Günter Holtus/Edgar Radtke (Hrsg.) Tübinger Beiträge zur Linguistik herausgegeben von Gunter Narr I Gesprochenes Italienisch 252 I in Geschichte j und Gegenwart /er':', ^, ■% V >— gilW Gunter Narr Verlag Tübingen L"'ITALIANO DELĽUSO MEDIO": UNA REALTA TRA LE VARIETA LINGUISTICHE ITA LIANE Francesco Sabatini (Roma) 1. Una nuova fase di studi Negli studi sulla situazione linguistica italiana contemporanea sono stati di volta in volta affrontati, negli ultimi decenni, i temi dell' "italiano regionale", del cosiddetto "italiano popolare" (un concetto tuttora molto proble-matico), dell'"italiano tecnologico" e perfino "neocapitalistico" (profetizza-to da P.P. Pasolini). Disponiamo oggi di alcune linee di inquadramento gene-rale che ci permettono di orientarci prú facilmente nel valutare tale situazione. Ě rimasto, pero, troppo a lungo fuori dal campo di osservazione un certo uso della lingua ehe non rientra sotto nessuna di quelle etichette e che tuttavia rappresenta un oggetto di massima importanza: il grande assente dai nostri studi, per molti anni, ě stato l'italiano che possiamo fin da ora chia-mare dell'USO MEDIO. Non sono mancate, in passato, indagini sulla cosiddetta lingua "viva" (un termine ben poco significativo, ricorrente di solito nei manuáli scolastici), ma esse erano rivolte per lo přu al lessico e riguardavano la presenza di forestierismi, regionalismi, neoformazioni. Un noto saggio di B. Migliorini, apparso nel 1938 e aggiornato nel 1963 (Migliorini 1963), benché intito-lato Innovazioni grammaticali e lessicali dell'italiano d'oggi, affrontava ben poche questioni di morfosintassi e si diffondeva ampiamente sul lessico (tuttavia risulta oggi di grande utilita per misurare l'evoluzione awenuta nel frattempo). Seri studi di morfológia e di sintassi nello stesso campo sono stati awiati invece dalla metá degli anni '60, soprattutto con le importanti ricerche di T. Alisova (1965, e poi 1967 e 1972), alle quali si sono affiancati vari contributi presentati nei Congressi della S.L.I. (Atti S.L.I. 1969,1970, 1971, 1972, 1975, 1978) o apparsi altrove (Boström 1974-75; Crusca 1977). Sicché giá nel 1979, in un convegno di italianisti tenuto in Finlandia, potevo tentare una prima caratterizzazione complessiva di tale uso della nostra lingua (Sabatini 1979). Oggi ripropongo quel tentativo in termini piú ampi e piú chiari1, incoraggiato anche dalla recentissima e folta messe di 1 II contenuto di questo saggio ě stato anche esposto e discusso in seminári tenutí, nel 1983, presso le Universita di Innsbruck, Salisburgo, Vienna, Graz, Regensburg, studi con i quali si affrontano in modo nuovo i temi della comunicazione parlata in generale e delle varieta dell'italiano2 e nei quali trovano piena conferma, mi sembra, le idee di fondo che allora avevo soltanto accennate. L'assunto principále della mia tesi puô essere sintetizzato in tre punti, che enuncio qui preliminarmente: - i processi in corso nella situazione linguistica italiana hanno ormai porta-to alia diffusione e alľaccettazione, nelľuso parlato e scritto di media formalita, di un tipo di lingua ehe si differenzia dallo "standard" ufficiale piú che per i tratti propriamente regionali (via via sottoposti anche a con-guagli), soprattutto perché ě decisamente ricettivo dei tratti generali del parlato; \ - si tratta delľésito piú significativo dell'intero percorso della nostra storia linguistica,'dato che sostanzialmente segna il recupero, sul piano "na-zionale", di modalita appartenute da sempre ai sistemi linguistici di base della comunitä italiana .(e pienamente integrate nelle altre lingue romanze), ma fino ad epoca recente rimaste attive ed acce.ttate solo nelle forme di comunicazione regionale (dialetto, italiano regionale); - tale esito rappresenta anche il vero punto di forza per le sorti della lingua italiana in una societa piú omogenea socialmente e culturalmente e in un tipo di civiltá che si awale largamente della comunicazione orale "ampliata" e "ufficializzata", qual ě quella affidata ai moderni mezzi di trasmissione fonica e visiva. Magonza, Saarbrücken, Tokyo e Osaka (una sintesi, in giapponese, ě apparsa nella rivista Studi Italici, dell'Associazione di Studi italiani in Giappone, Osaka, vol. XXIII, 1984, 227-239). Su questo studio si basa anche la mia relazione su L'italiano "di uso medio": un necessario punto di riferimento nell'insegnamento dell'italiano alľestero, tenuta al Convegno sullo studio dell'italiano in Canada (Ottawa, 26- 29 giugno 1984), i cuiAtti sono apparsi in un inserto speciale della rivista Ľ Veltro, XXVIII (1984), 3-4. Per dare un'idea dello sviluppo crescente di tali ricerche, concentro in questa nota la bibliografia essenziale: Albrecht 1979; Durand e Ochs 1979;Radtke 1979, 1981, 1983; Mioni 1979 e 1983; Canepari x1980 (21983); Ernst 1981; Sornicola 1981 e 1983; Sabatini 1982; Crusca 1982 (con gli stimolanti saggi di Nencioni, Poggi Sáláni, Maraschio, Cresti, ed altri);,4m' Finlandia 1982; Renzi 1983; Neumann 1983; Holtus 1983; Mulja&č 1983; Lepschy e Lepschy l\911 (21981); Lepschy 1983 a, e 1983 b; Berruto 1983a, 1983b, 1983c, in stampa a, b; Holtus e Radtke (edd.) 1983a; Cortelazzo 1984; Berretta in stampa; Koch in stampa; Atti S.L.1. 1983 in stampa; Galli de' Paratesi in stampa. Alcuni temi sono stati affrontati nel 3. Österreichisch-Italienischer Linguistenkongress/30 Convegno italo-austriaco di linguisti, su Syntax des heutigen Italienisch/Sintassi dell'italiano contemporaneo (Graz, 27- 31 maggio 1984), e nel XVIII Congiesso internazionale della S.L.I., dedicato a L'italiano regionale (Padova 14-16 settembre 1984). 156 157 2. Tratti fonologici e morfosintattici In questo paragrafo vengono indicati e discussi brevemente 35 tratti tra fonologici, morfologici e sintattici, che, insieme con altri di natura lessicale (solo velocemente esemplificati nel paragrafo 3), caratterizzano l'uso — pre-valentemente parlato, ma anche scritto — della nostra lingua in situazione di media formalita, .oltre ehe di informalitá. Tutta I'esemplificazione deriva da rilevamenti diretti del parlato e da spogli di testi scritti: soprattutto da testi di giornali e riviste, ma anche da testi di una čerta formalita, come manuáli universitari e perfino saggi di carattere scientifico. Circa i tratti fonologici, quelli dei punti 1-3 sono stati rilevati, owiamente, solo da pro-nunce orali; quelli dei punti 4-7 sono riscontrabili anche in testi scritti. 