Cahiers d’études italiennes 8 | 2008 Filigrana Boccace à la Renaissance La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio Ficino a Giorgio Vasari Susanna Gambino Longo Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/cei/892 DOI: 10.4000/cei.892 ISSN: 2260-779X Editore UGA Éditions/Université Grenoble Alpes Edizione cartacea Data di pubblicazione: 15 luglio 2008 Paginazione: 115-130 ISBN: 978-2-84310-122-9 ISSN: 1770-9571 Notizia bibliografica digitale Susanna Gambino Longo, « La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio Ficino a Giorgio Vasari », Cahiers d’études italiennes [Online], 8 | 2008, Messo online il 15 janvier 2010, consultato il 01 mai 2019. URL : http://journals.openedition.org/cei/892 ; DOI : 10.4000/cei.892 Questo documento è stato generato automaticamente il 1 maggio 2019. © ELLUG La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio Ficino a Giorgio Vasari Susanna Gambino Longo 1 Negli ultimi decenni si sono moltiplicati gli studi critici sulla mitografia di Boccaccio e la sua fortuna. Accanto a ricerche più puntuali sulla fortuna di un determinato mito da Boccaccio al Rinascimento, il tema che maggiormente attira l’attenzione resta la difesa della poesia, che occupa i libri XIV e XV, forse i più celebri delle Genealogiae, un tema chiave anche nel seguire la sua fortuna rinascimentale, se si tiene conto dell’eco notevole presso gli intellettuali del ’500 e in particolare nella Poetica di Tommaso Campanella1 . 2 Il presente contributo si propone invece di inquadrare in modo globale lo studio della ricezione dell’opera, della sua circolazione, delle sue alterne fasi di successo e di oblio, dei giudizi suscitati dall’autore, per aprire una pagina forse meno ovvia, più contrastata, su colui che per il classicismo bembiano doveva essere il principe della prosa volgare. L’oblio Obsolescunt enim et aegre quidem vitae spiritum retinent libri De genealogia deorum, De varietate fortunae et De montibus, accurate potius quam feliciter elaborati, quando iam illae decem dierum fabulae, Milesiarum imitatione, in gratiam oblectandi ocii, admirabili iucunditate compositae, in omnium nationum linguas adoptentur et, […] applaudente populo, cunctorum operum gratiam antecedant2 . 3 Così scriveva Paolo Giovio verso il 1521 in un Elogium ancora inedito, se è vero che il ritratto di Boccaccio appartiene al primo nucleo di ritratti di celebrità che il vescovo comasco andava raccogliendo per il suo museo. Dunque il successo popolare, applaudente populo, del Centonovelle ha ormai offuscato l’interesse per il Boccacio latino. A un rapido quanto superficiale sguardo alle edizioni a stampa delle Genealogiae il dato sembrerebbe confermato. La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 1 4 Infatti, dopo una significativa circolazione manoscritta in età umanistica – si segnalano un centinaio di manoscritti inclusi i ghosts, contro i 122 del Decameron – l’editio princeps è opera di Vendelino da Spira (Venezia, 1472), uno dei pionieri dell’arte tipografica in Italia, attivo fra il 1470 e il 1477, e a cui il Senato veneziano aveva concesso il monopolio della stampa fino al 1473. Per capire la scelta di pubblicare le Genealogiae, basta interrogare il suo catalogo: Vendelino risponde al gusto dell’umanesimo erudito, pubblica classici latini (Tacito, Tito Livio, Sallustio, Giovenale, Virgilio et al.), ma pochissimi moderni (fra cui il commento del Leoniceno a Lucano, la Retorica di Giorgio di Trebisonda e i sermoni quaresimali dei frati minori). In questo contesto il suo Boccaccio appare come uno strumento di lavoro, un’opera di consultazione della letteratura classica. L’edizione vendeliniana riproduce le rubriche e un indice già diffusi nella tradizione manoscritta, opera del grammatico Domenico d’Arezzo, su richiesta di Coluccio Salutati; nello stesso volume, seguono il dizionario geografico De montibus, la cui sorte sarà quasi sempre legata all’enciclopedia mitografica. 5 Per quanto riguarda la presenza del dizionario mitologico nelle biblioteche del tempo, in alcune di esse si nota la vistosa assenza del Decameron, a profitto invece del Boccaccio latino3; ennesima prova del nuovo tournant ideologico e culturale della fine del Quattrocento, che vede il pubblico prediligere letture erudite e raffinate come il Petrarca (volgare e latino), i classici latini di età augustea, ma disprezzare apertamente il Decameron, e delegare la notorietà del Certaldese alle sue opere latine. 6 Altre edizioni fanno seguito alla vendeliniana: Reggio 1481, Vicenza 1487, poi alcune edizioni veneziane (1494, 1497) di diversi stampatori, fra cui il Locatelli, che riproduce per la prima volta i celebri alberi genealogici delle divinità, risalenti all’autografo e già riscontrati nella tradizione manoscritta. Questi alberi continuano ad essere riprodotti con varianti insignificanti sia nell’edizione parigina del 1511, che in quella veneziana dello stesso anno di Agostino de Zanni; questa è l’ultima edizione delle Genealogie in latino stampata in Italia. L’ultima e migliore edizione nel ’500 in latino delle Genealogie è quella di Basilea, 1532, che si deve all’umanista strasburghese Jakob Moltzer. Dopo l’edizione del Micyllus, bisognerà aspettare gli anni 1950 per leggerla di nuovo, in un’edizione per altro contestata4. Gli alberi genealogici degli dei 7 Negli anni in cui Boccaccio intraprende il suo ambizioso progetto di enciclopedia mitica sono compilati dei piccoli compendi che Boccaccio stesso raccoglie, intitolati sistematicamente genologie o