueto schema narrativo di questi testi (la vicenda delle peripezie affrontate da Urbano e Lucrezia per poter coronare il loro amore ě racchiusa infatti entro quella di Federico Barbarossa e di Silvestra, che riescono a ritrovarsi solo dopo una lunga separazione) sareb- La pertinenza fra questi testi e la novella di Urbano, che ad essi si mescola nei codici Co e P, viene evidenziata anche nella giä citata scheda di Bertolini e Tortelli (scheda 24, Roma, proprietaprivata, cit.). Riflessioni importanti, a questo proposito, sono quelle esposte nei lavori di Gabriella Albanese (G. Albanese, Da Petrarca a Piccolomini: codificazione della novella umanistica, in G. Albanese, L. Battaglia Ricci e R. Bessi [a eura di], Favoleparabole istorie, cit., pp. 257-308 [in particolare pp. 282-283]) e di Rossella Bessi (R. Bessi, La novella in volgare nel '400 ita-liano: studi e testi, «Medioevo e Rinascimento», 12/n.s. 9,1998, pp. 285-305). 199 CAMILLA RUSSO, GIULIO VACCARO be soprattutto il proemio - pure assente in alcuni testimoni53 - a rafforzarne il carattere consolatorio ed elegiaco, dal momento che l'autore racconta di aver composto la novella per distrarsi dal dolore delia morte di un amico fraterno54. Le rifiessioni appena proposte suggerirebbero dunque che la novella sia stata composta a Firenze nel pieno Quattrocento, forse in un ambiente vicino a quello dell'Alberti e del Bruni. Vale la pena rilevare, al proposito, una singolaritá delia miscellanea di R1, ehe come anticipato sembra essersi costituita a partire da una selezione drastica dei soli testi bruniani comuni alle sillogi di Da e R2: oltre alia Pro Marcello in volgare - ehe in questi tre codici ě compattamente attribuita all'Aretino - vi sileggono soltanto le biografie di Dante e Petrarca, VOrazioneper Niccolô da Tolentino e il volgarizzamento ciceroniano. Ma alloraperché lasciarvi anche YXJrbanol Forse solo per un gusto personale, o per il desiderio di chiude-re la silloge con un testo riereativo, o invece perché ľantologista la considerava anch'essa opera del Cancelliere? Se ľipotesi non dovrá essere preša troppo sul serio per la questione attributiva - il livello stilistico, lo abbiamo visto, non ě eccelso - il dato si potrebbe interpretare almeno come indizio di un'affinitá fra ľautore delia novella e quello degli altri testi antologizzati. Oltre al problema delľattribuzione restano aperte altre importanti questio-ni, alle quali in questa sede si potrá dedicare solo qualche accenno. Le piú inte-ressanti riguardano la ricostruzione del contesto culturale di provenienza delia novella e ľinterpretazione delia sua fortuna extra-toscana: nonostante il carattere sostanzialmente fiorentino delia tradizione, infatti, questa sembra dialogare anche con gli ambienti settentrionali, non solo per il luogo di stampa deliaprin-ceps e per la veste linguistica di una parte dei testimoni (quattro, come abbiamo visto, dei dieci finora individuati), ma soprattutto per il fatto ehe, secondo quan-to evidenziato da Amos Parducci ai primi del Novecento, il nostro testo sem-brerebbe dipendere da una redazione specifica delia Leggenda, probabilmente di area veneta55. II testo, infine - ed ě forse ľaspetto piú interessante - presenta una vicinanza di ispirazione con altre prose coeve ehe ugualmente inserisco-no marcati accenti elegiaci, spesso riconducibili al modello delia Fiammetta di Boccaccio, in un contesto novellistico: molte di esse, come la Iusta Victoria del Feliciano o le novelle delia serie del Rifugio dei miseri - queste ultime studiate da Elisa Curti56 - sono di provenienza e ambientazione veneta e talvolta si leg- Ne sono privi i mss. A, D, R1 ed R2: dunque solo in sede di edizione critica sarä possibile ac-certarne ľappartenenza alla struttura originaria delľopera. «Ritrovandomi un giorno piú ehe ľusato da gravissime ed innumerabili pene assalito, anzi da morte piú ehe mortalmente offeso, avendomi tolto colui ehe piú ehe me medesimo per le sue virtú sommamente amava» (Ps.-Boccaccio, ĽUrbano, cit., p. 3). Questa redazione si tramanda in un solo testimone, pure quattrocentesco; il testo si presenta qui in una veste linguistica veneta non aserivibile alla mano dei copista: questi, infatti, copia nello stesso codice anche altre prose ehe sono invece pienamente conformi al tipo toscano (Parducci, La leggenda delia nascita e deliagioventú di Costantino Magno, cit.). Si veda in particolare E. Curti, «Miserae historiae» e «pietose novelle» in area veneta, in A. Ferracin e M. Venier (a eura di), Giovanni Boccaccio: tradizione, interpretazione e fortuna. In 200 \lURBANO. ORIGINE E FORTUNA DI UNA NOVELLA PSEUDO-BOCCACCESCA gono assieme ad alcuni dei testi che abbiamo visto accompagnare anche VUr-bano, come la Deifira ed altri testi amorosi dell'Alberti, la novella di Ippolito e Lionora e il Seleuco del Bruni. La questione meriterá di essere ulteriormente ap-profondita, per verificare l'ipotesi di una eventuale vicinanza con gli ambienti di composizione di questi testi. Con il modello della Fiammetta, del resto, anche la nostra novella sembra intrattenere un rapporto privilegiato57: da una prima e superficiale serie di son-daggi, infatti, ě stato possibile evidenziare una consistente serie di prelievi dal romanzo di Boccaccio; si consideri, a titolo puramente esemplificativo, il se-guente confronto. Siamo nel passo deWUrbano in cui i protagonisti sono appena tornati a Roma e Lucrezia, sentendo il novello sposo rigirarsi nel letto, gli chiede conto del-la sua inquietudine: Dolce marito, a mepiü caro che tutto il mondo, non so se corporate injermitä, o cruciato ďanimo o angosciosipensieri ti stimolino; ché questa notte piu di ciascun'altra t'ho sentito, senza sonno ravvolgendoti, sospirare: pero se punto mami, lascia cotesti cordogli, e confortati, perché quello, che ě consentimento di destino, giammai non si puote per argomento umano dal suo voler distorre58. Il passo sembra ricalcare la scena del sesto capitolo della Fiammetta in cui la protagonista, sovrastata dalle pene d'amore per Panfilo, sveglia con le sue lacri-me l'ignaro marito, che le chiede la ragione di tanta angoscia. Inizialmente egli aveva pensato a un malessere fisico: Io pensai giä che corporale infermitá fosse della tua pallidezza cagione [...]59. ricordo di Vittore Branca, Forum, Udine 2014, pp. 297-310. Per la Iusta Victoria del Feliciano sirimanda adA. Scolari, La «Justavictoria» di Felice Feliciano antiquario, «Atti dellTstituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», Classe di Scienze morali, 125,1967, pp. 293-305, poiin Id., Pagine veronesi, Fiorini, Verona 1970, pp. 55-70. Al Feliciano viene fatto risalire peraltro anche il rifacimento della novella pseudo-albertiana di Ippolito e Lionora, da lui copiato in ben tre codici (G. Mardersteig, Leon Battista Alberti e la rinascita del carattere lapidario ro-mano nel Quattrocento, «Italia medioevale e umanistica», 2, 1959, pp. 285-307; L. Badioli, Nota sulla tradizione della novella di Ippolito e Lionora, «Interpres», 19, 2000, pp. 42-44; Ead., La novella pseudo-albertiana di Ippolito e Lionora, «Interpres», 23,2004, pp. 204-215). Non si tratta, come si accennava, dell'unico caso: sulla fortuna del modello della Fiammetta nella composizione di altri testi coevi di ispirazione elegiaca si veda, oltre al lavoro giä citato di Elisa Curti, anche P. Vecchi Galli, Percorsi dell'elegia quattrocentesca in volgare, in A. Comboni, A. Di Ricco (a cura di), L'elegia nella tradizionepoetica italiana, Editrice Universita degli Studi di Trento, Trento 2003, pp. 37-79; M.P Mussini Sacchi, Le rime «necessarie» nel romanzo quattrocentesco, in M. Santagata, A. 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Questo scambio di battute viene ripreso e al tempo stesso sottoposto a va-riatio neWUrbano, dove pero ě il protagonista maschile che non riesce a pren-dere sonno, mentre la moglie, Lucrezia, si rivolge a lui usando le stesse parole di Fiammetta, ma includendovi anche un'espressione che era stata del marito. In questa occasione non ě possibile condurre un esame piu puntuale di que-sta fonte, che verrá dunque affrontato in altra sede61; quel che possiamo dire fin ďora ě che il modus operandi dell'autore non sembrerebbe riconducibile a quel-lo di un imitatore o di un falsario, men che meno far pensare - in considerazio-ne del tessuto narrativo e linguistico della novella, dell'aspetto della tradizione e del carattere cosi scoperto di alcuni reimpieghi - a un testo realmente uscito dalla penna del Boccaccio. Piu in lá, per il momento, non ci sentiamo di andare; di certo la discussione critica sul problema testuale e attributivo intorno a questo affascinante capitolo della fortuna critica di Giovanni Boccaccio ci sembra, ad oggi, piu che mai aperta. Bibliografia Albanese G., Da Petrarca a Piccolomini: codificazione della novella umanistica, in G. Albanese, L. Battaglia Ricci e R. Bessi (a cura di), Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento, Atti del Convegno di Pisa (26-28 ottobre 1998), Salerno, Roma 2000, pp. 257-308. Alberti d'Altobianco F. (a cura di), Rime, edizione critica e commentata a cura di A. Decaria, Commissione per i testi di lingua, Bologna 2008. Andreose A., Tra ricezione e riscrittura: lafortuna romanza della «Relatio» di Odorico da Pordenone, in G. Carbonaro et al. (a cura di), Medioevo romanzo e orientale. Il viaggio nelle letterature romanze e orientali. 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Molti sono gli indizi - a partire proprio dall'appellativo 'brigatella' - che conducono a Boccaccio: si pensi alla nobilitazione della lingua di Firenze, ai temi della fugacitá della giovi-nezza o dell'invito a godere del tempo presente e, sul piano metrico, all'impiego dell'ottava, sulla quale si eserciteranno lo stesso Lorenzo, ma anche Poliziano, Pulci e Giambullari. A tal proposito, Vittore Branca notava en passant che Boccaccio awia l'esperienza di un'ottava quanto mai duttile e varia, strutturata diversamente secondo le diverse necessitá e intonazioni, sensibile alle suggestioni epico-romanzesche e alle cadenze popolaresche dei rispetti, egualmente aperta al discorso narrativo e al discorso lirico [...]. Ě la via che, attraverso una varia esperienza tecnico-poetica, condurrá [...] all'«ottava fiorita» del Poliziano e all'«ottava d'oro» dell'Ariosto1. Degli incontri al palazzo fiorentino di via Larga resta una traccia letteraria immediata in diversi manoscritti quattrocenteschi e in un piccolo gruppo d'in- 1 G. Boccaccio, Filostrato, in Tutte le opere, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano 1964, vol. 2, p. 12, identicoin G. Boccaccio, Caccia di Diana, Filostrato, a curadiV. Branca, Mondadori, Milano 1990, p. 56. Silvia Litterio, University for Foreigners of Siena, Italy, silvialitt@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Silvia Litterio, Dal Filostrato ai rispetti di ambiente laurenziano: la ricezione quattrocentesca della prima lettera di Troiolo a Criseida, pp. 207-229, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.12, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio /Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 SILVIA LITTERIO cunaboli e di postincunaboli. Tali sillogi a stampa, la cui fortuna si estende fi-no a tutto il XVI secolo, accostano solitamente ballatette, canzoni fatte per il carnevale e rispetti d'amore, aprendo, insieme con i manoscritti, nei quali tro-viamo materiále spesso eterogeneo, uno scorcio sull'estetica della ricezione di certa poesia popolaresca fiorentina del secondo Quattrocento. Appunteremo qui la nostra attenzione esclusivamente sui rispetti: ottave di endecasillabi di argomento amoroso, trádite molto spesso anonime, a volte in forma continuata e talvolta sdoppiate in piú di una redazione2. La questione attributiva di questi testi, e dei rispetti in particolare, si rive-la assai spinosa a causa della reticenza con la quale i testimoni manoscritti e a stampa c'informano sulla paternita dei componimenti, tanto ehe Pasquini paria di «un dato di fatto ormai emerso come costitutivo della cerchia laurenziana: ehe cioě una certa produzione minore era considerata piú o meno res nullius, si trattasse degli strambotti tre-quattrocenteschi o di versi-temi isolati»3. In tale selva di rispetti riconducibile al milieu laurenziano, si segnala qui la presenza di una manciata di ottave estratte dalla seconda parte del Filostrato, ehe circolava-no secondo le forme e le modalita ehe andremo deserivendo piú avanti. II Filostrato si compone di settecentotredici ottave di endecasillabi con il me-desimo schema rimico, oltre ehe metrico, dei rispetti: ab ab ab cc. Lopera non gode attualmente di buona salute testuale giacehé ľedizione critica di riferi-mento ě ancora quella eurata nel 1937 da Vincenzo Pernicone, ehe si basava su una tradizione di quarantanove manoscritti, mentre a oggi, sarebbero ottanta i testimoni utili alia ricostruzione del testo4. In seguito, Lopera ě stata ripubbli- 2 Sulle ragioni e sulle modalita della circolazione anonima dei rispetti, restano fondamentali le ricerche e le riflessioni in D. Delcorno Branca, Sulla tradizione delle rime del Poliziano, Olschki, Firenze 1979, in A. Poliziano, Rime, edizione critica a eura di D. Delcorno Branca, Accademia della Crusca, Firenze 1986 e in D. Delcorno Branca, Per il linguaggio dei Rispetti del Poliziano, «Rinascimento», 35, 1995, pp. 31-66. Da confrontare con E. Pasquini, Nuove prospettivesul «secolo senza poesia», in Letteratura e critica. Studi in onore diNatalino Sapegno, 4, Bulzoni, Roma 1977, pp. 81-135: 95, T. Zanato, Note a una monimentale edizione laurenziana, «Rivista di Letteratura Italiana», 10, 1992, pp. 289-360: 317, S. Carrai, Momenti e problemi del canto carnascialesco fiorentino, in Id., I precetti di Parnaso. Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Bulzoni, Roma 1999, pp. 99-110: 106 e con A. Decaria, Pulci, Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, 85, 2016, pp. 665-669, (12/2020). 3 Pasquini, Nuove prospettive sul «secolo senza poesia», cit., pp. 81-135: 95. 4 Cfr. G. Boccaccio, Ii «Filostrato» e il «Ninfalefiesolano», a eura di V. Pernicone, Laterza, Bari 1937, positivamente recensita dal giovane Vittore Branca su «La Rassegna», s. 4, 46, 1938, pp. 24-25. All'edizione critica fece seguito V. Pernicone, I manoscritti del «Filostrato» di G. Boccaccio, «Studi di Filológia Italiana», 5,1938, pp. 41-83. Daintegrare conV. Branca, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio. Un primo elenco dei codici e tre studi, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1958 e, piü recentemente, con F. Colussi, Indagini codicologiche e testuali sui manoscritti trecenteschi del «Filostrato» di Giovanni Boccaccio, tesi di dottorato di-scussapresso l'Universitä Ca' Foscari diVenezia, XlVciclo, tutor G. Belloni, 2003. Peruna sintetica ricognizione filologica, si veda G. Marrani, Filostrato, in Boccaccio autore e copista, a eura di T. De Robertis, C. M. Monti, M. Petoletti, G. Tanturli, S. Zamponi, Mandragora, Firenze 2013, pp. 75-83: 75. 208 DAL FILOSTRATO AI RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO cata da Vittore Branca, che in attesa del těsto critico definitivo di Pernicone ha accolto sostanzialmente quello del '37, salvo alcuni minimi aggiustamenti e la revisione della punteggiatura5. Organizzato in nove canti corredati di un proemio in prosa e di frequenti rubriche discorsive, ilFilostrato racconta dell'amore di Troiolo, figlio di Priamo, per la vedova Criseida. A mediare fra i due ě Pandaro, cugino di lei, che assisten-do alia sofferenza dell'amico lo convince a dichiararsi scrivendo una lettera alla donna amata. Nella trama del poemetto eroico-amoroso, che si concluderá con il tradimento di Criseida e con la mořte di Troiolo, gli eventi bellici sono net-tamente in secondo piano rispetto a quelli amorosi e la prima missiva di Troiolo rappresenta un punto di svolta nella storia: egli ě disperato e Vinto' a causa del suo amore celato e Pandaro, vedendo come Amore lo ha ridotto, decide di aiutarlo facendosi latore delle pene di Troiolo presso Criseida, la quale inizia a contraccambiarlo e gli si mostra alla finestra. Ě a questo punto che Pandaro suggerisce a Troiolo di scriverle una lettera, che si estende per undici ottave (Fi-lostrato, II, 96-106), alcune delle quali si trovano inserite in talune sequenze di rispetti amorosi. Nel Filostrato, con Surdich, l'aspetto sincronico assume molta piú rilevanza rispetto a quello diacronico e «le parti liriche entrano in diretta concorrenza con la narrativitá, tendendo a soverchiarla».6 Questa caratteristica, che lo rende un prodotto letterario dal quale puó risultare relativamente semplice estrarre dei bráni, si manifesta in maniera particolarmente eřficace nelle ottave dedicate alla corrispondenza amorosa. Giuseppe Chiecchi si ě occupato della funzione degl'inserti epistolari nelle opere minori di Boccaccio concludendo che Yamor de lonh ě fondamentale per lo sviluppo delle opere sia a livello della trama sia della giustificazione della stesura del těsto in sé.7 Dali'intervento di Chiecchi, ripreso poi da Laura Banella, emerge che le tre lettere del Filostrato si trovano precisamente nei tre «nodi fondamentali del movimento narrativo», il primo dei quali si scioglie proprio con le undici ottave epistolari che qui c'interessano, senza le quali la trama stessa del Filostrato non potrebbe sussistere.8 5 Cfr. G. Boccaccio, Filostrato, in Tutte le opere, cit., p. 842, accompagnato da una utilissima introduzione, riprodotta fedelmente, salvo un piccolo aggiornamento bibliografico, nella successiva edizione economica (G. Boccaccio, Caccia di Diana, Filostrato, cit., pp. 306 e 310). Si segnala anche 1'introduzione alťedizione Surdich, che segue il těsto di Branca, in G. Boccaccio, Filostrato, a eura di L. Surdich con la collaborazione di E. D'Anzieri e F. Ferro, Mursia, Milano 1990, pp. 5-32. 6 lvi, p. 22. 7 In G. Chiecchi, Narrativa, «amor de lohn», epistolografia nelle opere minori del Boccaccio, «Studi sul Boccaccio», 12, 1980, pp. 175-195. 8 lvi, pp. 175-195: 175; a tal proposito si veda anche L. Banella, «In persona d'alcuno passionato»: il 'ritratto d'autore' nei manoscritti del «Filostrato», «Studi sul Boccaccio», 41, 2013, pp. 129-162: 132 e, in particolare, la nota 8. Gli altri due momenti diegetici nodali riguardano la seconda e la terza lettera, rispettivamente la risposta di Criseida (Filostrato, II, 121-127) e il di lei tradimento, simboleggiato dalla missiva di Troiolo che rimane senza risposta (Filostrato, VII, 52-75). 209 SILVIA LITTERIO Troiolo si congeda da Pandaro per dirigersi verso la sua camera e buttare giu subito la lettera (Filostrato, II, 95). La missiva, che occupa le undici ottave successive, e preceduta dalla rubrica: Scrive Troiolo a Criseida che ilmuove a scrivere I'amore ch'egli leporta e le suepene, e domandale merce. 96 «Come pud quei che in affanno e posto, in pianto grave ed in stato molesto come sono io per te, donna, disposto, ad alcun dar salute? credo chesto esser non dee da lui; ond'io mi scosto da quel che gli altri fanno, e sol per questo qui da me salutata non sarai, perch'io non l'ho se tu non la mi dai. 97 10 non posso fuggir quel ch'Amor vuole, 11 qual piu vil di me gia fece ardito, ed el mi strigne a scriver le parole che tu vedrai, e vuol pure obbedito esser da me si come egli esser suole; percio se per me fia in cio fallito, lui ne riprendi, ed a me perdonanza ti priego doni, dolce mia speranza. 98 L'alta bellezza tua, e lo splendore de' tuoi vaghi occhi e de' costumi ornati, l'onesta cara e '1 donnesco valore, li modi e gli atti piu ch'altro lodati, nella mia mente hanno lui per signore e te per donna in tal guisa fermati, ch'altro accidente mai fuor che la morte a tirarvine fuor non saria forte. 99 E che ch'io faccia, l'immagine bella di te sempre nel cor reca un pensiero, ch'ogni altro caccia che d'altro favella che sol di te, benche d'altro nel vero all'anima non caglia, fatta ancella del tuo valor, nel quale io solo spero: e '1 nome tuo m'e sempre nella bocca e '1 cor con piu disio ognor mi tocca. 210 DAL FILOSTRATO Al RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO 100 Da queste cose, donna, nasce un foco che giorno e notte l'anima martira, sanza lasciarmi in posa trovar loco. Piangonne gli occhi e '1 petto ne sospira, e consumar mi sento a poco a poco da questo ardor che dentro a me si gira; per che ricorrere alla tua virtute sol mi convien, s'io voglio aver salute. 101 Tu sola puoi queste pene noiose, quando tu vogli, porre in dolce pace, tu sola puoi l'amizion penose, madonna, porre in riposo verace, tu sola puoi, con l'opre tue pietose, tormi il tormento che si mi disface; tu sola puoi, si come donna mia, adempier ciö che lo mio cor disia. 102 Dunque, se mai per pura fede alcuno, se mai per grande amor, se per disio di ben servire ognora in ciascheduno caso, qual si volesse o buono o rio, meritö grazia, fa' ch'io ne sia uno, cara mia donna, fa' ch'io sia quello io, ch'a te ricorro si come a colei che se cagion di tutti i sospir miei. 103 Assai conosco che mai meritato non fu per mio servir quel per che vegno, ma sola tu che m'hai il cor piagato, e altri no, di maggior cosa degno mi puoi far, quando vogli; o disiato ben del mio cor, pon giü l'altiero sdegno deH'animo tuo grande, e sii umile ver me, quanto negli atti sei gentile. 104 Or io son certo che sarai pietosa come sei bella, e la mia grave noia, discretamente lieta e graziosa, sanza voler ch'io misero muoia per molto amarti, donna dilettosa, ancora tornerä in dolce gioia; 211 SILVIA LITTERIO ed io ten priego, se '1 mio priego vale, per quello amor del quäle or piü ti cale. 105 Io come ch'io sia un piccol dono, e poco possa e vaglia molto meno, sanza fallo alcun tutto tuo sono; or tu sei savia: s'io non dico appieno, intenderai, so, me' ch'io non ragiono, e spero simil che l'opere fieno migliori assai che' miei merti e maggiori; Amore a ciö ti disponga ed incuori. 106 El mi restava molte cose a dire, ma per non farti noia le vo' tacere, e 'n questa fine priego il dolce sire Amor che, come te nel mio piacere ha posta, cosi me nel tuo disire ponga con quel medesimo volere, si che, com'io son tuo, alcuna volta tu mia diventi, e mai non mi sia tolta»9. Collocate dunque in un punto narrativo strategico e dotate di un alto pote-re suggestivo, non stupisce che siano State proprio queste ottave a godere anche di una fortuna autonoma non organica: al di fuori del loro contesto originario d'autore. Abbiamo a che fare, tanto coi rispetti quanto verosimilmente col Filostrato, con testi che venivano letti collettivamente, ad alta voce, magari recitati a memoria in convegni privati, davanti a un ristretto numero di amici10. Inoltre, i rispetti dovettero probabilmente avere una čerta fortuna pubblica', se essi venivano cantati aH'improvviso' da saltimbanchi e canterini, che talvolta erano anche autori dei componimenti che interpretavano sulla pubblica piazza fino a perde-re la voce11. Queste ragioni avranno contribuito a far si che la lettera di Troiolo 9 Trascrivo le ottave seguendo Branca (Boccaccio, Caccia di Diana, Filostrato, cit., pp. 148-154); introduco l'apostrofo per ľimperativo di 'fare' in 102, 5-6 e modifico il diacritico di «se'» in 102, 8, sulla scorta di A. Castellani, Da 'st' a 'sei', «Studi linguistici italiani», 25, 1999, pp. 3-15. 10 Per quanto riguarda i componimenti di ambiente laurenziano, testimonianze in tal sen-so si hanno in almeno due lettere, l'una di Bartolomeo Scala a Sigismodo della Stufa, l'al-tra di ser Piero da Bibbiena a Michelozzi, citate rispettivamente in F. Patetta, La «Nencia da Barberino» in alcuni componimenti latini di Bartolomeo Scala, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale deiLincei», 15,1936, pp. 153-194: 160 e in M. Martelli, Studi lauren-ziani, Olschki, Firenze 1965, p. 38. 