Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma Author(s): Taro Kimura Source: Artibus et Historiae , 2015, Vol. 36, No. 72 (2015), pp. 283-304 Published by: IRSA s.c. Stable URL: https://www.jstor.org/stable/44082384 JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org. Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at https://about.jstor.org/terms IRSA s.c. is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Artibus et Historiae This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Kimura Analisi iconografica del San Giovanni Battista nei deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma A partire dall'ottobre del 1609 Michelangelo Merisi da Caravaggio soggiornò a Napoli, e nell'estate del 1610 lasciò la città partenopea imbarcandosi su una feluca per ritornare a Roma. Nel corso del viaggio, però, il Caravaggio contrasse una malattia e morì a Porto Ercole il 18 luglio1. La feluca ritornò a Napoli con gli effetti personali del pittore, riportandoli nel Palazzo Cellamare di Chiaia, residenza della marchesa di Caravaggio, Costanza Colonna Sforza2, uno dei più importanti personaggi tra quelli che protessero il pittore lombardo. Il 29 luglio 1610 Deodato Gentile, vescovo di Caserta e nunzio apostolico a Napoli, mandò una lettera al cardinale Scipione Borghese a Roma, informandolo che tra gli averi del Merisi c'erano tre quadri destinati allo stesso cardinale: «li doi S. Gioanni, e la Madalena» (non è chiaro se fossero stati da lui commissionati, o fossero un dono personale da parte del pittore)3. Ma, qualche giorno dopo, questi dipinti vennero sequestrati da Vincenzo Carafa, priore di Capua e rappresentante a Napoli dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, istituzione di cui il Caravaggio era stato membro4. Il vescovo Gentile fece molti sforzi per rientrare in possesso di quelle opere e, in seguito, prima del 10 dicembre 1610, riuscì a recuperarne una5. Alla fine di agosto del 1611 il quadro venne spedito dal vescovo al cardinale Borghese6: si tratta con ogni probabilità del San Giovanni Battista nel deserto oggi conservato nella Galleria Borghese di Roma [Fig. 1]7. This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Ki m u ra 1 . Caravaggio, «San Giovanni Battista nel deserto», Roma, Galleria Borghese 284 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 2. Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino, «San Giovanni Battista nel deserto», Roma, Galleria Borghese In questo studio cercherò di fare un'analisi iconografica del dipinto, eseguito dal Caravaggio negli ultimi anni della sua vita. Trattandosi di uno dei suoi capolavori, questa tela è stata accuratamente studiata e analizzata da diversi studiosi negli ultimi decenni8 ma, ciò nonostante, non è ancora stato messo sufficientemente in evidenza quale sia il vero significato della particolare rappresentazione ideata dall'artista lombardo. Vediamo con precisione di che rappresentazione si tratta. Su una tela di dimensioni 159 x 124 cm è ritratto il giovane Battista dai riccioli neri. Il ragazzo, che occupa gran parte del campo figurativo, siede su un ampio drappo rosso, poggia il piede sinistro su un tronco tagliato mentre il destro è a terra, e tiene nella mano sinistra - con il polso destro appoggiato su quello sinistro - una canna a forma di bastone. Lo sguardo è rivolto verso l'osservatore. Il santo è quasi interamente nudo, eccetto il panno bianco che nasconde il sesso avvolgendo la coscia destra e il fianco sinistro. Alla sua destra è raffigurata una pecora 3. Guido Reni, «San Giovanni Battista nel deserto», Nantes, Musée des Beaux-Arts con le corna ricurve. L'animale tende il collo verso dei pampini di vite che si intravedono appena sullo sfondo in ombra. A destra in basso sono dipinte due piante di tasso barbasso. Com'è noto, Giovanni Battista è considerato il Precursore di Cristo, una figura che costituisce la connessione tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Secondo l'affermazione evangelica (Luca 1 , 80), si dedicò alla predicazione conducendo una vita ascetica nel deserto e battezzando nelle acque del Giordano chi veniva da lui pentendosi dei propri peccati. A partire dal Rinascimento diversi artisti - e tra questi il Caravaggio con l'opera oggetto della nostra analisi - si erano ispirati a quel passo, raffigurando il soggetto del giovane Battista nel deserto9. Ma confrontandola con alcuni quadri secenteschi dallo stesso soggetto, si può notare come la tela del Merisi presenti quattro particolari elementi iconografici: 1) la forma della canna. Il Battista era spesso raffigurato nell'atto di reggere una canna come uno dei suoi principali 285 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Kimura 4. Jusepe de Ribera, «San Giovanni Battista nel deserto», Barcellona, Collezione privata attributi iconografici. Ma non si tratta di una canna a forma di bastone, come quella che si nota nel dipinto caravaggesco, ma di una croce che, a ben guardare, è fatta legando insieme due canne. In altri termini, al motivo introdotto dal Merisi manca l'asse trasversale. Ciò viene confortato dal raffronto con diverse opere del tempo: ad esempio, quella eseguita da Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino prima del 1607 [Fig. 2], quella dipinta da Guido Reni nel 1624-1625 [Fig. 3] e quella elaborata da Jusepe de Ribera nel 1638 [Fig. 4]. 2) l'aspetto della pecora. Alcuni quadri raffiguranti il Battista nel deserto presentano una pecora come un altro importante attributo iconografico del santo. Tuttavia, derivando dal ben noto passo del Vangelo in cui il Battista chiama Cristo l'«agnus Dei» (Giovanni 1, 29), la pecora veniva tradizionalmente raffigurata come un agnello (vale a dire una pecora priva di corna, non ancora arrivata alla maturità sessuale), e non come un ariete o un montone (maschio adulto con le corna, come quello che compare nel quadro del Merisi). Anche questo fatto trova conferma nei tre dipinti sopra citati. 3) l'azione compiuta dalla pecora. L'animale tende il collo verso i pampini di vite sullo sfondo in un atteggiamento che, però, risulta inconsueto nelle opere rappresentanti il giovane Battista nel deserto. Solitamente l'animale era raffigurato in piedi (ma talvolta anche seduto) accanto al santo, come si vede nel quadro del Cavalier d'Arpino, oppure rappresentato mentre riceve una carezza dal ragazzo, come nelle tele di Guido Reni e di Ribera. 4) la disposizione nello spazio del Battista e della pecora. Il santo, ruotando il torso, si rivolge in direzione opposta a quella dell'animale e distoglie perfino il viso da esso. Anche la pecora assume un atteggiamento simile a quello del giovane, mostrando all'osservatore la coda e le zampe posteriori. Come abbiamo visto, la pecora che va accostata al Battista è l'«agnus Dei», cioè il simbolo del Cristo. Pertanto tra il santo e l'animale, di solito, si veniva a costruire un certo legame fisico e/o emotivo, sebbene il modo di rappresentarlo variasse da autore ad autore. Anche questo fatto emerge in maniera evidente dalle opere già ricordate. Quali spiegazioni sono state date riguardo a questi quattro particolari elementi iconografici? Ricerche precedenti Maurizio Calvesi, tenendo conto della presenza di un ariete simile anche nel cosiddetto San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio, ora conservato nella Pinacoteca Capitolina di Roma [Fig. 5], ritiene che nei quadri raffiguranti il Battista la trasformazione dell'agnello convenzionale in un ariete sia abituale per il pittore lombardo10. Secondo lo studioso, questa trasformazione può essere spiegata in quanto l'ariete è il simbolo della croce e dunque un'allusione alla morte sacrificale di Cristo, stando al testo dell'umanista Giovanni Pierio Valeriano intitolato Hieroglyphica (1575). Per Conrad Rudolf e Steven F. Ostrów, invece, la pecora rappresentata nel quadro Borghese non è un ariete ma un agnello11. L'opinione si basa principalmente sulle osservazioni fornite da alcuni zoologi, secondo i quali l'età della pecora può essere ricavata dalla curva delle corna. Da questo punto di vista, la pecora della Pinacoteca Capitolina menzionata da Calvesi si può evidentemente definire come un ariete, mentre l'animale della Galleria Borghese va identificato con un agnello, più giovane rispetto all'ariete della Capitolina e approssimativamente a dodici mesi dalla nascita. Infatti, in diversi testi teologico-esegetici l'«agnus Dei» era talvolta definito come un agnello d'età superiore ad un anno. Secondo Rudolf e Ostrów, proprio a tale agnello corrisponde la pecora della Borghese e per questo non sarebbe problematico affiancare questo animale al Battista. 