geonologie5 . Il più significativo è quello di Paolo da Perugia, il bibliotecario di Roberto d’Angiò e grande fornitore di libri del Boccaccio, ma una altro è firmato Forese Donati e Franceschino degli Albizzi; a Paolo da Perugia il Certaldese fa riferimento costantemente, forse addirittura gli deve l’impulso archittettonico dell’opera. L’uso così esteso della struttura genealogica, dimostra che il Trecento avverte il bisogno di visualizzare il patrimonio mitico in forma di discendenze, di legami di parentela; tuttavia il disegno vero e proprio degli alberi, comporta un elemento a prima vista incoerente: il fondatore di una data stirpe divina, invece di essere segnato in basso alla radice dell’albero, è rappresentato in alto al centro, in un medaglione; la sua discendenza è disposta quindi su delle foglie attaccate a dei rami, secondo un movimento discendente, in armonia appunto con l’idea di discendenza, ma in contraddizione con l’aspetto naturale di un albero, in celum versa radice, come dice il Certaldese. La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 2 8 Secondo E. H. Wilkins6, gli alberi delle Genealogie sono i primi alberi di tradizione secolare, cioé non biblici, disposti in rami e foglie. Una fonte è certamente la tradizione giuridica medievale (le arbores iuris), in cui però i diagrammi di parentela non sono disposti secondo una decorazione arborea, ma secondo un semplice schema geometrico di rette e segmenti. Al tempo di Boccaccio sono numerosi i manoscritti della Bibbia corredati da un albero con la genealogia di Cristo, in cui sono rappresentati in movimento ascendente gli antenati di Cristo e in cima Cristo stesso. L’accostamento a quest’ultimo tipo non è forse così innocente, essendo le Genealogiae una complessa operazione di riabilitazione del sapere antico. 9 Sarebbe dunque, secondo Wilkins, la suggestione incrociata di queste rappresentazioni genealogiche ad aver suggerito a Boccaccio i suoi alberi figurativi di divinità olimpiche, con la particolarità, appunto, che il fondatore della stirpe compare in alto in un medaglione centrale (come il Cristo degli alberi biblici) e che i rami e le foglie rappresentanti la discendenza procedono dall’alto al basso, cioé nel senso per così dire contro natura, sul modello dei diagrammi genealogici della tradizione giuridica. 10 Uno dei primi sintomi della difficoltà ad assumere il modello boccacciano per la mitografia cinquecentesca, è il fatto che si abbandonerà questa complessa disposizione genealogica, che implicava oltre tutto, come ciascun sa, la moltiplicazione delle Veneri, dei Giovi, ecc. e che doveva risultare un’inutile forzatura, volta a contenere il patrimonio mitologico antico in un’unica, impossibile cornice. 11 L’ultimo adepto del metodo genealogico è Giovan Francesco Pilade (Boccardo), l’autore di un testo poco noto, il Deorum genealogiae, pubblicato per la prima volta nel 1502. Si tratta di un’opera in distici elegiaci, forse concepita per un uso didattico (l’autore era infatti precettore presso la famiglia Terzi di Brescia), in cui le divinità olimpiche sono presentate secondo uno schema boccacciano semplificato. La sorte editoriale di questo libretto sarà in seguito legata alle edizioni, presso Oporinus, a Basilea, delle Opere di Esiodo, nella traduzione in latino dello stesso Pilade. 12 Trattandosi dell’unico esempio cinquecentesco di genealogia mitologica, l’operetta merita alcune osservazioni, che illustrano oltretutto una fase in cui la fortuna di Boccaccio mitografo comincia a declinare. Nell’esordio del poema, Boccaccio è citato, in quanto fonte, unico autore latino, insieme ad Esiodo e Diodoro Siculo, anzi, dichiara Pilade, il Certaldese avrebbe arricchito la materia mitologica e ne avrebbe fatto progredire la scienza. La filiazione viene confermata dalla scelta di Pilade di porre a capostipite degli dei un primo dio nominato Gorgone. La scelta di troncare le prime sillabe di Demogorgone è dettata meno dall’imperativo metrico che dall’allusione a Lucano, mediata dall’opera boccacciana, in cui una divinità ancestrale è nominata Gorgon, il cui nome non deve essere pronunciato, e che unito al Chaos, cioé alla materia informe, genera le cose del mondo7. Demogorgone 13 L’altro indizio macroscopico della fortuna umanistica e rinascimentale delle Genealogiae è il credito/discredito di cui gode la misteriosa figura di Demogorgone, a cui Boccaccio fa risalire tutta la stirpe degli dei pagani. 14 La vexata quaestio a proposito di Demogorgone merita forse di essere evocata qui nei dettagli. Cito il testo di Boccaccio: La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 3 Descritto l’albero, con somma maestà di tenebre, quell’antichissimo antenato di tutti gli dei gentili, d’ogni parte circondato di nebbia e caligine, comparve a me, che camminavo nelle viscere della terra; Demogorgone, orribile nel nome stesso, velato di una certa muscosa pallidezza e di umidità trascurata, emettendo un odore di terra tetro e fetido, dichiarandosi, più per parole altrui che per le proprie, il padre del misero principato degli dei; e si fermò dinnanzi a me, artefice di nuova impresa. Risi, lo ammetto, mentre lo vedevo memore della stoltezza degli antichi, che lo ritennero da nessuno generato, eterno e padre di tutte le cose e nascosto nelle viscere della terra8 . 