2.1. Fonologia 1) La distinzione tra vocali chiuse e aperte ([e] e [e]; [o] e [o]) secondo il modello toscano stenta ad entrare anche nelľuso delle persone molto colte. Ogni tentativo di instaurarla in parlanti non toscani sembra destinato a insuccesso e le cause di ciô sono molteplici: manca una distinzione grafica (presente soltanto nei casi in cui si appone ľaccento grafico, anch'esso, pero, spesso uniformato nel segno delľaccento grave); massicce correnti difformi dalľuso toscano vengono sia dal nord, sia dal sud (dove ľarea siciliano-calabrese-salentina annulla del tutto la distinzione, a favore dei timbri aperti); sono rarissimi i casi di distinzione lessicale affidata esclusiva-mente alľopposizione nel grado di apertura tra le due vocali. In conseguenza di ciô, ľadeguamento al modello toscano suscita scarsissimo interesse nella maggioranza dei parlanti, sicché si puô parlare di neutralizzazione di tale opposizione nella loro coscienza. 2) La distinzione tra 5 sorda e s sonora ([s] e [z]) scempie intervocaliche secondo la norma fiorentina ě in realtá impraticabile per la stragrande maggioranza degli Italiani. La mancanza di distinzione grafica e di un criterio logico costringerebbe a imparare a memoria le singole parole con s sorda {casa, naso, asino, ...) e con s sonora (rosa, asilo, fusione,. ..). Nel nord ě costante la sonora, a Roma e nel sud ě costante la sorda. Si delinea tuttavia una čerta preferenza per la pronuncia settentrionale (sonora genera-lizzata) ritenuta piü prestigiosa. 3) II raddoppiamento fonosintattico ě poco awertito: ě assente nella pronuncia di tutti i settentrionali e dei Sardi; nella pronuncia dei centro-meri-dionali non toscani manca dopo da, come, dove. Sicché, ad esempio, le pro-nunce del tipo da ccasa, da pparte mia, dove vvai, come vvuoi, sono sentite come regionalismi toscani. 4) La i prostetica davanti al nesso iniziale s + consonante, dopo una parola con finale in consonante, é di uso raro, sia nel parlato ehe nello scritto (tendenza segnalata giá da Migliorini 1963, 70). Resiste, come formula abbastanza cristallizzata, per iscritto, ma ormai non s'incontrano quasi piü le forme in Isvezia, in Isvizzera, in istrada, per isbaglio. Hanno influito su questa scelta sia la maggiore coscienza delľautonomia lessicale delle parole, I sia la maggiore familiaritá con nessi consonantici complessi, propria dei t parlanti settentrionali o acquisita attraverso la conoscenza. di lingue straniere í (o almeno la pronuncia di parole straniere). I 5) Le forme ad, ed vengono limitate ai casi di incontro con la stessa vocale i (serivo ad Anna; Luigi ed Emília; ma nato a Enna; Luigi e Anna). La forma í od é pressoché scomparsa (come da tempo la forma ned). Prevale, anche in f questi casi, la coscienza delľautonomia lessicale delle parole. (Ben diversa I; stabilita prevedeva Migliorini 1963, 70). I 6) Ľelisione e il troncamento, al di lá dei casi canonici, si sono fatti molto f piü rari. Giunture come Varmi, s'é visto, m'é ..eapitato, s'aggiunga, ch'io I sappia, gľindici, ďuno (per ľelisione), e vengon detti, far ombra, sembrar Í dubbio, quel che dico, dir tutto (per il troncamento) oggi sarebbero sentite come arcaizzanti o affettate o poetiche. Bisogna a questo proposito osser-vare che per questi fenoméni il parlato e lo scritto divergono alquanto: nel parlato le elisioni e i troncamenti sono leggermente piü frequenti (per la r facilitazione fonica ehe ne deriva), mentre nello scritto prevale piü chiara- h mente la tendenza al rispetto delľautonomia e integrita delle parole. Ľanda- mento dei fenomeno era giá apparso chiaro a Migliorini 1963 (67 s. e 70 s.); i si aggiungano le osservazioni di Finizio 1983 sulľelisione e quelle, assai I puntuali, di N. Maraschio (in Crusca 1982, 152) sul troncamento nella lin- -i gua dei due doppiaggi dei film Fúria, eseguiti nel 1936 e nel 1980. •f 7) La regola dei "dittongci mobile" (alternanza tra suôno e sonáre, muôvere I e movéva) é sostituita, ormai, da serie congelate: per molti verbi (nuöcere, í suonáre, lievitáre, miétere .. .) si é generalizzata la forma con dittongo;per altri (arrotáre) si é consolidata la forma senza dittongo. (Anche il tramonto I dei dittongo mobile era stato registrato, con un certo rammarico, da Miglio- rini 1963,71 s.). í 2.2. Morfológia e sintassi I 8) Jra gli aggettivi e pronomi dimostrativi codesto (o cotesto), e tra gli av- I verbi di luogo costi e costá, sono ormai confinati, fuori di Toscana, nel- }' ľuso buroeratico (ad es., Invio a codesto uffwio i documenti richiesti). Nel I parlato si ricorre ad altri elementi della frase o contestuali (gesti) per specifi- care la posizione degli oggetti rispetto alľinterlocutore. 9) Le forme aferetiche 'sto, 'sta, ecc, per questo, questa, ecc, connotano ancora la lingua in senso colloquiale, ma sono certamente panitaliane: 'Sta faccenda non mi convince. L'uso di 'sto, 'sta ě favorito dalla presenza delle forme perfettamente fuse, ormai consolidate nella lingua standard, come stamane, stamattina, stasera, stanotte e anche stavolta. 