286 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma Questi studiosi hanno provato con un diverso approccio a dare spiegazioni all'anomala presenza della pecora con le corna. Va però detto che queste due letture sono meno convincenti. Perché, riguardo alla considerazione di Calvesi, la tela della Capitolina, su cui si basa sostanzialmente l'argomento dello studioso, non raffigura probabilmente il San Giovanni Battista ma l'Isacco salvato, come è stato recentemente proposto da alcuni studiosi tra cui Liliana Barroero e Rodolfo Papa12. Si tratta di un tema derivante dal celebre episodio del Vecchio Testamento, dove l'intervento divino salva Isacco dalla morte sacrificale e un ariete impigliato con le corna in un cespuglio viene sacrificato al suo posto (Genesi 22, 1-19). Inoltre, come ha indicato Creighton E. Gilbert13, l'idea di Valeriano che riconosce nell'ariete il simbolo della croce è già di per sé eccezionale tanto che non sembra possibile trovare un esempio analogo nelle fonti letterarie coeve. Mentre, per quanto riguarda l'interpretazione di Rudolf e Ostrów, i testi teologico-esegetici definivano talvolta l'«agnus Dei» come una pecora d'età superiore ad un anno, ma questa definizione non trovava un'eco diretta nell'ambito della produzione artistica. In realtà, non possiamo rintracciare alcun esemplare di tale agnello con le corna nelle opere d'arte che raffigurino indiscutibilmente il Battista nel deserto14. È discutibile pure che un osservatore del Seicento avesse conoscenze zoologiche così dettagliate da poter interpretare l'animale come un agnello15. Infine, va segnalato che sia Calvesi che Rudolf e Ostrów non hanno preso in considerazione gli altri tre singolari elementi iconografici del quadro Borghese: la forma della canna, l'azione compiuta dalla pecora e la disposizione nello spazio del Battista e dell'animale. Di conseguenza, questi studiosi non sono arrivati a verificare i significati dell'insieme visivo del dipinto. A mio parere, sono solo Gilbert e Kikuro Miyashita ad aver percepito, almeno approssimativamente, i quattro particolari elementi, effettuando un'analisi del dipinto dal punto di vista iconografico. In primo luogo, vediamo in modo dettagliato l'opinione di Gilbert16. Come si è detto sopra, Giovanni Battista è il Precursore di Cristo e ha il ruolo di mediatore tra il Vecchio Testamento e la Nuova Alleanza. Secondo Gilbert, è proprio questo ruolo che il Merisi introdusse nella sua opera. Sulla sinistra si vede la pecora con le corna, la cui attenzione è rivolta alle fronde di faggio sullo sfondo (per lo studioso, le foglie non sono di vite). L'aspetto e l'azione dell'animale ci portano a credere che esso si riferisca al ben noto ariete sopra ricordato, presente nel racconto d'Isacco del Vecchio Testamento: l'«ariete impigliato con le corna in un cespuglio» (Genesi 22, 1-19). Perciò lo studioso pensa che la pecora in questione simboleggi il mondo del Vecchio Testamento. Mentre, sulla destra, appare la canna crociata (secondo Gilbert, alla canna non manca l'asse trasversale, poiché questo risulta quasi invisibile nel sovrapporsi, in scorcio, a quello verticale). Naturalmente la croce è uno degli strumenti utilizzati per la crocifissione di Cristo. Per questo lo studioso sostiene che la canna alluda al mondo della Nuova Alleanza. E il 5. Caravaggio, «San Giovanni Battista nel deserto» o «Isacco salvato», Roma, Pinacoteca Capitolina Battista, trovandosi tra la pecora e la canna, dimostra di essere il mediatore tra questi due mondi. Il santo, inoltre, si rivolge in direzione contraria alla pecora, inclinando leggermente il busto verso la canna in un gesto che, sempre secondo Gilbert, connota il personaggio come il santo che lascia il mondo del Vecchio Testamento dirigendosi verso la Nuova Alleanza. Riconoscendo i quattro singolari elementi Gilbert ha cercato di analizzare l'opera del Caravaggio nella sua totalità. In tal senso la sua interpretazione merita certamente un'attenzione particolare. Nel contempo, però, non si può neanche negare che alcuni dubbi permangono. Prima di tutto, è possibile che la canna tenuta dal Battista simboleggi il mondo della Nuova Alleanza? Secondo Gilbert, la canna non manca dell'asse trasversale, ma, nonostante abbia personalmente compiuto una diretta verifica di questo elemento sul dipinto della Galleria Borghese, non mi è stato possibile trovarlo. L'opinione dello studioso, secondo il 287 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Kimura 6. Caravaggio, «Amor vincitore», Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie quale la canna rimanda al mondo della Nuova Alleanza, appunto, in quanto è a forma di croce, sembra dunque del tutto infondata. D'altra parte, anche se fosse corretto il parere di Gilbert che considera la canna come una croce il cui asse trasversale è quasi invisibile in scorcio, dovremmo ammettere inevitabilmente che l'invisibilità dell'asse sia stata volutamente introdotta dal Caravaggio. Perché è indubbio che nel periodo dell'esecuzione del quadro il pittore aveva già acquisito le necessarie abilità in tale pratica prospettica. Ciò viene confermato, ad esempio, dagli strumenti musicali in prospettiva nell 'Amor vincitore di Berlino [Fig. 6] o dagli dei in scorcio nel Giove , Nettuno e Plutone della Villa Boncompagni Ludovisi di Roma [Fig. 7]. E se la canna fosse raffigurata intenzionalmente in modo da essere percepita dall'osservatore come un bastone, non potrebbe simboleggiare il mondo della Nuova Alleanza. In fondo, sia che la canna fosse 7. Caravaggio, «Giove, Nettuno e Plutone», Roma, Villa Boncompagni Ludovisi 288 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma un bastone, sia che fosse una croce con l'asse trasversale quasi invisibile, in ogni caso non si può interpretarla come il simbolo di quel mondo. Questo fatto, infine, viene a rendere inattendibile anche l'opinione dello studioso sui significati dell'insieme visivo del dipinto. Miyashita, invece, sottolinea come la particolarità iconografica del quadro sia strettamente legata al contesto storico in cui esso venne eseguito17. Com'è noto, il 28 maggio 1606 il Caravaggio aveva ucciso Ranuccio Tomassoni a Roma e, in seguito alla sua condanna a morte per l'omicidio, era stato costretto ad abbandonare Roma e a cominciare un doloroso vagabondaggio. La peregrinazione si svolse dapprima nei feudi dei Colonna (Zagarolo, Palestrina e Paliano), poi a Napoli e a Malta, infine in Sicilia e ancora per un breve periodo a Napoli, nel corso della sosta a cui ho accennato in apertura. Durante il secondo soggiorno napoletano, che ebbe inizio nell'ottobre del 1609, il Merisi fu ospite di Costanza