15 Sarebbero stati gli Arcadi, antichissimo popolo rustico e selvaggio, a celebrare per primi questo padre; il mistero avrebbe poi circondato il culto di un dio innominato, terribile e maestoso, cosa confermata poi da altre fonti citate da Boccaccio, come Lucano e lo scoliaste della Tebaide staziana, Lattanzio Placido, di cui Boccaccio possiede un manoscritto con alcuni fogli di suo pugno (il Laur. Plut. XXXIII, 31). Una volta spiegata l’origine storica del culto e la mancata diffusione del nome, Boccaccio intenta una spiegazione etimologica, Demon come demone o sapere, Gorgon terra, cioé Dio della terra o sapienza della terra. 16 Il ruolo eminente di Demogorgone attirerà a Boccaccio un grandissimo numero di critiche, proprio perché prova, secondo gli eruditi del Cinquecento, della sua incapacità ad interrogare in modo critico le fonti. Ma ancora nel Quattrocento non è così: l’uso più o meno implicito delle Genealogie come silloge vicina e disponibile di un corpus tardoantico e greco è dimostrato fra gli altri da Giovanni Tortelli, che lo riprende nel suo De orthographia9 , ma soprattutto da una citazione di Marsilio Ficino che pochi studiosi hanno notato: Quo quidem pacto deos per mundum intelligibilem primo distinguimus. Prima enim per formalia distinctio est in eo. Unitas igitur illa caputque divine mentis cognomento primi dei quandoque forsan poterit appellari, sive bonum, sive Demogorgon, sive aliter precipue quidem ipsum simpliciter primum10 . 17 Si tratta del Commentarium al Fedro platonico, Ficino sta dettagliando i diversi modi di enumerare gli dei secondo i platonici, disposti fra l’Intelletto supremo e l’anima mundi, considerandoli secondo le proprietà generali; assume dunque la gerarchia boccacciana, facendo risalire come principio fondatore delle stirpi divine un essere supremo, che non ha nome se non sempliciter primus, appunto. 18 Al centro del ragionamento di Ficino sta il tema scottante della possibilità di conciliare la mitologia pagana e la relativa teologia con la verità cristiana. In Ficino l’Olimpo pagano sarà allegorizzato secondo dei metodi corrispondenti a vari paradigmi neoplatonici, non più i quattro livelli dell’interpretazione figurale; ad esempio, si possono disporre le divinità secondo le tre ipostasi plotiniane, cioé l’Uno, a cui corrisponde il dio primo o Demogorgone, il Primo Intelligibile, cui corrispondono Saturno e i dodici dei olimpici; infine l’anima mundi, ovvero Giove e i pianeti. È evidente la riluttanza di Ficino a nominare il Primo, che già Platone tende a nominare il Bene o il Primo assoluto11 ; né questo Demogorgone del Commentarium in Phaedrum va confuso col Demiurgo, come invece sosterranno gli esegeti cinquecenteschi di Boccaccio, giacché per Ficino si tratta di figure ben distinte, che non si incrociano mai, situandosi in contesti filosofici ed esegetici diversissimi. È chiaro inoltre che Ficino assume la genealogia pagana del Certaldese senza mettere in dubbio la fondatezza dell’oscuro padre delle stirpi divine, legittimandone così l’autorevolezza in materia di mito pagano. La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 4 19 A partire dagli anni 1520-1530 (come dimostra il giudizio di Paolo Giovio) l’interesse per le Genealogiae comincia a declinare. Certamente l’erudizione cinquecentesca è irritata da quello che ancora non disturbava un Tortelli, cioé il ricorso a fonti greche di seconda mano, un latino piuttosto barbaro; inoltre, il moltiplicarsi dei testi antichi, specie greci, di mitologia a disposizione degli autori, fa ormai impallidire la cultura del Certaldese. Poi il ’500 italiano conosce la sua nuova grande stagione di mitografi, che si inaugura con l’impresa di Lilio Gregorio Giraldi e il suo De diis gentium del 1548. 20 La novità rappresentata da quest’opera sta nell’approccio critico. Si tratta di una vera e propria storia delle religioni, in cui l’autore indaga sulle origini dei culti, mette riti e tradizioni a confronto. In questo Giraldi è, suo malgrado, debitore di Boccaccio. Da vero filologo, interroga le sue fonti in modo incrociato e affronta per la prima volta con metodo critico-filologico l’interpretazione del misterioso Demogorgone. E questo in posizione eminente, cioé nella lettera prefatoria a Ercole II d’Este, quasi a voler calcare la propria autonomia rispetto al pur autorevole predecessore. 21 In effetti, negli anni in cui Giraldi compone la sua mitografia, Demogorgone ha perduto gran parte del suo misterioso potere di padre fondatore, per ridursi, dal momento in cui se ne appropria la tradizione cavalleresca, a principe delle streghe e delle fate. È con questo ruolo che lo si incontra nel Boiardo, in Folengo e in Ariosto12 ; e ancora se ne ha testimonianza in alcuni Mystères francesi del ’400. Sfuggito alla tradizione erudita, il personaggio di Demogorgone è diventato un principe demoniaco, evocatore di magia e poteri diabolici, come testimonia più tardi Jacopo Mazzoni nella sua Difesa della Commedia 13 ; o ancora, Demogorgone sarebbe uno dei maghi elencati da Apuleio nella sua Apologia secondo il per altro raffinatissimo filologo Giovan Battista Pio, il quale a questo proposito confonde Damigeron con Demogorgon14 ; errore che gli viene puntualmente e implacabilmente rinfacciato da Aulo Parrasio in una lettera15 . 22 Si veda ora l’argomentazione pur cauta di Giraldi, al fine di ricostruire il supposto ‘errore’ del Certaldese, una ricostruzione essenziale al fine di ripercorrere le tappe della matura mitografia rinascinementale, di cui appunto Giraldi è l’iniziatore. 23 La premessa metodologica del Ferrarese implica il superamento esplicito, senza appello, del metodo genealogico di Boccaccio: Non genealogias Deorum dico, sed et nomina, et cognomina, effigieque, insigniaque et quae patria cuique est, sacra quoque atque cerimonias16 . 