11 Oltre al bellissimo codice musicale della Biblioteca Estense di Modena esaminato in G. La Face Bianconi, GH strambotti del codice estense a.F.9.9, Olschki, Firenze 1990, ci piace ri- 212 DAL FILOSTRATO AI RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO godesse di una diffusione quattrocentesca extravagante, sia manoscritta sia a stampa, che ci restituisce le ottave in forma anonima e quasi sempře anepigrafa. Raggruppiamo qui le testimonianze della tradizione extravagante della prima lettera di Troiolo a Criseida, alcune delle quali erano giá note da tempo, presentando i cinque manoscritti nell'ordine in cui sono stati riportati alia luce modernamente, a partire dalla fine del XIX secolo; di questi, tre rientrano anche nella tradizione organica del Filostrato, uno ě una raccolta di epištole e il quinto trasmette, fra le altre cose, la Commedia e le Rime di Dante. Ai manoscritti, tutti quattrocenteschi, si aggiungono tre libretti sine notis, ma da datare allultimo de-cennio del XV secolo, non indipendenti fra di loro, che trasmettono ciascuno una sola ottava del Filostrato, della cui presenza si dá qui notizia per la prima volta. FM Firenze, Biblioteca Marucelliana, C 155 Codice cartaceo di cc. 1+89+1', del primo ventennio del secolo XV in cancelleresca; a c. 66r si legge la data 1417. Composto da sei fascicoli; fra il quinto e il sesto, cioě fra le carte 81 e 82, si trova una pagina non scritta e non numerata. Ciascun fascicolo ě composto da 8 carte, tranne l'ultimo che ne conta 9, denunciando la caduta di una carta nella seconda metá del fascicolo, probabilmente bianca. II manufatto presenta quattro filigrane: un giglio fiorito alto circa 7 cm approssimativamente somigliante a Briquet 7269 (Mantova 1399), un'aquila rampante di circa 5,5 cm di altezza non in Briquet e due ulteriori filigrane di difficile interpretazione. Dopo il Filostrato, che occupa i primi due fascicoli e parte del terzo (cc. lr-38r), troviamo una Lettera di Giovanni Signore d'lndia (cc. 39r-41v), alia quale segue unlnganno d'amore (cc. 42r-46r); leggiamopoiunaFrottola, unIndovinello euna Frottola d'amore. Nello stesso codice sileggono Vaghe le montanine apastorelle e Quanto mho da llamentare/di quant'io fu' vagheggiata12. Nel codice troviamo anche, a c. 87r, Madre mia dammi marito, adespota anche in alcuni incunaboli affini a quelli menzionati sopra; la ballata, che a stampa conta quattro stanze, in FM si compone invece di nove stanze, pur essendo incompleta: il componimento ě infatti seguito dalle parole «e le piu istanze non so al presente», c. 87r. La chiosa del compilatore del codice ě preziosissima perché testimonierebbe che la trascrizione ě avvenuta su base mnemonica; inoltre, essa sembra suggerire che il numero di stanze della ballata potesse essere aumentato o diminuito ad libitum, senza che ciö ne inficiasse la godibilitá né il senso generale, con un procedimento tipico anche dei testi nenciali. cordare la lezione di Barbi secondo cui «non esiste poesia propriamente popolare senza canto», in M. Barbi, Poesia popolare italiana. Studi eproposte, Sansoni, Firenze 1974, p. 147 (ed. orig. 1939). Sulťargomento ě intervenuto anche L. Degťlnnocenti, «Alsuon di questa cetra». Ricerche sullapoesia orale del Rinascimento, SEF, Firenze 2016. Siricordi infine ilrife-rimento pulciano alla raucedine dei saltimbanchi: «tanti strambotti, romanzi e ballate/che tutti i canterin son fatti rochi», L. Pulci, Morgante, XII, 36, 5-6. Sulla quale mipermetto di rinviare a S. Litterio, Le ballatette come ludus letterario della briga-ta laurenziana: i componimenti 'omocefali', «Studi (e testi) italiani», 40,2017, pp. 55-72. 213 SILVIA LITTERIO La Fig. 1 riproduce la c. 63r dove si leggono, sotto il titolo Canzona, sei ottave della seconda parte del Filostrato, in questo ordine: 96,101, 97, 98,102,106. Nel procedere dall'ottava 96 alle seguenti, la fedeltä al testo critico stabilito da Pernicone sembra diminuire fino ad affievolirsi decisamente nell'ottava 106, nella quale si fatica a ricostruire il senso del discorso, che continua tuttavia a reggersi sulle parole-chiave boccacciane. In particolare, come si vede nella riproduzione di c. 63r di FM, l'ultimo verso dell'ottava 106 e seguito da due barre oblique e da una parola di difficile lettura, che si potrebbe suggestivamente leggere «//circa»: a segnalare l'incertezza dello scrivente sulla correttezza dei versi. Se cosi fosse, le due chiose «e le piü istanze non so al presente» e «//circa», vergate da due mani diverse ma coeve, indicherebbero che in entrambi i casi il manoscritto potrebbe essere stato corredato di brani riportati a memoria. Pernicone non annotava la presenza delle ottave extravaganti, mentre in altri casi - si pensi a Mg - egli segnala eventuali ottave sparse. Per la descrizione di questo manoscritto, Pernicone rinvia agli studi di Ferrari, che aveva pubblicato la tavola completa del manoscritto senza segnalare che le ottave riunite sotto il titolo «canzona» erano tratte dal Filostrato, ma notando invece che «le ballate di questo gruppo [il riferimento e alle cc. 87r e sgg.] rappresentano una forma che sale, sale ancora: arriveräla fine del quattrocento, verranno il Poliziano il Medici il Pulci il Giambullari e gli altri che 1 umile ballata popolare rimaneggeranno con dignitä d'arte e con eleganza di fräse» esplicitando subito dopo il riferimento alle Ballatette a stampa raccolte in edizioni affini a Blpr13. c. 63r Canzona Chome puo qel che inafanno posto [Fil, II, 96] A. Decaria, Scheda Mirabile del manoscritto, (12/20); V. Pernicone, I manoscritti del «Filostrato» di G. Boccaccio, cit., p. 53, n. 32; Boccaccio, Ii Filostrato e il Ninfalefiesolano, a eura di V. Pernicone, cit., p. 361, n. 32; S. Debenedetti, Troilo cantore, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 66, 1915, pp. 414-425: 421; Ferrari, Le poesiepopolari del codice marucelliano C.155, cit., pp. 315-372. Pg Perugia, Biblioteca comunale Augusta, C 43 (fondo antico) Codice cartaceo del secolo XV di cc. 1+227+ľ, con interventi di una mano cinquecentesca. A c. 9Sv, di mano successiva a quella principále che ha vergato il codice, si legge la data 1502. La pagina misura 20,1x30,4 cm. II manufatto presenta una unica filigrána di difficile interpretazione, si tratta forse di un S. Ferrari, Le poesie popolari del codice marucelliano C.155, inBiblioteca di letteratura popolare italiana, 1, Tipografia del Vocabolario, Firenze 1882, pp. 315-372: 317. Tusola puoj queste pene noiose Io no (n) posso fuggir quelchamor vole Lalta beleza tua elo sprendore Adunque semaj p (er) pura fede alchuno Qui miristava molte chose adire [FH, II, 101] [FH, II, 97] [FH, II, 98] [FH, II, 102] [FH, II, 106] 214 DAL FILOSTRATO AI RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO cappello inscritto in un cerchio del diametro di circa 3,5 cm. Intitolato Rime anteriori al Cinquecento, ě uno dei testimoni del Filostrato giá noti a Pernicone, che non segnala la presenza dell'ottava riutilizzata come rispetto. Contiene anche alcuni sonetti adespoti di Cecco Angiolieri e di Petrarca. II profilo di un uomo barbuto con in testa un copricapo a c. 87r, insieme con una manicula disegnata con insolita accuratezza a c. 1 lOv, denunciano l'intervento di una mano dal tratto sicuro. I rispetti, tutti adespoti e giá pubblicati in toto da D Ancona, occupano le cc. 96v-112r. c. 105v Laltta ttua beleca elo splendore [Fil, II,98] M. T. Dinale, schedaMirabile del manoscritto, (12/20); L. McGuire Jenning, Senza Vestimenta: The Literary Tradition of Trecento Song, Farnham, Surrey and Burlington, Ashgate, 2014, p. 236; V. Pernicone, I manoscritti del «Filostrato» di G. Boccaccio, cit., p. 58, n. 47; Boccaccio, II Filostrato e il Ninfalefiesolano, a cura di V. Pernicone, cit., pp. 364-365, n. 46; C. Angiolieri, I sonetti, editi criticamente ed illustrati per cura di A. F. Massěra, Zanichelli, Bologna 1906, p. XXIX; A. DAncona, Rispetti del secolo XV, in Id., La poesia popolare italiana, Giusti, Livorno 1906 (ed. orig. 1878), pp. 501-541; Inventáři dei manoscritti delleBiblioteche dTtalia, fondati e diretti da G. Mazzatinti (l-13),poidirettidaA. Sorbelli (14-75) e daL. Ferrari (76-81), Bordandini, Forli 1895, 5, pp. 88-93, n. 160. Vc Cittá del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberiniano latino 3933, giáXLV27 Ii codice, cartaceo del XV secolo, presenta una legatura pergamenacea barberiniana ottocentesca, che comprende oltre ai piatti rigidi anteriore e posteriore, due fogli di guardia anteriori non filigranati (piú uno posteriore), che precedono il foglio di guardia membranaceo quattrocentesco ai quali si aggiungono due fogli di guardia sette-ottocenteschi filigranati, che si frappongono tra il foglio di guardia quattrocentesco e la prima carta del codice. Il manoscritto si compone dunque di ir+I+II"+110+I+r carte numerate anticamente da 1 a 80 e modernamente da 81 a 105. Le carte misurano all'incirca 14,5x21,8 cm, mentre lo specchio di scrittura si estende per 9x14,4 cm. Tracce di una diversa foliazione permangono sparsamente nell'angolo inbasso a destra di alcune carte, quasi sempre molto rifilate: a c. 24r si legge «c4», a c. 65r «d5» e, piu avanti, le lettere «L» e «G». Le carte del codice presentano una unica filigrana: un cappello molto simile a Briquet 3372-3373, rispettivamente Palermo 1473 e Firenze 1474-1483, che misura 3,5 cm di larghezza e circa 3 cm di altezza. Proprio il recto di carta 105 ě lültimo foglio che ě stato riempito e contiene la sottoscrizione di chiha vergato l'intero manufatto: Finito le pistole e rispettj per me Fracescho Picchardi questo di 26 di diciembre 1473. Sul foglio di guardia membranaceo anteriore, che dovette essere fissato su una originaria legatura lignea, come prováno i segni lasciati dall'ossidazione delle borchie che lo fissavano alia coperta, una mano quattrocentesca diversa da quella che ha vergato il codice ha scritto Pistole composte per Meo Pecorj et per 215 SILVIA LITTERIO Giovan Ghuiduci e, piü sotto, una mano sette-ottocentesca annota Bibliotheca Eminentissimo Cardinale Barberini D. D. Angelus Coli. Dopo le epištole mandate «a piü giovane donne maritate, vedove, monache et pulzelle», c. lr, che costituiscono la materia principále del codice, e che sono tutte numerate fino alla settantaquattresima (cc. lr-103r), troviamo i dodici rispetti giä pubblicati da Menghini nel 1890 (cc. 103r-105r). A c. 103r, dopo la rubrica Cominciano parechj begli rispettj, troviamo i dodici strambotti fra i quali figurano, accanto alle tre ottave del Filostrato riportate sotto, alcuni rispetti di ambiente laurenziano, dei quali forniamo gl'incipit giusta la rarita delia pubblicazione di Menghini: a Io sono il tuo servo e tu ssé il mio singniore seguono le tre ottave del Filostrato e poi Per dirti le mie pene ť son venuto, De piacciatj d'udire le mie parole, Prendi piaciere inanzi che trapassi, ľ chrederrej aver tanto pregato, Tante belleze portta il tuo bel viso, Chi sare quel chrudele che non ťamassi, A mme non giovapiü stare segreto e inline ľ faro fine a questi verssi stanchi. Che tre dei rispetti pubblicati da Menghini come parte di una «serenata» sono ottave boccacciane era giä stato segnalato da Marietta. Branca riportava che «le ottave 97, 98 e 100 sono state riprese varie volte nella poesia popolaresca, e con minime variazioni dalľautore di dodici rispetti conservati nel cod. Vaticano Barberiniano XLV 27»14. c. 103v Io nonposso fuggire quel chamor vuole [Fil, II, 97] Lalta belleza tua ellosplendore [Fil, 11, 98] Diqueste cose donna nascie unfocho [Fil, 11,100] D. Delcorno Branca, Per il linguaggio dei Rispetti del Poliziano, cit., pp. 31-66:38; E. Pasquini, Nuoveprospettive sul «secolo senza poesia», cit., pp. 81-135:110-111; F. Marietta, Di alcuni rapporti del «Filostrato» con la poesia popolare, in Studii critici offerti da antichi discepolia CarloPascalnelsuoXXVanno d'insegnamento,Battiato, Catania 1913, pp. 201-209:201 e passim; M. Menghini, Dodici rispetti popolari inediti, «Ii Propugnatore», n. s., vol. 3, 1, 1890, pp. 274-284. Mg Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano VII, 680 Codice cartaceo ehe si compone di III+120+I carte numerate (16,4x23,6 cm), con richiami alla fine dei fascicoli; di provenienza Gaddi, n. 634 (sec. XVIII), il manoscritto ě da datare alla seconda metá del XV secolo sulla scorta della data 1472, ehe si legge alla fine del těsto (c. 119r): Finito il libro di Pietro di ser Francesco [aggiunto in interlinea con un inchiostro diverso dal principále Macabruni] nel mcccclxxii a di primo di maggio amen. Il codice contiene esclusivamente il Filostrato lacunoso e vergato da una mano principále (cc. lr-73r e 11 lr-119r) alla quale se ne affianca una seconda da c. 73v fino a c. 110 v.15 G. Boccaccio, Filostrato, in Tutte le opere, a cura di V. Branca, cit., p. 853, nota 60. Per un saggio di scrittura della mano principále, si veda la tavola che riproduce il recto di carta 2 in M. Marchiaro e S. Zamponi (a cura di), I manoscritti datati della Biblioteca Nazionale 216 DAL FILOSTRATO AI RISPETTI Dl AMBIENTE LAURENZIANO La c. 120 v testimonia il primo passaggio di proprieta del manufatto: Questo libro é di Mariano diPietro Pavolo el quale glifu donato da Pietro di ser Francesco Machabruni a di 6 di giugno 1473. Alľinizio del codice compaiono i nomi di alcuni dei possessori successive la c. Mr (Fig. 2) contiene due note di possessor la prima recita 1479 a di 24 di luglio. Borgu da Chastello Azara [Castell'Azzara inprov. di Grosseto] chancelliere Domenico da Piano Chastangniaio conestabile in Chastello Nuovo di Beladegna [Castelnuovo Berardenga, prov. di Siena]. Fatta de mia propria mano in chasa de mio compare Mariano diPietro Paulo. La seconda, collocata nella parte piú alta della carta, sopra alia prima, ě Questo libro é di Pietro di ser Francesco lanaiuolo el quale glifu donato da Giovanni di Mariano di Vivucio da Lucignano di Valdichiana [in prov. di Arezzo] e scritto di mano del detto Giovanni. II codice fu dunque vergato da Pietro di ser Francesco Macabruni (l° maggio 1472), che lo cedette a Mariano di Pietro Pavolo o Paulo (6 giugno 1473), il quale a sua volta lo diede a Domenico da Piano Castagnaio, oggi Piancastagnaio in provincia di Siena: lo scambio avvenne a Castell'Azzara (GR) il 24 luglio 1479. In seguito, Giovanni di Mariano di Vivucio scrisse la nota che certifica il passaggio del codice a Pietro di ser Francesco lanaiolo, il cui nome sará stato cassato da uno dei successivi detentori del manoscritto, fra i quali probabilmente anche l'estensore, nella stessa c. Mr, dell'ottava che qui interessa. Alle mani delle note di possesso, si aggiunge quindi una terza mano della fine del Quattrocento, se non cinquecentesca, che trascrive, allineandola al margine destro della carta, la novantaseiesima ottava della seconda parte del Filostrato. La presenza degli otto endecasillabi era giá stata notata da Mazzatinti, che li descrisse come «uno strambotto».16 Non mi pare possa trovare appigli l'affermazione di Pernicone secondo la quale «l'autore della nota pensô di spacciare [1 ottava] per cosa sua»17. La lezione dell'ottava isolata si discosta leggermente dalla sua omologa in posizione organica, che leggiamo a c. 26r. c. Mr Come puo quello ch(e) i(n)afan(n)o e posto [Fil., II, 96] I manoscritti datati della Biblioteca Nazionale Centrále di Firenze. Fondo Magliabechiano, a cura di M. Marchiaro e S. Zamponi, Firenze, SISMEL-Galluzzo 2018, p. 37, n. 28; Boccaccio, Il «Filostrato» e il «Ninfalefiesolano», a cura di V. Pernicone, cit., p. 355, n. 6: Inventári dei manoscri tti delle Biblioteche dTtalia, cit., 1905-1906, vol. 13, 142 (310); Catalogo generále dei manoscritti Magliabechiani, a cura di G. Targioni Tozzetti, classe VII, 2 [riproduzione fotografka del manoscritto del catalogo presso la Sala manoscritti della BNCF, catalogo 45], c. 339, cod. DCLXXX. Centrále di Firenze. Fondo Magliabechiano, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2018, tav. 106. Inventáři dei manoscritti delle Biblioteche dTtalia, cit., 1905-1906, vol. 13, 142 (310). La noti-zia ě riportata in G. Boccaccio, II «Filostrato» e il «Ninfalefiesolano», a cura di V. Pernicone, cit., p. 335, nella breve descrizione che il curatore delťedizione fornisce del manoscritto; egli contestualmente riconosce nei versi Fottava boccacciana. G. Boccaccio, Il «Filostrato» e il «Ninfalefiesolano», a cura di V. Pernicone, cit., p. 355. 217 SILVIA LITTERIO Ox Oxford, Bodleian Library, Canoniciano Italiano 111 Codice palimpsesto della prima metá del XV secolo; si tratta di un in-folio pergamenaceo di circa 34,5x22,5 cm composto da I+158+L carte dotate di numerazione originale da 1 a 158, che si trova nella parte centrale in basso della carta. Ac. 156r si legge la data «1429», mentreacarta 158rsi legge la data «1456 adi 10 mayo». Ii codice, dopo un indice di rime (cc. 3r-4r), trascrive prose, versi e preghiere, ai quali seguono la Commedia e le Rime di Dante. Interessano qui le ultime tre carte del manufatto, che contengono rime adespote e anepigrafe, appunti, prove di scrittura e alcuni disegni di mani diverse. In questo contesto si collocano le tre ottave della lettera a Criseida (Filostrato, II, 96-98) adespote e anepigrafe. Esse, che si trovano sotto la data 1429, sono di mano diversa rispetto a quella che ha vergato, in gotico, due distici latini nella parte alta della stessa carta ed ě ancora differente da quella che ha scritto, con inchiostro rosso, al di sotto delle ottave, un breve motto in volgare. Alia successiva carta 156v si legge il sonetto, anch'esso adespoto e anepigrafo, ma di Antonio da Tempo, Amicofalso vien pur da Serenoa A c. 157r ě ripetuta due volte l'ottava O quanta poca sal in zucca avetti: la prima in gotico e la seconda dalla stessa mano che ha vergato le nostre ottave. Emilio Pasquini segnalava la presenza dellottava 98 in Ox in un'analisi dove essa era descritta come «una variante veneta» del rispetto quattrocentesco, senza ricondurla cioě al Filostrato.19 Pasquini ha presenti le pubblicazioni di D'Ancona e di Menghini, nelle quali l'ottava ě stampata come strambotto, ma non cita in bibliografia Marietta, il primo a riconoscere fra i rispetti di Pg e di Vc, le ottave boccacciane.20 Nello stesso intervento, Pasquini affiancava l'ottava in veste di strambotto a un sonetto col medesimo incipit trascritto nel codice Acquisti e doni 759 (giá Ginori Venturi Lisci, 3) della Biblioteca Medicea Laurenziana, nel quale, a c. 160r, si legge adespoto il sonetto L'alta bellezza tua e lo splendore vergato dal fiorentino Filippo Scarlatti (l442-posil487).21 Anche Sennuccio Del Bene ě autore di un sonetto, L'alta bellezza tua e tanto nova, per il cui incipit, Piccini park di «forte» e «notevole prossimitä» con il primo verso dellottava boccacciana di Filostrato, II, Cfr. A. Da tempo, Summa Artis Rithimici Vulgaris Dictaminis, edizione critica a cura di R. Andrews, Commissione per i Testi di Lingua, Bologna 1977, pp. 46-47, n. 26. Cfr. Pasquini, Nuoveprospettivesul «secolo senzapoesia», cit., pp. 81-135:110. Cfr. D'Ancona, Rispetti del secolo XV, cit., pp. 501-541, Menghini, Dodici rispetti popolari inediti, cit., pp. 274-284 e Marietta, Di alcuni rapporti del «Filostrato» con lapoesiapopolare, cit., pp. 201-209. Cfr. Pasquini, Nuove prospettive sul «secolo senza poesia», cit., pp. 81-135: 109-110 e E. Pasquini, Ii codice di Filippo Scarlatti (Firenze, Biblioteca Venturi Ginori Lisci, 3), «Studi di Filológia Italiana», 22,1964, pp. 363-580:495-496, n. 90. Sullo Scarlatti si vedaE. Pasquini, Scarlatti, Filippo, in Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1970, ad vocem (12/2020), per il manoscritto della Laurenziana il con-tributo phi recente é dato da A. Decaria, scheda Mirabile del manoscritto (12/2020). 218 DAL FILOSTRATO Al RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO 98, collegandolo opportunamente al Petrarca delle 'disperse', dunque al sonetto L'angeliche bellezze e lo splendore.22 c. 156r Chome puo [quei] che in afano eposto [Fil, II, 96] Io no(n) posso fugir quel che amo(r) vole [Fil, II, 97] Lalta beleza toa e lo sprandore [Fil, II, 98] E. Pasquini, Nuove prospettive sul «secolo senzapoesia», cit.,pp. 81-135:111; D.Alighieri, Rime, a cura di D. De Robertis, Le Lettere, Firenze 2002, 1, 2, pp. 554-556; D. De Robertis, Censimento dei manoscritti delle Rime di dante, «Studi danteschi», 38, 1968, pp. 167-276:263-265, n. 188; Catalogo dei manoscritti italiani che sotto la denominazione di Codici canoniciani italici si conservano nella Biblioteca Bodleiana a Oxford, compilato dal conte Alessandro Mortara, Oxonii e Typographeo Clarendoniano, Oxford 1864, pp. 124-127, n. 111. Nel 1882 dunque Severino Ferrari pubblicava la tavola di uno dei manoscritti dei Filostrato (FM) trascrivendo alcune delle rime contenute nel codice, ma non le nostre ottave, delle quali veniva soltanto rilevata la presenza sotto la rubrica «canzona»23; in esse saranno riconosciute alcune ottave boccacciane nel 1915 da Santorre Debenedetti24. A distanza di pochi anni dalla pubblicazio-ne di Ferrari, Alessandro D'Ancona pubblica per la prima volta tutti gli stram-botti dei codice perugino Pg sotto il titolo di Rispetti del secolo XV e, nel 1890, Mario Menghini gli fa eco stampando i Dodici rispetti popolari inediti rinvenuti nel codice Barberiniano Vc2S. E Fedele Marletta, come ricordato sopra, il primo a riconoscere fra gli anonimi rispetti quattrocenteschi di Pg e di Vc le ottave dei Filostrato; inoltre, egli aggiunge la testimonianza dell'ottava isolata nel Maglia-bechiano Mg, giä identificata come strambotto daMazzatinti.26 Infine, nel 1977, Emilio Pasquini, studiando il sonetto L'alta bellezza tua e lo splendore di mano di Filippo Scarlatti, identifica nel codice oxoniese la presenza di uno strambotto con lo stesso incipit: si tratta dell'ottava 98, accompagnata dalle due ottave precedenti, delle quali segnaliamo qui per la prima volta la presenza in Ox27. Alle cinque testimonianze manoscritte appena elencate, aggiungiamo adesso due incunaboli fiorentini, ai quali assegniamo le sigle Blpr (ISTC if00304400, GW 10282) eRisp (iSTCirOO198900, GWM36610) insiemeconunpostincunaboloro-manoRes^ (ISTC ir00198950, GWM3661010), esemplato sull'edizioneR/s^; tutte D. Piccini, Un amico del Petrarca: Sennuccio Del Bene e le sue rime, Antenore, Roma-Padova 2004, p. XXIX ep. 3, nota 1. Si veda anche Pasquini, Nuove prospettive sul «secolo senza poe-sia», cit., pp. 81-135: 109. Cfr. Ferrari, Le poesie popolari del codice marucelliano C.155, cit., pp. 315-372:324. Cfr. Debenedetti, Troilo cantore, cit., pp. 414-425. Cfr. DAncona, Rispetti del secolo XV, cit., pp. 501-541 e Menghini, Dodici rispetti popolari inediti, cit., pp. 274-284. Cfr. Marletta, Di alcuni rapporti del «Filostrato» con la poesia popolare, cit., pp. 201-209 e Inventáři dei manoscritti delle Biblioteche ďltalia, cit., 1905-1906, vol. 13,142 (310). Cfr. Pasquini, Nuove prospettive sul «secolo senza poesia», cit., pp. 81-135. 219 SILVIA LITTERIO rtrtvrn: v/HKä" 'T/'V**;- *— . ft|l -»«i-j-ifKi.^ mg 1 .f tv*>jty~f>.-»SVi —* «4«) J v /k- —f (». GiJ-fV-t-*- 1 ^'frr 'At^a %a",&~^ «^E^ä* ^f&l»* jr(V* r»-^- •»•*'•«• tvA# Bfr-ö,»— &pTD a,<^- «Wr^i~ 'ö^**? '-»1 ^e^"3»>i—^/jft^Vw örj»i\-^^— »/ti-a.H> jA c n ' n n Pt '+»•«17/1 oj•-*-»— Cllsn-Hr fff iej>4* clonA \ mir Figura 2 - Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Magliabechiano VII, 680, c. Illr. [Su concessione del Ministero per i beni e le attivitä culturali e per il turismo] 221 SILVIA LITTERIO e tre le edizioni sono sine notis, ma per i due incunaboli si propone una datazione frail 1490eil 1496, mentre per Resp si puö ipotizzare una datazione al 1500 circa28. BlFr é una raccolta anepigrafa di [Ballatette, id est canzone, e rispetti] di ambiente laurenziano, ehe si conserva in un unico esemplare londinese; oltre alle ballatette e alle licenziose canzoni scritte per il carnevale, questa silloge tramanda in tutto novanta rispetti divisi in due blocchi, il secondo dei quali si apre con l'ottava L'alta bellezza tua e lo splendore, preceduta dalla rubrica Seguitano altri rispecti (c. e4r). Affine alľedizione appena descritta é Risp, che contiene ben duecentottantasei rispetti, tra i quali figúra l'ottava di Filostrato II, 98 (c. c2r), la stessa che compare sia in BlFr sia in Resp. Il frontespizio di Risp é ornato da una bella xilografia nella quale una donna affacciata alia finestra ascolta un gruppo di quattro giovani musi-cisti in stráda. La fattura delia vignetta non é dissimile da quella di altri frontespizi di raccolte affini a questa e soprattutto a BlFr (tuttavia priva di decorazioni xilogra-fiche), e la scena rimanda a quella «specie di "energia di posizione" della donna» sfruttata anche dal canto carnascialesco «recuperando il motivo dell'offerta dei doni dall'antica tradizione rurale del maggio, che a sua volta nasce come rappre-sentazione pubblica di una forma assai piú privata di spettacolo: la serenata»29. Criseida possiede la stessa «energia di posizione» nel mostrarsi per la prima volta a Troiolo affacciandosi appunto alia finestra: gesto che fornisce al giovane il co-raggio necessario per scrivere la sua prima lettera d'amore. Dal punto di vista testuale, Blpr e Risp si discostano soltanto per alcune picco-le varianti grafiche, ehe non sono state qui tenute in considerazione: si presenta dunque un testo unico per la tradizione a stampa. Il testo delľedizione romana Resp, che si conserva in tre esemplari, é infatti esemplato su quello di Risp, dalla quale si allontana semmai per la xilografia al frontespizio30. Oltre alia fattura della vignetta, muta completamente la scena: non ci troviamo piu in un conte-sto urbano, ma in mezzo a un prato sul quale due musici, un danzatore e un giovane circondano una fanciulla perfettamente a suo agio nonostante la comitiva esclusivamente maschile. La sigla Risp é la stessa adottata in Poliziano, Rime, cit., pp. 95-96. Convertiamo da «Franco» a BlF\a. sigla che individua la raccolta descritta ivi, pp. 94-95, sulla quale rinvio a S. Litterio, Una sine notisfiorentina della British Library: una cornice contrastampata ed altri dementi utiliperla datazione, «Italianistica», 3,2015, pp. 55-60, ma soprattutto a Ead., Una malnota raccolta di rime di ambiente laurenziano. L'edizione sine notis C.8.g.ll della British Library, tesi di dottorato discussa presso l'Universitä degli Studi di Siena, XXX ciclo, tutor S. Carrai, 2018. Per la datazione di entrambe le edizioni si veda Ead., Datare le edizioni sine notis: un case-study di incunaboli contrastampati della British Library, «La Bibliofilia», 122, 2020, pp. 109-129. La digitalizzazione delľedizione BZfr é disponible alľindirizzo (12/20). A. Castellani, Nuovi canti carnascialeschi di Firenze: le «canzone» e mascherate di Alfonso de' Pazzi, Olschki, Firenze 2006, pp. 15-16. A integrazione di quanto riportato in ISTC e in GW, i tre esemplari superstiti di Resp sono, oltre a San Lorenzo de El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio di El Escorial, Mesa 10-11-10 (2°), Siviglia, Biblioteca Capitulary Colombina, 6-3-24 (13) e probabilmenteMonaco, Bayerische StaatsBibliothek, Res/4 Po.it 331/8. 