Colonna Sforza nel Palazzo Cellamare di Chiaia, e da lì doveva inoltrare domande di grazia al papa regnante Paolo V e al cardinale Scipione Borghese, nipote prediletto del pontefice e personalità a cui spettava di diritto il ruolo di agire da intermediario per l'ottenimento della grazia da parte del papa. Successivamente, nell'estate del 1610, credendosi prossimo a ottenere la grazia e a poter fare ritorno a Roma, il pittore si imbarcò su una feluca diretta verso lo Stato pontificio. Forse aveva intenzione di nascondersi alla periferia di Roma, in attesa di avere notizie sulla concessione della grazia. È proprio in questo viaggio che il Caravaggio portò con sé la tela in questione. Secondo Miyashita, il quadro sarebbe dovuto passare nelle mani del cardinale Borghese come una sorta di messaggio per comunicargli visivamente il fatto che l'artista desiderava ardentemente la grazia. Così la canna incompleta a cui manca l'asse trasversale, la pecora che evoca l'ariete d'Isacco del Vecchio Testamento e l'azione della pecora che tende il collo verso i pampini di vite, simbolo di Cristo, alludono alla condizione del Battista, fermo nel territorio del Vecchio Testamento, che aspetta la venuta del Redentore e quindi vive una situazione in cui i peccati dell'uomo non sono ancora redenti. Con tale allusione, sostiene lo studioso, il Merisi intese comunicare al cardinale la propria disgraziata condizione di incertezza, con la grazia tanto desiderata e non ancora concessa. L'interpretazione di Miyashita appare senz'altro ricca di significato. Infatti, non è la prima volta che il Caravaggio usa i suoi dipinti per alludere a eventi della propria biografia. Nel 1609- 1610, immediatamente prima dell'esecuzione della tela Borghese, il Merisi aveva dipinto il David con la testa di Golia [Fig. 8] sempre per il cardinale (o per il papa Paolo V) e anche questo dipinto aveva molto probabilmente un'analoga funzione di messaggio visivo. Nel quadro, come ha indicato Calvesi18, il pittore si sarebbe auto-ritratto nella testa di Golia (simbolo del peccato) decapitata da David (prefigurazione di Cristo, il cui vicario in terra è il papa), in tal modo certificando il proprio pentimento, 8. Caravaggio, «David con la testa di Golia», Roma, Galleria Borghese con relativa ammissione di colpa e richiesta della pietà del car dinale e del pontefice. Tenendo conto di tale possibile significato del David realizzato dallo stesso artista, quasi nello stess periodo e per la stessa destinazione - nonché dello scopo del viaggio da Napoli a Roma fatto dal pittore nell'estate del 1610 - si può considerare del tutto plausibile l'opinione di Miyashit che legge anche nel San Giovanni Battista un messaggio simil volto a favorire la concessione della grazia. Guardando, però l'opera caravaggesca da questo punto di vista, rimane purtrop po inspiegabile uno dei quattro particolari elementi iconografici: la disposizione nello spazio del Battista e della pecora. Second Miyashita, il dipinto si riferisce alla situazione in cui il santo si tro va nel mondo del Vecchio Testamento in attesa della venuta di Cristo. In tal caso, non possiamo trovare alcuna ragione per cui il giovane e l'animale siano raffigurati rivolti in direzioni opposte19. Tutte le spiegazioni che ci sono state date riguardo ai quattro singolari elementi, dunque, non sono soddisfacenti. In considerazione di questa situazione cercherò di avanzare una nuova 289 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Kimura 9. Caravaggio, «Deposizione», Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca ipotesi, secondo la quale tutti quei particolari elementi troverebbero una spiegazione, per mettere in evidenza il vero significato del San Giovanni Battista del Caravaggio Verso un'interpretazione Prima di avanzare l'ipotesi bisognerebbe, però, soffermarsi su una domanda: è veramente opportuno riconoscere nel dipinto una raffigurazione del Battista? Nessun documento a noi noto accerta inequivocabilmente che l'opera raffiguri il Precursore di Cristo, tanto che, per individuare il tema del dipinto, diventa necessario scandagliare al 1 0. Caravaggio, «San Giovanni Battista nel deserto», Kansas City, Nelson-Atkins Museum of Art massimo il campo figurativo, ovvero proprio quello in cui compaiono i quattro elementi insoliti per le opere rappresentanti il santo. Quindi si dovrebbe esaminare anche la possibilità che in quest'opera il Merisi abbia rappresentato un soggetto diverso. Infatti, alcuni studiosi, dubitando che nel giovane del dipinto si potesse identificare san Giovanni Battista, hanno proposto di attribuirgli un altro significato. Eberhard König scrive che il Battista fu trasformato in un pastore, cioè in una figura profana, che riposa nella selva20. Per Rodolfo Papa, invece, la tela rappresenta il personaggio della mitologia greca Frisso, il quale fu salvato dal sacrificio sull'altare di Zeus con il volo miracoloso di un ariete dal vello d'oro21. Serena Nocentini e Mauro Di Vito, inoltre, ipotizzano che nel dipinto sia raffigurato il Buon pastore, soggetto religioso ripreso all'interno della politica di rivalutazione della cultura paleocristiana che alcuni prelati avevano intrapreso a partire dalla seconda metà del Cinquecento22. 290 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 1 1 . Filarete, «Frisso e Elle», Città del Vaticano, Basilica di San Pietro 12. Bartolome Esteban Murillo, «Buon pastore», Madrid, Museo Nacional del Prado Queste opinioni appaiono certamente allettanti, poiché offrono una spiegazione ad alcuni dei quattro elementi iconografici inconsueti per il Battista. Ma così pensando, sorgono anche alcuni dubbi. Ad esempio, la lettura laica di König non tiene conto del fatto che nel quadro Borghese è dipinta la pianta di tasso barbasso, motivo spesso utilizzato dal Caravaggio, ma solo in opere a soggetto religioso, tra le quali la Deposizione della Città del Vaticano [Fig. 9] e il San Giovanni Battista di Kansas City [Fig. 10]23. Lo stesso vale per l'interpretazione di Papa che vede nel ragazzo caravaggesco il mitico Frisso. Inoltre non va trascurato che Frisso era sempre raffigurato nell'atto di volare in groppa all'ariete e con sua sorella Elle, come si può osservare nella porta bronzea di San Pietro eseguita dal Filarete tra il 1433 e il 1445 [Fig. 11]. Mentre, per quanto riguarda il parere di Nocentini e Di Vito, che vedono rappresentata l'immagine del Buon pastore, va detto che questi, di solito, non tiene in mano la canna ma un bastone pastorale, elemento iconografico caratterizzato dalla tipica forma ricurva nella parte superiore, come testimonia il dipinto di Bartolomé Esteban Murillo ora nel Museo Nacional del Prado [Fig. 12] (ad ogni buon conto ritengo, come si vedrà più avanti, che l'opinione di Nocentini e Di Vito abbia il pregio di evidenziare un aspetto significativo dell'opera caravaggesca). Così tutte le ipotesi, fin qui avanzate nel tentativo di identificare il ragazzo caravaggesco con una qualche figura che non fosse san Giovanni Battista, non risultano sostenibili. A mio avviso, sarebbe difficile trovare un soggetto iconografico tradizionale che corrisponda completamente al campo figurativo illustrato nel quadro e quindi il tema a cui lo stesso campo presenta il maggior grado di assimilazione sembrerebbe essere il Battista nel deserto. Certamente, la tela presenta quattro elementi inconsueti per le immagini del santo ma, al di là di tale particolarità, il giovane del Merisi è vicinissimo alla tipologia di san Giovanni ritratto dagli altri pittori del tempo [Figg. 2-4], con il quale condivide l'età, la capigliatura, lo sguardo malinconico, la seminudità, ecc. Infatti, i documenti secenteschi concordano nell'indicare il quadro del Caravaggio come una raffigurazione del santo. 