24 Dunque, la mitologia moderna implica l’analisi prospettica della rappresentazione iconografica e lo studio storico-antropologico del culto legato alle divinità. Poi parte il secondo ancor più virulento affondo nei confronti del Certaldese: Non illud tamen in hoc libro mireris volo, Dux eruditissime, quod non a Demogorgone, illo famigerato meam de Deis narrationem sum scribere exorsus, quem vetustissimum Deorum putavit Boccatius, unum (ut puto) secutus Lactantium, seu Lutatium Grammaticum; nam quos caeteros citat, non minus mihi ignoti, quam ipse est Demogorgon17 . 25 Le discutibili fonti a cui fa allusione Giraldi altri non sono se non il misterioso Teodonzio, mitografo a tutt’oggi in gran parte sconosciuto, del quale invece si erano serviti largamente sia Paolo da Perugia, sia Boccaccio. Quibus verbis motus ipse mecum saepe et diu cogitavi, quis hic magnus Deus Demogorgon, quem nusquam gentium invenio, praeterquam apud unum Grammaticum et illum secutum Boccatium et post hos, recentes quosdam et minutos scriptores; cum tamen ideo omnes vel Latine vel Graece qui de Deis et Deorum natura scripserunt, evolverim, et in primis Marcum Tullium, et Phurnutum, et cum his Platonis Dialogos et simul nostros scriptores qui contra La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 5 gentium Deos scripsere, si qua forte tam magni Dei sese mihi noticia offerret; nusquam Demogorgon iste, nusquam inquam apparuit. Quare mihi potius visum est Demogorgonis vocem in dhmiourgovn convertere, qua voce Plato caeterique viri magni usi sunt, Deum summum et opificem cunctorum significantes, cuius etiam Dei nomen et Hebraeorum religio occultum, nec vulgatum esse volebat. Nam quod Boccatius Gorgon ait terram significare, et Demon Deum, sua est ipsius Boccatii interpretatio, partim vera, et partim falsa, sed tota praepostera. Quo fit, ut saepe miratus sim nescio quos, qui tantam illius Genealogiis auctoritatem impenderint, ut non illas modo in testimonium citent, sed etiam (ut audio) interpretati sint. Non tamen equidem inficias ierim, Johannem Boccatium hominem fuisse studiosissimum, et elegantis ingenii, ut ea ferebant tempora, ingeniosum etiam et eruditum, sed non in Latinis et eo minus in Graecis is fuit, qui in proprio idiomate, hoc est, in Hetruscis, patrio scilicet et vernaculo sermone, in quo soluta oratione omnes ante et post eum qui scripserunt, magno post se intervallo reliquit18 . 26 Giraldi ha colto nel segno: Demogorgone è quasi certamente una corruzione di demiourgon , tale corruzione risale già ai codici più antichi di Lattanzio Placido, errore in cui persevera Boccaccio. Per il resto il giudizio di Giraldi sembra senza appello: Boccaccio resta ineguagliato maestro in quanto prosatore toscano, ma il latino e l’erudizione classica non sarebbero materia sua. L’auctoritas è detronizzata. Giraldi intende aprire una nuova moderna stagione di studi del mito antico; le Genealogiae boccacciane possono ormai restare sullo scaffale. 27 Invece, proprio negli stessi anni in cui Giraldi porta a termine la sua opera, le Genealogiae conoscono una rinnovata stagione di successo, il cui artefice è il traduttore in volgare Giuseppe Betussi. Betussi ha già tradotto il De casibus virorum illustrium e il De claris mulieribus; queste due opere sono perfettamente dans l’air du temps: corrispondono al gusto rinascimentale per il “caso”, il destino umano, per la biografia d’eccezione, inoltre godono di riflesso dello straordinario successo di pubblico del Decameron, un pubblico, come nota L. Nadin Bassani19, sempre avido di novità. Nel 1547, Betussi intraprende dunque la traduzione delle Genealogiae in un clima editoriale effervescente20; ma appare subito come una sorta di rimessa in gioco di un titolo obsoleto, inadatto. Le difficoltà della traduzione non mancano, ciò nondimeno è un ottimo successo: le edizioni si moltiplicano e se ne contano una ventina fino alle fine del secolo. 28 A ben vedere, pur lasciando scettico il pubblico degli eruditi e degli intellettuali più esigenti, le Genealogiae, accolte inizialmente come opera minore in latino, si leggono e si vendono come opera in volgare, per un pubblico di lettori che è lo stesso del Decameron; inoltre conquista un nuovo destinatario, decisamente ghiotto di descrizioni di antiche divinità, cioé gli artisti. Non a caso è documentata la conoscenza da parte di Tiziano della traduzione del Betussi, il pittore veneziano era tuttavia più sensibile alle implicazioni filosofiche dei due ultimi libri delle Genealogiae, che all’iconografia e all’allegoresi di grande consumo dei repertori mitografici del tempo21. 29 Più generoso in citazioni e meno severo nel giudizio è Vincenzo Cartari, altro grande bestseller della mitografia cinquecentesca, di cui si contano moltissime edizioni, progressivamente accresciute, a partire dal 1567. Cartari concepisce la sua silloge in modo radicalmente diverso dal Giraldi: in volgare, con opulente illustrazioni, Cartari intende creare un vademecum per artisti e illustratori, a questo scopo si concentra essenzialmente, come dice il titolo, sull’immagine, cioè l’aspetto, gli attributi anche più rari delle divinità pagane, e si interroga poco sulla veridicità delle fonti e la loro attendibilità rispetto al sapere antico. In questo senso liquida in fretta la “questione” Demogorgone, probabilmente assumendo la tesi di Giraldi22 . Sempre a caccia di temi iconografici inediti e rari, Cartari cita abbondantemente i «moderni», fra cui Boccaccio, a La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 6 cui deve ad esempio la descrizione del carro di Oceano23, oppure la notizia della gramigna pianta sacra a Marte24. In altri termini, laddove Giraldi tenta di fondare una scienza moderna del mito, Cartari mette invece il mito al servizio dell’artista. 