222 DAL FILOSTRATO AI RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO Dalla raccolta Risp deriveranno numerose edizioni di rispetti cinquecente-sche, nelle quali pero non troveremo piú l'ottava Filostrato II, 98, mentre Tro-iolo resta nel repertorio onomastico di miti e personaggi storici che popolano i rispetti di ambiente laurenziano e le collane di strambotti successive. In anni piú vicini al periodo di stampa di Risp e di BlFr, ossia intorno agli anni Novanta del Quattrocento, le ottave diunaltra operaboccacciana, ilFilocolo, circolava-no a stampa anonime sorto il titolo Florio e Biancofiore, a Firenze (ma anche a Roma e a Venezia). Tabella 1 - La tradizione extravagante della prima lettera di Troilo. Testimoni manoscritti FM Firenze, Biblioteca Marucelliana, C 155 1417 c. FH, II, 96, 101, 97, 98,102,106 Pg Perugia, Biblioteca comunale Augusta, C43 XV sec. FH, II, 98 Vc Cittá del Vaticano, Biblioteca Apostolica entro la fine del Fil, II, 97, 98, Vaticana, Barberiniano latino 3933 1473 100 Mg Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano VII, 680 entro il maggio 1472 FH, II, 96 Ox Oxford, Bodleian Library, Canoniciano Italiano 111 1429-'56 FH, II, 96, 97, 98 Testimoni a stampa [Ballatette, id est canzone, e rispetti] poco dopo il 25 marzo 1490 FH, 11, 98 Risp Rispetti ďamore 1492-1496 FH, 11, 98 Resp Respetti ďamore 1500 c. Fil, 11, 98 Separo con uno spazio le parole che nellortografia moderna si presentano come unita distinte e sciolgo le abbreviazioni tachigrafiche, inserisco la punteg-giatura e i segni diacritici. Rendo la distinzione, assente delle grafie antiche, tra u e v. Elimino le «h» diacritiche superflue dopo le velari, le «i» diacritiche e i nessi «-ngn-». Rendo «]» con «i». Normalizzo secondo 1'uso moderno 1'alter-nanza doppie/ scempie e 1 'alternanza m/n. II rafforzamento fonosintattico viene reso, quando presente, senza 1'ausilio di alcun diacritico. Infine, inserisco trapa-rentesi quadre le integrazioni, mentre le espunzioni sono individuate dal corsivo. FM Firenze, Biblioteca Marucelliana, C 155 Canzona Come puó quel ch'e in affanno posto, in pianto grave e n istato molesto si come i' son per voi, donna, disposto, ad alcun dar salute? Certo, questo esser non de' a lui; ond'io mi sosto 223 SILVIA LITTERIO da quel che fanno gli altri e sol per questo piü da me salutata non sarai, perch'io no[n] ľho se ttu no lo mi dai. Tu sola puoi queste pene noiose, quando vorrai, porre in santa pace, tu sola puo' ľaff[l]izione privose, madonna, porne i' riposo verace, tu sola puoi, co' ľopere piatose, tormi il tormento che tanto mel face; tu sole sě che puoi, o donna mia, adempier ciö che nel mio cuor disia. 10 non posso fuggir quel ch'Amor vole, 11 qual piü vil di me giá fe' ardito, e mi costrigne a scriver le parole che vedrai, e vole pure obbidito esser da me si com'egli esser suole; perö madonna s'i' ho in ciö fallito, lui ne riprende, e a me perdonanza ti priego doni, o cara mia speranza. L'alta bellezza tua, e lo sprendore de' tuoi vaghi cerchi e le bellezze ornate [sic], honesta vaga e gentilisco valore, i mode gli atti piú ch'altri lodati, nella sua mentě hanno lui per signore e vo' per donna in tal modo formati, ch'altro accidente mai fuor ehe la morte a tirartene fuori non sará forte. Adunque, se mai per pura fede aleuno, di[r]mi per dolce amore, si per disio dôvere amar giammai in ciascheduno caso, esser a chi volesse o buono o rrio, meritô grazia, fa' ch'i' ne si' uno, cara mia donna, fa' ehe ssia questo io, ch'a tte ricorro si come a colei ehe ssě cagione di tutti i sospir miei. Qui mi ristava molte cosa a dire, le qual i, per no [n] far noia al tuo valere, in questo, per tte io priego il dolce sire Amor, si come tu nel suo valere, 224 DAL FILOSTRATO AI RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO cos'e n te31 con o per e '1 medesimo disire ponga nel suo affanno dolore [sic], [-1] [si che], com'io son tua, alcuna volta tu mia diventi, e mai no[n] mi sia tolta. Pg Perugia, Biblioteca comunale Augusta, C 43 Lalta ttuabělela, elo splendore [T]32 della ttua vaga luce e '1 bel parlare, li onesti ttuo modi e '1 vago ttuo colore m'ha mille volte e piú passato el core: per modo ttale che sempře a ttutte 1'ore, convienmi nella mentě suspirare; pregare tti vo[g]lio, dolce anima mia: che '1 tuo servo arracomandato rte sia. Vc Cittá del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberiniano latino 3933 10 non posso fuggire quel che Amor vuole, 11 quale piú vil di me giá ffě ardito, e llui mi stringe a dir queste parole le quali tu odi, e vuol pure ubbidito esser da mme si come egli esser suole; sicché se per me in cio foss[e] fallito lui ne riprendi, e a mme perdonanza ti priego doni, dolce mia speranza. L'alta belleza tua, e llo splendore de' tuo' vaghi occhi e de' costumi ornati, 1'onestá cara e '1 donnesco valore, e ' modi e gli atti piú ch'altri lodati, nella mia mentě hanno lui per signore e te per per don[n]a in tal guisa fermati, ch'altr'ac[c]idente mai fuor che 11a mořte a cacciarnegli fuori non sare' forte. Di queste cose, donna, nasce un foco che giorno e no rte 1'anima martira, sanza lasciarmi trovar posa o lloco; piangonne gli occhi e '1 petto ne sospira, II manoscritto legge «chosente»: 'co[n]sente'? In ogni caso, il verso resta ipermetro. La metrica ě sempře sanata da D Ancona, che perö non dä mai conto dei suoi interventi; in particolare, nel v. 1 inverte «tua» con «bellezza», sulla scorta dello stesso rispetto pub-blicato da Menghini e tratto da Vc, D'Ancona, Rispetti del secolo XV, cit., pp. 501-541:527 e Menghini, Dodici rispettipopolari inediti, cit., pp. 274-284: 278. Lo schéma rimico (ab aa ab cc) ě alterato rispetto a quello tipico dello strambotto. 225 SILVIA LITTERIO e consumar mi sento a poco a poco di questo ardore che tanto in me s'aggira: perö ricorro alla tua virtute sol mi conviene, s'i' voglio aver salute. MgFirenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano VII, 680 Come puö quello che in affanno e posto, in pianto grave et in stato molesto come so' io per te, donna, disposto ad alcuno dare salute? Certo e questo: io giä non posso; onde io mi sosto da quello che gli altri fanno, et solo per questo salutata da me giä non sarai: perche io non l'ho se tu non me la dai. Ox Oxford, Bodleian Library, Canoniciano Italiano 111 Come puö [quei] che in affanno e posto, in pianto grave e in stato molesto come sono per te, donna, disposto, ad alguno dar salute? Certo questo esser non de' a llui; ond'io me sosto da quel che gli altri fanno: sol per questo qui da me salutata non serai, perche non l'ho se tu non me la dai. 10 non posso fuggir quel che Amor vole, 11 qual piü vile di me giä fezo ardito, el me stringe a scriver le parole che [tu] vedrai, e vuol pur ubbidito esser da me si come esser sole; perch'io se per me fia in ch'io fallito cui ne reprende, e mi perdonanza ti priego dona, dolce mia speranza. L'alta belleza toa, e lo spiandore de' tuo' vagi occhi e ' costumi ornati, 1 'onestä cara e donnesco33 valore, [+1] e i modi e i atti piü altri lodati, nella mia mente hanno lui per signore [e te per donna in tal guisa fermati] ch'altra accidente mai fuor che la morte a tirarmene fuora non serä forte. 33 Ii manoscritto legge «dosmostico»: 'domestico'?. 226 DAL FILOSTRATO Al RISPETTI DI AMBIENTE LAURENZIANO Le edizioni a stampa (BlFr, Risp e Resp) L'alta belleza tua, e lo splendore de' tua vaghi occhi e de' costumi ornati, l'honestä cara e '1 donnesco valore, e' modi e gli atti piü ch'altri lodati, nella mia mente hanno lu' per signore e te per donna in tal guisa formati, ch'altro accidente mai, fuor che la morte, a cacciarnegli fuor/ non sare' forte. In conclusione, delle testimonianze prese in esame, tre manoscritti sono an-che testimoni del Filostrato come opera organica (FM, Pg e Mg), mentre Vc, Ox e la tradizione a stampa (BlFr> Risp e Resp) non trasmettono altre composizioni attribuibili a Boccaccio. Si nota, in particolare in FM e in Pg, che la lezione delle ottave extravaganti sembra non dipendere dalle loro gemelle della tradizione organica trádite a distanza di poche carte nello stesso manoscritto. Stando ai dati in mio possesso sulla trasmissione non organica di ottave del Filostrato, si possono formuláre soltanto ipotesi ecdotiche molto approssimati-ve. Se si esclude FM, che trasmette ben sei delle undici ottave che compongo-no la lettera di Troilo (Filostrato, II, 96-106), si noterá che alcune di esse paiono non godere di attestazioni extravaganti (Filostrato, II, 99,103-105), mentre altre sembrano avere avuto un successo maggiore. Si tratta delle ottave che occupano l'esordio della missiva, dotate di maggior pathos: in particolare, si riscontrano tre attestazioni non organiche delle ottave 96 e 97 (rispettivamente in FM, Mg e Ox, e in FM, Ox e Vc) e ben cinque per l'ottava 98, che compare in FM, Ox, Vc, Pgoltre che nei testimoni a stampa (BlFr, Risp e Resp); invece, l'ottava 100 si trova extravagante solo in Vc e le ottave 101,102 e 106 soltanto in FM. Con le sparute informazioni che le testimonianze raccolte possono fornire, in linea generale, si puö dire che Ox si presenta come il testimone che si avvici-na maggiormente, sia nell'ordine di trasmissione non organica delle ottave sia per la lezione trádita, al testo fissato criticamente da Pernicone. Di contro, Pg si mostra pressoché completamente indipendente rispetto a tutte le altre testimonianze extravaganti e FM spesso oppone alla tradizione numericamente mag-gioritaria varianti adiafore sinonimiche, che si sposano con la suggestiva ipotesi di una trasmissione mnemonica delle ottave extravaganti in questo codice; tali varianti, pur non guastando il significato, turbano la coerenza interna del testo o la metrica. É il caso di Come puö quei che in äff anno éposto (Filostrato, II, 96) in cui FM oppone, nell'invocazione alla donna, la seconda persona plurale alla seconda singulare degli altri loci e del testo critico. A questo, si aggiunga l'esem-pio del v. 2 di L'alta bellezza tua e lo splendore (Filostrato, II, 98), in cui i «vaghi cerchi e le bellezze ornate» di FM, che alterano il metro e la rima, si oppongono ai «vaghi occhi e de' costumi ornati» di Ox, di Vc, delle stampe e del testo critico, mentre ľ indipendente Pgha «vaga luce e '1 bei parlare». La lezione di Vc é nel complesso buona e, in un caso (Filostrato, II, 98, 8), si aŕEanca alle stampe 227 SILVIA LITTERIO in contrasto col testo critico, ehe concorda con Ox e con FM. Infine, buona ě anche la lezione offerta dalle stampe, infide semmai per quanto riguarda le at-tribuzioni dei componimenti che trasmettono. In virtu delia loro funzione d'invocazione e lode delia donna, il cui nome ě ta-ciuto nella missiva, le ottave delle quali ci siamo occupati sono state utilizzate come dei moduli per comporre addirittura una «canzone» come quella di FM o - ed ě, come abbiamo visto, il caso maggiormente attestato - sotto forma di strambotti e di serenate. Ciô ha comportato che alcune di esse, come le ottave di Ox, siano ri-maste per cosi dire nascoste', o meglio, che non siano state riconosciute in quanto ottave del Filostrato dagli studiosi né forse - ed ě quanto piu c'interessa - da chi trascriveva il codice o da chi leggeva le sillogi a stampa; la ricezione quattrocente-sca aweniva in un contesto in cui tali ottave venivano legittimamente fruite indi-pendentemente dal fatto che facessero parte anche del Filostrato. Bibliografia Banella L., «ln persona d'alcuno passionato»: il 'ritratto d'autore nei manoscritti del «Filostrato», «Studi sul Boccaccio», 41, 2013, pp. 129-162. Barbi M., Poesia popolare italiana. Studi eproposte, Sansoni, Firenze 1974, p. 147 (ed. orig. 1939). Boccaccio G., Il «Filostrato» e il «Ninfale fiesolano», a cura di V. Pernicone, Laterza, Bari 1937. Boccaccio G., Filostrato, in Tutte le opere, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano 1964, vol. 2. Boccaccio G., Caccia diDiana, Filostrato, a cura di V. 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Come e stato sottoli-neato dalla critica, l'assetto contenutistico della princeps del 1528 e l'esito di un lungo e complesso lavoro di revisione e di rimaneggiamento, tanto che posso-no essere individuate tre fasi redazionali ben distinte: a partire dal cosiddetto manoscritto degli abbozzi', e stata elaborata la prima redazione completa del Cortegiano, ultimata attorno al 1515-1516 e articolata in quattro libri; e seguita poi, entro il 1520-1521, una seconda redazione in tre libri, sui quali Castiglione e tomato a lavorare con grande attenzione, arrivando entro il 1524 alia terza e ultima redazione del Cortegiano, di nuovo in quattro volumi (ben diversi per materia e struttura da quelli della prima redazione), che ha visto la luce a stam- Sulla corte urbinate del Cortegiano, cfr. P. Floriáni, Ipersonaggi del «Cortegiano», «Giornale storico della letteratura italiana», CLVI (494), 1979, pp. 161-178; C. Ossola, «ll libro del cortegiano»: ragionamenti ed expedizioni, «Lettere italiane», 31, 1979, pp. 517-533; A. Federico, 'Come un ritratto dipittura: il «Cortegiano». Le tre redazioni del testo e due ritratti di Baldassare Castiglione, «InVerbis», 2,2017, pp. 89-99. Flavia Palma, Universita degli Studi di Verona, Italy, flavia.palma@univr.it FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Flavia Palma, // Boccaccio di Baldassar Castiglione: la duplice immagine del Certaldese nelle pagine del Cortegiano, pp. 231-245, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.14, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio/Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 FLAVIA PALMA pa nel 1528 presso i Manuzio2. Le diííicoltá non si esauriscono qui, dato che il manoscritto di tipografia presenta una serie di correzioni dovute a mani diverse: quella di Castiglione propone aggiustamenti sia linguistici sia contenutistici; almeno altre tre mani sono tuttavia intervenute sul testo e una di esse, proba-bilmente appartenuta a Giovan Francesco Valier, ě responsabile delle revisioni linguistiche piu consistenti, che conferiscono, spiega Ghinassi, una «patina di toscanitá al testo»3, nonostante il lombardismo orgogliosamente proclamato e difeso dall'autore. La travagliata vicenda manoscritta ed editoriale del Cortegiano influisce an-che su una questione solo apparentemente circoscritta, ossial'immagine che le pagine del trattato tratteggiano di Giovanni Boccaccio. Il nome del Certaldese ricorre infatti con una discreta frequenza in tre punti strategici del testo, nei quali vengono discusse due questioni di centrále importanza: da un lato il problema della lingua; dalľaltro, la definizione delia burla, discussa all'interno della co-dificazione della facezia4. Pur essendo concentrati nei primi due libri, che sono considerati i meno soggetti a modifiche nelľiter che ha portato alia stampa, i ri-chiami a Boccaccio sono comunque soggetti a significativi interventi autoriali, che rivelano l'interesse di Castiglione a definireleproprie posizioni chiamando in causa il maestro trecentesco e facendone una sorta di termine di paragone. Proprio sulla funzione dei riferimenti al Certaldese mi soffermerô nelle pros-sime pagine, alio scopo di mettere in luce il diverso uso che Castiglione ha fat-to del modello boccacciano a seconda della questione oggetto di discussione: il ricorso a Boccaccio ě infatti tutt'altro che omogeneo e prevedibile e rivela, an-zi, un'interpretazione attenta e al contempo strumentale del Decameron. A mio parere, nelle pagine del Cortegiano si possono individuare due rappresentazioni di Boccaccio concorrenti e solo parzialmente conciliabili: ora quella positiva di un Boccaccio fautore dell'uso linguistico, sfruttato da Castiglione per sostenere le proprie posizioni contro i promótori del principio dell'imitazione; ora quella discutibile del Boccaccio autore di novelle di beffa, oggetto per questo di atten-to scrutinio e bersaglio di aperta polemica. Il confronto con Boccaccio si apre all'insegna della questione della lingua, trattata in due loci ben precisi, il primo dei quali ě la lettera di dedica a don Mi- 2 Cfr. A. Quondam, 'Questo povero cortegiano'. Castiglione, il libro, la storia, Bulzoni, Roma 2000, pp. 293-294. In proposito cfr. anche G. Ghinassi, L'ultimo revisore del «Cortegiano», «Studi di filológia italiana», 21, 1963, pp. 217-264; G. Ghinassi, Fasi dell'elaborazione del «Cortegiano», «Studi di filológia italiana», 25, 1967, pp. 155-196; U. Motta, La 'questione della lingua' nel primo libro del «Cortegiano»: dalla seconda alia terza redazione, «Aevum», LXXII (3), 1998, pp. 693-732: 693. 3 Ghinassi, L'ultimo revisore, cit., p. 247. Sugli interventi del Valier, cfr. anche Motta, La 'questione della lingua', cit., p. 693. 4 Amedeo Quondam ha individuato un'eco della novella di Natan (Dec. X 3) anche nel ritratto diFederico da Montefeltro (cfr. A. Quondam, 'Con grandissima spesa adunb ungran numero di excellentissimi et rarissimi libri'. A proposito di Boccaccio in Castiglione, in Tracce dei luoghi. Tracce della storia. L'Editore che inseguiva la Bellezza. Scritti in onore di Franco Cosimo Panini, Donzelli, Roma 2008, pp. 309-316). 232 IL BOCCACCIO DI BALDASSAR CASTIGLIONE chel De Silva,presente nellaprinceps del 1528, ma non nelle versioni precedenti del trattato. Giá in apertura, dunque, Castiglione, che ě stato uno dei piu rile-vanti esponenti della cosiddetta 'teoria cortigiana'5, si cimenta nella spiegazio-ne dell'assetto linguistico della sua opera, essendo stato accusato di non aver «imitato il Boccaccio» e di non essersi attenuto «alla consuetudine del parlar toscano d'oggidi» (Ded., n)6. L'auto-difesa assume la forma di un confronto con il Certaldese: pur riconoscendo a quest'ultimo un «gentil ingegno, secon-do quei tempi»7 e «discrezione ed industria» (anche se solo «in alcuna parte» dei suoi scritti), Castiglione non esita a precisare che il maestro trecentesco «assai meglio scrisse quando si lassö guidar solamente dall'ingegno ed istin-to suo naturale, senz'altro studio o eura di limare i scritti suoi, che quando con diligenzia e fatica si sforzö d'esser piu culto e castigato» (ibidem). A ben vedere, questo giudizio poco lusinghiero ha le conseguenze piu notevoli non tanto su Boccaccio, quanto sui fautori della sua fedele imitazione: essi infatti, spiega Castiglione, ammettono che il Certaldese «nelle cose sue proprie molto s'in-gannö di giudicio, tenendo in poco quelle che gli hanno fatto onore ed in molto quelle che nulla vagliono» (ibidem). Di conseguenza imitarlo in ciö che egli ha ritenuto piu riuscito, ma nei fatti non lo ě, sarebbe un errore consapevole e per questo imperdonabile; scegliere invece di fare proprio il migliore Stile boccac-ciano, che tuttavia Boccaccio ha considerato poco efEcace, vorrebbe dire tradire la sua volontá (ibidem)8. Si crea in questo modo un cortocireuito che denuncia l'incoerenza dei promotoři dell'imitazione: sono proprio loro che, pur riconoscendo le pecche dello stile del Certaldese, lo propongono nonostante tutto come modello immancabile. Oltre ai problemi strettamente linguistici, Castiglione si sofferma sulla di-stanza che lo separa da Boccaccio anche in merito al «subietto» trattato: il Certaldese infatti non ha «mai scritto cosa alcuna di materia simile a questi libri del Cortegiano» (ibidem) e perciö non ci sarebbe motivo di imitarlo. Siamo chiara- Per quanto riguardal'effettiva esistenza di una 'lingua cortigiana' e le sue caratteristiche, cfr. M. Durante, Dal latino all'italiano moderno. Saggio distoria linguistica e culturale, Zanichelli, Bologna 1981, pp. 151-161; C. Giovanardi, La teoria cortigiana e il dibattito linguistico nel primo Cinquecento, Bulzoni, Roma 1998; in particolare per il contesto romano cfr. R. Drusi, La lingua 'cortigiana romana'. Note su un aspetto della questione cinquecentesca della lingua, il Cardo, Venezia 1995. Le citazioni sono tratte da: B. Castiglione, Ii libro del cortegiano, introduzione di A. Quondam, note di N. Longo, Garzanti, Milano 2017 (la ed. 1981). Ad eeeezione della dediča, per i brani citati dal Cortegiano indico il numero del libro, seguito da quello del capitolo. Se non altrimenti speeificato, i corsivi sono miei. Secondo Mazzacurati, l'uso dell'espressione «secondo quei tempi» da parte di Castiglione segna «il distaeco non solo temporale che ormailo abilita ad un giudizio oggettivo e in qual-che modo disincantato dell'arte boccaccesca» (G. Mazzacurati, Misure del classicismo rina-scimentale, Liguori, Napoli 1967, pp. 92-93). Kolsky ritiene a sua volta che, nel criticare il Decameron dal punto di vista linguistico, Castiglione voglia sminuire anche le posizioni di Bembo (S. Kolsky, The «Decameron» and «Ii Libro del Cortegiano»: Story of a Conversation, «Heliotropia», V (1-2), 2008, pp. 21-38: 24). 233 FLAVIA PALMA mentě di fronte a una rivendicazione di liberta espressiva proposta con un discrete sentimento di superiorita9, che pare glissare volutamente sulle innegabili aŕEnitá tematiche tra alcune sezioni del Cortegiano e il Decameron: se ě vero che il proposito centrále del trattato cinquecentesco ě la formazione dell'uomo di corte, motivo per cui il soggetto dell'opera potrebbe a prima vista risultare del tutto estraneo a quello del novelliere boccacciano, quasi la metá del libro He nei fatti dedicata alia definizione della facezia, le cui esemplificazioni comportano numerosi richiami espliciti alle novelle decameroniane. Sottolineare la distanza della materia trattata rispetto a quella del predecessore trecentesco non servi-rebbe dunque a definire semplicemente la specificitá dei contenuti proposti, ma sarebbe piuttosto utile a rimarcare la maggiore nobiltá letteraria del Cortegiano, dovuta a un intento didattico e formativo del tutto estraneo al Decameron10. I toni quasi polemici che si registrano in questi primi giudizi emessi nei confronti di Boccaccio non devono tuttavia trarre in inganno. Con grande sot-tigliezza, Castiglione trasforma infatti il Certaldese in un fautore della cosiddet-ta consuetudine', sfruttandolo in questo modo per sostenere le sue posizioni in materia linguistica, come si puô notare nei passo seguente: «non era convenien-te ch'io usassi molte di quelle [scil. parole] del Boccaccio, le quali a suoi tempi s'usavano ed or sono disusate dalli medesimi Toscani» (Ded., II). Poco dopo, a sostegno dell'impiego di forestierismi e di neologismi, purché entrati nell'uso, cita ancora Boccaccio, notando in termini inequivocabilmente elogiativi che nelle sue opere «son tante parole franzesi, spagnole e provenzali ed alcune forse non ben intese dai Toscani moderni che chi tutte quelle levasse farebbe il libro molto minore» (ibidem). Boccaccio non viene pertanto rifiutato in toto11; viene piuttosto biasimato qualsiasi atteggiamento che fa di lui un modello ineludibile e insuperabile. Non a caso la discussione sulla lingua sfocia ben presto in una polemica contro coloro che ignorano l'importanza della consuetudine lingui-stica in nome delľimitazione cieca o dell'intransigente toscanismo. I principi linguistici enunciati nella dediča a De Silva tornano poi all'interno del libro I (capp. XXVIII-XXXIX), dove i membri della corte di Urbino discu-tono dei modi che il cortigiano dovrebbe tenere nell'esprimersi: il nucleo dell'a-nalisi si sposta dunque dalla lingua dell'autore a quella delľindividuo ideale che egli vuole plasmare. Alle 'teorie cortigiane' di Ludovico da Canossa, che racco-manda di fuggire l'affettazione in favore della grazia e di basare tanto lo scritto 9 Guidi parla addirittura di «rare causticite» nei confronti di Boccaccio da parte di Castiglione (j. Guidi, Une artificieuse presentation: le jeu des dédicaces et des prologues du «Courtisan», in Ľécrivain face á son public en France et en Itálie á la Renaissance, Librairie PhilosophiqueJ.Vrin, Paris 1989, pp. 127-144: 137). 10 In proposito Kolsky scrive, forse in maniera un po' troppo categorica: «Castiglione seeks to negate the influence of the 'father' of vernacular prose in order to establish the originality of the Cortegiano» (Kolsky, The «Decameron», cit., p. 24). 11 Mazzacurati osserva anzi che Castiglione giudica positivamente la «prosa naturale e [...] "sprezzata", vivacemente distante da schemi rétorici, di alcune prove narrative di Boccaccio» (Mazzacurati, Misure del classicismo rinascimentale, cit., p. 97). 