10) Con funzione di neutro si usano decisamente questo (specialmente quando non segue una relativa che specifichi) e quello: Questo non ě vero; Vorrei dirti solo questo: sei ingenuo; Quello che ě giusto ě giusto; Ti dico quello che so. Molto raro ě l'uso di cid (di solito seguito da una relativa: tutto cid che vedi). Anche il pronome neutro to, che richiama un intero enunciato o un complemento predicativo del soggetto o dell'oggetto.ediuso larghissimo: Lo so; Lo credo bene; Lo immaginavo!; Non lo avrei mai cre-duto; Si crede furbo ma non lo ě; Ritenevo Luigi uno sgobbone, ma non lo ě. 11) La forma pronominale dativale gli ě di uso larghissimo con tutti i valori: "a lui", "a lei", "a loro" (masch. e femm.). Quesťuso generalizzato áigliě al centro di antiche e recenti discussioni, basate su periodiche campionature (cfr. Hall 1960; Boström 1972 e 1974-75; Satta 1981, 146s.; Berretta, in stampa, la quale osserva, tra l'altro, che la decadenza del tipo esso ha determinate una carenza pronominale per quanto riguarda gli elementi non ani-ma ti). Per spiegare, e almeno in parte giustificare, questa tendenza bisogna richia-mare vari argomenti, che qui riassumo: — storicamente, il dativo singulare Uli e il dativo plurále Ulis, validi in latino per tutti i generi, hanno dato l'esito unificato li (passato poi a gli) presen-te in vari dialetti toscani, centrali, meridionali e settentrionali (dove com-paiono anche forme foneticamente diverse, gi, je) (Rohlfs 1966—1969, §§ 457-459 e 463-464); - in composizione con altre particelle pronominali, come -lo, -la, -li, -le, -ne, la forma dativale ě glie- per tutti i generi e numeri (glielo, gliela, gliene); - giá la forma loro é usata senza distinzione di genere (= 'ad essi' e 'ad esse'); — molti scrittori dei secoli XIV—XVI usarono liberamente la forma unica gli e questa fu riammessa per il plurále (ma non per il femminile singulare e plurále) dal Manzoni; scrittori piü recenti hanno accolto ancora piú largamente la forma gli. Alia base dell'uso generalizzato di gli c'e dunque una tendenza dalle radici profonde ed estese, la quale puö considerarsi accettabile nell'uso medio, sopprattutto parlato, ma anche scritto. S'incontra spesso nei giornali e nelle riviste; ě quasi normale nella narrativa. 12) Le forme lui, lei, loro in funzione di soggetti, al posto di egli, ella, essa, essi, esse, sono ormai la norma in ogni tipo di parlato, anche formale, e nelle scritture che rispecchiano atti comunicativi reali. L'uso di egli, ella, essa, essi, esse, e ristretto al parlato che possiamo definire "celebrativo" e alle scritture di tipo argomentativo e asituazionale. Anche questo caso richiede qualche spiegazione. Le forme lui, lei, loro in funzione di soggetto cominciano ad essere attestate con una certa larghezza nel pieno sec. XIV (ma un esempio certo di low e giä in un documento fiorentino del 1267, Castellani 1952, 225; uno di lui e nel Fiore attribuito a Dante: v. Enciclopedia dantesca, s.v. lui) e si moltiplicano dal secolo suc-cessivo (Boström 1972). Tali forme furono condannate dal Bembo, nelle Prose della volgar lingua apparse nel 1525, e cid ebbe notevole effetto sulla lingua di molti scrittori (alcuni dei quali cambiarono parzialmente uso dopo quella data: cosi Michelangelo e Guicciardini), ma non di tutti: vicini alia tendenza innovatrice affermatasi ormai definitivamente nel parlato restaro-no alcuni autori di commedje e di cronache cjjtadine, nonche A.F. Doni. II grammatico piemontese Stefano Guazzo (1530-1593) ci attesta esplicita-mente l'uso di lui e lei soggetti come normale nel parlato della sua regione (Vitale 1978, 143). Dal secolo XVII in poi si assiste a una graduale ascesa del sistema lui/lei/loro nella narrativa, con una decisa impennata dovuta alle scelte del Manzoni. ^ La rivincita del parlato si spiega ancor meglio se si tiene conto del fatto che sono diventate piü frequenti, negli ultimi secoli, le scritture di tipo "situa-zionale": in queste vigono le Stesse regole della comunicazione orale "faccia a faccia" nella quale si fa grande uso dei pronomi personali con funzione deittica (e quindi di forma forte, che e quella obliqua) e scarso uso di quelli con funzione anaforica (di forma debole, che e quella nominativale) (Durante 1970). 13) Trovano buona accoglienza le forme dei dimostrativi questo e quello rafforzate da qui e li: questo qui, quello li, e anche quest'uomo qui, quella casa li. E' un uso di origine settentrionale, parallelo alle forme francesirin-forzate con -ci, ma piü che altro affiora nel parlato. (Un parallelo si puö istituire con le forme noialtri e voialtri emergenti dai dialetti di tutta 1'Italia — e da confrontafe con gli spagnoli nosotros e vosotros — ma di uso soltanto colloquiale e piü spesso popolare). 14) La combinazione di una preposizione con Particolo partitivo, sconsiglia-ta dalle grammatiche, e in realtä di uso frequentissimo proprio nella lingua media (non in quella molto formale, ne in quella regionale o popolare): Condiscilo con dell'olio crudo; E' andato in gita con degli amici che non conosco; Mi sono rivolto a delle persone fldate; L 'automobile e piombata su dei passanti; ecc. 160 161 Nelle varietä piü alta e piü bassa s'incontrano altre soluzioni, come l'elimina-zione del partitivo o la sua sostituzione con altri tipi (alcuni, taluni, certi, espressioni composte): con olio o con un po'd'olio; con amicio con alcuni (o certi) amici; su un gruppo di passanti. 15) Tra ci (o ce) e vi (o ve) particelle pronominali con valore di avverbi di luogo, la lingua parlata ha scelto decisamente la prima (ci resto; ci metto; metterci; mettercelo). Quando il ci avverbiale di luogo verrebbe a trovarsi in compagnia di un ci pronome personale ('noi'), si modifica piuttosto il costrutto anziehe ricorrere all'uso di vi: si dice piazziämoci subito Ii piuttosto che piazziämovici (assolutamente improbabile). 16) La particella ci (o ce, se in unione con altre particelle atone), originaria-mente con valore di avverbio di luogo 'qui' (dal lat. ecce hic), ha un uso larghissimo in unione con i verbi essere e avere (non con valore di ausiliari) e con altri verbi. Essa ha in gran parte perduto il suo significato originario: la sua funzione e quella di rinforzo semantico e fonico alle forme verbali. Con il verbo essere il ci conserva una sfumatura di awerbio di luogo, che spesso perö ha un effetto piü propriamente e solo "attualizzante". Quando si descrive un evento speeifico del quäle implicitamente sono richiamati aspetti materiali e localizzäbili, il ci e obbligatorio: Oggi c'e sciopero dei giornali; A quest'orq non ci sono piü treni per Firenze; C'e stato un inci-dente; C'e un equivoco; C'e il sole;Non c'e posto per te. (Si noti la differen-za con frasi come oggi efesta, oggi e vacanza, nelle quali si hanno espressioni