30 Ostentatamente indipendente dal Certaldese si mostra il terzo grande mitografo del Rinascimento, Natale Conti: le sue Mythologiae sive explicationis fabularum libri decem (1581) non ne fanno mai cenno, lo escludono deliberatamente da un catalogus scriptorum per altro impressionante, ma il metodo etico-allegorico che Conti approfondisce nel libro X è senz’altro derivato dalle Genealogiae25, nonché l’apologia della favola antica e della sua utilità per il progresso dell’umanità. L’apparato fiorentino del 1565 31 Nella primavera del 1565 Cosimo I de’Medici affida al Priore dello Spedale degli Innocenti, Vincenzio Borghini, un cruciale compito di propaganda: l’organizzazione dei festeggiamenti per il matrimonio del 32 figlio Francesco con Giovanna d’Austria, sorella dell’imperatore Massimiliano II. Le varie fasi dell’organizzazione e l’apparato dei festeggiamenti sono ampiamente documentati dai carteggi e dagli appunti dello stesso Borghini. Durante tutta l’estate del 1565, lo Spedalingo si immerge nello studio degli apparati effimeri degli anni precedenti: ingressi di Carlo V in varie città italiane, l’incoronazione di Enrico II e Caterina de’ Medici a Lione; raccoglie un materiale impressionante e coordina il lavoro degli artisti esecutori nei minimi dettagli. 33 L’investimento in termini d’immagine per il Granduca è evidente: si tratta di imporre la sua famiglia sullo scacchiere europeo, esibire lo splendore e la magnificenza della giovane corte fiorentina, impressionare allo stesso tempo la cittadinanza e l’imperial famiglia della sposa. Non dimentichiamo che il matrimonio è l’occasione anche per una serie di interventi urbanistici di rilievo, e decisamente duraturi rispetto all’apparato effimero. Il corridoio vasariano, simbolo del potere granducale, fu costruito nella stessa estate in soli quattro mesi. Insomma, l’enjeu est de taille: il Granduca non intende perdere quest’occasione per consolidare il proprio potere sia in politica interna che estera. 34 La realizzazione materiale dell’apparato viene affidata a Giorgio Vasari e alla sua squadra, esso doveva ricevere la principessa nel suo ingresso in Firenze nel dicembre del 1565: ogni tratto del percorso trionfale prevedeva un vero e proprio restyling della città, con figure simboliche, archi effimeri, gruppi scultorei, ecc. 35 I festeggiamenti proseguirono durante tutto il mese di dicembre e culminarono con il carnevale del 1566 (1565 more florentino), il cui evento maggiore si svolse la sera del 21 febbraio, giovedì grasso, cioé la Mascherata della Genealogia degli Dei, una magnifica quanto sensazionale sfilata di carri allegorici, nella migliore tradizione fiorentina. 36 Curiosamente, mentre si dispone di un’ampia documentazione sull’apparato trionfale dei mesi precedenti, mancano tracce scritte delle fasi di elaborazione della Mascherata. Restano soltanto i disegni del Vasari, che diresse la realizzazione dei carri, e due descrizioni che rendono conto nel dettaglio dell’evento, La Mascherata della genealogia degli iddei de’ Gentili di Baccio Baldini 26 e una descrizione dell’apparato dell’amico e collaboratore di Vasari Giovan Battista Cini, inclusa successivamente nell’edizione delle Opere del Vasari27 . L’attenzione per i dettagli nelle due descrizioni è comunque il segno – e Baldini lo dice a chiare lettere – che la Mascherata non fu compresa e che il programma La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 7 culturale di Borghini e Vasari risultò oscuro a gran parte dei fiorentini. Baldini ritiene inoltre necessarie delle giustificazioni di ordine religioso e afferma che la Mascherata di «dei falsi e bugiardi», sarebbe una forma di rispetto per il vero Dio, che non deve essere implicato in una festa triviale. L’autore della Mascherata, che Baldini non nomina mai, avrebbe dunque umilmente scelto di seguire la Teogonia esiodea e le Genealogie di Boccaccio, privilegiando più precisamente il sistema del Certaldese perché ritenuto «più distinto, più chiaro, più ordinato». Perché la Mascherata, che andò fuori gli XXI dì di febraio del LXV fu tanto varia e tanto copiosa di figure, ch’e’potrebbe essere agevolmente, che in quel tempo, che ella durò a andar fuori la non fusse cosi compresa da ognuno, e per questo forse da qualcun biasimata: perciò io non credo che e’fussi per esser tenuto fuor di proposito di render ragione in questo discorso dell’intendimento di chi la mandò fuori: delle figure, che vi furono dentro e degli habiti e ordini loro. Dico adunque che il fine dell’Autore fu di finger la genealogia de’ principali Dei de’ Gentili et mettergli in su i Carri come loro maggior maestà usoron far gli antichi, e per mostrare ancora in questo modo il veloce corpo de’ corpi celesti, il variar degli elementi, di che essi son cagione. […] Furono adunque li principij di tutti gl’Iddei de’ Gentili duoi, l’uno de’ quali fu Chaos posto per principio loro da Hesio [do] […], l’altro fu Demogorgone, insieme con la Eternità, e con il Chaos suoi compagni posti per primi principij di tutt gl’Iddei da M. Giovanni Boccaccio nel primo libro della Genealogia degl’Iddei de’ Gentili, il quale rendendo la ragione per che gli antichi Gentili havessero piu Iddei, dice che la cagion