234 IL BOCCACCIO DI BALDASSAR CASTIGLIONE quanto il parlato sull'uso (I, XXIX)12, si contrappone Federico Fregoso, difen-sore dell'imitazione di Petrarca e di Boccaccio, proposti al contempo come una «guida» euno «scudo» (I, XXX). Le tesi del conte di Canossa sono sostenute anche da Giuliano de' Medici, che ripropone per primo l'immagine di un Boccaccio fautore dell'imitazione, giä tratteggiata da Castiglione nella dedica. Giuliano, infatti, pur definendo la lingua toscana «piu bella dell'altre», dichiara: «E ben vero che molte parole si ritrovano nel Petrarca e nel Boccaccio, che or son interlassate dalla consuetu-dine d'oggidi; e queste io, per me, non userei mai né parlando né scrivendo; e credo che essi ancor, se insin a qui vivuti josser o, non le user ebb ono piu» (I, XXXI). II conte prosegue cosi sulla via indicata dal compagno, lodando apertamente le tre corone in quanto «ingeniosamente e con quelle parole e termini che usava la consuetudine de' loro tempi hanno espresso i lor concetti» (I, XXXII). Riba-disce poi esplicitamente la tendenza di Petrarca e Boccaccio a rispettare l'u-so linguistico, sostenendo che, se «fossero vivi a questo tempo, non usariano molte parole che vedemo ne' loro scritti» (I, XXXVI). Ii conte sviluppa anzi le sue argomentazioni al punto tale che la pratica di Boccaccio, e con lui di Petrarca, non solo pare supportare i fautori della consuetudine13, ma arriva persino a contraddire la fondatezza delprincipio dell'imitazione. Se quest'ultimo infatti fosse valido, anche i due autoři trecenteschi avrebbero dovuto imitare un mo-dello, di cui perö non si sa nulla. Sommando a questo il fatto che si imita sempre chi ě migliore, il Canossa deduce che sarebbe impossibile che fossero sparite le tracce di autoři superioři a Petrarca e Boccaccio (cfr. I, XXXVII). Sfatata dun-que la validita intrinseca dello statuto dell'imitazione, proclama che la qualitá letteraria di Boccaccio e di Petrarca e, con loro, di ogni grande letterato sta nel- In generale sui principi di affettazione', 'sprezzatura', 'grazia', cfr. E. Saccone, Trattato e ritratto: l'introduzione del «Cortegiano», «MLN», 93, 1978, pp. 1-21; C. Ossola, «Ii libro del cortegiano»: esemplaritá e difformitä, in Id. (a cura di), La corte e il «Cortegiano», Bulzoni, Roma 1980, vol. I, pp. 15-82; G. Ferroni, 'Sprezzatura e simulazione, in La corte e il «Cortegiano», cit., pp. 119-147; G. Mazzacurati, Ii Rinascimento dei moderní, il Mulino, Bologna 2016, pp. 149-207. Sulla questione della lingua, oltre ai saggi giä segnalati, cfr. anche G. Mazzacurati, Baidassar Castiglione e la teória cortigiana: ideológia di classe e dottri-na critica, «MLN», 83, 1968, pp. 16-66; M. Pozzi, Ii pensiero linguistico di B. Castiglione, «Giornale storico della lingua italiana», CLVI (494), 1979, pp. 179-202; G. 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Mazzacurati ritiene che le forme trecentesche usate da Boccaccio siano considerate da Castiglione il «frutto di scelte letterarie aŕEni a quelle che egli stesso proponeva, e cioě fon-damentalmente anti-puristiche e ricettive» (Mazzacurati, Misure del classicismo rinascimen-tale, cit., p. 88). 235 FLAVIA PALMA l'«ingegno» e nel «giudicio naturale» (ibidem)) non certo in una pedissequa riproposizione di modelli precedenti. A questo proposito risulta particolarmente significative) il ragionamento pro-posto nel cap. XXXVII, in cui si legge: Non so adunque come sia bene, in loco d'arricchir questa lingua e darle spirito, grandezza e lume, farla pověra, esile, umile ed oscura e cercare di metterla in tante angustie, che ognuno sia sforzato ad imitare solamente il Petrarca e 'l Boccaccio; e che nella lingua non si debba ancor credere al Policiano, a Lorenzo de' Medici, a Francesco Diaceto e ad alcuni altri che pur sono toscani, e forse di non minor dottrina e giudicio che si fosse il Petrarca e '1 Boccaccio14. Qui Castiglione cita alcuni letterati moderni, equiparandoli per qualitá let-terarie alle due corone. Modifica cosi doppiamente il brano corrispondente del-la seconda redazione, dove non solo erano assenti i nomi di Poliziano, Lorenzo e Diacceto, ma erano guardati con fare del tutto disincantato anche Petrarca e Boccaccio, sui quali si sentenziava: «non forno né tanto dotti né tanto ingegnosi che non si possi sperare che di piú ne abbino a venire» (Sr, I, XXXVII)15. Nella prineeps, dunque, Castiglione modifica il brano secondo due directive afEni: rinuncia a sminuire il prestigio dei maestri trecenteschi, come aveva fatto nella redazione precedente, e mette invece in luce il vero bersaglio delle sue critiche attraverso l'aggiunta di un ironico attaeco a certi scrupolosi, i quali, quasi con una religion e misteru ineffabili di questa lor lingua toscana, spaventano di modo chi gli ascolta, che indueono ancor molti omini nobili e litterati in tanta timiditä, che non osano aprir la bocca e confessano di non saper parlar quella lingua, che hanno imparata dalle nutrici insino nelle fasce (I, XXXVII). Si comprende cosi perché scompaia la proposta di Emilia, che nella seconda redazione suggeriva di tornare nuovamente sulla questione della lingua affidando il compito a Pietro Bembo, il paladino dell'imitazione (Sr, I, XXXIX): nella terza e ultima redazione il dibattito, ormai andato troppo per le lunghe, viene invece semplicemente interrotto (I,XXXIX). Illetterato veneziano viene quindi voluta-mente silenziato' proprio nel contesto della questione linguistica che piú di ogni altra lo avrebbe dovuto vedere protagonista: come ha spiegato Uberto Motta, gli ě negato lo status di «maestro di lingua e di letteratura» e viene presentato piut-tosto nelle vesti di «poeta e [... ] filosofo d'amore», inparticolare nel IVlibro16. Su questo passo cfr. anche Motta, La 'questione della lingua', cit., p. 702. B. Castiglione, La seconda redazione del «Cortegiano», a cura di G. Ghinassi, Sansoni, Firenze 1968. Per riferirmi a questa edizione uso la sigla Sr, seguita dall'indicazione del libro e del capitolo corrispondenti alia citazione. Secondo Pozzi si avrebbe in questo passo una prova della convinzione di Castiglione che non esisterebbero delle etä linguisticamen-te perfette (Pozzi, Il pensiero linguistico, cit., pp. 186). In proposito cfr. anche Quondam, 'Questopověro cortegiano', cit., pp. 115-116. Motta, La 'questione della lingua', cit., p. 705. 236 IL BOCCACCIO DI BALDASSAR CASTIGLIONE Ě pertanto legittimo ritenere che la discussione sulla lingua portata avanti nel Cortegiano non sia volta a minare lo statuto di Boccaccio quale illustre lette-rato, ma si configuri piuttosto come una polemica nei confronti dei fautori della cieca imitazione: questi ultimi sono ilbersaglio delle critiche di Castiglione, che con acuta luciditá sfrutta proprio Boccaccio per sostenere il valore delle proprie posizioni, facendone un'arma contro i suoi stessi paladini. Si assiste cosi a una sorta di detronizzazione del Certaldese, non piú proposto come modello in sé e per sé, ma rifunzionalizzato e trasformato in uno strumento in grado di alimentäre e sostenere una tesi che gli ě nei fatti estranea. Ilruolo di Boccaccio cambia profondamente nel libro II, dove viene chiama-to in causa in merito alla discussione sulla facezia, di cui Bernardo Bibbiena17, incaricato di insegnare al cortigiano l'arte del racconto piacevole, individua tre tipologie: parla prima delľ«urbana e piacevole narrazion continuata», assimila-ta almeno in parte alia novella, poi della «subita ed arguta prontezza», ossia del motto di spirito, e infine delle burle, «nelle quali intervengon le narrazioni lunghe e i detti brevi ed ancor qualche operazione» (II, XLVIII). Per la trattazione delle prime due varieta (rispettivamente ai capp. XLIX-LVI e LVII-LXXXI V), che ri-spondono perfettamente alle esigenze di un riso moderato, lontano da qualsiasi forma di oscenitá o di rozzezza18, Castiglione si rifá fedelmente ai dettami cice-roniani del De oratoře, ai quali somma l'influenza del De sermone di Pontano19. Bibbiena ě anche lautore della Calandria, una commedia fortemente indebitata con il Decameron sotto il versante dei motivi narrativi impiegati. Essa risulta per altro rappresen-tativa di un fenomeno tipico del Cinquecento: consueta era divenuta infatti la prassi di attin-gere alia novellistica, in particolare decameroniana, come a un bacino di tramě utilizzabili sia nelle commedie sia nelle tragedie. Per i debiti del teatro rinascimentale con Boccaccio e la novella, cfr. almeno P. D. Stewart, Retorica e mimica nel «Decameron» e nella commedia del Cinquecento, Olschki, Firenze 1985; N. Borsellino, Novella e commedia nel Cinquecento, in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988), Salerno, Roma 1989, vol. I, pp. 469-482; A. Guidotti, Novellistica e teatro del Cinquecento, in G. Albanese, L. Battaglia Ricci e R. Bessi (a eura di), Favole parabole istorie. Le forme della serittura novellistica dalMedioevo alRinascimento, Salerno, Roma 2000, pp. 395-418. Suunapossibilefunzione terapeutka del riso proposta da Castiglione, cfr. O. ZorziPugliese, Humor in «II libro del cortegiano», «Quaderno d'italianistica», XIV (l), 1993, pp. 135-142. Cfr. L. Valmaggi, Per lefonti del «Cortegiano», «Giornale storico della lingua italiana», 14, 1889, pp. 72-93; P. Floriáni, Esperienza e cultura nella genesi del «Cortegiano», «Giornale storico dellaletteraturaitaliana», CXLVI (456), 1969, pp. 497-529: 514-519; J. Guidi, 'Festive narrazioni', 'motti' et 'burle' ('beffe'). Hart desfacities dans «Le courtisan», in Formes et significations de la 'beffa dans la littérature italienne de la Renaissance (Deuxiěme série), Universitě de la Sorbonne Nouvelle, Paris 1975, pp. 171-210; G. Ferroni, La teória classicistica della facezia da Pontano a Castiglione, «Sigma», 13, 1980, pp. 69-96: 85; J. Guidi, Les propos plaisants dans le deuxiěme livre du «Courtisan» de B. Castiglione, «Italies», 4, 2000, pp. 213-224; F. Bistagne, Pontano, Castiglione, Guazzo. Facétie et normes de comportement dans la 'trattatistica' de la Renaissance, «Cahiers d etudes italiennes», 6, 2007, pp. 183-192; M. Villa, Moderní e antichi nelprimo libro del «Cortegiano», LED, Miláno 2007, pp. 38-39. Per la sezione dei motti di spirito Tateo sug-gerisce anche il «modello strutturale dei Saturnali di Macrobio» (F. Tateo, La civil conversazione. Trattati del comportamento e forme del racconto, in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988), Salerno, Roma 1989, vol. I, pp. 59-81: 75-76). 237 FLAVIA PALMA Dalla ricca esemplificazione che viene fornita emerge tuttavia una quasi totale assenza: quando discute della narrazion continuata', raccomandando di fare in modo che «a quelli che odono paia vedersi innanzi agli occhi far le cose che si narrano»20, il Bibbiena ricorda la novella del prete di Varlungo (Dec. VIII 2) e quelle di Calandrino (Dec. VIII 3 e 6; IX 3 e 5), ma nulla di piu (II, XLIX). Nessuna esemplificazione decameroniana viene invece proposta nella ben piu ampia sezione dedicata ai motti di spirito, nonostante l'intera Giornata VI del Decameron sia a essi votata. Questa macroscopica esclusione potrebbe trovare a mio parere una logica spiegazione nella stessa trattazione del motto proposta dal Bibbiena: nel capitolo LXVIII questi esorta il cortigiano a fuggire ogni at-teggiamento irrispettoso verso la religione, ogni oscenitá e ogni riferimento che possa risultare fonte di vergogna per una donna onesta; nel capitolo LXXXIII ricorda poi al cortigiano «faceto» di avere «rispetto al tempo, alle persone, al grado suo» e di non essere «troppo frequente» nel provocare il riso. Alla luce di queste indicazioni, il motto castiglionesco si configura come una forma di intrattenimento semi-pianificata e solo apparentemente spontanea, ben diversa dalla battuta pronta boccacciana, fondata sulla reazione immediata e finalizzata a scampare da situazioni di pericolo o a punire con ironia e con sa-gacia un difetto dell'interlocutore. Ii Decameron non puö dunque fornire un'e-semplificazione coerente per la seconda tipologia di facezia: sono cambiate le coordinate storico-culturali di applicazione del motto e, con esse, i suoi stessi tratti caratterizzanti. La situazione si complica ulteriormente nel passaggio alla terza tipologia di facezia, ossia la burla (capp. LXXXV-XCVI), per la quale Castiglione non puö ricorrere a un corrispettivo canovaccio teorico ciceroniano21. Se alla mancan-za di modelli classici si somma la prossimitá formale con la beffa boccacciana, si comprende perché il numero delle esemplificazioni tratte dal Decameron di-venti qui piu copioso22; anzi le citazioni dal novelliere presenti nel libro II del Cortegiano si concentrano quasi esclusivamente nei capitoli dedicati alla burla. Essa viene dunque definita come «un inganno amichevole di cose che non offendano, o almen poco» (II, LXXXV), distinguendosi dalle restanti tipolo-gie di facezia non tanto per le fonti di ispirazione, che sono le medesime, quan-to per gli strumenti impiegati per generare il riso: se le altre facezie si fondano sul «dir contra l'aspettazione», in quanto enfatizzano la componente verbale, Anche Leonardo Terrusi sottolineaľapprezzamento di Castiglione per l'«evidenza visiva del racconto» (L. Terrusi, "Veder con gli occhi fare quelle cose ehe tu narrť: poetiche della visualitá nella riflessione cinquecentesca sulla novellistica, «Italianistica», 46, 2017, pp. 43-53:45). Sui tratti di novitä della trattazione della burla rispetto al modello ciceroniano, cfr. Floriáni, Esperienza e cultura, cit., p. 517; Ferroni, La teória classicistica, cit., p. 94; L. Mulas, Funzioni degli esempi, funzione del «Cortegiano», in La corte e il «Cortegiano», cit., pp. 97-117: 107. Amedeo Quondam ritiene necessaria la mediazione boccacciana in questo contesto, essen-do Boccaccio «archetipo e modello esplicitamente dichiarato di questa tipologia faceta» (Quondam, 'Questopověro cortegiano', cit., p. 155). 238 IL BOCCACCIO DI BALDASSAR CASTIGLIONE le burle si basano sul «far contra l'aspettazione» (ibidem) e conferiscono mag-giore peso all'azione. Dopo aver fornito alcuni esempi di burle che rispettano le direttive teoriche enunciate, il Bibbiena cita le imprese che «faceano Bruno e Buffalmacco al suo Calandrino ed a maestro Simone, e molte altre di donne, che veramente sono ingeniöse e belle» (II, LXXXIX). Eppure, la burla castiglionesca non puö esse-re assimilatacompletamenteallabeffaboccacciana: al contrario dell'autonomia di statuto accordata alla beffa decameroniana, la burla ě ridotta a sottocategoria della facezia. A ciö si aggiunge il fatto che le trovate goliardiche di Bruno e Buffalmacco sono fin troppo irrispettose del beffato23. Ii problema piu consistente perö ě rappresentato dalle beffe orchestrate da e contro le donne, che costitui-scono un nodo concettuale saliente nella poetica del riso del Cortegiano24, come suggeriscono le correzioni apportate nel passaggio dalla seconda alla terza redazione del trattato. Ilpasso dellaprinceps appena citato (II, LXXXIX), per esempio, modifica il corrispondente della seconda redazione, dove si legge in merito ai racconti di beffa: «molti piacevoli ne sono nelle novelle del Boccaccio, come quelle che faceano Bruno e Bufalmacco al suo Calandrino et a maestro Simone, e molťaltre di donne ingegnose et accorte che vi sono» (Sr, II, LXXXVI)25. Se qui sono le Secondo Ferroni, Castiglione pone la burla «entro precisi margini di controllo sociale», at-tenuando l'aggressivitä propria della beffa (Ferroni, La teoria classicistica, cit., p. 95). Stando a Jose Guidi, Castiglione romperebbe addirittura con il Decameron, accantonando o edul-corando la beffa tradizionale in quanto socialmente pericolosa; al contrario, la facezia da lui proposta costituirebbe un genere apprezzabile in quanto misurato e rispettoso dell'ordine stabilito (Guidi, 'Festive narrazioni', cit., pp. 207-210). Anche Giuseppina Saccaro Battisti individua una «tendenza alla [...] moralizzazione edinfine alla [...] condanna» della burla (G. Saccaro Battisti, La donna, le donne nel «Cortegiano», in La corte e il «Cortegiano», cit., pp. 219-249: 243n), mentre Larivaille ne parla come di una beffa mascherata e impostata sulla mediocritas (P. Larivaille, Castiglione etla 'beffa', «Italies», 11, 2007, pp. 357-377). Nonostante l'innegabile rilievo delle figure femminili nel Cortegiano, ě tuttavia fuorvian-te ritenere che l'intera discussione sulla burla sia focalizzata soltanto su «Boccaccio's wo-men», come fa Kolsky: lo studioso ě dell'idea che Castiglione non approvi la rappresen-tazione moralmente discutibile delle donne all'interno delle beffe decameroniane e voglia proporre per questo il suo Cortegiano come un piü valido sostituto del Decameron all'interno del canone letterario (cfr. Kolsky, The «Decameron», cit., pp. 35-36). La correzione ě segnalata nello stesso manoscritto di tipografia: qui, nel periodo che legge «e molte altre di donne ingegnose, che vi sono», il nucleo «ingegnose, che vi sono» ě cassa-to e sostituito da «che veramente sono ingeniöse et belle» (cfr. B. Castiglione, Ii libro del cortegiano. 2. Ii manoscritto di tipografia (L). Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnhamiano 409, a eura di A. Quondam, Bulzoni, Roma 2016, p. 171). Stando agli accorgimenti adottati da Amedeo Quondam nell'editare il těsto (cfr. A. Quondam, Ľautore (e i suoi copisti), l"editor', il tipografo. Come il «Cortegiano» divenne libro a stampa. Nota ai testi di L e Ad, Bulzoni, Roma 2016, pp. 609-610), la correzione ě opera di Castiglione. Giancarlo Alfano nota che «il sintagma attributivo riferito alle donne» conferisce «subito un taglio divertitamente filogino» alla successiva discussione sulla donna (cfr. G. Alfano, Dalla cittá alla repubblica delle lettere. Forme della conversazione e modelli dellapolitica nel Cinquecento italiano, Bulzoni, Roma 2003, pp. 77-78). 239 FLAVIA PALMA donne a essere 'ingegnose' e accorte', nel testo dellaprinceps le qualifiche di in-gegnosita e bellezza paiono piuttosto attribuite alle befFe da loro realizzate, con un conseguente spostamento dell'attenzione dall'indole delle donne agli ingan-ni astuti e piacevoli da loro architettati. Non a caso e proprio il richiamo alle burle femminili a scatenare la replica di Gasparo Pallavicino e di Ottaviano Fregoso, che accusano il Bibbiena di eccessiva condiscendenza nei confronti delle donne (II, XC-XCIl)26: se infatti agli uomini e chiesto di non recare loro offesa alcuna, esse parrebbero legit-timate a trattare gli uomini come preferiscono. Per dimostrare dunque che le befFe maschili non dovrebbero essere affatto giudicate piu duramente di quelle femminili, il Pallavicino replica al compagno ricorrendo a sua volta al Decameron: menziona infatti da un lato la beffa ordita da Ricciardo contro Catella in Dec. Ill 6 e, dall'altro, quelle orchestrate da Beatrice e da Sismonda contro i mariti rispettivamente in Dec. VII 7 e VII 8, ritenendole tutte e tre equipol-lenti per gravita (II, XCIl). Proprio sul confronto tra le befFe di Dec. Ill 6 e VII7 si sviluppa allora la di-scussione. Il Bibbiena, che difende la piacevolezza delle befFe orchestrate dalle donne, dichiara che Ricciardo ha penalizzato Catella piu di quanto abbia fatto Beatrice con il marito Egano, «perche Riciardo con quello inganno sforzo colei e fecela far di se stessa quello che ella non voleva; e Beatrice inganno suo marito per far essa di se stessa quello che le piaceva» (II, XCIII)27. Nei fatti, come sap-piamo, Catella non viene obbligata in alcun modo, ma giace volutamente con Ricciardo, perche lo crede suo marito. La lettura 'tendenziosa' del Bibbiena e tuttavia utile a tutelare le donne, che, al contrario di Ricciardo, non lederebbe-ro mai il volere dell'amante; agirebbero anzi spinte inevitabilmente dalla pas-sione amorosa, il cui condizionamento sulle azioni umane viene riconosciuto anche da Pallavicino, che pero lo ritiene influente tanto sulle donne quanto su-gli uomini (II, XCIV). La replica al Bibbiena conduce a questo punto a un nodo problematico. Il Pallavicino infatti gli fa notare che befFare le donne e un ottimo sistema per conquistarle, «perche sempre chi possede il corpo delle donne e ancora signor dell'animo» (II, XCV): proprio Catella ne e a suo parere una chiara dimostra-zione, dato che, una volta scoperto quanto fossero «piu saporiti [...] i basci» Le critiche alle donne del misogino Fregoso al cap. XCI sono tuttavia meno aspre rispetto a quelle presenti nella seconda redazione (Sr, II, LXXXVIII). Va tuttavia ricordato che nel passaggio dalla seconda alia terza redazione il Bibbiena diviene piu clemente nei confronti di Ricciardo, come nota anche Kolsky (The «Decameron», cit, p. 34n). Nella seconda redazione si legge infatti: «Per6 la burla di Ricciardo forsi si potria a qualche modo chiamare tradimento, ne con tutto cio ne consegui quello che in amore desiderar si deve, anzi con tanta iniuria fatta a quella meschina, avendo il corpo senza la volonta, creder si pud che il piacere suo non fosse compito» (Sr, II, XC). L'aperto richiamo a Ricciardo, che lo metteva decisamente (e forse eccessivamente) in cattiva luce, viene sostituito nella princeps con un piu generico riferimento a «quelli che consegueno e suoi desideri per mezzo di queste burle, che forse piu tosto tradimenti che burle chiamar si poriano» (II, XCIV). 240 IL BOCCACCIO DI BALDASSAR CASTIGLIONE di Ricciardo, abbandona la sua ritrosia e ne diviene stabilmente l'amante. Co-si, alia luce dell'esempio decameroniano, il Pallavicino conclude: «Or vedete che pur questa burla, o tradimento, come vogliate dire, fu bona via per acqui-star la röcca di quell'animo» (ibidem). A questa affermazione il Bibbiena replica perentoriamente: Voi [...] fateunpresupostofalsissimo; chesele donne dessero sempre l'animo a chi lor tiene il corpo, non se ne trovaria alcuna che non amasse il marito piü che altra persona al mondo; il che si vede in contrario. Ma Giovan Boccaccio era, come sete ancor voi, a gran torto nemico delle donne (ibidem). Sull'immagine di Boccaccio nemico delle donne' si conclude la sezione del Cortegiano dedicata alia definizione della facezia e ha inizio la discussione sulle caratteristiche della donna di palazzo, affidata a Giuliano de' Medici per l'in-tero libro III28. Se estrapolata dal contesto quest'accusa di misoginia rivolta al Certalde-se potrebbe sembrare del tutto discrepante, visto che egli e chiamato in causa proprio in quanto autore del Decameron29. Eppure, si puö giungere a compren-dere il senso di una tale definizione ricorrendo in particolare ad alcuni indizi presenti nella seconda redazione, dove Ottaviano Fregoso, il cui ruolo verrä assunto nella princeps dal Pallavicino, commenta il finale innamoramento di Catella in questo modo: «e, se ben vi ricorda, dice l'autore che, conoscendo la donna quanto piü saporiti fossero gli baci dell'amante che quegli del marito, voltata la sua durezza in dolce amore verso Ricciardo, tenerissimamente da quel giorno innanti l'amö» (Sr, II, XCl). E resa esplicita qui l'idea che Boccaccio in persona ha fatto volutamente di Catella la vittima di un inganno e ha proposto la beffa come un efficace strumento di conquista amorosa. Pertanto, l'accusa di essere un nemico delle donne', che gli viene rivolta, potrebbe essere con-siderata verosimilmente una replica circostanziata alia specifica osservazione del Pallavicino (o del Fregoso). Con questo il Bibbiena non farebbe di Boccaccio un misogino in assoluto, ma un detrattore dei personaggi femminili in me-rito a una questione ben precisa: il Certaldese e ritenuto cioe responsabile di aver suggerito che le donne sono vulnerabili e arrendevoli nel contesto degli inganni d'amore. Nel proporre delle novelle come quella di Catella, Boccaccio sminuirebbe la loro onorabilitä e legittimerebbe al contempo atteggiamenti ir-rispettosi nei loro confronti, pubblicizzando in questo modo la violazione di Giulio Ferroni nota una specularitä tra il discorso sulla formazione del cortigiano, origina-tosi come un gioco, e la trattazione sulla donna di palazzo, che «nasce da un discorso sulle burle» (Ferroni, La teória classicistica, cit., p. 96). Aproposito dell'accusa mossa a Giovanni Boccaccio di essere «a gran torto nemico delle donne», Vittorio Cian ha ammesso che una certa dose di misoginia possa essere rinvenibile nel Decameron (cfr. B. Castiglione, Il cortegiano, a cura di V. Cian, Firenze, Sansoni 1894, p. 250n); al contrario Bruno Maier ha ritenuto il rimprovero formulato contro il Certaldese del tutto privo di fondamento (cfr. B. Castiglione, Il libro del cortegiano, a cura di B. Maier, UTET, Torino 1964, p. 327n). 241 FLAVIA PALMA una delle regole cardinali del comportamento del buon cortigiano, ossia il ri-spetto dell'onore femminile. D'altro canto, rendere la donna, nubile o sposata, inerme se non addirittura pieghevole alle lusinghe maschili mette a repenta-glio quell'integrita morale indispensabile all'interno dell'universo moderato e castigato del Cortegiano. L'argomento ě chiaramente insidioso e Castiglione doveva esserne consape-vole, dato che si ě aífrettato a traghettare la discussione verso altri lidi in entram-be le versioni piu recenti del trattato: nella seconda redazione la signora Emilia incarica Camillo Paleotto di difendere il genere femminile, mentre nella terza la duchessa di Urbino richiede una discussione sulla perfetta donna di palazzo, che faccia da contraltare a quella sul cortigiano. Alia luce di quanto fin qui osservato, ě possibile trarre alcune conclusioni. Innanzitutto, il fatto che i richiami a Boccaccio siano collocati soltanto nei primi due libri del Cortegiano, che sono anche le zone del trattato che hanno subito il minor numero di modifiche di carattere contenutistico, potrebbe suggerire che Castiglione sentisse la necessitá di confrontarsi con il grande maestro trecen-tesco fin dall'inizio della sua impresa letteraria. D'altro canto, egli ha dipinto Boccaccio come l'autore del solo Decameron, trascurando il resto della sua pro-duzione. Ció ě almeno in parte una conseguenza necessaria della scelta dei te-mi di discussione: le Prose della volgar lingua di Bembo, stampate nel 1525, ma forse note a Castiglione giá all'epoca della seconda redazione del Cortegiano30, proponevano proprio la lingua del Decameron come modello a cui guardare; al contempo una discussione sulle narrazioni divertenti e argute non poteva che richiedere il confronto proprio con il Centonovelle. Eppure, la figura di Boccaccio assume connotati differenti a seconda del con-testo in cui viene chiamata in causa: nell'ambito della questione della lingua, il Certaldese si rivela uno strumento utile, ma sussidiario, per polemizzare contro i veri bersagli di Castiglione, ossia i patroni dell'imitazione; nel caso della burla, il maestro trecentesco assume invece una centralitá fino a quel momento nega-tagli nel Cortegiano, divenendo oggetto di confronto diretto. Questi due diversi impieghi dell'autorita boccacciana, difficilmente riducibili sotto la generica eti-chetta di echi decameroniani, mettono in luce lo sguardo attento con cui Castiglione si ě rivolto al Certaldese e, pur nelle loro peculiaritá, sono accomunati da un suggestivo atteggiamento critico verso il Decameron, che viene interpretato come un'opera ormai anacronistica, non perché propriamente obsoleta, ma in quanto estranea alia cultura della corte. Castiglione non nega mai dawero la qualitá dello stile e delle proposte narrative offerte dal maestro trecentesco; ne enfatizza piuttosto l'inconciliabilita con la medianitá e la costumatezza richieste al suo cortigiano. Egli pertanto non guarda banalmente a Boccaccio come a un Cfr. Motta, La 'questione della lingua', cit., p. 706 e n. Villa ritiene invece che la questione lin-guistica proposta nel Cortegiano non dipenda da una conoscenza diretta delle Prose, ma deri-vi semplicemente dal clima scaturito dalla polemica de imitatione che aveva opposto Bembo e Gianfrancesco Pico nel primo Cinquecento (cfr. Villa, Moderní e antichi, cit., p. 91). 