tutto sommato impersonali, "oggi si fa festa", "oggi si fa vacanza", oppure con una fräse come e stato un incidente riferita a un fatto che viene "con-siderato un incidente"). L'uso del ci e normale e obbligatorio con il verbo essere nel significato di "esistere", anche se non e implicito alcun riferimento concreto aun luogo: C'e della gente che ama perder tempo; C'e chi si diverte a dir male degli altri; C'era una volta un re. Con il verbo avere (v. speeificamente Christmann 1984) e piü evidente an-cora la funzione puramente attualizzante del ci originariamente avverbio di luogo. Nell'uso orale della lingua esistono casi in cui il ci e obbligatorio per evitare ambiguitä: a una domanda come hai l'ombrello?, si risponde ce l'ho e non l'ho che suona [lo] e puö confondersi con lo ([lo]) pronome o artico-lo. Anche la domanda spesso si formula col ci: c(i) hai l'ombrello?, o addirit-tura ce l'hai l'ombrello? (con costruzione di tipo segmentato, su cui vedi il punto 17b). Cosi, non si direbbe mai, oralmente, l'ha o non l'ha?, che suonerebbe [la o non la], ma ce l'ha o non ce l'ha?. Sulla base di casi obbli-gati come questi, si spiega l'uso (diffusissimo in tutte le regioni d'Italia e tra parlanti anche colti) delle espressioni c(i) ho fame, c(i) ho freddo, non c(i) ho tempo, c(i) hai ragione e simili3. Nell'uso scritto queste forme stentano ad entrare, non soltanto perché fortemente connotate in senso colloquiale, ma perché vi sono difficoltá materiali nel rendere con la grafia normále la pronuncia palatale della c isolata, conservando per di piú Vh grafica del verbo. Gli scrittori che hanno accolto la forma in questione (Verga, Pavese, ed altri) hanno scritto ciho, ciavevo, ecc. La particella ci ě usata frequentemente con i verbi sentire e vedere in espressioni come ci sento, ci vedo, non ci sento, non ci vedo e simili: la funzione del ci qui ě pienamente "attualizzante", perché il significato di queste espressioni ě emplicemente quello di "sento bene, ho buon udito", "vedo bene, ho buona vista" (o "non sento bene", ecc), senza alcun riferimento al luogo e alle condizioni ambientali (bensi agli,organi: Rohlfs 1966-1969, § 899). Con altri verbi, come entrare, capire, credere, volere (in espressioni come: e'entra, non e'entra, che e'entra?; non ci capisco niente; ci credo, non ci credo; ci vuole pazienza; ci vuole poco, ecc), il ci conserva in parte il suo significato originario di "qui, in questa faccenia, a proposito di questifatti". L'eliminazione del ci renderebbe pero oscuro il senso, perché il verbo ac-quisterebbe un altro significato o, comunque, l'enunciato muterebbe valore. (Nel caso di volere siamo ormai in presenza di due verbi: il semplice volere "manifestare volontá", e il pronominale volerci "occorrere"). Per il ci che riprende o anticipa un tema espresso in altra parte della frase vedi il punto seguente. 17) Le grammatiche scolastiche tradizionali hanno sempre condannato come "pleonastiche" le costruzioni con ripresa pronominale di un terna, e come "francesismi" le costruzioni con inizi del tipo Ě per questo che Ě a lui che ... Inoltre, enunciano una generica regola secondo cui "il sogget-to di norma precede il predicato". Ě stato cosi sottratto all'attenzione di chi insegna la lingua l'intero fenomeno dell'"enfasi", cioě della focalizzazione delľinformazione che rappresenta il dato "nuovo" nelľatto comunicativo. I fenoméni di "enfasi", e quelli a volte connessi di enucleazione del tema (tematizzazione), sono ben presenti nella lingua italiana parlata e in quella scritta che riflette piu direttamente la prima. A prescindere dall'enfasi pro- 3 A proposito dell'uso di ci davanti al verbo avere,va segnalato che in moltissimi dia-letti italiani avere (quando non e sostituito da teuere') e sistematicamente preceduto da una particella rafforzativa, che ad es. nell'area veneta hgh(e), nell'area centrale e c(i) e nell'estremo sud e nd(ij. II verbo avere dunque si coniuga in questo modo: go, ghe ( provocare o realizzare, scocciare e seceare per annoiare o dare fastidio, \ canagliata, mascalzonata, e, naturalmente il nazionalissimo (e perfino inter-nazionale) ciao, come formula di saluto confidenziale. Andando oltre, si ■£ entra nella sféra anche dei registri espressivi e perfino dei sottocodici. Sono chiaramente espressive (cito largamente da Albrecht 1979, con aggiunte) parole come fregare "ingannare" o "rubare" (e fregatura), scassare "guasta- ■£ re, rompere", rompiscatole, rottura di scatole, ficcanaso, attaccabrighe, .p. attaceabottoni, tirapiedi, casino "confusione" (e incasinare, ecc), incavo- í' larsi, incazzarsi, carognata, fifa, imbranato "incapace, impacciato", beceare f "cogliere in fallo, catturare", acehiappare, scarpinare "camminare a lungo e m 171 con fatica", sacramentare "bestemmiare", mollare "lasciare", sbolognare "dare via" o "togliersi di toráo", sputtanare "rovinare il buon nome", spompato "fiacco". Termini come grana "denaro", soffiata "rivelazione segreta", semináre qualcuno "superarlo, lasciarlo indietro", gasare "ecci-tare", fuso "svigorito, distrutto", figo e fichissimo "di ottima qualitä", sono sostanzialmente di gergo, soprattutto giovanile. Si dovrebbe inoltre inquadrare il repertorio delle "parolacce" di ogni genere divenute da tempo panitaliane. C'e dunque, indubbiamente, anche uno strato nazionale di lessico chericorre tipicamente nell'uso medio delia lingua, e corrisponde al bisogno di comu-nicare in maniera abbastanza semplice, accessibile a tutti, vi sia o no ľin-tenzione di aggiungere vere connotazioni espressive. 4. L"'italiano dell'uso medio" sposta U baricentro delia norma Sulla base del materiále dei due paragrafi precedenti ě possibile svolgere tre considerazioni di carattere generále, ehe ritengo decisive per giungere a una piú equilibrata valutazione delia realtá linguistica italiana e, di conseguenza, per un orientamento anche in sede didattica. 