291 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Ki m u ra 13. Giuseppe Vermiglio, «San Giovanni Battista nel deserto», Milano, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza La testimonianza più antica che lo ricorda risale al 29 luglio 1 61 0, quando fu descritto come «S. Gioanni» nella lettera sopra citata del vescovo Deodato Gentile24. Successivamente, nel 1613 il poeta Scipione Francucci, nel suo poemetto sulla galleria del cardinale Borghese, scrive «Giovinetto il Battista»25, mentre nel 1654 il biografo del Merisi Francesco Scannelli menziona «un ignudo di S. Gio. Battista» nel suo volume dal titolo Microcosmo della pittura26. Anche in un inventario del 7 aprile 1693 della Galleria Borghese l'opera è registrata come «S. Gio. Battista in tela nel deserto a sedere sopra un panno rosso»27. Che il personaggio caravaggesco sia stato riconosciuto come il Battista dagli osservatori del Seicento, inoltre, può essere attestato anche da due quadri di Giuseppe Vermiglio e di Battistello Caracciolo [Figg. 13, 14], identificabili come varianti coeve del dipinto Borghese28. Mentre la posa e il forte chiaroscuro che caratterizzano le figure in queste opere rendono evidente lo stretto rapporto con l'originale del Merisi, questi due caravaggisti ne correggono rispettivamente alcuni degli elementi anticonvenzionali per il santo. Vermiglio trasformò infatti l'ariete in agnello prolungando il bastone in una croce, mentre Caracciolo, oltre a 14. Battistello Caracciolo, «San Giovanni Battista nel deserto», Londra, Collezione privata mettere in atto il medesimo procedimento sull'ariete, ne abolì anche il movimento mettendolo fermo a sedere accanto al ragazzo ed esplicitando in tal modo l'associazione esistente tra loro. Queste fonti, sia letterarie sia figurative, suggeriscono in maniera evidente come gli osservatori secenteschi non avessero dubbi nel riconoscere nel quadro Borghese una raffigurazione di san Giovanni Battista, pur riuscendo, nello stesso tempo, a percepire degli elementi anomali per l'immagine del santo. E tale constatazione degli osservatori doveva essere condivisa anche dal pittore lombardo che lavorava nello stesso ambito culturale. In questo articolo, quindi, cercherò di interpretare il dipinto come una particolare rappresentazione del Battista in cui il Caravaggio, per qualche ragione, abbia deciso di apportare trasformazioni ad alcuni motivi iconografici. Interpretazione In primo luogo, analizziamo la canna a forma di bastone. Come si è detto sopra, san Giovanni Battista era spesso raffigurato 292 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 15. Caravaggio, «San Giovanni Battista nel deserto», Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Corsini nell'atto di reggere una canna a forma di croce. Si tratta di una consuetudine nota al Merisi al momento di eseguire quest'opera, visto che il pittore aveva inserito la canna crociata almeno nelle due opere che raffigurano indiscutibilmente il santo, quella di Kansas City [Fig. 10] e quella di Palazzo Corsini a Roma [Fig. 15]. Perciò si deve dedurre indubitabilmente che nel quadro Borghese il Caravaggio abbia volutamente dipinto la canna a forma di bastone. Ma quale fu la reale intenzione dell'artista su questo punto? Come abbiamo visto, questo elemento iconografico è stato letto finora come una croce il cui asse trasversale sia quasi invisibile, oppure come una canna incompleta, priva di quello stesso asse. Vorrei osservarlo qui, invece, da un altro punto di vista, cercando di intenderlo, più semplicemente, come una canna a forma di bastone per poi chiedermi quale sia la figura che solitamente regge una simile canna nella tradizione figurativa del CinqueSeicento. Significativamente, la possibile risposta alla domanda è una sola: Cristo nella rappresentazione della Passione29. La raffigurazione della Passione si basa sul racconto dei Vangeli tra cui quello di san Matteo (27, 27-31), secondo il quale i soldati del governatore condussero Cristo nel pretorio, gli posero tra le mani una canna e lo schernirono: «Salve, re dei Giudei». Basandosi su tale episodio, la canna costituiva uno degli strumenti della Passione e veniva spesso inserita in opere d'arte raffiguranti i vari soggetti del ciclo della Passione: ad esempio, Y Incoronazione di spine eseguita da Giovanni da Monte nel 1568 293 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Kimura 16. Giovanni da Monte, «Incoronazione di spine», Monza (Milano), Fondazione Collegio della Guastalla [Fig. 16] e l'Ecce Homo di Mario Minniti del 1625 [Fig. 17]. Paragonando la canna presente in queste opere con quella del dipinto caravaggesco, ci si accorge che la tipologia è sostanzialmente analoga. Inoltre i diversi temi relativi alla Passione, come ha sottolineato Claudio Strinati30, furono frequentemente rappresentati nel clima della Controriforma (tra la seconda metà del Cinquecento e gli inizi del Seicento), cioè nel periodo in cui fu eseguita la tela del Merisi. Questi fatti ci indurrebbero a ipotizzare che nel quadro Borghese il pittore abbia visivamente sovrapposto all'immagine del Battista quella di Cristo nella scena 17. Mario Minniti, «Ecce Homo», Medina (Malta), Museo della Cattedrale di Passione, con la conseguente trasformazione della canna crociata in quella a forma di bastone. Vediamo ora alcuni elementi iconografici dell'opera caravaggesca come motivi chiamati a sostenere la mia ipotesi. Per primo, si tratta del modo di tenere la canna. Il ragazzo la regge incrociando i polsi, ma va detto che questo modo di impugnare l'oggetto, in effetti, è abbastanza raro nelle raffigurazioni di san Giovanni, come emerge in maniera chiara dal fatto che non è possibile trovarne un esempio simile non solo nelle raffigurazioni del San Giovanni Battista dei pittori coevi sopra ricordati [Figg. 2-4], ma anche nelle altre opere del Caravaggio dallo stesso soggetto [Figg. 10, 15]. Perché tale modo di tenere la canna venne adottato nel dipinto Borghese? Se si ipotizzasse che nel quadro la figura di Cristo nella Passione venisse visivamente sovrapposta a quella del Battista, si potrebbe dare una 294 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 18. Giovanni Baglione, «Ecce Homo», Roma, Galleria Borghese 19. Orazio Borgianni, «Uomo di dolori», Pamplona, Convento de Agustinas Recoletas spiegazione alla domanda. Si noti come nelle opere con il tema della Passione i polsi di Cristo, legati con una corda, erano per lo più rappresentati incrociati, come si può osservare nei dipinti già citati [Figg. 16, 17]31. Inoltre, confrontando la maniera di reggere la canna nel quadro Borghese con quella nell'Ecce Homo eseguito da Giovanni Baglione nel 1606 [Fig. 18], è possibile rendersi conto di tale affinità in modo particolarmente evidente32. La mia ipotesi potrebbe essere avvalorata anche da un altro elemento iconografico, ovvero dalla compresenza del drappo rosso e del panno bianco. Certamente la combinazione di questi due tessuti non è molto rara nelle raffigurazioni del santo, ma si deve tener conto che ai due tessuti si accompagnava a volte un altro importante attributo iconografico del Battista: la pelliccia di cammello. Infatti, la pelliccia è utilizzata nei quadri del Cavalier d'Arpino, di Reni e di Ribera [Figg. 2-4] ed è adottata anche dal Caravaggio nel dipinto di Kansas City [Fig. 10], mentre risulta assente nel dipinto Borghese. Per quale ragione l'artista optò per questa soluzione? Anche qui, si potrebbe rispondere alla domanda se solo si ipotizzasse la sovrapposizione, nel quadro, della figura di