242 IL BOCCACCIO DI BALDASSAR CASTIGLIONE modello superato, ma ne fa un termine di paragone e un oggetto di attento scru-tinio: il Cortegiano non risponde alla penna di chi vuole sostituirsi ciecamente a modelli ritenuti mediocri e sorpassarti, ma rivela anzi i progetti di un autore consapevole di fronteggiare un passato giä nobile che vuole (e forse si sente in dovere di) migliorare, con uno sguardo attento al diverso contesto storico-cul-turale in cui opera. Bibliografia Alfano G., Dalla cittä alla repubblica delle lettere. Forme della conversazione e modelli delia politica nel Cinquecento italiano, Bulzoni, Roma 2003. Bistagne F., Fontáno, Castiglione, Guazzo. Facétie et normes de comportement dans la 'trattatistica de la Renaissance, «Cahiers d'etudes italiennes», 6,2007, pp. 183-192. Borsellino N., Novella e commedia nel Cinquecento, in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988), Salerno, Roma 1989, vol. 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Insieme a Dante, Petrarca e Giovanni Villani, Boccaccio e stato uno dei primi autori a essere spogliato per il primo Vocabolario. Giä Lionardo Salviati, tra il 1584 e il 1586, negli Avvertimenti della lingua sopra'l Decamerone (pubblicati in due volumi, il primo a Venezia nel 1584, il secondo a Firenze nel 1586)2, aveva lasciato agli Accademici la sua am-pia riflessione linguistica sull'opera, reduce dal grande lavoro di rassettatura che egli effettuö alcuni anni prima, oltre ai lavori precedenti di Vincenzio Borghini Si tratta del lavoro di ricerca svolto per la tesi di Dottorato in Linguistica storica, Linguistica educativa e Italianistica. L'italiano, le altre lingue e culture (ciclo XXXII) presso l'Universitä per Stranieri di Siena sotto la guida della prof.ssa Giovanna Frosini, che ringrazio molto. Per la revisione e per i preziosi consigli riguardo al presente contributo, ringrazio il prof. Maurizio Fiorilla. Avvertimenti della lingua sopra 'l Decamerone volume primo del Cavalier Lionardo Salviati, presso Domenico & Gio. Battista Guerra, Venezia 1584; Del secondo volume degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, Giunti, Firenze 1586. Caterina Canneti, University of Florence, Italy, c.canneti@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Caterina Canneti, Boccaccio, il Decameron e la Crusca: le fonti spogliate dagli Accademici, pp. 247-270, © 2020 Author(s), CC BY 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-236-2.13, in Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Atta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 CATERINA CANNETI (Annotationi e discorsi sopra alcuni luoghi del Decameron, Giunti, Firenze 1574). Boccaccio conta complessivamente con tutte le sue opere 15600 presenze gia nella prima impressione contro le 9220 di Dante e le 5036 di Petrarca. In questa sede si prenderanno in considerazione alcuni casi significativi di allegazioni del Decameron: a partire dalle dichiarazioni sulle fonti spogliate che gli Accademi-ci riportano negli apparati del Vocabolario e dalle indicazioni rintracciate nel-le carte autografe conservate presso lArchivio dellAccademia della Crusca, si cerchera di ricostruire e illustrare quali sono stati i manoscritti e le edizioni di riferimento per i compilatori del Vocabolario. Per prima cosa si offre qui a seguire, per una prima valutazione quantitativa, una tabella riassuntiva sulla presenza del Decameron nelle quattro impressioni: Voci Occorrenze CruscaI (1612) 6078/25056 (24,2%) 13023/62870 (20,7%) Crusca II (1623) 6097/27626 (22,06%) 13097/70047 (18,6%) Crusca III (1691) 6333/38005 (16,6%) 14278/112549 (12,6%) CruscaIV (1729-1738) 6399/51842 (12,3%) 29335/155249 (18,9 %) Nella prima colonna si registra il numero di voci contenenti allegazioni del Decameron, mentre i dati della seconda colonna riguardano le occorrenze dell'o-pera nelle quattro Crusche. Si puó facilmente notare come la presenza del těsto boccacciano nel corso delle impressioni subisca un'effettiva diminuzione: tale andamento si riscontra anche per altre opere con ampie attestazioni (quali la Commedia di Dante e la Cronica di Giovanni Villani) e puó essere motivato considerando che i testi delle Tre Corone, insieme alia Cronica di Giovanni Villani, sono stati quelli sui quali i compilatori hanno cominciato i lavori di spoglio giá negli anni '90 del Cinquecento. Si ě poi confrontata la presenza del Decameron nelle impressioni con quella delle altre opere volgari di Boccaccio: si indica, nella tabella, per ogni opera, il numero di voci che ne contengono le allegazioni (V) e il numero di occorrenze (O), dalla prima alia quarta impressione (I, II, III, IV) [vedi Tavola del testi citati]. Il Decameron si dimostra l'opera di Boccaccio piu presente nel Vocabolario (come del resto la Commedia per Dante); segue il Corbaccio, oltre a Filocolo, Elegia di Madonna Fiammetta, Lettera a Pino de Rossi e Ameto. Non oltre 60 le occorrenze del Filostrato e ancora minore la presenza delle Esposizioni sopra la Commedia, delYAmorosa visione e del Teseida, anche se in Crusca IV le attestazioni di quest'ultimo testo boccacciano aumentano in misura significativa. Il quadro finora delineato fornisce un'idea ben precisa dell'importanza che il Decameron ebbe per gli Accademici lessicografi. Cosi si legge, infatti, nellAvviso ai lettori della prima impressione: 248 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI Corbaccio O 1802 2708 00 00 ON 1079 > NO 00 ON 00 1—I co ON 1007 Filostrato O O tt 1—I tt 1—I tt o NO > G\ CO O CO o ro 00 Filocolo o >t) CO NO o CO NO 00 ON 00 > O co NO co co NO o co 00 El.di Madonna Fiammetta o 1—I ON 1—I o tt 00 1—I o > CO Tiro 1—I Tiro CO NO tt 00 ro Teseide o i—i CO o Ti- 1380 > i—i 1—I ro ro 1170 Comm. sopra Dante o tt tt 1—I > tt CO i—I Lett, a Pino De'Rossi o O TINO O 1—I NO O co > tt CO CO ro CO co NO ro co Am. Visione o i—I 1—I o NO tt 1—I > i—I 1—I o >t) 00 Ameto o tt 00 CO o co 1176 1380 > 1—I NO co NO CO 00 ro ON 1170 Decameron o 13023 13097 14278 29335 > 6078 6097 6333 6399 1—1 i—i i—i 1—1 1—1 1—1 > 1—1 249 CATERINA CANNETI Nel raccoglier le voci degli scrittori, da alcuni de' piú famosi, e ricevuti comunemente da tutti, per esser l'opere loro alle stampe, che si potrebbon dir della prima classe, i quali sono Dante, Boccaccio, Petrarca, Giovan Villani, e simili, abbiamo tolto indifferentemente tutte le voci, e, per lo piú, postavi la loro autorita nell'esemplo3. Boccaccio, dunque, ě considerato uno degli autori «che si potrebbon dir della prima classe»4, del quale gli Accademici dichiarano di aver preso «indifferente-mente tutte le voci»s. Ecco quanto scrive Giovanni Gaetano Bottari nellAvviso ai lettori per la quarta impressione: Perciô non istimiamo mal fatto l'aver posto la V. Buonissimo corredata colľautoritá del Bembo, e Bonissimo con quella del Boccaccio, donde appare la prima tenere alquanto del forestiero, dove la seconda ě piú nostrale, e migliore6. Ľautoritá linguistica delle Tre Corone ě da sempre stata ben presente agli Accademici e, fin dai primi lavori del Vocabolario, Dante, Petrarca e, in questo caso, Boccaccio hanno costituito la base principále per le voci e per le allegazioni. 2. Le fonti degli Accademici Per individuare e ragionare sulle fonti spogliate per il Decameron, ě oppor-tuno ripartire delle indicazioni dei compilatori del 1612 contenute nella Tavola delle abbreviature della prima impressione: Decamerone di M. Gio. Boccacci corretto dal Cavalier Lionardo Salviati, stampato in Firenze: citasi a numero delle novelle, contando da una infino a cento. I numeri son posti di dieci in dieci versi, cominciando da ogni novella, e da ogni altra parte principále di quelľopera, come dalproemio, dall'introduzione, da' principi, da' fini delle giornate, e dalla conclusione7. L'unica fonte che i primi Accademici dichiarano di aver utilizzato per gli spogli della loro impressione ě l'edizione rassettata da Lionardo Salviati, l'Accademico Vocabolario degli Accademici della Crusca, appresso Giovanni Alberti, Venezia 1612, p. 6. Per i bráni presenti da qui in poi, si ě deciso di adottare la trascrizione diplomatica (senza la segnala-zione di fine riga o di cambio pagina). Come si vedra anche piú avanti, tale scelta ě motivata dalla volontá di riportare i testi nella maniera piú fedele possibile, in particolare per quanto riguarda le allegazioni del Vocabolario e i passi tratti dai manoscritti: in questo modo, nei riscontri che segui-ranno, si ě voluto segnalare al lettore TeřFettiva situazione in cui si sono ritrovati gli Accademici relativamente ai testi che hanno avuto a disposizione, per comprendere e valutare meglio i loro comportamenti. Lo stesso criterio ě stato adottato per i passi tratti dalle Tavole del Vocabolario, dalle carte degli Accademici e dai testi a stampa (cfr. i criteri forniti alle pp. 257-258). Ibidem. Ibidem. Vocabolario degli Accademici della Crusca, 6 voli., presso Domenico Maria Manni, Firenze 1729-1738, vol. I, p. 360. Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), p. 16. 250 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI Infarinato, uscita in quattro ristampe: due nelľanno 1582, una del niese di ago-sto, stampata a Venezia, l'altra, del mese di novembre, stampata a Firenze (= Dec. Giunti 1582)8, unanel 1585 (=Dec. Giunti 1585)9eunanel 1587 (=Dec. Giun-ti 1587)10. Gli Accademici, pero, non specificano nella Tavola quali tra le edizioni di Salviati siano state poi realmente sfruttate nel corso dei loro lavori. Nella Tavola delia seconda impressione si riporta quanto giá dichiarato nell'edizione precedente. Nella terza impressione, i compilatori effettuano alcune modifiche alle loro dichiarazioni, non aggiungendo comunque ulteriori informazioni sulle fonti utiliz-zate. Piu ampie, invece, le dichiarazioni dei compilatori della quarta impressione: OPERE DI MESSER GIOVANNI BOCCACCIO, cioě: Decamerone. Si cita l'esemplare corretto dal Cav. Lionardo Salviati a ciö espressamente deputato dal Granduca Francesco, e stampato in Firenze da' Giunti l'anno 1587. Tuttele Novelle sono citate pel numero loro da una fino a cento. II secondo numero, che si trova negli esempi tratti da quest'Opera, indica i numeri per maggior comodo posti a mano di dieci in dieci versi nell'esemplare, di cui si servirono gli antichi Compilatori (29) cosi in ciascheduna Novella, come in ogni altra parte principále di quest'Opera, cioě nel Proemio, nell'Introduzione, nel principio, e nel fine di ciascheduna Giornata, e nella Conclusione. I due numeri posti agli esempli tratti dalle Canzoni significano la Giornata, nella quale ě posta la Canzone, e la stanza della Canzone. L'abbreviatura tit. ehe si trova talora in vece del secondo numero, significa, che quell'esempio ě tratto non dal corpo della Novella, ma dal titolo di essa. Ma perciocchě 1TNFARINATO giudicô di dover tralasciare, o alterare vari luoghi di quest'Opera, negli esempli da noi allegati abbiamo supplito cotali mancanze, e variazioni per lo piú colla moderna edizione, che ha la data d'Amsterdam dell'anno 1718. in due volumi in 8. e talvolta ancora col celebratissimo Testo apenna scritto di mano di FRANCESCO DAMARETTO M ANNELLI, che di presente si conserva nella Libreria di San Lorenzo al Banco XLI. segnato col num. 1. e molte volte ne abbiamo avvertito i Lettori con una parentesi dopo 1'esempio, lo che abbiamo anche praticato in qualche luogo piú sospetto, o oscuro, dove la lezione del Testo del Mannelli ě stata da noi creduta piú sicura dell'esemplare corretto dall'INFARINATO. (29) Questo esemplare ě ancor di presente tra i libri dell'Accademia11. 8 II Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadinfiorentino, di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi, & alia sua vera lezione ridotto dal caualier Lionardo Salviati [...], Giunti, Firenze 1582. 9 II Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadinfiorentino. Di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi e alia sua vera lezione ridotto dal cavalier Lionardo Salviati [...], Giunti, Venezia 1585. 10 II Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadinfiorentino, di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi, & alia sua vera lezione ridotto dal cavalier Lionardo Salviati [...], Giunti, Firenze 1587. 11 Vocabolario degli Accademici della Crusca (1729-1738), vol. VI, p. 16. La nota 29, scritta dai compilatori e presente nella Tavola delle abbreviature, si dimostra particolarmente signifi-cativaper confermare l'esemplare spogliato dagli Accademici. Cfr. piú avantinel testo. 251 CATERINA CAN N ETI Tali informazioni costituiranno il punto di partenza per le indagini successive, tenendo conto del fatto che potrebbero non essere del tutto veritiere riguar-do al reale andamento degli spogli dell'opera. 2.1 L'edizione Giunti del 1587 Gli Accademici, dunque, specificano nelle loro dichiarazioni di aver conside-rato un esemplare dell'edizione di Salviati del 1587, stampata a Firenze presso i Giunti, all'interno del quale sono stati segnati a mano i numeri di riga (di dieci in dieci) e che, almeno ai tempi delia realizzazione della Tavola delle abbreviature (compilata da Rosso Antonio Martini tra il 1735 e il 1736), si trovava tra i libri dell'Accademia. A questo proposito, presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze si conserva un esemplare di Dec. Giunti 1587, segnato Magi. III.1.26, mancante delle prime pagine, ma contenente l'etichetta a stampa dell'Accademia (1783)12, l'indicazione (a mano) dei numeri di riga (di dieci in dieci) e la nume-razione (sempře a mano) delle Novelle delDecameron da 1 a 100. Dunque, vista la corrispondenza con quanto indicato nelle Tavole, ě altamente probabile che si tratti dell'esemplare utilizzato dai compilatori durante i lavori di spoglio. La descrizione dell'edizione di riferimento per gli spogli offerta da Rosso Antonio Martini, l'Accademico Ripurgato, nel suo Catalogo del 1747, al n. 17 della sezio-ne IV (relativa ai Libri toscani stampati), offre un'ulteriore conferma: Decameron di Messer Giovanni Boccaccio, mancante in principio, e in fine, e tutto lineato, perché ha servito per lo spoglio degli esempli nelle antiche impressioni del Vocabolario13. Altre testimonianze che confermano quanto giá visto finora si rintracciano tra le carte d'Archivio dell'Accademia (d'ora in poi, AACF): nel fascicolo 119, sono presenti i documenti di lavoro del Ripurgato, tra i quali le carte prepara-torie della Tavola delle abbreviature (cartella 31). Proprio in questo fascicolo, a pagina 16, si trova la bozza dei lavori di Martini per la Tavola, con le sue anno-tazioni e le sue correzioni, segni del suo continuo lavoro di revisione. Riporto quanto fatto da Martini relativamente a passi cancellati, aggiunte e note, po-nendo le integrazioni tra parentesi quadre (i passi che sono stati cancellati dal «Si puö ipotizzare che il patrimonio archivistico e librario della Crusca che conflui nella Magliabechiana coincida quasi del tutto con i documenti, sia manoscritti che a stampa, de-scritti da Rosso Antonio Martini nel suo catalogo redatto nel 1747, ma con aggiornamenti fino al 1778, ovvero solo cinque anni prima della soppressione. Sugli esemplari che giunse-ro alia Biblioteca Magliabechiana fu apposta un'etichetta con la dicitura "dell'Accademia della Crusca 1783", ancora visibile sia su quelli che tornarono nel patrimonio di Crusca, sia su quelli che restarono nella Magliabechiana al momento della ricostituzione dell'Accade-mia» (D. Ragionieri, La Biblioteca dell'Accademia della Crusca. Testi e documenti, Accademia della Crusca-Vecchiarelli editore, Firenze-Manziana 2015, p. 47). R.A. Martini, Catalogo de libri e delle scritture dell'Accademia della Crusca compilato dal Ripurgato I'anno 1747, p. 169. 252 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI Ripurgato e che non compaiono nella versione pubblicata delle Tavole, sono preceduti dal simbolo A; le aggiunte di Martini sono precedute dal simbolo *): Opere di Ms. Giovanni Boccacci, cioě Decamerone [A di Messer Giovanni Boccaccio]. Citasiľesemplarestampato [*stampato da' Giunti] corretto dalCav. Leonardo Salviati nostro Accademico detto l'Infarinato a ciö espressamente deputato dal Granduca Francesco [* di Toscana, e stampato in Firenze da' Giunti l'anno 1587]. Tutte le Novelle sono citate pel numero loro da una fino a cento. Ii secondo numero, che si trova negli esempi tratti da quest'Opera, indica i numeri [* per maggior comodo] posti a mano di dieci in dieci versi nell'esemplare di cui servirono gli antichi compilatori [*Questo esemplare esiste ancora tra i libri di nostra Accademia] cosi in ciascheduna Novella, come in ogni altra parte principále di quest'Opera, cioě nel Proemio, nell'Introduzione, ne' principj, [* nelle finali, ne' fini] di ciascheduna giornata, e nella Conclusione. I due numeri posti agli esempi tratti dalle Canzoni significano [A il primo] la Giornata, nella quale ě posta la Canzone, e [A il secondo] la stanza delia Canzone. La parola Tit. che si trova talora invece del secondo numero, significa che quell'esempio ě tratto non dal corpo delia Novella, ma dal titolo di essa14. Le revisioni di Martini sembrano, quindi, confermare l'individuazione di Magl. III.1.26 quale fonte per i compilatori del Vocabolario per il testo del Decameron: il Ripurgato parla qui, infatti, di un esemplare che proprio in quegli anni si trovava tra i libri dell'Accademia, il quale verrá citato, nella Tavola delle abbreviature, alia nota 29, aggiunta da Martini proprio in occasione di questa revisione: (29) Questo esemplare ě ancor di presente tra i libri dell Accademia15. Rispetto agli elementi giá individuati, dunque, si potrebbe ulteriormente confermare che gli Accademici potrebbero aver avuto a disposizione, fin dalla prima edizione del Vocabolario, proprio quest'esemplare di Dec. Giunti 1587 conservato alia Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. 2.2 Ľedizione settecentesca e le altre questioni editoriali Nella Tavola delle abbreviature di Crusca IVi compilatori dichiarano di aver spogliato anche un'edizione moderna: si tratta della stampa del 1718 (= Dec. Amst. 1718)16, utilizzata per supplire alle presuňte mancanze diDec. Giunti 1587. Non si ě riusciti purtroppo a individuare 1'esemplare spogliato dai compilatori. Si tratta, infatti, di un'edizione illegale, curata dal giureconsulto napoletano Lorenzo Ciccarelli e mandata alle stampe con la falsa indicazione di Amsterdam (stampata, in realtá, a Napoli). Come spiega Eugenio Salvátore, erano tempi in 14 AACF 119, cart. 31, p. 16. 15 Vocabolario degli Accademici della Crusca (1729-1738), vol. VI, p. 16. 16 Del Decamerone di messer Giovanni Boccacci cittadino fiorentino, Amsterdam [Napoli] 1718. 253 CATERINA CANNETI cui «ľazione della censura inquisitoriale era ancora fortemente invasiva, e non concesse agli intellettuali settecenteschi aperture significative rispetto alle limi-tazioni imposte ai Deputati e a Salviati nella seconda metá del Cinquecento»17. All'epoca, dunque, l'unico modo di far circolare nuove edizioni di testi (vista la diŕficoltá nell'ottenere la licenza per pubblicare) era l'indicazione di un falso luogo di stampa. Tra le carte d'Archivio di nuovo si rintracciano annotazioni interessanti di Martini, sempre in AACF 119, in corrispondenza delle dichiarazioni sul Decameron, in merito a Dec. Amst. 1718. Nelle giá citáte bozze delle Tavole delle abbreviature della quarta impressione, si trova la seguente nota che il Ripurgato pone a pie di pagina: Di certissimo, che per riscontro degli esempi, e per supplergli ed amendargli ci siamo anche talora serviti dell'edizione fatta l'anno 1718. in Napoli in 8. [...] dimando, se di essa si dee far menzione, p(er)che sebbene ě delle piu corrette, non di meno non va esente da qualche errore18. Martini, dunque, si rende conto della presenza di molti errori nell'edizione settecentesca e si chiede qui se sia il caso di citarla tra i testi spogliati per le al-legazioni del Decameron. La sua opinione traspare anche da un'altra sua nota: In Napoli fu fatta una baronata da uno stampatore, che ristampô il Decamerone colla stessa data del 1718 in Amsterdam, nella stessa forma e collo stesso carattere, sicché non si distingue cosi alia prima. Ma poi leggendolo si trova pienissimo d errori e la carta si vede pessima. Lor. Ciccarelli, che accudi alia sua stampa, se ne dolse, e fece stampare una lista di errori che era di due fogli19. Gli errori dell'edizione di Ciccarelli, considerata dal Ripurgato una 'baronata', erano quindi ben presenti ai compilatori della quarta impressione. Si veda anche la carta sciolta conservata nella cartella 9 dello stesso fascicolo 119, nella quale Martini pone una serie di dubbi da sottoporre al collega Bottari (l'inte-stazione della carta, infatti, ě «Si domandi al Bottari»)20. Tra questi, si legge il seguente quesito, seguito dalla risposta di Bottari: Se si debba dire, che per citare il Decamerone oltre il Salviati, e il testo d(e)l Mannelli, ci siamo serviti anche dell'edizione di Napoli d(e)l 1718 [...]: Si dica. Tale scrittura potrebbe essere anteriore al periodo della stesura della Tavola delle abbreviature (1735/1736) e compare insieme ad altre della stessa tipologia, molto probabilmente risalenti a una fase di raccolta di informazioni sul materiále E. A. Salvátore, La fortuna del «Decameron» nella Firenze diprimo Settecento, in G. Frosini e S. Zamponi (a cura di), Intorno a Boccaccio. Boccaccio e dintorni, Firenze University Press, Firenze 2015, p. 13. AACF 119, cart. 31, p. 16. Ibidem. AACF 119, cart. 9, c. lr. 254 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI spogliato. Come si puô vedere, in questo caso Martini si riferisce a Dec. Amst. 1718 con «ľedizione di Napoli»21 e non di Amsterdam. Bottari, nonostante la presunta scorrettezza di quest'edizione, si dimostra comunque d'accordo nel menzionarla nelle Tavole delle abbreviature della quarta impressione. 2.3 II testo del manoscritto copiato dal Mannelli Proseguendo l'analisi relativa alle fonti per il Decameron, ě necessario pren-dere in considerazione, oltre agli stampati, anche i manoscritti. Si riprende qui di seguito quanto si legge nelle Tavole: e talvolta ancora col celebratissimo Testo a penna scritto di mano di FRANCESCO D AMARETTO MANNELLI, che dipresente siconservanella Libreria di San Lorenzo al Banco XLI. segnato col num. 1. e molte volte ne abbiamo avvertito i Lettori con una parentesi dopo l'esempio, lo che abbiamo anche praticato in qualche luogo piú sospetto, o oscuro, dove la lezione del Testo del Mannelli ě stata da noi creduta piu sicura dell'esemplare corretto dall'INFARINATO22. II «celebratissimo testo a penna scritto di mano di Francesco d Amaretto Mannelli»23 ě il ms. Plut. 42.1 conservato alia Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (chiamato anche 'codice (o Testo) Mannelli')24. Gli Accademici ri-portano nella Tavola una segnatura errata ed ě proprio Martini che modifica nella sua bozza quanto invece era riportato correttamente25. Molto probabil-mente il cambiamento di segnatura proposto da Martini ě avvenuto in seguito a quanto si rintraccia nella cartella 7 di AACF 119, alia c. lr, in cui il Ripurgato, relativamente a un elenco di testi, «desidera sapere in qual banco, e con qual numero sieno segnati i Codici seguenti della Libreria di S. Lorenzo»26. Si ritrova, quindi, il richiamo al codice in questione (con riferimento anche al Corbaccio): 21 Ibidem. 22 Vocabolario degli Accademici della Crusca (1729-1738), cit., vol. VI, p. 16. 23 Ibidem. 24 II codice poteva trovarsi nella Biblioteca Medicea Laurenziana giá dal 1560 (cfr. V Branca, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio. Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del «Decameron» con due appendici, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1991, p. 77). Per al-tre notizie sul manoscritto cfr. almeno: M. Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Viella, Roma 2007, pp. 47-52 e 180-182 (scheda 15); Id., Il codice Ottimo del «Decameron» di Francesco dAmaretto Mannelli, in T. De Robertis et al. (a cura di), Boccaccio autore e copista, Catalogo della Mostra di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 10 ottobre 2013-11 gennaio 2014, Mandragora, Firenze 2013, pp. 140-142 (scheda 24). Vd. poi M. Cursi, M. Fiorilla, Fisionomia del manoscritto ed ecdotica: Boccaccio e Mannelli copisti del «Decameron», in A. Mazzucchi e E. Malato (a cura di), La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Trent'anni dopo in vista del Settecentenario della morte di Dante, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 23-26 ottobre 2017), Salerno, Roma 2019, pp. 229-274. 25 Cfr. AACF 119, cart. 31, p. 16. 26 AACF 119, cart. 7, c. lr. 255 CATERINA CANNETI «Decamerone, e Laberinto di mano del Mannelli Banco XLI num. 1»27. La se-gnatura qui riportata ě stata molto probabilmente aggiunta in seguito da un'al-tra presunta mano coeva, da qualcuno che forse Martini aveva incaricato delle ricerche alia Laurenziana nel periodo in cui stava compilando la Tavola delle abbreviature del quarto Vocabolario. II codice Mannelli ebbe una grande fortuna giá tra coloro che operarono la prima rassettatura del Decameron. Ne scri-ve Vincenzio Borghini nelle Annotationi, prima nell'avviso ai lettori (dove per la prima volta il těsto acquisisce la definizione di «Ottimo»)28 e ne parla Lionardo Salviati nei suoi Avvertimenti29. II ms. Laur. Plut. 42.1, al quale gli Accademici si riferiscono nelle allegazioni con «T. Mannelli», ě stato quindi oggetto di ana-lisi in quesťindagine, nei raffronti tra Vocabolario e fonti del Decameron che si proporranno nelle prossime pagine. II codice, giá ritenuto di grandissimo rilie-vo nella tradizione dell'opera, ě datato al 13 agosto 138430. 2.4 Altri testimoni manoscritti e a stampa Oltre alle fonti citáte dagli Accademici nelle Tavole e considerate nelle pagine precedenti, si ě scelto di ampliare le indagini anche ad altri esemplari che, per ragioni legate alia loro storia e ai loro possessori, potrebbero essere passa-ti tra le mani dei compilatori del Vocabolario. Per quanto riguarda le stampe, oltre alla giá citata edizione dei Giunti del 1587, si sono considerate anche le altre due edizioni della rassettatura di Salviati, la fiorentina del 1582 (= Dec. Giunti 1582) e quelladel 1585 (= Dec. Giunti 1585). Si ě scelto,poi, di coinvol-gere nel confronto anche 1'edizione della rassettatura dei Deputati e di Borghini (= Dec. Giunti 1573)31, oltre alla precedente edizione giuntina del 1527 (= Dec. Giunti 1527)32, di cui il Priore degli Innocenti possedeva un esemplare33. Tra le altre edizioni cinquecentesche, si sono consultate anche 1'edizione Dol-fin del 1516 (= Dec. Dolfin 15l6)34posseduta da Bembo35,1'edizione stampata Ibidem. Cfr. Annotationi etdiscorsisopra alcuni luoghi del «Decameron» diM. GiovanniBoccacci [...] fatte dalli molto magnifici sig. Deputati, Giunti, Firenze 1574, cc. lv-2r. Cfr. Avvertimenti della lingua sopra 'l «Decamerone», cit., p. 7. Cfr. V. Branca, Rapporti tra ľautografo e le testimonianze piú affini (Dg, Mn, P), in G. Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo ľautografo Hamiltoniano, V. Branca (a eura di), presso 1'Accademia della Crusca, Firenze 1976, pp. LIV-XCIII; Cursi, Il «Decameron»: seritture, seriventi, lettori, cit., p. 51; Id., Il codice Ottimo del «Decameron», cit., p. 142. Il Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadino fiorentino ricorretto in Roma et emendato secondo I'ordine del Sacro Cone, di Trento [...], Giunti, Firenze 1573. Il Decamerone di m. Giovanni Boccaccio nuovamente corretto et con diligentia stampato [...], Giunta, Firenze 1527. Si tratta di BNCF Rari 22.A.5.18, l'esemplare di Dec. Giunti 1527 contenenti interessanti annotazioni di Vincenzio Borghini relative alle fonti servite per la rassettatura dei Deputati. Il Decamerone di m. Giovanni Boccaccio [...], Gregoři, Venezia 1516. Cfr. C. Vecce, Bembo, Boccaccio e due varianti al testo delle «Prose», «Aevum», 69,1995, pp. 521-531 e C. Pulsoni, Postillati cinquecenteschi del «Decameron», «Aevum», 83,2009, pp. 832-833. 256 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI da Aldo Manuzio nel 1522 (= Dec. Aldo 1522)36, l'edizione di Lodovico Dolce del 1552 (= Dec. Dolce 1552)37 e 1'ultima edizione di Girolamo Ruscelli (= Dec. Ruscelli 1557)38. Sempře tra gli stampati, si sono considerate anche altre fonti (piu antiche) del Decameron: l'incunabolo del 1470, la prima edizione a stampa dell'opera (avvenuta probabilmente a Napoli), la cosiddetta Deo gra-tias (= Deo Gratias 1470)39, posseduta anche dai Deputati40 e l'incunabolo del 1483, stampato a Firenze presso la stamperia di Ripoli (= Dec. Ripoli 1483)41. Per i manoscritti, oltre all'Ottimo, si sono considerati i seguenti codici: l'Ha-milton 90 della Staatsbibliotek di Berlino (= SB Ham. 90), autografo risalente al 137042; il ms. Italiano 482 della Bibliothěque Nationale de France (= Par. It. 482), copiato da Giovanni d'Agnolo Capponi nel settimo decennio del Trecento (forse sotto il controllo di Boccaccio), discendente da un perduto autografo della prima redazione dell'opera43; i mss. laurenziani Plut. 90 sup. 106 I e II (= Laur. Plut. 90 sup. 106 I e Ii), posseduti dai Deputati44; il ms. II.II.20 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (= BNCF II.II.20) di provenienza Strozzi45; il ms. Banco rari 37, sempre della Nazionale (= BNCF B.R. 37), ap- IlDecamerone di m. Giovanni Boccaccio novamente corretto con tre novelle aggiunte, nelle case d'Aldo, Venezia 1522. Il Decamerone di m. Giovanni Boccaccio. Nuovamente alia sua vera lettione ridotto da M. hod. Dolce [...], appresso Gabriele Giolito de' Ferrari et fratelli, Venezia 1552. Il Decamerone di m. Giovan Boccaccio, alia sua intera perfettione ridotto, et con dichiarationi et avvertimenti illustrato, per Girolamo Ruscelli [...], Valgrisi, Venezia 1557. Decamerone, Terentius, Napoli [1470]. Cfr. Annotationi etdiscorsi, cit., cc. 8v-9r e P.M.G. Maino, Huso dei testimoni del «Decameron» nella rassettatura di Lionardo Salviati, «Aevum», 86, 2012, pp. 1005-1030: 1006. G. Boccaccio, Decamerone, Stamperia di Ripoli, Firenze 1483. Per notizie sul codice cfr.: C. Singleton, Nota, in G. Boccaccio, Il Decameron, 2 voli., C.S. Singleton (a cura di), Laterza, Bari 1955, p. 335; V. Branca, L'autografo della redazione del 1370 circa, in Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo l'autografo Hamiltoniano, V. Branca (a cura di), cit., pp. XVII-LIII; M. Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori, cit., pp. 39-45 e 161-164 (scheda l); vd. anche M. Cursi, M. Fiorilla, Giovanni Boccaccio, in G. Brunetti et al. (a cura di), Autograf dei Letterati Italiani. Le origini e il Trecento, I, Salerno, Roma 2013, pp. 43-103, a p. 48 (scheda l); M. Cursi, L'autografo berlinese del «Decameron», in De Robertis et al. (a cura di), Boccaccio autore e copista, cit., pp. 137-138 (scheda 22). Per notizie sul manoscritto (con la bibliografia precedente) cfr. almeno: G. Breschi, Il ms. Parigino It. 482 e le vicissitudini editoriali del «Decameron». Postilla per Aldo Rossi, «Medioevo e Rinascimento», 15, 2004, pp. 77-119; M. Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Viella, Roma 2007, pp. 47-52 e 180-182 (scheda 15); Id., Il codice Ottimo del «Decameron» di Francesco d'Amaretto Mannelli, cit., pp. 140-142 (scheda 24). Vd. poi (con altra bibliografia) Cursi, Fiorilla, Fisionomia del manoscritto ed ecdotica, cit., pp. 229-274. Cfr. Singleton, Nota, cit., pp. 340-341; Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori, cit., pp. 95-97 e pp. 190-194 (schede 23-25); Maino, L'uso dei testimoni, cit., p. 1007. Cfr. M. Barbi, Sul testo del «Decameron», «StudidiFilologiaitaliana», 1,1927, pp. 9-68: 31 sgg.; V. Branca, Per il testo del «Decameron». La prima diffusione del «Decameron», «Studi di Filologia italiana», 8, 1950, pp, 29-143: 84-85, 138; V. Branca, Studi sulla tradizione del 257 CATERINA CANNETI partenuto ad Anton Francesco Marmi46; il ms. laurenziano Plut. 42.6 (= Laur. Plut. 42.6), consultato da Borghini e dai Deputati47; il ms. Pal. 24 della Biblio-teca Palatina di Parma (= BPP Pal. 24), contenente una nota che rimanda agli Accademici e al Vocabolario48. 3. II Decameron tra fonti e allegazioni In questa sezione si entrera nel vivo delle indagini sul Decameron nelle impres-sioni, proponendo alcuni esempi di confronto tra Vocabolario e fonti. A questo scopo, si prenderanno qui in considerazione tre principali tipologie di allegazioni del Vocabolario: l) le allegazioni contenenti indicazioni degli Accademici; 2) le allegazioni tratte da edizioni non censurate; 3) le allegazioni contenenti lezioni non rintracciate nella tradizione manoscritta e a stampa49. Gli esempi, nei paragrafi che seguiranno, saranno disposti in tabelle, nelle quali le allegazioni del Vocabolario saranno messe a confronto con le fonti individuate nella presente analisi. I passi sono posti in ordine cronologico (dal ms. Par. It. 482, datato al 1361, all'edizione di Ciccarelli del 1718). Per un confronto piu proficuo con le allegazioni e per permettere al lettore di apprezzare meglio le scelte dei compilatori per il Vocabolario rispetto agli esemplari da loro consultati, i passi ripresi dalle fonti manoscritte (in particola-re) e a stampa sono stati riportati secondo il criterio della trascrizione diploma-tica. Si e scelto, dunque, in linea di principio, di evitare ogni normalizzazione, nello specifico: • si e mantenuta inalterata la mancata distinzione tra le parole, cosi come Yh etimologica, il nesso -ti- per -zi-, la grafia g per l'affricata alveolare sorda [tz], il nesso latineggiante -ct-, il nesso -gl- per -gli- e -sci- per -so; • si e mantenuto, quando presente, l'utilizzo della congiunzione et per e; • anche per quanto riguarda le maiuscole, gli accenti, gli eventuali apostrofi e la punteggiatura, si e scelto di non intervenire; testo del «Decameron», «Studi sul Boccaccio», 13, 1981-1982, pp. 21-160: 54, n. 60; Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriven ti, lettori, cit., 197-198 (scheda28). Cfr. Singleton, Nota, cit., pp. 342-343; Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori, cit., pp. 74-76 e pp. 193-194 (scheda 25). Per qualche notizia sul codice, cfr.: Singleton, Nota, cit., p. 339; Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori, cit., pp. 93-94 e pp. 187-188 (scheda 20). Relativamente a questo codice, cfr. in particolare: M. Cursi, Produzione, tipologia, diffusione del «Decameron» jra Tre e Quattrocento. Note paleografiche e codicologiche, «Nuova Rivista di letteratura italiana», I (2), 1998, pp. 463-551: 510-513; M. Cursi, Ghinozzo di Tommaso Allegretti e altri copisti 'aprezzo' di testi volgari (XIV-XVsec), «Scrittura e civilta», 23,1999, pp. 213-252; Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori, cit., pp. 226-227 (scheda 50) e alia tav. 31; G. Scarola, La Libreria di Elisa e Felice Baciocchi: un'ipotesi di ricostruzione, «Crisopoli. Bollettino delMuseo Bodoniano diParma», 2007-2010, Grafiche Step, Parma 2011, pp. 189-205: 194 e 199. Per questi ultimi due filoni di indagine considerati, si rimanda aM. Durante, Il «Decameron» dentro laprima Crusca, «Studi sul Boccaccio», 30, 2002, pp. 169-192. 258 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI • non si sono segnalati i cambi di pagina e la fine delle righe; • le abbreviazioni e i tituli sono stati sciolti tra parentesi tonde. Nelle tabelle che seguono, si trovano, nella prima colonna, le allegazioni del Vocabolario (quando present^ si riportano in corsivo le indicazioni degli Acca-demici). Le altre due colonne riguardano i passi tratti dalle fonti manoscritte e a stampa. Le lezioni oggetto del confronto sono individuate in grassetto quando compaiono in přu fonti (potrebbe trattarsi, dunque, delle lezioni rintracciate přu frequentemente nella tradizione, come dimostrano gli ulteriori confronti con le edizioni contemporanee)50; si ě scelto, invece, di sottolineare le lezioni meno frequenti, che potrebbero comparire in una sola fonte o in poche fonti e che co-stituiscono, nell'ambito della presente analisi, il termine di paragone piu significative Per ogni allegazione, si riporta tra parentesi quadre il corrispondente riferimento topografico moderno (e.g. [Dec. V 5, 33]). 3.1 Le indicazioni degli Accademici Non ě raro che gli Accademici (soprattutto nella quarta Crusca) abbiano commentato alcune allegazioni con annotazioni riguardanti le fonti utilizzate. Per il Decameron, tale fatto ě segnalato nelle Tavole delle abbreviature, quando i compilatori avvertono cosi i lettori (a proposito dell'utilizzo del testo copiato dalMannelli): e molte volte ne abbiamo avvertito il Lettore con una parentesi dopo l'esempio, lo che abbiamo anche praticato in qualche luogo piu sospetto, o oscuro, dove abbiamo credutalalezione delT. delMannellipiu sicura dellesemplare corretto dall'Infarinato51. Ě importante sottolineare che in alcuni casi le annotazioni inserite dagli Accademici si sono rivelate significative poiché hanno permesso di comprendere reffettivo utilizzo delle fonti durante la compilazione del Vocabolario. Si pro-pongono qui di seguito alcuni esempi: Ai fini di un'ulteriore verifica, si sono consultate le seguenti edizioni moderne: G. Boccaccio, Decameron, 2 voli., A.F. Massěra (a cura di), Laterza, Bari 1927 (= Dec. Massěra 1927); Boccaccio, II Decameron, 2 voli., C.S. Singleton (a cura di), cit. (= Dec. Singleton 1955); Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo I'autografo Hamiltoniano, V. Branca (a cura di), cit. (= Dec. Branca 1976); G. B occaccio, Il Decameron, A. Rossi (a cura di), Cappelli, Bologna 1977 (= Dec. Rossi 1977); G. Boccaccio, Decameron, A. Quondam et al. (a cura di), BURBiblioteca Universale Rizzoli, Milano 2013 (= Dec. Alfano-Fiorilla-Quondam 2013). Le lezioni proposte dagli Accademici coincidono in linea di massima con le scelte operate nelle ricostruzioni filologiche moderně del testo del Decameron, ad eccezione di alcuni casi, segnalati in nota nel corso delle successive analisi. Dalle tavole di collazione di Massěra e Singleton e dagli apparati di Branca e Rossi non si ricavano attestazioni delle lezioni singo-lari proposte dagli Accademici. AACF 119, cart. 31, p. 16. 259 CATERINA CANNETI [Dec. V 5, 33] s.v. GLI Crusca IV (Giunte): Bocc. nov. 45.14. Si ricordo lei dovere avere una margine a guisa d'una cro-cetta sopra Forecchia sinistra, stata d'una nascenza, che fatta gli avea poco davanti a questo accidente tagliare (cost si legge net T. delMannelli, ed anche nel-le migliori stampe) Par. It. 482 siricordo lei dovere avere una margine ad- guisa duna crocetta sovra lorecchia sinistra stata duna nasce (n) 9a chefatta loaveva poco davanti adquello accide(n)te taglare SB Ham. 90 si ricordo lei dovere avere unamargine ad- guisa duna crocetta sovra lorecchia sinistra stata duna nascienca chefacta gliavea poco davanti ad quello accidente tagliato Laur. Plut. 42.1 siricordo lei dovere avere una margine ad-guisa duna crocetta sopralorechia sinistra stata duna nascenza che facta gliavea poco davanti adquello accidente taglare Dec. Dolfin 1516 si ricordo lei dovere haver una margine a guisa duna crocetta sovra lorecchia sinistra stata d'una nascenza; che fattale havea poco davanti a quello accidenti tagliare Dec. Aldo 1522 si ricordo lei dovere havere una margine a guisa d'una crocetta sovra lorecchia sinistra stata d'una nascenza; che fattale havea poco davanti a quello accidenti tagliare Dec. Giunti 1527 si ricordo lei dovere havere una margine a guisa d'una crocetta sovra lorecchia sinistra, stata d'una nascenza, che fatta gli havea poco davanti a quello accidente tagliare Dec. Giunti 1573 si ricordo lei dovere havere una margine a guisa d'una crocetta sopra lorecchia sinistra, stata d'una nascenza, che fatta gli havea poco davanti a quello accidente tagliare Dec. Giunti 1582 si ricordo lei dovere havere una margine a guisa d'una crocetta sopra lorecchia sinistra, stata d'una nascenza, che fatta gli havea poco davanti a quello accidente tagliare Dec. Giunti 1585 si ricordo lei dovere havere una margine a guisa d'una crocetta sopra lorecchia sinistra, stata d'una nascenza, che fatta gli havea poco davanti a quello accidente tagliare Dec. Giunti 1587 si ricordo, lei dovere havere una margine, a guisa d'una crocetta, sopra l'orecchio sinistra, stata d'una nascenza, che fatta gli havea, poco davanti a quello accidente, tagliare Dec. Amst. 1718 si ricordo lei dovere havere una margine ä guisa d'una crocetta sopra lorecchia sinistra stata d'una nascenza, che fatta gli havea, poco davanti ä quello accidente, tagliare Relativamente a quest'allegazione, rintracciata s.v. gli nelle Giunte della quar-ta impressione, gli Accademici dichiarano di essersi riferiti al Laur. Plut. 42.1 e 260 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI alle principáli stampe. In realtá, nell'esempio del Vocabolario si legge l'aggetti-vo dimostrativo questo, mentre in tutte le altre fonti si legge quello. Dunque, le dichiarazioni dei compilatori non corrispondono in questo caso a quanto tra-smesso dalla tradizione dichiaratamente preša a riferimento. [Dec. VIII2, 15] Laur. Plut. 42.1 no(n)tescadimentedidirlorchemirechi- no quelle combine p(er) li coreggiati miei Dec. Dolfin 1516 Non t'esca di mente di dire loro; ehe mi rechino quelle gombine per gli correg-giati miei s.v. GOMBINA52 Crusca I: Boce. n. 72.6. Non ťe-sca di mente di dir loro, che mi rechino quelle gombine, per li coreggiati miei. Dec. Aido 1522 Non ťesca di mente di dire loro; che mi Crusca II: Boccac. n. 72. 6. Non rechino quelle gombine per gli correg- ťesca di mente di dir loro, che giatimiei mi rechino quelle gombine, per ^ .. XT -,. . -,. -,. , , . .... Dec. Giunti 1527 Non t esca di mente di dir loro; che mi i coreggiati miei. rechino quelle gombine per gli correg- giati miei Crusca III: Boc. Nov. 72.6. Non ťesca di mente di dirloro, che mi rechino quelle gombine per li Dec. Giunti 1573 non ťesca di mente di dir loro, che mi sggiati miei. rechino quelle gombine per gli correg- coret CruscaIVBocc.nov.72.6.Non giati miei ti esca di mente di dir loro, che Dec Giunti 1582 non ťesca di mente di dir loro che mi re. mi rechino quelle gombine per chinQ qudle gombine per U Coreggia- li coreggiati miei (cosi leggono i tj mjej Deputati, quantunque nel T. del- Mannelli si legga combine) Dec- Giunti 1585 non ťesca di mente di dir loro che mi re- chino quelle gombine per li coreggiati miei Dec. Giunti 1587 non ťesca di mente di dir loro, che mi rechino quelle gombine per li coreggiati miei Dec.Amst. 1718 non ťesca di mente di dir lor, che mi rechino quelle gombine per gli coreggiati miei. In Crusca IV i compilatori dichiarano di essersi rifatti alla versione dei Deputati (Dec. Giunti 1573), non citata nelle Tavole, scegliendo la lezione messa a lemma (gombine - presente comunque in tutte le edizioni confrontate). In questo caso, quanto affermato dagli Accademici trova riscontro nel Laur. Plut. 42.1, che riporta proprio la lezione combine. 3.2 Lezioni non purgate e lezioni censurate Si considerano qui di seguito, a confronto con le edizioni a stampa, aleune allegazioni che nel corso delle prime quattro impressioni compaiono sia nel- Anche le edizioni moderne (Dec. Massera 1927, Dec. Singleton 1955, Dec. Branca 1976, Dec. Rossi 1977, Dec. Alfano-Fiorilla-Quondam 2013) riportano la lezione combine. 261 CATERINA CANNETI la versione non purgata, sia nella versione censurata, molto spesso nell'ambito della stessa voce. [Dec. II3,17] s.v. ABATE Crusca I: Boce. nov. 13. 10. Di Bruggia, uscendo, vide n'usciva similmente un'Abate bianco, con molti monaci, e con molta salmeria avanti. Crusca II: Boce. nov. 13. 10. Di Bruggia, uscendo, vide n'usciva similmente un'Abate bianco, con molti monaci, e con molta salmeria avanti. CruscalII: Bocc. Nov. 13.10. Di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente un'Abate bianco con molti Monaci, e con molta salmeria avanti. Crusca IV: Boce. nov. 13.10. Di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente un abate bianco con molti monaci ec. e con molta salmeria avanti. s.v. FAMIGLIA Crusca IV: Boce. nov. 13. 10. Vide n'usciva similmente uno abate bianco con monaci ac-compagnato, e con molta fami-glia, e con gran salmeria avanti. Dec. Dolfin 1516 di Bruggia uscendo un divide uscire similmente uno abbate bianco con molti monaci accompagnato et con molta famiglia et con gran salmeria avanti Dec. Aldo 1522 di Bruggia uscendo un divide uscire similmente uno abbate bianco con molti monaci accompagnato et con molta famiglia et con gran salmeria avanti Dec. Giunti 1527 di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente uno abate bianco con molti monaci accompagnato et con molta famiglia, e con gran salmeria avanti Dec. Giunti 1573 di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente uno abate bianco con molti monaci accompagnato et con molta famiglia, e con gran salmeria avanti Dec. Giunti 1582 di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente un giovane cavaliere, con molta famiglia, e con gran salmeria avanti Dec. Giunti 1585 di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente un giovane cavaliere, con molta famiglia, e con gran salmeria avanti Dec. Giunti 1587 di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente un giovane cavaliere, con molta famiglia, e con gran salmeria avanti di Bruggia uscendo indi vide n'usciva similmente uno abate bianco con molti monaci accompagnato, e con molta famiglia e con gran salmeria avanti Dec. Amst. 1718 Riguardo al passo in questione, le uniche fonti da prendere in considerazio-ne sono Dec. Giunti 1527 e Dec. Giunti 1573: tutti gli altri testi considerati ri-portano una versione purgata deU'esempio che non corrisponde con quanto si legge nelle allegazioni s.v. abate e s.v. famiglia. 262 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI Dec. Dolfin 1516 havendo alia manifesta simonia procura-ria posto nome, alia golosita sostentatione Dec. Aldo 1522 havendo alia manifesta simonia procura-ria posto nome, alia golosita sostentatione Dec. Giunti 1527 havendo alia manifesta simonia pro-cureria posto nome, et alia golosita sustentazioni Dec. Giunti 1573 [passo assente] Dec. Giunti 1582 havendo alia manifesta usura trafEco po-sto nome, et alia golosita sustentazioni Dec. Giunti 1585 havendo alia manifesta usura trafEco po-sto nome, et alia golosita sustentazioni Dec. Giunti 1587 avendo alia manifesta usura trafEco posto nome, et alia golosita sustentazioni Dec. Amst. 1718 avendo alia manifesta simonia proc-cureria posto nome, ed alia golosita sustentazioni s.v. PROCCURERIA Crusca I: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia proccu-rería posto nome. Crusca II: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia proccu-rería posto nome. Qui proccu-razione nel secondo significato. Crusca III: Boc. Nov. 2.9. Avendo alia manifesta simonia, proccu-rería posto nome [qui proccu-razione nel secondo significato] Crusca IV: Bocc. nov. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia proccurería posto nome (qui forse nel secondo signific. di Proccurazione) s.v. SIMONIA Crusca I: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia, procu-rería posto nome. Crusca II: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia, proccurería posto nome. [Dec. 12, 21] s.v. GOLOSITA53 Crusca I: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta usura trafEco posto nome, e, alia golosita, sostentazione. Crusca II: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta usura trafEco posto nome, e, alia golosita, sostentazione. GOLOSITA, GOLOSITADE, e GOLOSITATE Crusca III: Boc. Nov. 2.9. Avendo alia manifesta usura trafEco posto nome, e alia golosita sostentazione. Crusca IV: Bocc. nov. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia proccurería posto nome, e alia golosita sustentazione. Anche le edizioni moderne (Dec. Massera 1927, Dec. Singleton 1955, Dec. Branca 1976, Dec. Rossi 1977, Dec. Alfano-Fiorilla-Quondam 2013), in accordo con le fonti a stampa consultate dagli Accademici, riportano lalezione simoniaprocureria. 263 CATERINA CAN N ETI Crusca III: Boc. Nov. 2. 9. Avendo alia manifesta si-monía, proccurería posto nome. Crusca IV: Boce. nov. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia proccurería posto nome. s.v. SUSTENTAZIONE Crusca I: Bocc. n. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia, proccurería posto nome, e alia golositá, sustentazione. Crusca II: Bocc. n. 2.9. Avendo alia manifesta simonia, proccurería posto nome, e alia golositá, sustentazione. s.v. SUSTENTAZIONE, e SOSTENTAZIONE Crusca III: Bocc. Nov. 2. 9. Avendo allamanifesta simonia, proccurería posto nome, e alia golositá sustentazione. Crusca IV: Bocc. nov. 2. 9. Avendo alia manifesta simonia proccurería posto nome, e alia golositá sustentazione. E interessante osservare, in questo caso, che la lezione non purgata simonia procureria e quella maggioritaria nelle voci considerate, probabilmente ripresa dall'edizione non rassettata (Dec. Giunti 1527) o dalle precedenti (Dec. Dol-fin 1516 e Dec. Aldo 1522). I Deputati (Dec. Giunti 1573) eliminano questa parte di testo nella loro edizione, mentre Salviati sostituisce la lezione incrimi-nata con usura trajfico, riportata s.v. golositä e s.v. golositä) golositade e golosita-te nelle prime tre impressioni. Relativamente a quest'ultima voce, si vede che in Crusca IV l'allegazione viene modificata dai compilatori e sostituita con la versione non purgata. 