4.1. I tratti sopra deseritti - sono panitaliani; - sono usati da persone di ogni ceto e di ogni livello di istruzione; - formano sistema, cioě si ritrovano "solidalmente" in uno stesso tipo di discorso; - non sono limitati al discorso "orale-non pianificato", ma risultano piena-mente funzionali anche per un discorso "seritto-pianificato", purché non decisamente formale. Questi tratti sono certamente sufficienti per individuare una VARIETA DELLA LINGUA NAZIONALE ehe si distingue abbastanza bene sia dallo standard, sia dalle varieta regionali (di qualsiasi livello socioculturale). A questa varieta si addice - meglio di altre denominazioni piú riduttive o vaghe, come "italiano colloquiale" o "colloquiale-informale" - il nome di "italiano delľuso medio parlato e scritto", e, perbrevitá, ITALIANO DELL'USO MEDIO. E' denominazione fin qui non canonizzata, ma certo utilizzata chissá quante volte dagli studiosi, quando si sono awicinati al concetto ehe qui stiamo precisando: affiora, ad esempio, nelle parole di Nen-cioni (in Crusca 1982, 29) quando deserive il suo "ideále di una lingua media - parlata e seritta ma anzitutto parlata - veramente comune". Un "ideále" ehe anche per Nencioni si sta realizzando, via via ehe un tessuto di 172 "colore uniforme" si va intrecciando (come lo studioso dice con vivace im-magine) "con grosso filo grigio nel mezzo di una gran tovaglia arlecchina", che ě l'insieme dei nostri italiani regionali. (Ma c'era chi giá sessant'anni fa certificava l'esistenza di una Umgangssprache italiana, definendola come "semplicemente il tipo di lingua orale delľitaliano ehe paria in modo 'corret-to' (normale, medio)": cosi si espresse L. Spitzer f 1922, VII], quando dallo studio delle lettere dei soldáti incolti passô a quello dei testi scenici, narra-tivi e poetico-comici delľOtto e Novecento). Ma, a prescindere dalle etichettature4, oggi vari studiosi (oltre al citato Nen-cioni, rinvio, ad esempio, a Scalise 1976;Albrecht 1979;Canepari 1983;N. Maraschio ed E. Cresti in Crusca 1982; Radtke 1983; Berruto, in stampa a) convengono nel giudicare riconoscibile questa varieta nazionale ďitaliano; sieche essa va inquadrata nel "repertorio verbale degli Italiani". Gli schemi di tale repertorio sono stati disegnati fondandosi quasi esclusiva-mente sulla polarita lingua/dialetti, alia quale sono stati aggiunti (ma raramente) riferimenti al parametro delia formalitä/informalitá o alľambito sociale (per ľ"italiano popolare"). Ne sono risultate scale di questo tipo: italiano (come si scrive) - italiano regionale - dialetto regionale - dialetto locale (Pellegrini 1960, poi 1975, dove si mantiene la quadripartizione ma si modificano i termini in: italiano Standard o lingua letteraria; italiano regionale; koinái dialettali o dialetti regionali; dialetti); italiano aulico - italiano parlato formale - italiano colloquiale informale -dialetto di koině o di stile elevato - dialetto del capoluogo di provincia -dialetto locale (Mioni 1975); italiano comune - italiano comune regionale - italiano regionale - italiano regionale popolare - dialetto di koině regionale - dialetto dei centri provincial! - dialetti dei centri minori - dialetto locale (Mioni 1979); italiano Standard - italiano regionale - italiano popolare - italiano dialet-tale - italiano/dialetto (cioě alternanza dei due codici) - dialetto italia-nizzato - dialetto regionale - dialetti locali (Sanga 1978, con riferimento principalmente alla situazione delia Lombardia); italiano comune (a due livelli: uno non connotato regionalmente, ľaltro connotato regionalmente almeno "a giudizio dei puristi") - italiano regionale (a due livelli: uno latamente regionale o interregionale, ľaltro stretta- 4 Non sarebbe adatta, ad esempio, la formula "una lingua media negligente per scn-vere e parlare" ehe appare nel titolo di Scalise 1976. Sia pure usando "negligente nel senso tecnico di "sbrigativo, colloquiale" (come precisa lo stesso Scalise), va detto ehe tale "negligenza" puö essere stata alľorigine di questa varieta di hngua, ma non la caratterizza piú quando se ne fa un uso piú organico e istituzionale. 173 mente regionale o locale) - dialetto (a due livelli: uno arcaico, ľaltro inno-vante in senso italiano) (Sobrero/Romanello 1981,30—38); Standard (assoluto, cioě di tipo fiorentino colto, o pressoché tale) — Standard regionale (standard con caratteristiche regionali limitate alla pronuncia e a rari tratti grammaticali e lessicali) - varianti regionali (italiano regionale con piü fořti caratteristiche dialettali di ogni livello) — dialetto (Canepari 1983; lo studioso aggiunge che, mentre i parlanti dello standard puro o quasi puro probabilmente non aumentano piú di numero, aumentano invece quelli della varieta immediatamente sottostante, la quale si sta ponendo come uno "standard allargato" cioě piú tollerante di quello tradizionale). De Mauro (1980, 107-110) ha proposto una scala alquanto diversa, alla quale ha affiancato anche i parametri del grado di formalita e del mezzo utilizzato nella comunicazione: italiano scientifico - italiano standard ~ italiano popolare unitario - italiano regionale colloquiale - dialetto regionale - dialetto locale stretto. Ma anche in questa scala le varieta risultano individuate fondamentalmente dalla polarita lingua/dialetto, dal moměnto ehe ľitaliano "popolare", al quale si riferisce De Mauro, ě caratterizzato (in quanto popolare)5 soprattut-to dalla forte presenza di elementi regionali; mentre ľitaliano "scientifico" posto alla sommitá della scala va classificato chiaramente come varieta fun-zionale-situazionale (cioě come un sottocodice) delľitaliano standard6. Gli studi piú recenti (citati nella nota 2), che hanno richiamato maggior-mente ľattenzione sul mezzo fisico e sul "modo" (o "modalita")1 della •t 5 II caiattere "unitario" che questa varieta possiede in proprio, e cioě per tratti non "> coincidenti con quelli della lingua standard, va ricondotto innanzi tutto al fattore generále delľoralitä delľuso (dalla quale dipende direttamente anche l'uso seritto) ;*f e in secondo luogo dai processi di "interferenza" (con le altre varieta) e di semplifi- t. cazione". Cfr. Radtke 1979 e 1981; Ernst 1981; Berruto 1983ae 1983b; Neumann 1983; Holtus 1983; Koch in stampa; e, sostanzialmente, Lepschy 1983a e 1983 b. Sulle stesse posizioni G.B. Pellegrini, come risulta dal riassunto della sua relazione per il XVIII Congresso della S.L.I. (cito dal těsto nel Bollettino della S.L.I., II, 11). Esempi tipici di "semplificazione" sono i congiuntivi analogic! vadi, venghi, dassi, *í l'uso di suo al posto di loro (tratti poligenetici e di tutte le epoche). — Che ľitaliano "popolare" sia geneticamente diverso dalľi talian o "regionale" (questo cittadino e piccolo borghese, quello creato dalle masse dei lavoratori, per lo piú non cittadine) e sia intrinsecamente "unitario", ě invece la tesi sviluppata, sui presupposti demau-■í riani, da Gensini 1982, 346 e passim. 