fu questa, che philosophanti nel render ragione dei principij delle cose naturali portarono diverse oppenioni e fu qualcun di lor che disse [riporta le tesi circa l’archè dei presocratici], perché le genti allhora roze cominciarono ad adorare iddei chi uno e chi altro di quegli elementi ch’eglino sentivono lodar tanto da coloro che e’credevano che fusser savi, si come eglino erano in fatto; […] e fu ancora antichissima opinione degli Arcadi che in quella [nella Terra] fusse una divina virtù, chiamata Demogorgone, il quale avesse da prima fatto e hora conservasse tutte le cose naturali, e questo fu da loro primieramente adorato come primo principio d’ogni cosa, e come quello da cui dipendesse il tutto; e questa oppenione che gl’Iddij fussero più che uno, fu ancora accresciuta da’ Poeti, i quali lodando assai chi uno, chi altri, fecion credere al mondo che quei ch’e’ lodavano tanto, fussero più che huomini e per conseguente o Heroi, o Dei, et che eglino dopo la morte fussero iti in cielo e divenuti chi una stella chi un’altra. […] Havendo adunque (si come si è detto) tutti questi Iddij degli antichi Gentili, e buoni e cattivi un de’ duoi principij, cioé il Chaos o Demogorgone pare allo Authore molto meglio appigliarsi a Demogorgone che al Chaos si come a principio chiaro, distinto, ordinato, e più agevole a fingerlo che il Chaos e ancora percioché chi disse che Demogorgone era stato adorato come principio di tutti gli Iddei gli assegnò per compagni la Eternità e il Chaos, quella per dimostrare che egli non haveva principio alcuno, questo come materia della quale egli avesse da prima fatto e hora continuamente facesse tutte le cose28. 37 Ecco invece la descrizione del Carro di Demogorgone del Cini, a dimostrare la fedeltà al testo di Boccaccio: Da Demogorgone, dico, incominciandoci si vedeva sotto forme d’una oscura e doppia spelonca il predetto suo carro da due speventvoli dragoni tirarsi, e per Demogorgone un pallido e arruffato vecchio figurando, tutto di nebbie e caligini coperto, si vedeva nell’anterior parte della spelonca tutto pigro e nighittoso giacersi, essendo dall’una parte messo in mezzo dalla giovane Eternità, di verdi drappi (perché elle mai non invecchia) adorna, e dall’altra del Caos, che quasi d’una massa senza veruna forma aveva sembianza. Sorgeva poi fra la prescritta spelonca, che le tre prescritte figure conteneva, un grazioso colletto, tuto d’alberi e di diverse La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 8 erbe pieno e adorno, preso per la madre Terra, in cui dalla parte di dietro si vedeva un’altr spelonca, benché più oscura della descritta e più cava, nella quale l’Erebo di giacere similmente sembrava, e che similmente dalla Notte, della Terra figliuola, con due putti, l’uno chiaro e l’altro scuro, in bracio era dall’una parte messo in mezzo, e dall’altra dall’Etere dalla predetta Notte e dal predetto Erebo nato, che sotto forma d’un risplendente giovane con una turchina palla in mano parve che figurar si dovesse. Ma a pié del carro poi si vedeva cavalcare la Discordia, separatrice delle confuse cose, e perciò conservatrice del mondo da’ filosofi reputata, e che di Demogorgone prima figliuola è tenuta […]29 . 38 Resta adesso da capire di chi fu l’idea di ricorrere alle Genealogiae per quest’ultimo tocco finale di strategia scenica del potere di Cosimo I. A giudicare dall’organizzazione del resto dell’apparato, fu di Borghini; è questa la tesi di J. Seznec e di A. M. Petrioli Tofani30, ma accolta con alcune riserve dalla letteratura critica più recente31. Mancano le prove, cosa tanto più strana quanto invece abbondano le testimonianze per l’apparato trionfale. D’altra parte si può difficilmente attribuire l’intera paternità della Mascherata al Vasari, benché il fatto che avesse incluso con prepotenza la Descrizione del Cini nella propria edizione, fa credere che ci tenesse in modo particolare. 39 Non dimentichiamo che Borghini è un cultore di Boccaccio e che, chiamato a presiedere il comitato per la celebre “rassettatura” del Decameron, alcuni anni dopo, si troverà stretto nel tentativo di mediare fra le esigenze inquisitoriali e quelle degli Accademici fiorentini, ma soprattutto nel cercare di difendere l’opera del Certaldese. 40 Chiunque ebbe l’idea di basare la Mascherata sul testo delle Genealogiae, lo scopo ancora una volta, è chiaro. Non si tratta semplicemente, come hanno sostenuto Seznec e la Petrioli Tofani, di rispondere a un gusto ormai manierista, dell’erudizione ricercata, bizzarra, che cerca di stupire il pubblico con l’insolito, una estenuata e ormai decadente forma di umanesimo erudito. La mia ipotesi è che si tratta di un’operazione palesemente politica. La riabilitazione del Boccaccio mitografo erudito è una riabilitazione del sapere fiorentino, della cultura fiorentina, della fiorentinità. Cosimo I intende legittimare l’ancor giovane Granducato, cercando le marques de noblesse culturali anche nelle ormai polverose e superate Genealogie degli Dei. La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 9 L’albero genealogico di Demogorgone, Genealogiae Joannis Boccatii, Venetiis, Manfredum de Strevo, 1497 (Bibliothèque nationale de France) NOTE 1.  