3.3 Allegazioni tra manoscritti e stampe In questa sezione saranno considerate le voci riportanti allegazioni con lezioni talvolta estranee alia tradizione manoscritta e a stampa. Per ogni ca-so analizzato, si opererä un confronto tra allegazioni del Vocabolario, edi-zioni a stampa e testi a penna. Mentre per alcuni casi si e trovato riscontro nei confronti effettuati, per alcune allegazioni non e stato possibile ipotiz-zare la fonte. 264 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI [Dec. 15, 8] s.v. A (om. 35)54 Crusca I-II: Bocc. n. 5.4. A dire alia donna, che, ec. l'aspettasse a desinare. Crusca III: Bocc. Nov. 5. 4. A tasse a desinare. Par. It. 482 mando adire alla don(n)a chelaseguente mattina lattendesse adesinare SBHam. 90 mando addire alla donna che la seguente mattina lattendesse addesinare BPP Pal. 24 mando adire alladonna chellaseguente mactinalactendesse adesinare Laur. Plut. 42.1 mando addire alla donna che la seguente mattina lattendesse addesinare BNCFB.R. 37 ma(n)do adire alladonna chella seguente mattina lattendesse adesinare Laur. Plut. 90 sup. 1061 mando adire alla donna chella segue(n)te mattina lattendesse adesinare Laur. Plut. 90 sup. 106II mando addire alla donna che laseguente mattina latendesse adisenare Laur. Plut. 42.6 mando adire alla donna che laseghuente mattina lattendesse adesinare BNCF II.II.20 mando adire alla donna che laseguente mattina lattendesse adesinare Deo Gratias 1470 mandoe adire alladonna: che la seghuente mattina laspetasse adesinare Dec. Ripoli 1483 ma(n)doe adire alla don(n)a: che la seque(n)te mattina laspettassi a desinare Dec.Dolfinl516 mandoe addire alla donna; chella seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Aido 1522 mandoe addire alla donna; chella seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Giunti 1527 mando a dire alla donna, che la seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Giunti 1573 mando a dire alla donna, che la seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Giunti 1582 mando a dire alla donna, che la seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Giunti 1585 mando a dire alla donna, che la seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Giunti 1587 mando a dire alla donna, che la seguente mattina 1'attendesse a desinare Dec. Amst. 1718 mando a dire alla Donna, che la seguente mattina 1'attendesse a desinare Anche in questo caso, le edizioni moderne (Dec. Massera 1927, Dec. Singleton 1955, Dec. Branca 1976, Dec. Rossi 1977, Dec. Alfano-Fiorilla-Quondam 2013), in accordo con la tra-dizione, riportano lalezione attendesse. 265 CATERINA CAN N ETI Ii passo in questione e presente nelle prime tre edizioni del Vocabolario con la lezione del verbo aspettasse, rintracciata soltanto negli incunaboli (in parti-colare in Deo Gratias 1470, visto che in Dec. Ripoli 1483 si rintraccia la terza persona in-i, aspettassi). La maggior parte delle fonti manoscritte e a stampa ve-rificate riporta invece la lezione attendesse. In questo caso, quindi, si potrebbe pensare che Yeditio princeps del Decameron sia stata la fönte degli Accademici. [Dec. III 2, 30-31] Par. It. 482 qua(n)tu(n)que dibassa co(n)ditione sia assai ben mostra desser di molto sen(n)o s.v. ALTO (om. l)ss g-g Harn. 90 Qua(n)tu(n)que dibassa condition sia as- Crusca I-II: Bocc. n. 22. 15. sai ben mostra dessere dalto senno Quantunque dibassa condizion nnil „ , « . ~ T^i Ť '■ ~ . ., BPP Pal. 24 quantunque dibassa cnondicione sia assai sia, assai ben mostra d essere ben dimostra dessere dalto senno ďalto intelletto. - Crusca III- Boc Nov 22 15 Laur. Plut. 42.1 quantunque dibassa condition sia assai Quantunque dibassa condizion_ben mostra dessere dalto senno_ sia, assai ben mostra ďessere Laur. Plut. 90 sup. quantunque dibassa ... sia assai bene mo-ďalto intelletto. 1061 stra dessere dalto senno Laur. Plut. 42.6 quantunche dibassa conditione sia assai ben mostra dessare dalto senno BNCF II.II.20 quantunque dibassa chondizione sia assai benmostradesser dalto senno Deo Gratias 1470 quantunque dibassa condition sia assai bene mostra desser dalto sonno Dec. Ripoli 1483 quantunque dibassa co(n)dition sia assai bene mostra desser dalto sen(n)o Dec. Dolfin 1516 quantunque d bene mostra d Dec. Aldo 1522 quantunque d bene mostra d bassa conditione sia; assai essere di alto senno bassa conditione sia; assai essere di alto senno Dec. Giunti 1527 quantunque di bassa condizion sia, assai ben mostra d'essere d'alto senno Dec. Dolce 1552 quantunque dibassa condizion sia, assai ben mostra d'essere d'alto senno Dec. Ruscelli 1557quantunque dibassa conditione sia; assai bene mostra di essere di alto senno Dec. Giunti 1573 quantunque di bassa condizion sia, assai ben mostra d'essere d'alto senno Dec. Giunti 1582 quantunque di bassa condizion sia, assai ben mostra d'essere d'alto senno Dec. Giunti 1585 quantunque di bassa condizion sia, assai bene mostra di essere di alto senno Dec. Giunti 1587 quantunque d bene mostra d bassa condizion sia, assai essere di alto senno Dec. Amst. 1718 quantunque di bassa condizion sia, assai bene mostra d'essere di alto senno Di nuovo, la scelta degli Accademici non trova riscontro nemmeno nelle edizioni moderne (Dec. Masséra 1927, Dec. Singleton 1955, Dec. Branca 1976, Dec. Rossi 1977, Dec. Alfano-Fiorilla-Quondam 2013), le quali riportano la lezione alto senno. 266 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI L'allegazione considerata compare nelle prime tre impressioni, s.v. alto (om. l), con la lezione alto intelletto. Nelle fonti manoscritte e a stampa consultate, perö, si legge alto senno (molto senno in BNF It. 482 e alto sonno, forse un erro-re, in Deo Gratias 1470). Non é chiaro, dunque, da dove sia stata ripresa la forma intelletto: i compilatori potrebbero aver posseduto un'altra fönte contenente questa lezione, oppure potrebbero aver preferito intelletto a senno. 4. Brevi considerazioni sui dati raccolti Le osservazioni effettuate finora riguardo alla presenza delle Novelle di Boccaccio nelle prime quattro impressioni del Vocabolario dimostrano ľimportanza che il Decameron ha avuto per i compilatori. L'indagine sulle fonti spogliate ha cercato di fare luce su quanto ľopera di Boccaccio sia stata effettivamente utilizzata dagli Accademici. I riscontri proposti dimostrano che il piü delle volte i compilatori si sono afüdati alle edizioni a stampa: in particolare, in molti casi sono state proprio le edizioni rassettate a essere scelte come fonti per le allegazioni del Decameron. Non sono pochi comunque i casi in cui gli Accademici hanno scelto di rifarsi alle edizioni non purgate, quali la Dolfin del 1516, lAldina del 1522, ma soprattut-to ľedizione Giunti del 1527, importantissima per gli intellettuali del Settecento, poiché, prima delle rassettature cinquecentesche, essa ha rappresentato ľultimo tentativo di portare alle stampe una versione incensurata del Decameron. Si sente, infatti, ľ«esigenza da parte dei cruscanti di ricorrere a testi non censurati al fine di non privare il loro Vocabolario di lezioni origináli del Boccaccio recentemente cadute sotto la scure dellTnquisizione, e non lasciare a stampe precedenti questo appannaggio»56: perciö, «serviva bene la ventisettana, che fiorentina era [... ] e che poco era stata sfruttata dal Salviati»57. Non é raro, quindi, che gli Accademici abbiano riportato nelle voci anche alcuni passi che ľazione censoria ha voluto eliminare nelle stampe ufüciali (talvolta troncando alcune parti incriminate), so-prattutto nel quarto Vocabolario. Come segnalato, infatti, da Eugenio Salvatore, nella quarta impressione i limiti censori vennero superati apertamente e senza scrupoli, ponendosi come scopo la resa autentica dei testimoni citati, spesso irraggiungibile in ambito editoriale a causa della censura subita dalle stampe delľepoca [...]. Se dunque fino al 1691 si tentö di celare negli apparati, piü 'controllabili' rispetto agli articoli, la realtä dellavoro filologico, nel 1729-38 questo scrupolo cadde. Le ragioni di una svolta tanto notevole sono piü d'una, ma le principáli sono rappresentate dalľevoluzione del rapporto traistituzioni, intellettuali e clero tra Seicento e Settecento, e dallo spessore filologico degli accademici settecenteschi58. G. Belloni, Suiprodromi delprimo «Vocabolario», in L. Tomasin (a eura di), II «Vocabolario degli accademici della Crusca» (1612) e la storia della Lessicografia italiana, Atti dei X Convegno ASLI, Franco Cesati editore, Firenze 2013, pp. 73-89, alle pp. 84-85. Ibidem. E. Salvatore, Citazioni testuali e censura nel «Vocabolario della Crusca», «Studi di Lessicografia italiana», 32,2015, pp. 83-107: 84. 267 CATERINA CANNETI La valutazione linguistica delle Novelle e la scelta degli esempi per il Vocabo-lario doveva quindi spingersi oltre qualsiasi contenuto, cosi da permettere una fruizione diversa del testo di Boccaccio, incentrata principalmente sulla lingua. Per queste motivazioni, l'azione degli Accademici si é improntata all'utilizzo di fonti che contenessero una versione dell'opera nella quale poter ritrovare in massima parte la creativitá e la ricchezza linguistica del Certaldese. Secondo Durante, infatti, la citazione del solo testo di Salviati come fonte del Decameron nelle Tavole delle abbreviature della prima impressione (e nelle due successive) «ha il sapore di doverosa, e quasi obbligata, avvertenza, piuttosto che oggettivo rimando bibliografico (una doverosa avvertenza richiesta dalla legittimitá di quella edizione, approvata dalla Congregazione dell'Indice dopo il postumo rifiuto della prima rassettatura del '73)»59. Non mancano infine casi di allegazioni riportanti lezioni estranee alia tra-dizione manoscritta e a stampa: in queste situazioni, si puô ipotizzare che gli Accademici abbiano riportato l'allegazione a memoria, oppure che davvero ab-biano avuto tra le mani una fonte che riportasse una lezione non rintracciata nella tradizione principale del testo. Le ipotesi, dunque, restano aperte: é certo che l'indagine sulle allegazioni del Decameron di Boccaccio spinge lo studioso ad addentrarsi in questioni non solo linguistiche e lessicografiche, ma anche fi-lologiche ed editoriali. Bibliografia [Borghini V.] Annotationi etdiscorsi sopra alcuni luoghidel «Decameron» diM. Giovanni Boccacci [...]fatte dalli molto magnifici sig Deputati, Giunti, Firenze 1574. Barbi M., Sul testo del «Decameron», «Studi di Filológia italiana», 1,1927, pp. 9-68. Belloni G., Sui prodromi del primo «Vocabolario», in L. Tomasin (a cura di), Il «Vocabolario degli accademici della Crusca» (1612) e la storia della Lessicografia italiana, Atti del X Convegno ASLI, Franco Cesati, Firenze 2013, pp. 73-89. [Boccaccio G.] Decamerone, Terentius, Napoli [1470]. Boccaccio G., Decamerone, Stamperia di Ripoli, Firenze 1483. Boccaccio G., Decameron, 2 voll., A.F. Masséra (a cura di), Laterza, Bari 1927. Boccaccio G., Il Decameron, 2 voll., C.S. Singleton (a cura di), Laterza, Bari 1955. Boccaccio G., Decameron. Edizione critica secondo l'autografo Hamiltoniano, V. Branca (a cura di), presso l'Accademia della Crusca, Firenze 1976. Boccaccio G., Il Decameron, A. Rossi (a cura di), Cappelli, Bologna 1977. Boccaccio G., Decameron, A. Quondam et al. (a cura di), BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Miláno 2013. Branca V., Peril testo del «Decameron». La prima diffusione del «Decameron», «Studi di Filológia italiana», 8,1950, pp. 29-143. Branca V., Rapporti tra l'autografo e le testimonianzepiu affini (Dg, Mn, P), in G. Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo l'autografo Hamiltoniano, V. Branca (a cura di), presso l'Accademia della Crusca, Firenze 1976. 59 Durante, Il «Decameron» dentro laprima Crusca, cit., p. 170. 268 BOCCACCIO, IL DECAMERON E LA CRUSCA: LE FONTI SPOGLIATE DAG LI ACCADEMICI Branca V., Studi sulla tradizione del testo del «Decameron», «Studi sul Boccaccio», 13, 1981-1982, pp. 21-160. Branca V., Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio. Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del «Decameron» con due appendici, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1991. Breschi G., II ms. Parigino It. 482 e le vicissitudini editoriali del «Decameron». Postillaper Aldo Rossi, in «Medioevo e Rinascimento», 15, 2004, pp. 77-119. Cursi M., Produzione, tipologia, diffusione del «Decameron» fra Tre e Quattrocento. Note paleografiche e codicologiche, «Nuova Rivista di letteratura italiana», I (2), 1998, pp. 463-551. Cursi M., Ghinozzo di Tommaso Allegretti e altri copisti 'a prezzo' di testi volgari (XIV- XVsec), «Scrittura e civilta», 23,1999, pp. 213-252. Cursi M., II «Decameron»: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Viella, Roma 2007. Cursi M., II codice Ottimo del «Decameron» di Francesco d'Amaretto Mannelli, in T. De Robertis etal. (a cura di), Boccaccio autore e copista, Catalogo dellaMostra di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 10 ottobre 2013-11 gennaio 2014, Mandragora, Firenze 2013. Cursi M., Fiorilla M., Giovanni Boccaccio, in G. Brunetti et al. (a cura di), Autograft dei Letterati Italiani. Le origini e il Trecento, I, Salerno editrice, Roma 2013, pp. 43-103. Cursi M., Fiorilla M., Fisionomia del manoscritto ed ecdotica: Boccaccio e Mannelli copisti del «Decameron», in A. Mazzucchi e E. Malato (a cura di), La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Trent'anni dopo in vista del Settecentenario della morte di Dante, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 23-26 ottobre 2017), Salerno, Roma 2019. Del Decamerone di messer Giovanni Boccacci cittadino fiorentino, Amsterdam [Napoli] 1718. Durante M., II «Decameron» dentro la prima Crusca, «StudisulBoccaccio», 30,2002, pp. 169-192. IlDecamerone dim. Giovanni Boccaccio [...], Gregoři, Venezia 1516. II Decamerone di m. Giovanni Boccaccio novamente corretto con tre novelle aggiunte, nelle case d'Aldo, Venezia 1522. II Decamerone di m. Giovanni Boccaccio nuovamente corretto et con diligentia stampato [...], Giunta, Firenze 1527. II Decamerone di m. Giovanni Boccaccio. Nuovamente alia sua vera lettione ridotto da M. Lod. Dolce [...], appresso Gabriele Giolito de' Ferrari et fratelli, Venezia 1552. IlDecamerone dim. GiovanBoccaccio, alia sua internperfettione ridotto, etcon dichiarationi etavvertimentiillustrate,per GirolamoRuscelli [...], Valgrisi, Venezia 1557. IlDecameron di messer Giovanni Boccacci cittadino fiorentino ricorretto in Roma etemendato secondo I'ordine del Sacro Cone, di Trento [...], Giunti, Firenze 1573. II Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadin fiorentino, di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi, & alia sua vera lezione ridotto dal caualier Lionardo Salviati [...], Giunti, Firenze 1582. II Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadin fiorentino. Di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi e alia sua vera lezione ridotto dal cavalier Lionardo Saluiati [...], Giunti, Venezia 1585. II Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadin fiorentino, di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi, & alia sua vera lezione ridotto dal cavalier Lionardo Salviati [...], Giunti, Firenze 1587. 269 CATERINA CANNETI Maino P.M.G., L'uso dei te.stim.oni del «Decameron» nella rassettatura diLionardo Salviati, «Aevum», 86, 2012, pp. 1005-1030. Martini R.A., Catalogo de libri e delle scritture dell'Accademia della Crusca compilato dalRipurgato I'anno 1747. Pulsoni C, Postillati cinquecenteschi del «Decameron»,«Aevum», 83,2009, pp. 832-833. Ragionieri D., La Biblioteca dell'Accademia della Crusca. Testi e documenti, Accademia della Crusca-Vecchiarelli, Firenze-Manziana 2015. Salvátore E. A., La fortuna del «Decameron» nella Firenze di primo Settecento, in G. Frosini e S. Zamponi (a cura di), Intorno a Boccaccio. Boccaccio e dintorni, Firenze University Press, Firenze 2015. Salvátore E.A., Citazioni testuali e censura nel «Vocabolario della Crusca», «Studi di Lessicografia italiana», 32, 2015, pp. 83-107. [Salviati L.] Avvertimenti della lingua sopra 'I Decamerone volume primo del Cavalier Lionardo Salviati, presso Domenico & Gio. Battista Guerra, Venezia 1584; Del secondo volume degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, Giunti, Firenze 1586. Scarola G., La Libreria di Elisa e Felice Baciocchi: un'ipotesi di ricostruzione, «Crisopoli. Bollettino del Museo Bodoniano di Parma», 2007-2010, Grafiche Step, Parma 2011, pp. 189-205. Vecce C., Bembo, Boccaccio e due varianti al testo delle «Prose», «Aevum», 69, 1995, pp. 521-531. Vocabolario degli Accademici della Crusca, appresso Giovanni Alberti, Venezia 1612. Vocabolario degli Accademici della Crusca, 6 voll., presso Domenico Maria Manni, Firenze 1729-1738. 270 Indici a eura di Caterina Canneti L'indice registra i nomi degli autoři e delle loro opere, le opere anonime, i no-mi degli Studiosi (compresi quelli rintracciati in nota), dei personaggi storici, letterari e mitologici e i toponimi. I personaggi delle opere di Boccaccio sono indicizzati con il nome della persona, indicando 1'opera in cui essi compaiono. Alla voce «Boccaccio» sono registrate soltanto le opere. Abido 27 Abukir 111 Acciaiuoli (fam.) 194 AccoltiF. 195 Adamo (De vir. ill.) 150,152,163 Adnotationes super Lucanum 103 Africo (Ninf.fies.) 130 Afrodite (Heroid.) 27 AgambenG. 40,50 Ageno F. 53, 76,167,175,178 AgostinelliE. 131 Agostino A. (santo) 13, 54,117,127 Confessiones 154 De civitateDei 13 Alanodi Lilia 103 Anticlaudianus 103 Alatiel (Dec.) 37-39, 41-51 Albanese G. 195,199,202,204,237,244 Albertano da Brescia 170-171,178 Liber consolationis et consilii 170 Alberti F. d A. 193, 202-203 Alberti L.B. 193,196-204, 250, 270 Agilitta 196 Deifira 196-198,199,201 Ecatonfilea 196 Lisetta de Levaldini 196 Mirtia 196 Uxoria 196 Alberto da Morra 53-55,73,76 Alessandria d'Egitto 24, 26 Alessio G.C. 85, 88,139,145,166,178 AlfaniB. 196 Caterina Canneti, University of Florence, Italy, c.canneti@gmail.com FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice) Giovanna Frosini (edited by), Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni 2019. Atti del Seminario internazionale di studi (Certaldo Alta, Casa di Giovanni Boccaccio, 12-13 settembre 2019), © 2020 Author(s), content CC BY 4.0 International, metadata CC0 1.0 Universal, published by Firenze University Press (www.fupress.com), ISSN 2704-5919 (online), ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF), DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 Alfano G. 39,50,56,72,75,107,113,116, 126,138,145,169-170,172, 239, 243, 259, 261, 263, 265-266 Alfonso de' Pazzi 222, 228 Alighieri D. 24-25, 34-35, 54, 102, 106, 123-124,150,197,200,213,218,247- 248, 250 Commedia 118,213,218,248 Convivio 102 Vita n(u)ova 25-26, 33-34, 36, 41, 50 Almansi G. 46, 50,115-116,119,126 Ambrosini R. 174, 178 Amiclate (Phars.) 106 Amore (Dec, Filoc, Fibs.) 25-26, 28,40, 44, 209 Amsterdam 251, 253-255, 269 Andalö (Gen.) 20 Andrea Cappellano 39 De amore 39 Andrea da Goito 102,113 Andre a da M ant ova 102 Andrei F. 38,50 AndreoniA. 115,128 AndreoseA. 191,202 Andrews R 218,228 AngeliG. 139,145 Angiolieri C. 215 Anicia (fam.) 186 Anna di Swidnica (imperatrice) 152 AnselmiG. 173,178 Antigono (Dec.) 48-49 Antigono (Gen.) 133 Antioco (Dec.) 46-48 Antiope (De muh; Gen) 133-134 AntogniniR. 154, 162 Antonio 185 Antonio da Tempo 218, 228 Apollo (Met) 84,189 Archemoro (De mul.) 136 Aretino R 150,152,154, 200 Arezzo 34,102 Arianna (Urb.) 189 Aristotele 32,41-42,117,121-126 Ethica 37, 41, 50, 44, 117, 118, 121-123,126,127 Rhetorica 121-125,127 Arnolfo di Orleans 81, 90,103,107 Glosule 103 Arpalice (Gen.) 131 Arunte (Phars.) 106 AsorRosaA. 235,244 Atalanta (Urb.) 189 Atene 132 Attila (re) 191 Augusto Gaio Giulio Cesare Ottaviano 182,185-186,240 AuzzasG. 10,21,100,112 Babilonia 183,196 BacinS. 117,127 BaciocchiE. 258,270 BaciocchiF. 258,270 BadioliL. 201-202 BaglioM. 86,90,96, 111, 134 Baia 31 Baldissone G. 56, 75 BandelloM. 168,179 BanellaL. 209,228 BarattoM. 116,120,126 Barberini F. (cardinale) 216 BarbieriL. 138,146 Barbi M. 213, 228, 257, 268 Bardi(de')F 195 BarsacchiM. 84,88 Barsella S. 37,50,117,126 Battaglia S. 39, 50, 79, 88,190,195 Battaglia Ricci L. 42, 50, 53, 73, 75, 95, 104, 111, 190, 195, 199, 202, 204, 237, 244 BattistaG. 149,247,270 Baumgartner E. 139-140,146 BausiF. 37,50,116,126 BazzanellaC. 120,128 Beatrice (Dec.) 25, 33-34, 240 BeaulieuM.A. 165,178 Bejczyl. 132, 146 Bellerofonte (Gen.) 133 Belloni G. 208, 228, 267-268 Belo (Tes.) 132,137 Beltrami P. G. 183 Bembo P. 183, 197, 204, 233, 236, 242, 250, 256, 270 Bene da Firenze 166,175 Candelabrum 166,178 Benedetti L. 46, 50,198, 204 BenoitdeSainte-Maure 138-139,142,146 Chronique des dues deNormandie 139, 142 272 INDICI Roman de Troie 138-140,142 Benvenuto dalmola 86,102,108,113 Commento alia Commedia 86 BerceY.M. 191,202 Berlino 257 Bernardino da Siena 120,126 BerteM. 7,41,51 BertiS. 193-194,203 Bertolini L. 79, 91,193,199, 203 Bessi R. 195-196,199,202-204,237,244 BevilacquaM. 119,126 Bezzola RR. 139,146 BianchiM. 40,51 BianchiR. 82,88 Biancifiore (Filoc.) 24, 26 Bibbia Fcclesiasticus 111 ludicum 129 Proverbia 171 Billanovich G. 9, 21, 100, 105, 111, 125- 126,150,153,162 BinnsV.J.W. 79,91 Biondello (Dec.) 169,171 BistagneF. 237,243 BizzocchiR. 191,203 Blanco Valdes C.F. 26, 31, 35 Blandizio (Urb.) 183,185,190,196 Boccaccio G. Ameto 248-249 Amorosa visione 96-98,100,105,109- 111,113,130,136, 248 Buccolicum carmen 19, 21,150,163 Consolatoria a Pino de' Rossi 152,195 Corbaccio 38, 50, 168, 172-173, 178- 180, 201, 203, 248-249, 255 Decameron 29, 37-39, 41-42, 44-46, 50-51, 53, 56-57, 65, 72-73, 75, 115-120, 124, 126-128, 165, 167-169, 171-175, 178-179, 184, 199, 203, 232-235, 237-242, 244-245, 247-270 De casibus virorum illustrium 10, 14, 17,19, 21,100,110,112,133,134, 149.162 De montibus 10, 12, 17-18, 21, 100, 130, 131, 149, 152-153, 157-158, 162.163 Demulieribusclaris 100, 111, 130,133, 136,137,150,151,152,153,162 De vita et moribus Domini Francisci Petracchi 14,20 Elegia di Madonna Fiammetta 26, 31, 36, 53, 76, 99, 110, 112, 184, 200, 201, 203, 205, 248 Epištole 10, 21, 38, 50,100,110-112 Esposizioni sopra la Commedia 9, 10, 11, 20, 21, 96, 97, 105, 111, 118, 126,130,134,137,147, 248 Filocolo 23-24, 26, 28, 30, 31-33, 35-36, 53-54, 72, 75-76, 95-98, 109, 112-113, 136-137, 145, 182, 223, 248-249 Filostrato 65, 68-69, 70, 75, 207-210, 212-222, 227-229, 248-249 Genealógia deorum gentilium 10, 11, 12, 21, 77, 78, 79, 80, 82, 83, 84, 85,87,88,90,93,96,104,105,106, 112,149,162 Lettera a Pino de' Rossi 248 Teseida 32,88,130-131,133-134,136-137,147, 248 (ps.-Boccaccio) Urbano 181-184, 185,186,189,190,191-203, 205 Bockerman R.W. 81,91 Boezio 54,176 BogniniF. 84,89 BoitaniP. 139,147 Bologna 108 Bologna M.P. 84,89 BolzoniL. 120,126 Bonaventuri T. 183-184,203 BonichiB. 197 Bono da Lucca 166,178 CedrusLibani 166,178 BonsignoriG. 186,189 Bordeille de Brantôme P. 129,146 Borghini V. 182-183, 185-186, 191, 247- 248, 256, 258, 268 Annotationi e discorsi sopra alcuni luoghi del Decameron 248, 256, 257, 268 BorsellinoN. 237,243 Bottari G.G. 183, 250, 254-255 BottiF.P. 115,119,127 BoullengerL. 123,127 Bragantini R. 56, 71, 75-76 Branca V. 10,19,21,24,29,35,53-54,59, 75, 77, 88, 93, 96, 111-112, 118, 126, 273 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 130, 136,146, 149, 151, 162, 167-168, 178,184, 203,207-209,212, 216,228, 255-257, 259, 268-269 BreschiG. 257,269 Briggs C.F. 122,127 Brill E.J. 79, 89, 91,117,122,126 BrossanoF. 110 BruereRT. 101, 112 Brunetta (Dec.) 67-68 Brunetti G. 94, 102, 107-108, 112, 117, 124,127,135-136,146,168,178, 257, 269 BruniF. 65,75 BruniL. 193-195,199-201,203-204 Le vite di Dante e del Petrarca 195,200 OrazioneperNiccolö da Tolentino 195, 200 Bruno (Dec.) 153,162, 239, 241 BruseganR. 142, 147-148 Bruto Marco Giunio 185 Buffalmacco (Dec.) 239 BundyM.W. 40,50 Buonconte da Montefeltro 34-35 Buonconvento 189 BurdachK. 188,203 Burley W. 155, 162 Liber de vita et moribus 155,162 CadioliA. 81,90 Calandrino (Dec.) 238-239 Calzecchi Onesti R. 28, 35 CambiP.F. 182 Cambio di Stefano 182 Cam (Chron.) 142,186 Camilla (En.) 129-130,138,140,181 Campaldino 34 Canossa (fam.) 234-235 Cantare di Piramo e Tisbe 197 CapassoD. 167,179 Capetingi (fam.) 142,147 Capo d'Orlando 41,51 Capponi F. 32, 35 Capponi G. 257 Cappozzo V. 24, 26, 29, 31,35 CarassitiA.M. 27,35 Cardini R. 79, 91, 193, 203 Carlo II di Navarra (re) 191 Carlo IV di Boemia (imperatore) 152, 154,188 Carrai S. 24, 36, 41, 50, 173, 178, 208, 222, 228-229 Carrara F. da 150,161 Carruthers M.J. 41-42, 50,120,127 Casagrande C. 117-118,120,127 CasellaM.T. 125,127 Cassio Longino Gaio 185 Castellani A. 212, 222,228 Castell'Azzara 217 Castelnuovo Berardenga 217 Castiglione B. 231-239, 241-244 Libro del Cortegiano 231-234, 237-239, 241-243 Castore (Filoc.) 31 Catalina (Dec.) 46 Catalogna 185 CatanzaroG. 79,90 Catella (Dec.) 240-241 Cattani da Diacceto F. 236 CavalcaD. 29 Cavalcanti G. 37, 39-40, 51,100 Cavalcanti M. (Epist.) 100 Cavallo G. 79-80, 89-90,139,145 Ceccherinil. 135 CecchiniE. 86,91 CeciL. 55,73,75 Cellini M. 29,36 Centrone B. 122,127 Cepparello (ser) (Dec.) 72 CerianiA.M. 82,90 Certaldo 7-8, 78, 89-90, 145-146, 159, 167,173,178-179 Cesare Gaio Giulio 38, 95, 97-98, 100- 101,106,109,113,182,185 Cesare Gaio Giulio (Urb.) 185 Cesarini Martineiii L. 83, 89 Cesarione (Urb.) 185-186 Cettuzzi G. 56, 75 CharlandT.M. 167,178 Chartres 108 CherubiniG. 