Cristo nella Passione a quella di san Giovanni. Di rilevante importanza è il fatto che nelle opere con i soggetti della Passione [Figg. 16-18] Cristo venisse tradizionalmente rappresentato coperto solo dal drappo rosso e dal panno bianco, basandosi sul passo evangelico che recita «e, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto» (Matteo 27, 28). Si può trovare, infine, un altro elemento a favore della mia ipotesi nel campo figurativo: il tronco posto al di sotto del piede sinistro del giovane. A ben vedere, il tronco si mostra in sezione verticale, come se fosse stato tagliato di recente. Tuttavia, il fatto che il Battista venga raffigurato nell'atto di poggiare il piede su un simile oggetto risulta altrettanto insolito. Nei due San Giovanni del Caravaggio [Figg. 10, 15], infatti, tale elemento 295 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Ki m u ra 20. Caravaggio (?), «San Giovanni Battista nel deserto», Toledo, Museo Tesoro Catedralicio non compare e questo vale anche per i dipinti degli altri pittori esaminati [Figg. 2-4]. A che scopo dunque l'artista lombardo dipinse il ragazzo in quest'atteggiamento? Meritano un'attenzione particolare le opere d'arte raffiguranti il tema óeWUomo di dolori. Si tratta di rappresentazioni devozionali, non narrative, di Cristo, strettamente pertinenti al ciclo della Passione in quanto sono l'immagine di Gesù che ha accanto a sé i vari strumenti della stessa Passione. In tali opere Cristo era talvolta raffigurato proprio nell'atto di mettere il piede su un tronco simile a quello del dipinto Borghese, cioè su un braccio della croce deposta in terra. Una di tali raffigurazioni si ritrova nel quadro realizzato da Orazio Borgianni nel secondo decennio del Seicento [Fig. 1 9]33. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, sarebbe ragionevole pensare che nel quadro Borghese il pittore abbia voluto sovrapporre all'immagine del Battista quella di Cristo nella Passione e proprio per questo la canna crociata sia stata trasformata in quella a forma di bastone. In secondo luogo, è necessario riflettere su un altro particolare elemento iconografico, l'ariete con le corna. Come si è già detto, la pecora che correttamente può essere accostata al Battista nelle opere d'arte è l'«agnus Dei», convenzionalmente raffigurato come un agnello senza le corna. In questo caso non abbiamo una prova certa capace di attestare che il Caravaggio conoscesse questa tradizione figurativa, anche se possiamo cogliere la rappresentazione di un agnello nel San Giovanni Battista di Toledo, non unanimemente attributo al Merisi [Fig. 20]. Tenendo conto, però, che non c'è alcun esemplare di ariete, simile a quello del dipinto Borghese, nelle opere raffiguranti indiscutibilmente il santo, non si può proprio pensare che al Caravaggio potesse sfuggire la regola iconografica che appare quasi inderogabile. E se fosse vero quello che ho sostenuto sopra, sarebbe logico supporre che nel quadro Borghese il pittore abbia continuato sulla strada delle modifiche e abbia sovrapposto anche all'immagine dell'«agnus Dei» una figura diversa, trasformando così in ariete l'agnello convenzionale per tali raffigurazioni. Ma qual è questa figura diversa? Nelle ricerche precedenti, come abbiamo visto, l'animale della Borghese è stato per lo più considerato come elemento allusivo all'ariete descritto nel racconto d'Isacco. Certamente l'ariete d'Isacco doveva essere ben noto nella cultura artistica del Cinque-Seicento ed era generalmente rappresentato come una pecora con le corna, come si osserva, ad esempio, nel Sacrificio d'Isacco del Merisi oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze [Fig. 21]. Ma sembra difficile pensare che, nel dipinto Borghese, l'immagine dello stesso ariete venisse sovrapposta a quella dell'«agnus Dei», non solo perché tale lettura non contribuisce ad avvalorare la nuova ipotesi sopra avanzata, ma anche perché non ci permette di dare una spiegazione ad un altro particolare elemento iconografico, cioè l'azione compiuta dalla pecora. Per giungere ad una risposta convincente, dunque, sarebbe necessario liberarsi dell'ipotesi finora riproposta. Ritengo infatti che il Merisi abbia inteso sovrapporre all'immagine dell'«agnus Dei» quella della pecora che simboleggia il fedele cristiano. Secondo l'evangelista Giovanni (10, 11-21), Cristo, parlando in forma di parabola, disse: «lo sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore». Questo brano, in cui Gesù si identifica con il pastore mentre accosta i fedeli cristiani al suo gregge, indica metaforicamente il nucleo centrale del Nuovo Testamento, vale a dire il tema della salvezza operata da Cristo a favore degli stessi fedeli con la sua Passione e con la sua morte sacrificale. Si tratta di un soggetto spesso presente soprattutto nelle raffigurazioni di epoca paleocristiana (tra i tanti esempi, si veda il sarcofago della via Salaria eseguito nel 296 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 21. Caravaggio, «Sacrificio d'Isacco», Firenze, Galleria degli Uffizi 297 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Ki m u ra 22. «Buon pastore», Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano 275-300 d.C. [Fig. 22]). Nel Medioevo e nel Rinascimento non troviamo alcuna opera che rappresenta questo soggetto ma, nella seconda metà del Cinquecento, si nota la rinascita improvvisa dell'interesse per l'arte del Cristianesimo delle origini. Il 31 maggio 1578 una catacomba del III- IV secolo venne scoperta casualmente in via Anapo, lungo la Salaria34, un evento che ebbe come conseguenza un'attiva politica di riconsiderazione e tutela della cultura paleocristiana promossa nell'ambito della Controriforma e soprattutto nell'ambiente della Congregazione dell'Oratorio di san Filippo Neri35. Il cardinale Cesare Baronio, membro di tale Oratorio, partecipò alle visite nelle catacombe ed effettuò ricerche storiche sulla Chiesa primitiva, compilando i suoi monumentali annali sulle origini del Cristianesimo36. A sua volta il maltese Antonio Bosio svolse indagini pionieristiche sull'archeologia della Chiesa paleocristiana, le quali, iniziate nel 1593, furono pubblicate nel 1632, tre anni dopo la sua morte, in un libro illustrato con il titolo di Roma sotterranea, per la cura del filippino Giovanni Severano37. In questo libro, l'autore si concentrò proprio sull'immagine del Buon pastore assumendola come simbolo del Cristianesimo delle origini [Figg. 23, 24]38. Tutto lascia credere che anche il Caravaggio conoscesse la stessa cultura artistica paleocristiana. Tra il 1602 e il 1604 il pittore eseguì la Deposizione [Fig. 9] per la cappella Vittrice nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma (la cosiddetta «Chiesa 23. «Buon pastore» (da Antonio Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632, a cura di V. Fiocchi Nicolai, Roma 1998, p. 513) 298 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 24. «Buon pastore» (da Antonio Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632, a cura di V. Fiocchi Nicolai, Roma 1998, p. 343) 25. «Orante», Roma, Catacombe di Priscilla, Cubicolo della «Velata» 26. «Orante», Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5409 Nuova»), sede dell'Oratorio di san Filippo Neri. Come ha acutamente sostenuto Alessandro Zuccari39, in questo dipinto sono presenti diversi riferimenti alla tradizione figurativa paleocristiana, dai filippini tenuta in grande considerazione. Tra l'altro l'immagine di Maria di Cleofa richiama palesemente l'Orante raffigurata nella lunetta del cubicolo della «Velata» nelle Catacombe di Priscilla (seconda metà del III secolo d.C.) [Fig. 25], o quella rintracciabile