Ecco qualche titolo di riferimento, dal celebre intervento di étienne Gilson, «Poésie et vérité dans la Genealogia de Boccace», Studi sul Boccaccio, 2, 1964, pp. 253-284, Lucia Marino; «Prometheus, or the mythographer’s self-image in Boccaccio’s Genealogie», Studi sul Boccaccio, 12, 1980, pp. 263-273, John Mulryan, «Venus, Cupid and the Italian Mythographers», Humanistica lovaniensia, 23, 1993, pp. 31-41, Claude Cazalé Bérard, «Boccaccio e la Poetica: Mercurio, Orfeo e Giasone, tre chiavi dell’avventura ermeneutica», Studi sul Boccaccio, 22, 1994, pp. 277-306 e Anna Cerbo, Metamorfosi del mito classico da Boccaccio a Marino, Pisa, ETS, 2001. Si attende la pubblicazione delle ricerche di P. Maréchaux di cui è stato consultato, per questo lavoro, il saggio inedito D’Ovide à Boccace: jalons pour une décennie mythographique. 2.  Paolo Giovio, Ritratti degli uomini illustri, ed. C. Caruso, Palermo, Sellerio, 1999, p. 92 («I libri delle Genealogie degli dei, Della varietà della fortuna e dei Monti sono tuttavia caduti in disuso e mantengono a stento un alito di vita, opere poco felici ma scritte con accuratezza, mentre invece le favole di dieci giorni [Decamerone] nello stile delle Milesie, composte con ammirevole piacevolezza, allo scopo di dilettare l’ozio, sono tradotte in tutte le lingue e, con il plauso del popolo, superano la grazia di tutte le altre opere»). La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 10 3.  È il caso vistoso degli inventari di biblioteche alto-borghesi come quella di Salvestro Zanobi del 1496, o della famiglia Gaddi in Firenze del 1494, studiati da Christian Bec, Cultura e società a Firenze nell’età della Rinascenza, Roma, Salerno Editrice, 1981, pp. 185-188, pp. 199-201. 4.  Per la descrizione delle edizioni antiche cf. Attilio Hortis, Studi sulle opere latine del Boccaccio, Trieste, Dase, 1879, pp. 919-923; Ernest H. Wilkins, «The genealogy of early editions of the Genealogia deorum», in Id., The invention of the sonnet and other studies, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1959, pp. 147-162. Nel 1951 è pubblicata presso Laterza l’edizione di V. Romano, basata sull’autografo redatto intorno al 1365. Mentre V. Zaccaria, cui si deve l’edizione critica delle Genealogiae (Milano, Mondadori, 1998) ha dimostrato che i manoscritti della Vulgata propongono un testo ulteriormente elaborato dall’autore. Per la ricostruzione del testo si veda Ibidem, Nota al Testo pp. 1591-1592, e anche Vittorio Zaccaria, Boccaccio narratore, storico, moralista e mitografo, Firenze, Olschki, 2001, pp. 109-119. 5.  Si veda, per questi, A. Hortis, Studi…, op. cit. 6.  E. H. Wilkins, «The genealogy of the genealogical trees of the Genealogia deorum», in The invention…, op. cit., pp. 163-167 7.  Giovan Francesco Pilade, Deorum Genealogiae, s.l. [Paris], R. Gourmont, 1508: «Carmine concipimus Geneas cantare Deorum / quos pia gentiles turba vocare solet: / quo nam quosque patre, et qua sit genitrice creatus / Forsitam et clarum siquid in orbe dedit; / in quibus Ascraei pars non est ultima vatis, / multa etiam siculus quae Diodorus agit. / Quicquid et agessit quondam Certaldus in unum; / aut veteres scriptis nos docuere suis. / […] Quem primum longaeva deum Commenta vetustas / dicitur: huic nomen Gorgonis illa dedit / quod neque fas aperire foret, nec prodere cuiquam: / hac venerata suum relligione deum. / Hunc sine principio, nulloque autore parentem / credidit in tenebris degere posse Chai. / Id chaos (ut perhibent) rudis atque incondita rerum / materies uno corpore iuncta fuit». 8.   GDG, ed. e trad. V. Zaccaria, op. cit., p. 71: «Summa cum maiestate tenebrarum, arbore descripta, veternosus ille deorum omnium gentilium proavus, undique stipatus nebulis et caligine, mediis in visceribus terre perambulanti michi comparuit Demogorgon nomine ipso horribilis, pallore quodam muscoso et neglecta humiditate amictus; terrestrem tetrum fetidumque evaporans odorem, seque miseri principatus patrem potius alieno sermone quam so confessus verbo, me coram novi lavoris opifice constitit. Risi, fateor, dum illum intuerer, memor stultitie veterum qui illum a nemine genitum eternum et rerum omnium patrem atque in terre visceribus delitescentem rati sunt». 9.  Paola Tomé Marcassa, «Giovanni Tortelli e la fortuna umanistica del Boccaccio», Studi sul Boccaccio, 28, 2001, pp. 229-259. 10.  «In questo senso, prima distinguiamo gli dei come sono disposti nel mondo intelligibile. La prima distinzione tiene conto delle proprietà formali. Dunque a volte, si può attribuire all’unità e al capo della mente divina il nome di primo Dio, oppure bene, oppure Demogorgone, oppure il semplicemente primo». Per l’edizione moderna vedasi Michael J. B. Allen (ed. e trad.), Marsilio Ficino and the phaedran charioteer, Berkeley, University of California Press, 1981, p. 115. 11.  Cf. Michael J. B. Allen, The Platonism of Marsilio Ficino, a Study of his Phaedrus Commentary, its Sources and Genesis, Berkeley, University of California Press, 1984, pp. 123-127. 12.  Cf. Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato, II, XIII, 26-29 («Sopra ogni fata è quel Demogorgone / […] e iudica fra lor e fa ragione […]»); Ludovico Ariosto, Cinque Canti, I, 4 («Quivi Demogorgon che frena e regge / le Fate […]); Teofilo Folengo, Baldus, XXIII, e altri passi. Per lo studio di Demogorgone nel Rinascimento si veda Carlo Cordié, «Alla ricerca di Demogorgone», in Studi in onore di Angelo Monteverdi, Modena, Società tipografica modenese, 1959, vol. I, pp. 158-184. 13.  Jacopo Mazzoni, Della difesa della Commedia di Dante, Cesena, Raveri, 1587, p. 188, dove si legge che i demoni malvagi secondo i Gentili erano «posti sotto un capo nomato da essi Gorgone, o Demogorgone, del quale ha parlato Statio nella Thebaide, Valerio Flacco negli Argonauti, Aristophane ne gli Acharnensi». La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 11 14.  