6 Le varieta funzionali-situazionali sono determinate fondamentalmente dall'"argo-• mento" (termine col quale si indica un insieme di elementi), anche se con questo , interferiscono aspetti intenzionali e socioculturali, che caratterizzano il registro (o ■'ft anche "stile funzionale"). Cfr. Berruto 1980, 28-31, 36-40,45-54 e 182-97. 7 Con modo o modalita traduciamo il termine inglese mode, che indica (nel senso specificato da M.A.K. Halliday) non soltanto il mezzo fisico, ma anche il "contatto 174 175 comunicazione linguistica, ci permettono di rendere piú concreta la visione dei fatti che c'interessano: soprattutto inducono a distinguere tra fatti generalmenté pertinenti alia comunicazione parlata (variabili diamesiche8 e diafasiche) e fatti propriamente di natura socio-culturale e geo-culturale (variabili diastratiche e diatopiche), e a valutare debitamente anche il processo storico di affermazione della "norma", che a volte (come nel caso italiano) si ě costituita piú marcatamente nell'ambito della tradizione scritta, a volte (come nel caso francese) ha risentito piuttosto di quella parlata. Alia stregua di tali criteri, i tratti passati in rassegna nei paragrafi precedenti ci appaiono tutti inquadrabili nettamente sotto il profilo delle variazioni diafasiche e diamesiche e assolutamente non di tipo diastratico e diatopico: ci permettono dunque di individuare una varieta nazionale di italiano, quella appunto che abbiamo giä definito come "italiano dell'uso medio". Nulla toglie al riconoscimento di questa varieta "nazionale" il fatto che gli stessi tratti si ritrovino - ancora piú marcati, owiamente, e rinforzati da altri concomitanti — in alcune varieta propriamente diastratiche e diatopiche, cioě nell'italiano regionale e nei dialetti. Ě evidente che nelľitaliano regionale, specialmente in quello usato dalle classi popolari, e ancor piú nei dialetti, questi tratti sono ben presenti proprio perché queste varieta di lingua sono piü che mai legate agli usi informali e orali9. Alio stesso modo, nulla toglie il fatto che l'uso orale di questa varieta si ac-compagni, anche nei parlanti colti, a tratti specifici di pronuncia regionale. Innanzi tutto va detto che in talune fasce sociali e generazionali anche i tratti di pronuncia regionale si vanno attenuando di molto, fino a ridursi a generiche sfumature riferibili solo alle grandi aree geolinguistiche (setten-trionale, centrale, meridionale, con vaghe suddistinzioni). E poi, ě evidente che non siamo davanti a un diverso sistema linguistico, a una diversa "gram-matica": le varieta interne di una lingua sono collegate, almeno largamente, alle Stesse regole profonde, dalle quali si possono perö ottenere "uscite" diverse (Berruto in stampa a). Ľ"uscita" a cui abbiamo rivolto l'attenzione ě ben caratterizzata, rispetto a quella standard, da: psico-sociologico", la "maniera" di comunicare attraverso un dato mezzo: cfr. Berruto 1980, 37-39, 46 e 157; Sabatini 1982a. Altri Studiosi definiscono codice questa modalita, e istituiscono perciö una precisa distinzione tra codici fonici o grafici (riferiti all'aspetto materiále) e codici parlati o scritti (le "modalita" della lingua parlata o scritta): cfr. Söll 1980, Holtus 1983. II termine ě usato da Mioni 1983, 508. La confusione tra "lingua veramente parlata" e "lingua popolare-incolta" ě un er-rore contro il quale combattono esplicitamente molti degli studi citati nella nota 2. Si aggiungano le considerazioni (sulla situazione russa) di M. Di Salvo in Crusca 1976,102 s. - una complessiva minore distanza dall'uso orale spontaneo (il parlato non pianificato); - l'emarginazione di alcuni tratti specificamente di origine toscana, di scarsa rilevanza funzionale e non ben recepiti fino ad ora nell'uso nazionale della lingua (i tratti fonologici e morfologici dei numeri 1-4 e 7; l'uso di codesto, costä, costi). Sono questi, riassuntivamente, i tratti in virtü dei quali la varietä in que-stione, in quanto nazionale e rispondente ad esigenze fortemente sentite dalla societä presente, si Candida ad occupare, dopo secoli di ostracismo, il bari-centro delPintero sistema linguistico italiano o per lo meno a condividere con lo standard ufficiale il crisma della norma (nel senso awertito anche da Canepari 1983). In ogni caso, essa e ben riconoscibile e va chiaramente col-locata nel "repertorio verbale degli Italiani"; il quale dunque si presenta piuttosto in questi termini: ,a g g a .SP.« a, g 'to ä -*r ~ 03 ř-> oj s; (-i t-4 o XI C3 O EC c o 'n C3 '3 _3 CO C 3 ca 3 C oS O i , /M K n S ca co «h So'"3 £ — CO SI* S «XI Ca n4 •g 'a s i§ ~ -3 R a Co *j XJ O X) ;3 o °> cm go-s C » ^ o g 53 O 3 =3 « 8 -3 'a, 2 2 c ca 3 a o X) *J o Ji C ca .í2 x) si ca ' « 3 Cl, CO O -T-t oo ca .. , co +-> .; -r? co o o , ca ca C — 1 ca cc» x; o Ji 6 2 +3 O 3 o +j 3 ßl CO 1) |-j (lí -co X) H '6 O- CO c o,- o •3 'S to X) ca co o ca g g "5b n "i t. --, ,co e! +-» «4-« .rt C w co _2í ca -t-* X! ;z3 G G co S o c 2D... .S3 O K o 2 " S " o o ^ « « m §> Ér ■2 .5 c co S o O O M > co G O, 3 ca - ™ co XI o C O ■g -a o rG o jO Cl, o I Sc2: ca >—" "O o O 2 X) .? G 33 co ca X) XI _S> ca —' o »•« b co ca °:6 co O "ča 55 G g *Sb co co ^ +^ co *Z a o 0 1 Š? "ča ■tí co % § ca G o g 2 'n G ca 3 .o ca c Ä 3 ■5 co o —. Cl. XI cl O 3 c • o ca to o z ' .S3 C i e a 1 o p, "O g o ■ cel o C ' ö ° s • 03 cö c3 i—» „ n +J 5 a cd r=i ta *3 o 3 ° E 2 K c3 3 « O, o, g CS C o M Ü co ^ > CO O Ä 3 C co o — O ca > +3 Jí s — •O K T3 '2 1 .s » o •p c OJ 3 O o c S CJ O CJ) c — o •a -a • 2 «.2 g O TJ O O 0) U ffl n .r! *rl X) O 4> 'S O S Ü 2 3 -S 5.S CO " 13 O t3 c « o Ö 'c *" ta • o o S co *1 s gg .S .i S ° 13 ^1 £J [o ca o Š 8 .8*'S 3 I - J x) ta -r- O 'C SP " O ^ lží 'D C(J r—» a Igl •gs s S ifl o a* a> 5 « O •Sol to *-• j-ns i-, rl " « c ^ 13 43 s|a ^ o .ti g/s H £** 3 ^3 O — C = 'S » w o. 73 « boo tu cd =1 c a* o 2 E ca 0 tu .2 o S "2 £| E gS .i a — j3 .S 2 o ° a a e J O Ě C0 2- .3 . 