nel codice di Alfonso Ciacconio, il domenicano spagnolo assieme a cui il cardinale Baronio e Bosio esploravano le catacombe, che riprodusse la stessa lunetta alla fine del Cinquecento [Fig. 26]. Non solo le braccia sollevate e gli occhi rivolti in alto, ma anche la bocca socchiusa e il ciuffetto dei 299 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Ki m u ra 27. «Buon pastore», Roma, Catacombe di Priscilla, Cubicolo della «Velata» 28. «Buon pastore» (da Antonio Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632, a cura di V. Fiocchi Nicolai, Roma 1998, p. 547) capelli scomposti sull'occhio sinistro, sono dettagli che rimandano alla figura femminile paleocristiana40. Si può quindi pensare che, nell'occasione, il Merisi avesse dovuto approfondire, su suggerimento dei prelati dell'Oratorio tra cui Baronio, i temi presenti nella cultura figurativa del Cristianesimo delle origini. A mio avviso, è probabile che nel dipinto Borghese l'immagine della pecora, che si presenta in opere paleocristiane per simboleggiare il fedele cristiano, venisse figurativamente sovrapposta a quella dell'«agnus Dei». Infatti, così pensando, possiamo comprendere la trasformazione dell'agnello in ariete come una scelta naturale da parte del pittore, perché la pecora che allude al fedele cristiano era spesso (ma non sempre41) raffigurata appunto come quella con le corna, come si può vedere nelle opere già citate [Figg. 22-24]. Inoltre è interessante notare che anche nella volta del cubicolo della «Velata» nelle Catacombe di Priscilla, dove compare la figura dell'Orante già citata, è dipinto il Buon pastore, a cui sono accostate delle pecore con le corna [Fig. 27]. E che queste pecore siano state riconosciute come arieti anche dagli osservatori del Seicento, può essere attestato da un'illustrazione inserita nel testo di Bosio che rappresenta la stessa volta [Fig. 28]. La mia ipotesi, inoltre, potrebbe essere avvalorata da un altro particolare elemento, cioè il movimento della pecora che tende il collo verso i pampini di vite. Come si è detto sopra, quest'azione dell'animale è tanto rara nelle opere rappresentanti il Battista da non permetterci di trovarne un esempio simile. Per quale ragione viene quindi adottata nel dipinto Borghese? Si potrebbe dare una spiegazione alla domanda, se solo si ipotizzasse la sovrapposizione della figura della pecora, che rimanda al simbolismo del fedele cristiano, a quella dell'«agnus Dei». Infatti, dal momento che i pampini di vite sono il simbolo di Cristo, il gesto dell'animale caravaggesco ben si attaglia al significato metaforico della pecora (il fedele cristiano), cioè quello di ricercare la salvezza in Cristo. La coincidenza fra il gesto e il significato si rivela in modo più chiaro quando si osserva con attenzione l'atteggiamento delle pecore raffigurate nelle opere con il soggetto del Buon pastore [Figg. 29, 30]. Certamente non è verso i pampini ma verso Cristo che questi animali tendono il collo, ma, se nella nostra mente sostituissimo lo stesso Cristo con il suo simbolo, i pampini, ci accorgeremmo come la somiglianza tra l'azione degli animali e quella dell'ariete nel dipinto Borghese sia del tutto reale e plausibile42. In considerazione dell'analisi fin qui fatta, sarebbe dunque ragionevole dedurre che nel quadro Borghese il Caravaggio abbia visivamente sovrapposto all'immagine dell'«agnus Dei» quella della pecora che rimanda al fedele cristiano e proprio per questo l'agnello sia stato trasformato in un ariete e nel contempo rappresentato nell'inconsueto atteggiamento di tendere il collo verso i pampini. Insomma, ipotizzando che nella tela del Caravaggio si operasse una doppia sovrapposizione di immagini (rispettivamente 300 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 29. «Buon pastore» (particolare), Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano 30. «Buon pastore» (particolare), Roma, Catacombe di Priscilla, Cubicolo della «Velata» alla figura del Battista quella di Cristo nella Passione e all'«agnus Dei» quella della pecora che simboleggia il fedele cristiano), si può dare spiegazione ai tre particolari elementi iconografici presenti nell'opera, cioè la forma della canna, l'aspetto della pecora e l'azione che questa compie. Tuttavia, ritornando a guardare il dipinto da questo punto di vista, emerge una contraddizione. Si tratta dell'ultimo elemento di distinzione rispetto alla tradizione iconografica: la disposizione nello spazio del Battista e della pecora. Se fosse giusta l'ipotesi che ho avanzato sopra, il pittore non avrebbe dovuto rappresentare il ragazzo in un atteggiamento capace di alludere in qualche modo alla salvezza dell'animale, visto che, come indica evidentemente la parabola di Cristo già citata, la Passione non è altro che un'estrema azione d'amore di Gesù per la salvezza dell'umanità? In realtà, nel quadro Borghese il giovane non presenta un atteggiamento di questo tipo, anzi si rivolge in direzione opposta a quella della pecora, distogliendo da essa perfino il viso. Dobbiamo quindi ammettere che il quadro, nel suo complesso, nasconda un significato simbolico in stridente contrasto con la narrazione del Nuovo Testamento: nonostante la presenza del fedele cristiano alla ricerca della salvezza in Cristo, quest'ultimo non mostra la minima intenzione di salvarlo. Allora ci chiediamo: che cosa spinse il Caravaggio ad elaborare una simile costruzione visiva per riferirsi a un significato così strano? Domanda dalla quale discende che l'ipotesi del presente contributo non risulterebbe convincente se non riuscisse anche ad indicare una ragione precisa per motivare l'atteggiamento del santo. Anche se è difficile chiarire definitivamente la questione a causa della carenza di dati documentari riferibili al dipinto di cui ci stiamo occupando, bisognerebbe ricordare qui il contesto storico in cui la tela venne eseguita e la funzione con ogni probabilità svolta dall'opera. Come abbiamo visto, è questo il 301 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Kimura quadro che nel 1609-1610 il Caravaggio dipinse per il cardinale Scipione Borghese - cioè il personaggio dal quale dipendeva la remissione della sua condanna a morte per omicidio -, lo stesso quadro che nell'estate del 1610 portò con sé nel viaggio da Napoli a Roma per poterlo consegnare e favorire la concessione della grazia da parte del pontefice Paolo V. Ed è molto probabile che il dipinto avesse un ruolo speciale, vale a dire quello - a cui ha già accennato Miyashita43 - di agire come messaggio visivo per comunicare al cardinale l'ardente desiderio dell'artista di ottenere la grazia dal papa. A mio parere, è stata proprio questa funzione ad aver spinto il Merisi a costruire un insieme figurativo che nascondesse il suddetto significato allusivo. Come sottolinea Calvesi44, già nel David con la testa di Golia [Fig. 8], eseguito quasi nello stesso periodo e per la stessa destinazione, il Caravaggio si era identificato con Golia (simbolo del peccato) decapitato da David (prefigurazione di Cristo, il cui rappresentante sulla terra è il pontefice), così attestando il proprio pentimento e richiedendo la pietà del cardinale e del papa. Ritengo che anche nel San Giovanni Battista l'artista, continuando sulla stessa strada, si sia identificato con la pecora della parabola evangelica (che simboleggia il fedele cristiano) mentre abbia rispecchiato il pontefice in Cristo nella Passione, desiderando in tal modo trasmettere al cardinale la condizione in cui egli stesso si trovava, di attesa della grazia papale e di sofferenza perché il papa tardava nel prendere, appunto, quella decisione que tanto attendeva: nonostante la presenza del fedele cristiano (il pittore) alla ricerca della salvezza in Cristo (il papa), quest'ultimo non mostra la minima intensione di salvarlo45. Trattandosi di una delle personalità di maggior rilievo nel campo del collezionismo e del mecenatismo d'arte, il cardinale Borghese doveva essere in grado di comprendere tale possibile messaggio visivo, anche se, purtroppo, il messaggio non arrivò a produrre alcun buon effetto in quanto, prima di potergli consegnare la tela, il Caravaggio morì a Porto Ercole il 18 luglio ed essa fu riportata a Napoli. Con macabra ironia, la grazia papale tanto desiderata venne concessa tredici giorni dopo la morte del pittore, il 31 luglio46. Desidero ringraziare il prof. Vincenzo Farinella (Università di Pisa) e il dott. Amedeo Mercurio (Soprintendenza BAPSAE di Pisa e Livorno) per la cura e l'attenzione con cui hanno seguito la presente ricerca. Un ringraziamento va, inoltre, al prof. Hiroshi Yamagata e al prof. Motoaki Ishii (Università delle arti di Osaka) per le preziose indicazioni. 