165,178 Chichibio (Dec.) 66, 67 Chiecchi G. 165-166,178, 209, 228 ChiesaP. 81,90 CiampiS. 171 CianV. 241,243 Ciappelletto (ser) (Dec.) 70-71 CiccarelliL. 253-254,258 Ciccone L. 8, 77, 79, 82, 89, 91 274 INDICI CiccutoM. 25, 36,132,136,145-146 Cicerone Marco Tullio 55-56, 73, 75, 193-194, 203 De oratoře 56,75,237 Pro Marcello 193-194, 200, 203 Cione de' Magnalis 102,107 Cipro 11,18,38, 50, 77,116,127,161 Cisti Fornaio (Dec.) 66-68 ClarkJ.G. 79,89 Clarke K.P. 173,178 Claudiano C. 14 De hello gildonico 14 Cleopatra (De mul; Urb.) 100,185 Codro (Am. vis.) 110 CoenA. 184,187,189,203 ColadiRienzo 188 Coleman W. 131 ColiA 216 Colombo TimelliM. 138,146 ColussiF. 208,228 ComboniA. 201,205 Commenta bernensia 103 Constans L. 140,146 ConteG.B. 96,112 ContiG.de' 197 Tanto m'ingombra Amor, tanto m'af-fanna 197 Cooke Armstrong E. 142,147 Coppi (fam.) 192-193,198-199, 203 CoppiniD. 79,91 Cornelia Metella (El.) 99,100,110 Cornuto Lucio Anneo 80 Corrado di Mure 83 Fabularius 83 CortiM. 124, 127 Costantino I (imperatore) 186-188, 204 Costantinopoli 190,196 Costa S. 154,163 CoulsonF.T. 80-83,89 CranzF.E. 86,91 Cremonini S. 192, 204 CrevatinG. 101,112-113 CrisciE. 192,204 Criseida (Filostr.) 207, 209-210, 213, 218, 222 Croizy-Naquet C. 140,146 CroslandJ. 102,112 Currado Gianfigliazzi (Dec.) 67 CursiM. 107, 109, 112, 117, 127, 136, 255-258,269 CurtiE. 200-201,203 DAcquil. 187 DAgostino 138-139,146 DAnconaA. 215,218-219,225,228 D Angelo E. 102,112 DAnzieriE. 209,228 D'UrsoM.T. 138,145 DaichaesD. 173,179 Danao (Tes.) 137 DaseJ. 78,90 DatiC. 183 DatiG. 197 Sfera 197 Davis C. 124, 127 de'BenedettiF.P. 198,204 De Angelis V. 84, 89,168,178 de Chátillon G. 102 Alexandreidě 102 deFilippisR. 122 De Martino D. 191,205 De nativitate Constantini imperatoris 187 DeNonnoM. 82,88 DePaolisP. 82,88 DeRobertisD. 219 DeRobertis T. 16,21,77, 89,95,111-114, 117,125,128,131,135,146,149,162-163,168,178, 208, 229, 255, 257, 269 DaSilvaM. (cardinale) 233-234 Debenedetti S. 214, 219, 228 Debora (Bib.) 129 Decaria A. 193, 202-203, 208, 214, 218, 229 Degl'Innocenti L. 213,229 Del Bene S. 218-219,229 delGarboD. 37,39-41,47 del Grazia S. 171 Delcorno C. 7, 26, 29, 36, 99, 112, 123, 127, 165-166,178, 181, 192, 201, 203, 208, 216, 229 Delcorno Branca D. 181, 192, 203, 208, 216, 229 DelevilleP. 82,91 Delia StufaS. 212 Demogorgone (Gen.) 79, 83-84 Denis F. 138,146 Desmond M. 138 275 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 Di Benedetto F. 84, 89,145,146 Di Capua F. 55, 75 DiRiccoA. 201,205 DiSabatinoL. 138,146 Dialogo di Salomone e Marcolfo 171,178 Didone (Gen.) 105 DinaleM.T. 215 Dioneo (Dec.) 45, 63, 66,172 Dionigia (Pec.) 191 Diosita (Urfe.) 186 Domenico da Piancastagnaio 217 Domenico di Giovanni (detto Burchiel- lo) 171,179 Donnino da Parma 77 DoviziB. (ilBibbiena) 237-241 DoviziP. 212 DrusiR. 233,243 Durante M. 185, 233, 243, 258, 268-269 DurryM. 94,112 Eberardo di Bethune 85 Graecismus 85 Egano (Dec.) 240 Egeo (Tes.) 132 Egitto 24,185-186 Elena (Dec.) 116-119,121,124,187,190 Elisa (Dec.) 169 ElleroM.P. 38, 43-45, 50, 116, 118, 120, 127 Ellesponto 27 Emilia (Dec.) 130-131, 169-170, 173, 236, 242 Enea(Gen.) 104-105 Ennio Quinto 13 Enrico VII di Lussemburgo (re) 188-189 ErbaniF. 201,203 Ercole(Gen.) 133-134 Eritone (inf.) 98 ErnoutA. 94,113 Ero (Heroid.) 27 Esopo 104 Esposito E. 175,178,191, 205 Esposito P. 94,102,104,112 Eteocle (Am.) 99 ExterR.J. 79,89 FaralE. 132,139,146 Farsalo 96,98,107,109 FattoriM. 40,51 FedeliP. 79,91,139,145 FedericoA. 231,243 Federico I (detto Barbarossa, imperatore) (Urb.) 38,50,116,127,184,185,189, 192,196,198-199, 203-204 Federico da Montefeltro (duca) 232 FediB. 136, FediR. 65,75 Felice (Filoc.) 96,145 Feliciano Felice 198, 200-201, 205 Iusta Victoria 200-201 FenziE. 39,51,154,163 FeoM. 154,162 FeraV. 41,51,150,157,162 FerracinA. 200,203 Ferrari L. 215,229 FerrariS. 214,219,229 Ferro F. 209,228 Ferrone S. 150,163 Ferroni G. 235, 237-239, 241, 243 FiacchiL. 183-184,203 Fiaschi S. 77, 89, 95, 112, 133, 152-153, 162 FidoF. 71,75 Fileno (Filoc) 24, 26-27 Filippo VI di Valois (re) 191 Filomena (Dec.) 169 FilosaE. 37, 50,117,126,152,162 Filostrato (Dec.) 68,70 FinkW. 78,91 Fiorilla M. 7, 39, 50, 107-109, 112, 116-117, 135-136, 146, 247, 255, 257, 259, 261, 263, 265-266, 269 Firenze 16, 20-21, 29, 66,78, 89-90,107-108,124,127,131,135,149,175,186, 190-193,196,199-200, 207, 213, 215-218, 223, 226, 247, 251-253, 255, 257 Flint V.I.J. 144,146 Floriáni P. 231, 237-238, 243 FlorimbiF. 192,204 Florio (Filoc.) 23-27, 30, 36 FolenaG. 175,178 Formularium de modo prosandi 166 ForniP.M. 56,71,75-76 Foulet A. 142,147 Franceschini E. 167,178 Francia 82,139,142,184-185,191 Frangipane (fam.) 186 Fregoso F. 235 276 INDICI FregosoO. 240-241 Frosini G. 7, 247, 254, 270 Fulgenzio Fabio Planciade 85 Gaeta 186 GalloF. 154,163 GambaB. 184,203 GattiE. 198,204 Genova 185,191 GentiliS. 124,127 Gerusalemme 29,161,169 Gesu 154 GetaeBirria 197 Getto G. 34, 36,120, 127 Gherardo (Urb.) 185 GhinassiG. 232,236,243 Ghisalberti F. 78, 81, 86-87, 89-90 Ghismunda (Dec.) 68-70,120 Giambullari P.F. 207, 214 Giangrasso G. 186-188, 204 GiardinaA. 139,145 Giasone 136,190 Giogana 35 Giordano da Pisa 166,178 Giosefo (Dec.) 169-170,172-173 Giovanardi C. 233, 243 Giovanni II (papa) 191 Giovanni XXI (papa) 85 Summule 85-86 Giovanni da Verona 187-188 Giovanni del Virgilio 81, 85-90, 108, 150,163 Allegorie 81, 85-86, 88, 89 Giovanni di Garlandia 81, 90,102,166 Integumenta 81, 90 Poetria de arteprosaica 166 Giovanni di Galles 155,163 Compendiloquium 155 De regimine vitae humanae seu Margarita doctorum 155,163 Giovanni di Salisbury 103-104,108 Entheticus minor 108 Policraticus 104 Giovanni Fiorentino 175,178 IlPecorone 175,178,190-191,202,205 Giove (Filoc.) 25 Giove 190 GiovenaleDecimo Giunio 13,96,105,168 Satire 168 Giunone (Filoc.) 28,190 Giustino Giuniano 134-135,195 Epitoma historiarum Philippicarum Pompei Trogi 135 Goffredo di Vinsauf 102 Gog (Chron.) 142 GonteroV 140,146 Goro (Gregorio) dArezzo 102 Grayson C. 196, 202 Gregorio I (papa) 186 Gregorio VIII (papa) 54 GrimalP. 94,112 GripkeyMV. 29,36 Grosseto 217 Guadagni (fam.) 182 GuardianiF. 72,75 GuazzoS. 237,243 GueneeB. 155-156,162 Guglielma di Milano (detta la Boema, regina e santa) 195 GuglielmiG. 115,119,127 Guglielmo di Malmesbury 103 GuidiJ. 234, 237, 239, 243-244 Guidorizzi G. 129,136-137,146 GuidottiA. 237,244 Guiducci G. 216 Gurreri C. 38, 51 HallikS. 167, 178 HankeyA.T. 78,84,90 HaskinsC.H. 102-103,112 Hatzfeld A. 34,36 HavetL. 54 HeijkantM.J. 132,146 HilkaA. 187,204 HortisA. 78,90 Iacopino A.M. 38 II Cairo 185,190 Imeneo (Urb.) 190 IncardonaJ. 184,192, 204 Instoria Helene matris Constantini Inperatoris 187 Ippolito (Gen.) 133,201 Ipsicratea (De mul.) 152 Isidoro di Siviglia 85, 94, 103, 104, 143, 144,147 Chronicon maius 144,147 Etymologiae o Origines 95 277 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 Isocrate 55-56 Jafet (Chron.) 142 JansonT. 160-161,163 JeauneauE. 80,90 Jones M. 79,91 JungM.R. 138-139,147 Keith A. 80,89 KellogR. 116,128 KilwardbyR. 85 Commento alle Summule 85 KobauP. 120,128 KolskyS. 233-234 239-240,244 KrayeJ. 150,162 Kristeller P. O. 86,91 La Du M.S. 142,147 La Face Bianconi G. 212, 229 Lacombe G. 124, 127 Lampedone (De mul.) 134 LandiC. 83,90 Landolfo Rufolo (Dec.) 29 LangeliA.B. 126 LapidgeM. 125,127 LarivailleP. 239,244 LatiniB. 123,144 Tresor 144 Lattanzio Firmiano 94,112 Divinae Institutiones 94,112 Lattanzio Placido 136 Laurento 186 Leandro (Filoc.) 27 LeeC. 102,112,138 Lehmann V. P. 80,91 Leibniz (von) G.W. 120,128 Lelio (Filoc.) 96 Lemno 136-137,139-140 LeonardiC. 155,162 Leone M. 115-116,119,127 Leonzio (Gen.) 20 LeporattiR. 100,112 LepschyL. 150,162 LeviE. 29,36 LeyhG. 187,204 Libellus de Constantino Magno eiusque matreHelena 186,187,188,204 Liber philosophorum moralium antiquo-rum 167,178 Libro imperiale 185-186,189 LimentaniA. 130-131 Lindholm G. 73,76 Litterio S. 8, 207, 213,222, 229 LivioTito 125 Lodi 192,198 Lohr CH. 125,128 Londra 192 Longo N. 132,146,175,178, 233, 243 Lucano Marco Anneo 93-109,111-113 Bellum civile o Pharsalia 93-103, 106-110 Luciano di Samosata 195 Lucrezia (Urb.) 185, 190, 196, 199, 201-202 LuigiVIl(re) 191 LulloR. 120,128 LutiM. 8,129,144,147 MaccabruniP. 217 Macrobio Ambrogio Teodosio 85, 237 MaggioreM. 131,147 Magog (Chron.) 142 Maier B. 241,243 MainardiA. 165,175-178 Motti e Facezie del Piovano Arlotto 165, 175, 178 MainoP.M.G. 257,270 MalatoE. 255,269 Malta C. 133,150,163 Mancini M. 139,147 ManerbiN. 188 Legenda aurea 188 Manetti (fam.) 194 ManfrediA. 82,90 MannN. 79,91 Mannelli F. 255-256, 259-261 MannelliR. 173-175 ManniP. 56-57,76 Mantova 156 ManuzioA. 257 Manuzio (fam.) 232 Marcelli N. 194-195,197, 204 MarchesiS. 124-125,128 Marchiaro M. 167,179, 216-217, 229 Marco (santo) 33 MarcozziL. 115, 128 Marcus M.J. 115,128 Mardersteig G. 201,204 278 INDICI Mariani Zini F. 115,128 Marini Q. 171, 178 Marietta F. 216, 218-219, 229 MarmiA.F. 258 Marpessa (De mul.) 134,144 MarraniG. 208,229 Martelli M. 195, 204, 212, 229 Martellotti G. 93-95, 97, 101-102, 107, 113,150, 158 Marti B. 107,113 Martina M. 56,75 Martina P. A. 81 Martinelli Tempesta S. 154,163 Martini R.A. 183, 203, 252-256, 270 MartiniS. 86 Martin J.C. 144,147 Martino da Signa 16,19,21 Marziale Marco Valerio 108 Apophoreta 108 Masetto da Lamporecchio (Dec.) 46 Massera A.F. 215, 259, 261, 263, 265- 266,268 Massimo (Urb.) 186 Matalena (madre di Cola di Rienzo) 189 Matteo (santo) 33 Mazzacurati G. 233-235, 244 MazzatintiG. 215,217,219,229 Mazzucchi A. 95,113,145, 255, 269 MazzuoliG. 20 McGuireJenningL. 215 Medici (fam.) 194 Medici G. (de') 235,241 Medici L. (de') 207,214,236 Melchisedech (Dec.) 71 Melisso (Dec.) 169,172-173,175-176 Menalippe (Gen.) 133 MenghiniM. 216,218-219,225,229 Mensola (Ninf.fies.) 130 MesircaM. 115,128 Meyer W. 73 MicheleScoto 31 Liber Physionomie 31 MichelozziM. 212 MinioL. 117, 126 MondaniP. 8,53-54,76 Montemagno, Buonaccorso da 195-196, 199 De nobilitate 195,199 Montepulciano 108 Monti CM. 7, 12, 16-18, 21, 87, 90, 101-102,108,113,135,149,153-154,162-163, 208, 229 MontuoriF. 107,113 Mora-Lebrun F. 139-140,147 MoratoN. 138,147 Morea 39 MoriniL. 27,36 MorosiniR. 7-8,132,136,146-147 Morpurgo S. 168, 179 MortaraA. 219 Mortara Garavelli B. 72, 76 MoschellaM. 125-126 Motta U. 232,236,242,244 MounierP. 184,192,204 Moutier I. 184,192,196, 204 MulasL. 238,244 MunariF. 79,89-90 Munk Olsen B. 79-80, 90-91 Murphy J.J. 122,128 MussatoA. 150,163 Mussini Sacchi M. P. 83, 201, 204 Nadal P. 188 Catalogus sanctorum 188 Napoli 20, 27, 79, 84, 107, 117, 125-126, 138,152-153,185, 253, 257 NardiB. 153,162 NarducciE. 56,75,94,113 Natan (Dec.) 232 NavoneP. 171,178 Neckám A. 103 Neifile (Dec.) 67 NelliF. 100,154 Nettuno (Filos.) 31 NeumahrU. 194,204 Nicoluccio (Dec.) 46 Nitteo(Gen.) 83 Nobili C.S. 172,179 Noe (Chron.) 142 NogaraB. 82,90 Novella delfigliuolo diPompilio 186 OdelmanE. 81,89 Odorico da Pordenone 191, 202 OgrinM. 56,75 OldoniM. 125 Omero 13,105 Onorio detto di Autun 144-146 279 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 Imago mundi 144 Orazio Flacco Quinto 13, 79-80,105 Ars poetka 79 Orizia (De mul.) 134 OrlandiG. 156,162 Orleans 81,103,108 Orosio Paolo 134-135,144 Historiae adversus paganos 135 OrsiniN. 19 OssingerJ.F. 125, 128 Ossola C. 231, 235, 243-244 Ottone di Frisinga 103 Ovidio Nasone Publio 78, 84, 102, 104, 139,172,186 Ars amatoria 172 Metamorphoseon libri 78-82, 84-85, 88,186 Oxford 192,197 Pace da Ferrara 86 Commento alia Poetria nova 86 PaceM. 37,44,51 Padoan G. 10-11, 21, 96, 111, 118, 126, 130,134,147 Padova 151,161-162 PagliaiM. 132,147 Pallavicino G. 240-241 Palma F 8,168,179 PaluelloE.J. 117,126 Pampinea (Dec.) 45, 65-66,116 Pandaro (Filostr.) 209-210 Panini FC. 201, 204, 232, 244 Paolino Veneto 135 Compendium sive Chronológia magna 135 Paolo (santo) 12,187 Paolo da Certaldo 168,172 Libro de' buoni costumi 173 Paolo da Perugia 54, 78-79, 84-88 Liber Collectionum 78 PapiM.F 38 PapioM. 37,50,115,117,121,124,126,128 PapponettiG. 80,89 ParadisiG. 142,147 ParatoreE. 102,113 Parducci A. 184,187, 200, 204 Parigi 120,185 ParkesM. 173,179 Parma 171,258 ParricchiU. 102,113 Partenio di Nicea in Bitinia 14 Pasquini E. 208, 216, 218-219, 229 Pastore Stocchi M. 10, 21,130,149,162 PatotaG. 56-57,76 PatriziG. 235,244 PecereO. 192,204 PellegrinÉ. 82,90 Pentesilea (De mul; Esp.) 134,140 PeraldoG. 123,127 Summae virtutum ac vitiorum 123,127 Pericone (Dec.) 39, 45 PerniconeV. 208-209,214-215,217, 227-229 Perriccioli Saggese A. 138,145 Persio Flacco Aulo 13,78, 80, 85-87,105 Perucchi G. 156,163 Perugia 54,214,223,225 PesentiT. 41,51 Petit A. 138-140,147 Petoletti M. 7, 42, 51, 78-79, 90, 97, 102, 108,113,117,128,149,154,159,162- 163,168,179,192, 204, 208, 229 Petrarca F 9-16,18-21,41, 51, 53, 86, 94, 101-102, 104-106, 108, 111, 118, 125, 149-151, 153-161, 197, 200, 215, 219, 235-236, 247-248 Africa 101 Bucolicum carmen 19,150 De viris illustribus 101,150,155 De vita solitaria 16 Rerum vulgarium fragmenta o Canzo-nkre 154 Secretum 11,154 Triumphi 101 PetrocchiG. 25,36,118,126 Petronio Gaio Arbitro 94 Satyricon 94 Piacentini A. 19, 21,150,163 PiccardiF. 215 PiccardiP. 183 PicciniD. 218-219,229 PicoG. F 242 Picone M. 38, 48-49, 51, 56, 76, 78, 80, 90-91,115,128,132,145-146,173,178 Pieridi (Met.) 85 Pietro (santo) 187-188 Pietro da Parma 101-102,108,113 Preambulum, 101,108,113 280 INDICI Pietro Ispano v. Giovanni XXI (papa) Pietro Piccolo da Monteforte 152-153, 162 Pievano Arlotto (v. Mainardi A.) Pippo Scarmo (Urb.) 185,196 Pirotto (Urb.) 185 PirovanoL. 81,90 PiurP 188,203 Plauto 105 PlinioilVecchio 144,153,159-161 PoirionD. 132,139,147 Polinice (Am.) 99 Poliziano A. 177,207-208,214,216,222,236 PollidoriV. 182,204 Polonia 188 Pompeo Magno Gneo 95, 98-100, 109-110 Porcelli frate Michele (Tree.) 174 Porzia (De mul.) 100 Possamai-Perez M. 82, 91 PozziM. 235-236,244 Priamo (Filostr.) 140, 209 Prometeo (Met.) 84 Pseudoacrone 80 Pulci L. 207-208, 213-214, 229 PulsoniC. 256,270 PunziA. 138,147 Quaglio A.E. 24, 26, 31-32, 95-99, 101- 102,106-107,111-113 Quintiliano Marco Fabio 94 Institutio oratoria 94 Quondam A. 38-39,50-51,116,119,126, 168,178, 201, 204,232-233, 235-236, 238-239,243-244,259,261,263,265- 266,268 RabboniR. 191,205 RagionieriD. 252,270 RajnaP 54-55,76 RandE.K. 79,91 RatM. 129,146 Reeve M. 192,204 RegnicoliL. 107,109,113 Ricasoli B. 195 Riccardo I d'Inghilterra (detto Cuor di Leone, re) 191 Ricci PG. 10, 21, 38, 50, 100, 112, 133, 149,162 Ricciardo (Dec.) 240-241 Rinieri (Dec.) 116-122,124 Rinuccini Carlo 182 Rinuccini Cino 196 Ripoli 257 RobathanD.M. 79,86,91 Roberto d'Angio (re) 16,125 Rollone (Chron.) 142 Roma 38,40,51,82,88,99,139,150,184-185,187-189,191,196,198, 201, 223 Romagna 174 RomagnoliG. 186,204 RomaniniE. 133 RomeiD. 73,76 Romolo (De vir. ill.) 151 RondinelliP 167-168 RosatiG. 79,91 Rossi A. 172,179, 257, 259, 268-269 Rossi L.C. 102,108,113 Rossi M. 150,163 Rossi P. 120,128 Rossi V. 154,197,204 RoyB. 80,89 Rupp.S. 80,89 RuscelliG. 257,266,269 Russo C. 8,193-194,197, 202, 204-205 RussoE. 125,127 Russo V. 117,128 Saccaro Battisti G. 239, 244 Sacchetti F. 165,173-175,177 Trecentonovelle 175,178 SacconeE. 235,244 Sallustio Gaio Crispo 195 Salomone (Dec.) 169-172,176 SalutatiC. 107,196 Salvatore E. 71, 253-254, 267, 270 Salviati L. 183, 247, 250-254, 256, 259, 264, 268 Avvertimenti della lingua sopra'lDeca-merone 247, 256, 270 Del secondo volume degli avvertimenti della lingua sopra il Decamero-ne 247,270 SalwaP 167,179 San Giovanni in Laterano (basilica) 188 San Pietro (basilica) 188 SanfordE.M. 93,113 SantagataM. 54, 76,115,128, 201, 204 281 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 SantiniE. 194,205 SantucciF. 79,90 Sans ever ino U. 152 Satana 34 Scaglione A. D. 44,51 ScalaB. 212,229 Scarlatti F. 218-219,229 ScarolaG. 258,270 SceveC 184,192,204 SchiaffiniA. 53-56,76,167-168,173,179 Schneider B. 122, 126 Schoenaers D. 138,147 ScholesR. 116,128 SchwertsikP.R. 78-79,84,91 Sciutol. 120,128 Scizia 129,131,134 Scolari A. 201,205 Scolopico (De mul.) 134 SearbyD.M. 81,89 Segre C. 38, 51 Selvaggio (Urb.) 186 Sem (Chron.) 142 Seneca Lucio Anneo 42, 49, 51,105 Epistulae ad Lucilium 42,49,51 SerdiniS. 197 SerianniL. 57,76 Servio 14, 80, 86, 94,103-104 Sesto 27 Sever ino (Urb.) 186 Shackleton BaileyD.R. 97,108,112 Siena 217 Silisio (De mul.) 134 Silvestra (Urb.) 184-185,189,196,199 Silvestře B. 103 Simone (Dec.) 239 Singleton CS. 257-259, 261, 263, 265- 266, 268 Sismonda (Dec.) 240 Soldano (Dec.) 71,189 Solino Caio Giulio 144 Solone 13 SorbelliA. 215,229 SoranzoJ. 197,204 Speculo (Urb.) 184-185 StagiA. 130 Amazonida 130 Stazio Publio Papinio 83, 95,136,137 Tebaide 83,136-137 Stewart P.D. 167,179, 237, 244 StollJ. 138 Stoppino E. 130,147 Strozzi (fam.) 257 StrubelA. 165,179 Sulmona 79-80,89,91 Surdich L. 31, 36, 209,228 Tagliacozzo 186 TalloneA. 53,76 Tanturli G. 95,97,114,125,128,149,162- 163, 208, 229 Targioni Tozzetti G. 217 Tateo F. 166,179, 237, 244 Tereo (Urb.) 190 TerrusiL. 238,245 Teseo (Tes.) 131-134 Tiberio Claudio Nerone (imperatore) 185 TillietteJ.Y. 80,91 TinucciN. 196 Tito Flavio Vespasiano (imperatore) 156, 159-160 Tomasin L. 267-268 Tommaso d'Aquino (santo) 37,41-45,51, 117-118,120-124,126 Summa Theologiae 120,123,124 Sententia libri De anima 42 Sententia libri Ethicorum 41, 44 TorracaF. 78,91 TortoliG. 29,36 Torzil. 56,75 Toscana 174,198 Tosignano 174 Tours 108 TrachslerR. 82 Traiano Marco Ulpio (imperatore) 151 Traube L. 80,91 Troia 95,134,138-139, 145 Troiolo (Filostr.) 31, 209-210, 212-213, 222-223 Tufano I. 31, 36 Ugo IV di Lusignano (re) (Gen.) 11, 18, 161,77 Ugolino Castrone (Tree.) 174 Uguccione da Pisa 86 Derivationes 86 Ulisse (Gen.) 104-105 Ungheria 188 Urbino 231,234,242 282 INDICI Vaccaro G. 8,181,191, 205 Valchiusa 150 Valerio Massimo 100,125,152,182 Factorum et dictorum memorabilium libri 126,152 ValierG.F. 232 ValmaggiL. 237, 2 (re)45 ValoisN. 54,191 ValoriB. 182 VarvaroA. 139,147 VecceC. 256,270 Vecchi Galli P. 154, 163, 192, 201, 204-205 Vecchio S. 117-118, 120, 127-128, 159, 163 VegliaM. 7,41,51 VelliG. 86,90 Venceslao II (re) 188 Veriere 13, 31 Venere(M) 24,26 Venezia 223,247,251 VenierM. 200,203 VernetM. 138,146 Vesta 99 VianelloV. 235,245 ViellardF. 142,148 Villa C. 79, 86, 91,139,145 Villa M. 237,242,245 VillaniG. 247-248,250 Cronica 248 Vincenzo di Beauvais 155,163 Speculum maius 155,163 Virgilio Marone Publio 13-14, 20, 80, 102-103,105,108 Culex 88 Eneide 30,139 Visconti G. 196 Vocabolario della Crusca 247, 267, 270 Von Moos P. 94-95,102-104,114 VrinJ. 122,128,234,244 WaceR. 139,142,147 Wahlsten Böckerman R. 81, 91 Webb C.C.J. 104,112 Welter J. 165,179 WenzelS. 167,179 Yates F. A. 41,51,120,128 Zaccarello M. 7, 115, 119, 128, 171-174, 179-180 Zaccaria V. 10, 21, 77, 88, 93, 100, 111-112,130-131,133,149-151,162-163 ZambriniF. 184,190,205 ZamponiS. 7-8,95,97,114,149,162-163, 167,179, 208, 216-217, 229, 254, 270 Zanato T. 177,179, 208, 229 Zanobi da Strada 79 Zimmermann B. 80,91 ZinelliF. 138 ZinkM. 166,180 ZironiA. 142,147-148 Zorzi Pugliese O. 237, 245 Zuana (moglie di Ugolino Castrone) (Tree.) 174 283 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 INDICE DEI MANOSCRITTI BERLIN Staatsbibliothek zu Berlin - Preussischer Kulturbesitz Hamilton 90: 257, 260, 265-266 DARMSTADT Hessische-Landes-und-Hochschulbibliothek 2001: 192-193 FIRENZE Archivio storico dellAccademiadella Crusca fasc. 119:252-255,259 BlBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA Acq.Doni759:218 Ashb. 546: 29 Plut. 13 sin. 6: 124 Plut. 24 sin. 3:108 Plut. 35.23: 107,109 Plut. 38.6: 136 Plut. 42.1: 173, 256-257, 260-261, 265-266 Plut. 42.6:258,265-266 Plut. 52.9: 152 Plut. 90 sup. 1061: 257, 265-266 Plut. 90 sup. 106II: 257, 265 BlBLIOTECA MARUCELLIANA C 155: 213, 220, 223 BlBLIOTECA NAZIONALE CeNTRALE II.II.15: 190 II.II.20: 257, 265-266 II.V.77: 193 Banco rari 37: 257, 265 Banco rari 50: 135 Magi. III.I.26: 252-253 Magi. VII680: 216, 221, 223, 226 Magi. XXXVIII 70:29 Magi. XXXVIII127: 144 Pal. 200: 192-193,199 Rari 22.A5.18:256 BlBLIOTECA RlCCardiana 1078: 192-193 1095: 192-193 2254:186 284 INDICI LODI BlBLIOTECA COMUNALE Laud.XXVIII.B.16: 192-193 LONDON British Library Add. 10095: 86 Add. 10144: 192-193,197 C.8.g.ll:222 Harley2493: 125 LUCCA BlBLIOTECA STATALE 1755: 187 MILANO BlBLIOTECA AMBROSIANA A 79 inf.: 86 A 204 inf.: 126 C67 sup.: 108 Z 123 sup.: 192 MÜNCHEN Bayerische Staatsbibliothek Clm4610: 81 Clm 19544: 187 Res/4 P.o.it 331/8: 222 NAPOLI BlBLIOTECA Nazionale Vittorio Emanuele III VF 21: 79, 84 OXFORD Bodleian Library Bywater 37: 192-193 Can. It. 111:218, 223, 226 PARIS BlBLIOTHEQUE NATIONALE DE FRANCE Par. It. 482: 257-258, 260, 265-267 Par. Lat. 4939: 135 Par. Lat. 6802: 156,159-160 PARMA BlBLIOTECA PALATINA Pal. 24: 258, 265-266 Pal. 75: 171 285 INTORNO A BOCCACCIO / BOCCACCIO E DINTORNI 2019 PERUGIA BlBLIOTECA comunale augusta C 43: 214, 223, 225 ROMA Biblioteca Apostolica Vatic ana Barb. Lat. 3933: 215, 223, 225 Barb. Lat. 4051: 192-193,199 Vat. Chig.LV176: 154 Vat. Chig. Q,II51: 186 Vat. Lat. 1479: 82, 84-85 Vat. Lat. 5337: 192-193 Biblioteca Corsiniana e dei Lincei 44B26: 197 SAN LORENZO DE EL ESCORIAL Real Biblioteca del Monasterio di El Escorial Mesa 10-11-10 (2°): 222 SEVILLA Biblioteca Capitulary Colombina 6-3-24 (13): 222 286 STUDIE SAGGI TITOLI PUBBLICATI ARCHITETTURA, STORIADELL'ARTE E ARCHEOLOGIA Acciai S., Sedad Hakki Eldem. An aristocratic architect and more Bartoli M.T., Lusoli M. (edited by), Le teorie, le tecniche, i repertori figurativi nella prospettiva d'architettura tra il '400 e il '700. Dall'acquisizione alia lettura del dato Bartoli M.T., Lusoli M. (edited by), Diminuzioni e accrescimenti. Le misure dei maestri di prospettiva Benelli E., Archetipi e citazioni nelfashion design Benzi S., Bertuzzi L., Il Palagio di Parte Guelfa a Firenze. Documenti, immagini e percorsi multimediali Berti M., Brovadan C. (edited by), Donum. Studi di storia della pittura, della scultura e del colle- zionismo a Firenze dal Cinquecento al Settecento Biagini C. (edited by), L'Ospedale degli Infermi di Faenza. Studi per una lettura tipo-morfologica dell'edilizia ospedaliera storica Bologna A., Pier Luigi Nervi negli Stati Uniti 1952-1979. Master Builder of the Modern Age Eccheli M.G., Pireddu A. (edited by), Oltre I'Apocalisse. Arte, Architettura, Abbandono Fischer von Erlach J.B., Progetto di un architettura istorica / Entwurffeiner Historischen Architectur, traduzione e cura di G. Rakowitz FratiM., "De bonis lapidibus conciis": la costruzione di Firenze ai tempi diArnolfo di Cambio. Stru- menti, tecniche e maestranze nei cantierifra XIII e XIVsecolo Gregotti V., Una lezione di architettura. 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II Seminario, giunto alia sesta edizione, si propone come uno degli appuntamenti piú solidi e signiflcativi nell'attivita dell'Ente Nazionale Giovanni Boccaccio, e come uno degli eventi ehe meglio ne caratterizza la missione. Nato per dare voce particolarmente ai giovani studiosi, esso ě divenuto negli anni un appuntamento di rilievo, per presentare e discutere ricerche in corso o appena concluse, e sempře aperte a futuri sviluppi. Con questo volume, che accoglie saggi incentrati particolarmente su aspetti fllologici, letterari, storico-linguistici e lessicograflci, si inaugura una collana guidata da un autorevole Comitato Scientiflco. Giovanna Frosini ě professoressaordinariadi Storiadella lingua italianapresso I'Universita per Stranieri di Siena, Accademica delia Crusca e vicepresidente dell'Ente Nazionale Giovanni Boccaccio. I suoi studi, alľincrocio fra storia della lingua e filológia, riguardano la poesia italiana delle Origini, i volgarizzamenti, la storia del linguaggio gastronomico. Negli ultimi anni, vari suoi studi e interventi (anche di tipo didattico e di alta divulgazione) sono stati dedicati alľopera e alia lingua di Dante. Sommario: Presentazione (Giovanna Frosini) - II lessico del magistera nelle prose erudite di Giovanni Boccaccio (Eleonora Fritz) - II mare, latempesta, la quiete: un passaggio fondamentale nella trama e nel significato del Filocolo (Isabelle Gigli Červi) - II fantasma di Alatiel: desiderio, parola e memoria in Decameron II 7 (Matteo Petriccione) - Ad alta voce: I'essenza fonico-acustica e gestuale del cursus nel Decameron (Paola Mondani) - Uttestatur Ovidius: Boccaccio lettore dei commenti alle Metamorfosi (Lisa Ciccone) - «A' quai lucan seguitava». Su Boccaccio lettore della Pharsalia (Niccolô Gensini) - Ira e compassione. Fonti aristotelico-tomiste di Decameron VIII 7 (Miriam Pascale) - Itinerári amazzonici in Boccaccio: il retroterra romanzo (Matteo Luti) - Boccaccio erudito e il prologo del «De viris illustribus» petrarchesco (Chiara Ceccarelli) - La bisbetica domata: proposta di lettura di Decameron IX 9 attraverso i proverbi e i novellieri toscani traTre e Quattrocento (Valerio Cellai) - UUrbano. Origine e fortuna di una novella pseudo-boccaccesca (Camilla Russo, Giulio Vaccaro) - Dal Filostrato ai rispetti di ambiente laurenziano: la ricezione quattrocentesca della prima lettera di Troiolo a Criseida (Silvia Litterio) - II Boccaccio di Baldassar Castiglione: la duplice immagine del certaldese nelle pagine del Cortegiano (Flavia Palma) - Boccaccio, il Decameron e la Crusca: le fonti spogliate dagli accademici (Caterina Canneti) - Indici. ISSN 2704-6478 (print) ISSN 2704-5919 (online) ISBN 978-88-5518-235-5 (print) ISBN 978-88-5518-236-2 (PDF) ISBN 978-88-5518-237-9 (EPUB) ISBN 978-88-5518-238-6 (XML) DOI 10.36253/978-88-5518-236-2 www.fupress.com