Annotationes doctorum virorum in grammaticos, oratores, poetas, philosophos…, Paris, J. Petit et J. Bade, 1511, J. B. Pius, Annotationes posteriores, fol. 165: «Ego ille sim Carmondas vel Damigeron vel Hismoses vel Johannes vel Apollonius vel ipse Dardanus; vel quicumque alius post Zorastrem et Hostanen inter magos celebratus est. Scribo Charmondas Demogorgon vel Moses; hic Charmondas fuit legum conditor pythagoricae philosophiae assectator […]; Demogorgon magus fuit tam excellens […]». 15.  Maria Pia Mussini Sacchi, «Per la fortuna del Demogorgone in età umanistica», Italia medioevale e umanistica, 34, 1991, pp. 299-310. 16.  Lilio Gregorio Giraldi, Historiae deorum gentilium, in Opera, Basileae, T. Guérin, 1580, vol. I, Epistula nuncupatoria: «Non ho intenzione di scrivere delle genealogie degli dei, ma dei nomi, dei soprannomi, delle immagini, degli attributi, delle origini, e dei riti e delle cerimonie di ciascuna divinità». 17.  Ibid.: «Dunque non voglio che ti stupisci, eruditissimo principe [Ercole d’Este], se non ho iniziato la redazione di questo mio libro sugli Dei da quel famigerato Demogorgone, che Boccaccio ritenne il più antico delle divinità, avendo (come credo) dato retta soltanto a Lattanzio, ovvero Lutazio Grammatico [lo scoliaste di Stazio]; anzi cita anche altri a me non meno ignoti dello stesso Demogorgone». 18.   Ibid.: «A lungo e spesso pensavo fra me e me a chi potesse essere questo gran dio Demogorgone, che non trovavo in nessun autore gentile, eccetto il solo Lutazio Grammatico, Boccaccio, e dopo di loro, alcuni scrittori recenti di scarsa importanza; inoltre consultando le opere di tutti i Greci e Latini che avevano scritto degli dei e della loro natura, innanzitutto Cicerone, Fornuto e Platone, […] mai, dico mai incontravo questo Demogorgone. Per questo motivo il termine Demogorgone mi parve da tradursi demiurgon, termine usato da Platone e da altri grandi uomini, per significare il sommo Dio, l’Artefice di tutto, il cui nome di Dio è tenuto occulto anche nella religione degli Ebrei, né doveva essere divulgato. Infatti, quando Boccaccio dice che Gorgon significa terra e Demon Dio, è un’interpretazione sua personale, in parte vera, in parte falsa, ma totalmente fuori luogo. Per questa ragione mi sono spesso stupito di vedere che non so chi, assegnando tanta autorità alle sue Genealogie, non solo lo citano a testimone, ma addirittura lo interpretano (come sento). Pur tuttavia non intendo contestare che Giovanni Boccaccio fu un uomo dottissimo, di elegante talento, per quel che consentivano quei tempi, intelligente ed erudito, ma non tanto in latino né tanto meno in greco, ma piuttosto nel suo proprio idioma, cioé il toscano, e tanto eccelse nella prosa della lingua vernacolare della sua patria da superare chi venne prima e dopo di lui». 19.  Lucia Nadin Bassani, Il poligrafo veneto Giuseppe Betussi, Padova, Antenore, 1992, p. 56 sq. 20.  G. Boccaccio, Della genealogia de gli dei de’ Gentili libri quindeci, Venezia, Comin da Trino, 1547. 21.  Su questo punto si veda Augusto Gentili, Da Tiziano a Tiziano, Mito e allegoria nella cultura venziana del ’500, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 187. 22.  Vincenzo Cartari, Imagini de gli dei delli antichi, Padova, P. P. Tozzi, 1615, p. 16: «Benché il Boccaccio ove racconta la Genealogia dei Dei, dica che la [Eternità] diedero gli antichi per compagna a Demogorgone solamente, quale ei mette, che fosse il primo di tutti i Dei, e che habitasse nel mezo della terra tutto pallido, e circondato di scurissima nebbia, coperto di certa humidità lanuginosa, come sono apunto quelle cose che stanno in luoco humido. Ma io non ho trovato ancora mai, né visto scrittore anticho che parli di costui. Però dico, che la Eternità stava sempre con quelli Dei, che erano creduti immortali». 23.  Ibid., p. 233: [Oceano], che fu come riferisce Boccaccio, dipinto sopra un carro tirato da Balene per l’ampio mare e gli andavano i Tritoni davanti con le buccine in mano, i quali havevano la parte di sopra humana e quella di sotto di Delfino». Cf. Boccaccio, GDG, VII, 1. 24. Ibid., p. 365: «forse perché come scrive Boccaccio, questa nasce per lo più ne’luoghi spatiosi e aperti, ove sogliono quasi sempre accamparsi gli esserciti». Cf. GDG, IX, 3. La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 12 25.  John Mulryan, «Translations and Adaptations of V. Cartari’s Imagini and N. Conti’s Mythologiae: The Mythographic Tradition in the Renaissance», Canadian Review of Comparative Literature, 8, 1981, pp. 272-283. 26.  Firenze, Giunti, 1565 (more florentino). 27. Giorgio Vasari, Opere, Firenze, Passigli, 1832-1838, vol. II, p. 1298 sq. 28.   La Mascherata della genealogia degli iddei de’ Gentili, mandata fuori dall’illustrissimo et eccellentissimo Duca di Firenze et Siena il giorno 21 febbraio 1565, Firenze, Giunti, 1566, pp. 5-9. 29.  G. Vasari, Opere, op. cit., pp. 1301-1302. 30.  Jean Seznec, «La Mascarade des dieux à Florence en 1565», Mélanges d’Archéologie et d’histoire, 1935, pp. 224-243; Mostra di disegni vasariani. Carri trionfali e costumi per la genealogia degli dei (1565), ed. Anna Maria Petrioli Tofani, Firenze, Olschki, 1966. 31.  Richard A. Scorza, «Vincenzo Borghini and invenzione: the florentine Apparato of 1565», Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XLIV, 1981, pp. 57-75. AUTORE SUSANNA GAMBINO LONGO Université Lyon 3 La fortuna delle Genealogiae deorum gentilium nel ’500 italiano: da Marsilio ... Cahiers d’études italiennes, 8 | 2008 13