1 V. Pacelli, L'ultimo Caravaggio: dalla Maddalena a mezza figura ai due san Giovanni ( 1606-1610 ), Perugia 1994, pp. 1 19-155; idem, Una nuova ipotesi sulla morte di Michelangelo Merisi da Caravaggio, in Michelangelo Merisi da Caravaggio: la vita e le opere attraverso i documenti: Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di S. Macioce, Roma 1996, pp. 184-194; R Sohm, Caravaggio's deaths, in «The Art Bulletin», 84, 2002, pp. 449-468; M. Marini, Un sipario per Caravaggio, in Atti della Giornata di Studi. Francesco Maria del Monte e Caravaggio, a cura di P Carotano, Firenze 2010, pp. 21-31; S. Vinceti, G. Gruppioni, L'enigma Caravaggio: Ipotesi scientifiche sulla morte del pittore, Roma 2010, pp. 25-63; M. C. Fabbri, L'anello mancante. Nuove ipotesi sulle circostanze della morte del Caravaggio, in Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, cat. mostra (Firenze, Galleria Palatina e Galleria degli Uffizi, maggio-ottobre 2010), a cura di G. Papi, Firenze 2010, pp. 50-67. Si veda anche G. Baglione, Le vite de' pittori , scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, ristampa anastatica, Roma 1970, pp. 138-139; G. R Bellori, Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1 672, ristampa anastatica, Sala Bolognese(Bo) 2000, pp. 211-212. 2 Archivio Segreto Vaticano (d'ora in poi ASV), Nunziatura di Napoli, 20A, cc. 222r-v (la lettera datata 29 luglio 1610 inviata da Deodato Gentile al cardinale Scipione Borghese); trascritto in S. Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio: Fonti e Documenti 1532-1724, Roma 2003, p. 265, doc. 406. Sui legami tra il Caravaggio e i Colonna si veda M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino 1990, pp. 105-164. 3 ASV, Nunziatura di Napoli, 20A, cc. 222-v; trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., p. 265, doc. 406. 4 ASV, Nunziatura di Napoli, 20A, c. 226r (la lettera datata 31 luglio 1 61 0 inviata dal Gentile al Borghese); trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., pp. 265-266, doc. 407. Sul priore di Capua si veda Pacelli, L'ultimo Caravaggio cit., p. 226. 302 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Analisi iconografica del San Giovanni Battista nel deserto del Caravaggio della Galleria Borghese di Roma 5 ASV, Nunziatura di Napoli, 20A, cc. 404r-v (la lettera datata 10 dicembre 1610 inviata dal Gentile al Borghese); trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., p. 268, doc. 411. Sugli altri due dipinti sequestrati, cfr. V. Pacelli, L'ultimo Caravaggio cit., pp. 140-155, 161-197; Michelangelo da Caravaggio: La Maddalena di Paliano, a cura di M. Marini, Roma 2006, pp. 1 1-33; idem, « San Juan Bautista» del Caravaggio e la sua copia, in Da Caravaggio ai caravaggeschi, a cura di M. Calvesi, A. Zuccari, Roma 2009, pp. 255-267; The last Caravaggio, cat. mostra (Amsterdam, Museum van het Rembrandthuis, dicembre 201 0-febbraio 201 1), a cura di B. Treffers, G. van den Hout, Zwolle 2010, pp. 29-41 , 53-61 . 6 ASV, Nunziatura di Napoli, 20B, c. 367r (la lettera datata 26 agosto 161 1 inviata dal Gentile al Borghese); trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., p. 270, doc. 416. 7 Sul legame tra il Caravaggio e il Borghese si veda M. Calvesi, Michelangelo da Caravaggio: il suo rapporto con i Mattei e con altri collezionisti a Roma, in Caravaggio e la collezione Mattei, cat. mostra (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica, aprile-maggio 1995), a cura di R. Vodret, Milano 1995, pp. 20-27. 8 Cfr. in particolare, M. Cinotti, G. A. Dell'Acqua, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Bergamo 1983, pp. 501-502; Michelangelo Merisi da Caravaggio: Come nascono i capolavori, cat. mostra (Firenze, Palazzo Pitti, dicembre 1991 -marzo 1992; Roma, Palazzo Ruspoli, marzo-maggio 1992), a cura di M. Gregori, Milano 1991, pp. 348-355; M. Marini, Caravaggio: «pictor praestantissimus»: L'iter artistico completo di uno dei massimi rivoluzionari dell'arte di tutti i tempi, Roma 2001 , pp. 569-570; Caravaggio: l'ultimo tempo 1606-1610, cat. mostra (Napoli, Museo di Capodimonte, ottobre 2004-gennaio 2005), a cura di F. Bologna, Napoli 2004, pp. 148-149; R. Vodret, Il San Giovanni Battista della Galleria Borghese, in Michelangelo Merisi da Caravaggio: chiuderla vita, cat. mostra (Porto Ercole, Chiesa di Sant'Erasmo, luglio-agosto 2010), a cura di V. Merlini, D. Storti, Milano 2010, pp. 29-31. 9 Cfr. M. A. Lavin, Giovannino Battista: A Study in Renaissance Religious Symbolism, in «The Art Bulletin», 37, 1955, pp. 85-101; eadem, Giovannino Battista: A Supplement, in «The Art Bulletin», 43, 1 961 , pp. 31 9-326. 10 Calvesi, Le realtà del Caravaggio cit., p. 73. 1 1 C. Rudolph, S. F. Ostrów, «Isaac Laughing»: Caravaggio , non-traditional imagery and traditional identification, in «Art History», 24, 2001 , pp. 658- 664. 12 L. Barroero, L' «Isacco» di Caravaggio nella Pinacoteca Capitolina, in «Bollettino dei Musei comunali di Roma», 11, 1997, pp. 37-41; R. Papa, Il sorriso di Dio, in «Art e Dossier», 131, 1998, pp. 28-32. Si veda anche Rudolph e Ostrów, « Isaac Laughing » cit., pp. 646-681. Recentemente Clóvis Whitfield ha considerato, invece, il quadro della Capitolina come il frutto di una diretta commissione del cardinale Francesco Maria Del Monte, sostenendo che il soggetto del dipinto sia il pastore Coridone, un personaggio mitologico di cui parlano Teocrito e Virgilio. Secondo lo studioso, inoltre, la presenza dell'ariete inteso in senso zodiacale diventerebbe un simbolo dell'equinozio di primavera (C. Whitfield, Caravaggio's « Shepherd Corydon », in «Paragone», 73, 2007, pp. 55-68). Su diverse interpretazioni precedenti del soggetto della tela si veda W. Friedländer, Caravaggio Studies, Princeton (NJ) 1955, pp. 89-91 ; L. J. Slatkes, Caravaggio's «Pastor friso», in «Nederlands Kunsthistorisch Jaarboek», 23, 1972, pp. 67-72; H. Röttgen, Il Caravaggio: ricerche e interpretazioni, Roma 1974, pp. 118-119; F. Cappelletti, L. Testa, Ricerche documentarie sul «San Giovanni Battista » dei Musei Capitolini e sul « San Giovanni Battista » della Galleria Doria-Pamphilj, in Identificazione di un Caravaggio, a cura di G. Correale, Venezia 1990, pp. 75-101; C. E. Gilbert, Caravaggio and his two cardinals, University Park (PA) 1995, pp. 1-61 ; B. Treffers, Caravaggio nel sangue del Battista, Roma 2000, pp. 20-21 , 103-107; V. von Rosen, Ambiguità intenzionale: l'« Ignudo » nella Pinacoteca Capitolina e altre raffigurazioni del « San Giovanni Battista» di Caravaggio e dei « Caravaggisti », in Caravaggio e il suo ambiente: Ricerche e interpretazioni, a cura di S. Ebert-Schifferer, J. Kliemann, V. von Rosen e L. Sickel, Milano 2007, pp. 59-85. 