'S ca to : go o 3 5 "a t; 3 co 5 3 o ■» e .2 co 5 o 3r § s ASPETTI DIAT0PICI VARIETA ASPETTI DIAMESICI (uso seritto/parlato) ASPETTI DIAFASICI (uso formale /informale) E DIASTRATICI varieta nazionali 1) italiano standard seritto e parlato-scritto classi istruite 1 classi popolari formale J - 2) italiano deU'uso medio parlato e seritto mediamente j formale e i — informale j varieta regionali e locali 3) italiano regionale delle classi istruite parlato informale - 4) italiano regionale delle classi popolari ("italiano popolare") parlato e seritto 1 uso unificato, 1 con infor- 5) dialetto regionale o provinciale parlato 1 malitá piů informale ■ j accentuata 6) dialetto locale parlato informale 1 per il dialetto Repertorio delle varieta linguistiche italiane (senza riferimento alle parlate alloglotte) V3 178 179 4.2. E bene mettere in risalto il fatto ehe quasi tutti i tratti morfosintattici ehe caratterizzano il nostro "italiano delľuso medio" non sono innovazioni recenti: molti di essi sono attestati da vari secoli (in aleuni casi si puô risalire fino al latino tardo) e dalľuso orale erano giä passati anche nelľuso seritto, perfíno in opere altamente letterarie (vedi i punti 11, 12, 17a, b,c, 18,19, 20, 22, 25, 26, 27). Sari molto utile estendere, con nuove ricerche, la docu-mentazione retrospettiva, ma abbiamo fin da ora elementi sufficienti per affermare ehe la "novitá" delľitaliano delľuso medio riguarda sostanzial-mente la validita delia norma, non le caratteristiche profonde del sistema. Per dirla con i termini di E. Coseriu12, vari tratti delľitaliano delľuso medio erano giá presenti da tempo nel sistema (o insieme di sistemi) ehe ě alia base delia lingua italiana ed erano stati accolti anche nelle varie norme seritte regionali (a volte di diffusione anche nazionale), ma non furono accolti in quella particolare norma, definibile come supemorma, che dal secolo XVI in poi ha dominato ľuso standard delia lingua italiana: la norma letteraria di tipo bembesco, alia quale, in ultima analisi, si sono attenute le codificazioni grammaticali. Esempi tipici di tratti presenti nel sistema, esclusi dalla (super-) norma, ma oggi consolidatisi nelľitaliano delľuso medio13, sono i fenoméni deseritti nei punti richiamati poco fa. Ľutilizzazione ehe di questa varieta oggi si fa, assai largamente, attraverso i piú diversi mezzi (comunieazione orale faccia a faccia, serittura pubblica, nuovi mezzi di trasmissione), ľavallo che ad essa viene da gran parte delia produzione letteraria, la pressione ehe nella stessa direzione esercitano i massicci usi linguistici regionali (popolari e non), sono questi i fatti nuovi da mettere in evidenza: non siamo ancora a un cambiamento delia norma (nel senso deseritto da Sobrero 1983), ma certamente oggi la norma ě giá divari-cata. Accanto alle trasformazioni socio-culturali, ě anche la complessitá e varieta del sistema di comunieazioni che mette in crisi, forse in tutte le comunitá, il predominio di una sola rigida norma e comporta la coesistenza e concorrenza di piú norme. Certo, nel contesto linguistico italiano, ľattiva-zione di tanti fattori nuovi sta ora portando a compimento un processo di selezione e promozione che in altri contesti (quello francese soprattutto, ma anche quello spagnolo) si era compiuto giá da tempo. 12 Mi riferisco a E. Coseriu, Sistema, norma y habla, Montevideo 1952 (trad. it. nel vol. Teória del linguaggio e linguistica generale, Bari, Laterza 1971), e al suo saggio successivo Sistema, norma e "parola", negli Studi linguistici in onore di Vittore Pisani, Brescia, 1969,1, 235-254. 13 Che il parlato di una certa epoca possa rappresentare lo sboeco di tendenze assai piú antiche ě un fatto ben noto e documentary giá nella storia del latino, e ora anche nella storia del francese e delľitaliano: cfr. Durante 1981,58 s. e 109 s.; Schweickard 1983. Per una considerazione complessiva della "pressione" del parlato nella storia linguistica italiana cfr. Sabaťini 1983. Quest'ultima considerazione non e affatto nuova; specialmente il confronto con le condizioni linguistiche della societa francese e un vero topos che rim-balza da una generazione all'altra di scrittori e di linguisti, almeno dagli illu-ministi e dal Manzoni (nelle lettere al Fauriel 1806, 1823) in poi. Eppure e ancora utile riproporla, alio scopo, s'intende, di favorire una visione stori-cizzata dei fatti e non per indurre a una estrinseca imitazione: ai tanti interrogate che soprattutto gli insegnanti si pongono, su cio che si puo conce-dere e cio che bisogna respingere nelPuso della nostra lingua, spesso si puo rispondere soltanto indicando e confrontando il cammino (la cosiddetta "deriva") delle altre lingue, specialmente di quelle sorelle. Le trasformazioni e semplificazioni che nel contesto francese e spagnolo si sono gia verificate, per effetto di uno svolgimento piu "normale" delle vicende sociali, politiche e culturali di quelle comunita, sono in parte (non interamente, perche nulla si ripete meccanicamente) scritte nel destino anche della lingua italiana "moderna", cioe postunitaria, essendo gia presenti e radicate nei sistemi di base sui quali essa si fonda. Col preciso intento di tranquillizzare chi fosse turbato dalle "innovazioni grammaticali e lessicali dell'italiano d'oggi", Bruno Migliorini fin dal 1938 e poi ancora nel 1963 awertiva (Migliorini 1963, 72): "Insomma anche l'italiano si sta incamminando su una via per cui il francese si e messo da qualche secolo: anche per esso si puo dire che 'siamo di fronte a un vasto insieme di fatti convergenti che rendono la struttura linguistica piu semplice, piu regolare, piu lineare, e che facilitano il funzionamento e la permutabi-lita reciproca degli elementi del sistema'", appellandosi, con la citazione, all'autorita di Charles Bally. Eppure, su quasi tutti i punti da lui passati in rassegna (qui e altrove), ancora oggi si discute, a volte con l'animo, da parte di alcuni, di dover compiere la sortita decisiva per salvare, ora o mai piu, questo o quel caposaldo della lingua. Evidentemente, il richiamo stori-cizzante viene troppo spesso ignorato o non ha molto effetto. E in parte cio b comprensibile: se troppo invocato, quel principio potrebbe generare fatalismo e verrebbe cosi a mancare la necessaria dialettica fra le diverse tradizioni e correnti della lingua, con le loro connesse funzioni. Molti segnali, pero, oggi ci awertono che — per Pincalzare dei ritmi genera-zionali, per Pincontro tumultuoso tra le piu diverse culture e lingue, sotto i Colpi di una tecnologia che non lascia respiro - sono cambiate parecchie condizioni e situazioni di base, per cui anche Puso della lingua non segue piu un corso placido o quasi stagnante. Almeno, non dovrebbero esservi eccessive preoccupazioni di fronte a una consapevole acquisizione e piu libera utilizza-zione di modalita lungamente sperimentate per uno o forse due millenni (si tratta dunque di un recupero!) dalla massa dei nostri parlanti, col con-corso anche di tanti e grandi scrittori. 180 II compito di chi indaga e riflette sulla lingua, in fondo, ě tutto qui: consiste nel far si ehe i processi evolutivi si svolgano nella consapevolezza. Ma i pro-cessi sono comunque in atto e proseguono: tale ě la forza ehe regola e domina, quasi senza controllo da parte dei linguisti e grammatici, la comunica-zione, specie oggi, dati isuoi innumerevoli e potenti mezzi. 4.3. Ľinsegnamento delľitaliano, sia in Italia che alľestero, non puô essere tenuto "al riparo" dai problemi fin qui considerati. Almeno la distinzione - ormai fundamentale per la situazione italiana - tra VARIETA STANDARD PER L'USO SCRITTO FORMALE e VARIETA DELĽUSO MEDIO PARLATO E SCRITTO dovrebbe essere preša in séria considerazione, spe-cialmente se nelľinsegnamento delia lingua si perseguono obiettivi differen-ziati e graduati: ciô s'impone particolarmente per ľinsegnamento delľitaliano come lingua seconda, a discenti ehe molto spesso puntano ad acquisire una competenza (dapprima passiva, poi attiva) innanzitutto sul piano delia lingua delľuso medio, parlato e seritto14. Ě facile constatare, invece, che in molti strumenti didattici manca proprio ľattenzione verso la varieta dei tipi di lingua. II vaglio di un buon numero di "grammatiche" italiane (per stranieri e* non) mi ha permesso di constatare ehe: a) molti dei fenoméni deseritti sono semplicemente ignorati: sono soprat-tutto quelli dei numeri 3, 4, 6, 9, 13, 14, 16, 17 (a, d), 18, 19, 21, 23, 24,25,27,29,30,31,32,34,35; b) altri sono presentati come decisamente abnormi o deteriori: di solito i numeri 1, 2, 11,12,17 (b, c), 20, 22, 26; c) altri ancora sono menzionati, ma senza sufficienti spiegazioni e senza aleuna indicazione sulla loro maggiore pertinenza a questa o a quella varieta di lingua: per lo piü sono i numeri 8,10, 15, 28. Molti manuáli, in veritä, guardano ancora a un modello ehe non ě neppure "superiore", ma semplicemente "astratto" delia lingua. A volte, piú ehe la censura, nuoce ľomissione: anche questa rivela la mancanza di spessore nella considerazione delia lingua15. 181 Riferimenti 14 Per un'articolata tipologia dei bisogni comunicativi dei discenti cfr. 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Espongo in questa sede i risultati di una ricerca sui pronomi personali atoni nell'italiano parlato: un lavoro anzitutto descrittivo, nel quäle vedremo quali clitici compaiano - in riferimento ad un corpus di parlato -, con quäle frequenza, in quali posizioni, combinandosi in quali nessi, e cosi via, cercando ovviamente di spiegare, di interpretare i fenoméni rilevati. Lo scopo della mia ricerca non era e npn é perö solo la descrizione/interpre-tazione di dati: l'intenzione era quella di usare i dati empirici relativi a questo frammento di morfosintassi dell'italiano parlato per dare delle risposte - risposte documentate - alle domande fondamentali che i curatori di questa sezione del Romanistentag avevano originariamente rivolto ai parteci-panti: se e in che limiti si possa dire che ľitaliano parlato abbia una sua 'grammatica', e come questa (eventuale) grammatica si caratterizzi rispetto alla grammatica dello standard(-scritto) da una parte, e dell'italiano po-polare dall'altra. ' Nel campo che ho scelto (e spiegherô piü avanti i motivi di questa scelta) ho cercato di mettere in evidenza le regole, o meglio le regolaritá, del parlato, ai vari livelli: morfológia, sintassi, e, sia pure in misura minore, semantica e pragmatica (o: testualitá); e ho guardato con particolare interesse la natura di tali regolaritá: se cioé esse ci mostrino che il_parlato fa semplicemente delle scelte nell'insieme delle possibilitá Offerte dalle forme e regole dello scrifto, o se se ne possa rieavare qualche traccia di comportamento auto-Trorrrö" del parlato. (come vedremo, la prima ipotesi si conferma - grosso modo detto - nella scelta delle forme e delle combinazioni di clitici; qualche indieazione a favore della seconda emerge, sia pure problematicamente, nella sintassi delle 'risalite' e nella testualitá). Mi sembra importante sottolineare, dal punto di vista del metodo, che mi sono proposta di descrivere un sistema (o un sottosistema, meglio detto) di morfosintassi del parlato in quanto tale, come sistema appunto, per poi caratterizzarlo rispetto al corrispondente sistema Standard vedendone le , analógie e le differenze, e far risaltare a questo modo le regolaritá speeifiche del parlato e la natura della loro differenza rispetto alle regole dello 'štandard'. E' una procedura che puô apparire antieconomica, ma che dá risultati piü 'fini' e soprattutto é piü corretta metodologicamente rispetto a quella piü usuale, dove si descrive il parlato guardandolo per cosi dire sullo sfondo