13 Gilbert, Caravaggio cit, pp. 20-34. I4 Anche se nel Cristo e il Battista bambini dipinto da Bernardino Luini (Ottawa, National Gallery of Canada), o nella Madonna con il Bambino, San Giovannino e Santa Elisabetta attribuita a Martino Piazza (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica) è eccezionalmente rappresentato un agnello con le piccolissime corna (cfr. J. Kliemann, L'«Amor al fonte» di Cecco del Caravaggio e l'ultimo quadro del Merisi: omaggio al maestro o pittura ambigua?, in Caravaggio e il suo ambiente cit, pp. 197-198). 15 Cfr. Von Rosen, Ambiguità intenzionale cit., pp. 68-69. In questo senso, è dubbio anche il parere a carattere zoologico sulla pecora del quadro Borghese presentato ultimamente da Marco Masseti (La pecora di Caravaggio, in Michelangelo Merisi da Caravaggio: chiuder la vita cit, pp. 37-39). 16 Gilbert, Caravaggio cit, pp. 20-34. 17 K. Miyashita, Caravaggio: Sacredness and Vision, Nagoya 2004, pp. 178-202. 18 Calvesi, Le realtà del Caravaggio cit., p. 148. 19 Lo stesso vale per il recente studio di Valeska von Rosen (Ambiguità intenzionale cit., pp. 59-85). La studiosa ha interpretato la canna a forma di bastone e la pecora con le corna come elementi ambigui e anticonvenzionali elaborati intenzionalmente dal Caravaggio, riconoscendo la motivazione alla base di quest'atteggiamento nel lavoro intellettuale degli osservatori secenteschi (soprattutto nel contesto privato di collezioni familiari) che si dilettavano a percepire delle differenze rispetto alle raffigurazioni convenzionali. Quest'opinione, però, non sarebbe sufficiente a spiegare la particolarità del dipinto Borghese, in quanto non tiene in considerazione la singolarità dell'azione compiuta dalla pecora e della disposizione nello spazio del Battista e dell'animale. 20 E. König, Michelangelo Merisi da Caravaggio 1571-1610, Köln 1997, p. 53. 21 R. Papa, Il vello d'oro di Frisso: letture iconologiche / Il cosiddetto «San Giovanni Battista» della Borghese, in «Art e Dossier», 1 82, 2002, pp. 1 4-1 9. 22 S. Nocentini, M. Di Vito, Buon pastore o San Giovanni Battista?: dialogo sotto l'ombrellone, in Michelangelo Merisi da Caravaggio: chiuder la vita cit., pp. 41-43. 23 Su questa pianta nei dipinti del Merisi, si veda M. Di Vito, « Foglie stravolte e luccicanti»: il Verbascum nel Caravaggio, in «Paragone», 73, 2007, pp. 67-89 (stranamente, però, lo studioso non include il dipinto Borghese nell'elenco delle opere caravaggesche con la rappresentazione di tasso barbasso). 24 ASV, Nunziatura di Napoli, 20A, cc. 222r-v; trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., p. 265, doc. 406. 25 S. Francucci, La Galleria dell'Illustrissimo e Reverendissimo Signor Scipione Cardinale Borghese cantata in versi, 1613, ed. Arezzo 1647, pp. 266-268. 26 F. Scannelli, Il Microcosmo della pittura, Cesena 1657, a cura di G. Giubbini, Milano 1966, pp. 198-199. 303 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms Taro Ki m u ra 27 ASV, Inventario di tutti li Mobili che sono nell'Appartamento Terreno che gode il Sig.r Principe di Rossano, 396; trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., pp. 369-370, inv. 66. 28 Cfr. Von Rosen, Ambiguità intenzionale cit., pp. 68-76. 29 Cfr. J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte, Milano 2010, p. 87. 30 C. Strinati, L' «Ecce homo» da Caravaggio al Guercino: umano troppo umano , in «Art e Dossier», 18, 1987, pp. 16-17. 31 Tale affinità è già brevemente stata suggerita da John T. Spike ( Caravaggio , New York-London 2001 , pp. 233-234). 32 Cfr. Caravaggio a Roma: una vita dal vero, cat. mostra (Roma, Archivio di Stato, febbraio-maggio 2011), a cura di M. Di Sivo, O. Verdi, Roma 201 1 , p. 21 1 ; R. Vodret, B. Granata, Non solo Caravaggio, in Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630: Saggi, cat. mostra (Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, novembre 2011 -febbraio 2012), a cura di R. Vodret, Milano 2012, pp. 26-27. 33 Su un altro possibile significato del tronco si veda B. Treffers, Caravaggio nel sangue del Battista cit., p. 81 ; Kliemann, L' »Amor al fonte» cit., pp. 196-197. 34 Cfr. V. Fiocchi Nicolai, Presentazione ad A. Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632, a cura di V. Fiocchi Nicolai, Roma 1998, p. 1 1*. 35 Cfr. A. Zuccari, La politica culturale dell'Oratorio romano nella seconda metà del Cinquecento, in «Storia dell'Arte», 41 , 1981 , pp. 90-92; V. Fiocchi Nicolai, San Filippo Neri , le catacombe di S. Sebastiano e le origini dell'archeologia cristiana, in San Filippo Neri nella realtà romana del XVI secolo, a cura di M. T. B. Russo, N. Del Re, Roma 2000, pp. 105-130. 36 Sul cardinale Baronio, cfr. A. Zuccari, Arte e committenza nella Roma di Caravaggio, Torino 1984, pp. 51-87. 37 Sull'attività di Bosio si veda Fiocchi Nicolai, Presentazione cit., pp. 1 1 -1 3*; L. Spigno, Della Roma sotterranea del Bosio e della sua biografia, in «Rivista di Archeologia Cristiana», 52, 1976, pp. 277-301 . 38 Cfr. I. Lavin, Caravaggio e La Tour: La luce occulta di Dio, Roma 2000, pp. 12-15. 39 Zuccari, La politica culturale cit., pp. 92-105. 40 Sulla particolarità iconografica del dipinto, si veda anche Friedländer, Caravaggio Studies cit , pp. 1 27-1 28; M. A. Graeve, The stone of Unction in Caravaggio's painting for the Chiesa Nuova, in «The Art Bulletin», 40, 1958, pp. 223-238. 41 Si tratta, ad esempio, del quadro di Murillo già citato [Fig. 12]. 42 In tal senso è particolarmente interessante l'opinione espressa recentemente da Alessandro Muscillo, il quale ha individuato un possibile modello del giovane Borghese nel Buon pastore realizzato per il mausoleo di Galla Placidia ā Ravenna nella prima metà del V secolo d.C. (A. Muscillo, E Dioniso divenne pastore: modelli antichi per Caravaggio, in Michelangelo Merisi da Caravaggio: chiuderla vita cit., pp. 33-35). 43 Miyashita, Caravaggio cit., pp. 178-202. 44 Calvesi, Le realtà del Caravaggio cit., p. 148. 45 In questo senso è significativa un'osservazione recentemente presentata da Nocentini e Di Vito, i quali dicono che nel dipinto il giovane tiene in mano la canna come si prende una penna e il Caravaggio abbia voluto suggerire al cardinale Borghese la firma della grazia (Nocentini, Di Vito, Buon pastore cit., p. 43). Tuttavia non è chiara la ragione per cui, a differenza del David con la testa di Golia, nel nostro dipinto il Merisi non dipinse esplicitamente il proprio viso per comunicare al cardinale il suo desiderio. A mio parere, però, si noti come il pittore nei suoi ultimi anni di vita abbia potuto utilizzare in vario modo i suoi dipinti per alludere a eventi della propria biografia. Ad esempio, come ipotizzerò in un mio prossimo articolo, anche il San Giovanni Battista alla sorgente eseguito dal Merisi probabilmente nello stesso periodo (purtroppo l'originale del quadro non è ancora stato ritrovato ma, grazie alle tre copie rimaste, si può sapere quale fosse l'immagine dell'originale) poteva avere un'analoga funzione di messaggio visivo per lo stesso cardinale, dove l'immagine del santo non sarebbe stata dipinta come un autoritratto chiaro dell'artista ma come una sorta di autoritratto in cui egli si sia psicologicamente identificato con il personaggio evangelico. Tale rappresentazione allusiva sarebbe sostanzialmente vicina a quella del nostro dipinto. 46 Biblioteca Vaticana di Roma, Urb. Lat., 1078, cc. 537r, 562r; trascritto in Macioce, Michelangelo Merisi cit., p. 264, doc. 405. 304 This content downloaded from 147.251.79.247 on Mon, 25 Jan 2021 10:11:45 UTC All use subject to https://about.jstor.org/terms