Viaggio Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le stradě d'Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pen-sierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che cosi poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, taňte fantasie una sopra e sotto alľaltra, pero non s'af-fatica nulla. Correre allora, la macchina va dove vuole, svolta su e giú dalla via Emilia incontro alle colline e alle montagne oppure verso i fiumi e le bonifiche e i canneti. Poi tra Reggio e Parma lasciare andare il tiramento di testa e provare a indovinare il numero dei bar, compresi quelli all'interno delle discoteche o dei dancing all'aper-to ora che ě agosto e hanno alzato persino le verande per godersi meglio le zanzare e il puzzo delia campagna grassa e concimata. Lungo la via Emilia ne incontro le indicazioni luminose e intermittent!, i parcheggi ampi e infine le strutture di cemento e neon violacei e spot arancioni e grandifari alio iodio che si alzano dritti e oscil-lano avanti e indietro cosi che i coni di luce si * 67 ■to intrecciano alti nel cielo e pare allora di stare a Broadway o nel Sunset Boulevard in una notte di quelle buone con dive magnáti produttori e grandi miti. Ne immagino ventuno ma prima di entrare in Parma sono giä a trentatré, la scom-messa va a puttane, pazienza, in fondo non im-porta granché. Stamattina mi sveglia alle sette e un quarto il Gigi e dice che ha il colpo buono, ha trovato un parente che gli anticipa tre milioni di lire al sette per cento a partire da tre mesi. Si tratta di fare un viaggio in India, a Bombay, comprare quel che c'e da comprare e tornarsene in Italia. In non piú di dieci-quíndici giorni i tre milioni diventeranno sette o otto vendendo naturalmente al doppio del prezzo di costo quel che si ě arraf-fato. Ma io ho detto di no. E finalmente se n'e andato. Mi ci ě voluta mezza bottiglia di gin per riprendere sonno, il che ě avvenuto saranno state ormai le nove. Ricordo di aver controllato in cucina 1'ora quando mi sono alzato di nuovo per rispondere al telefono, un paio di minuti, mica di piú, che avevo ripreso a dormire. Per tutta la giornata Gigi mi ha tartassato con la faccenda di Bombay, ě tomato all'ora di pranzo e ha con-tinuato a menarla. La nuova telefonata ě stata la goccia fatale. Ho bestemmiato ininterrottamente finché non ha riagganciato, ed ě salito appunto verso la una. La novitä ě che ha trovato due biglietti per un volo charter in partenza da Amsterdam col prezzo praticamente dimezzato ri-spetto a quello Alitalia. Allora ě stato tutto un conteggiare il superiore margine di guadagno a 68 confronto con i cambi di valuta e le spese doga-nali e i passaggi attraverso il fiorino olandese. La storia ha iniziato ad appassionarmi, ma ě du-rata ben poco, il tempo che Gigi ha impiegato per ricordarsi di essere a secco da oltre quaran-tottore. Ě sbiancato, s'e fatto livido, ho avuto paura, sono dovuto correre al CIM dove ě in cura, prelevare ľassistente di turno e fargli il buco. Dei tre milioni non si ě piú par lato, Gigi ha sonnecchiato e giocherellato con una colla-nina di vetro, ha fumato le mie sigarette, 1'ho [asciato che pizzicava la chitarra. Bruxelles ci piace nelľestate del settantaquat-tro, troviamo a Les Marolles un caffě in cui si beve Trapiste e da cui si guarda Place du Jeu-de-Balle, al mercoledi c'e una sorta di marché aux puces, tragattini e robivecchi da tutto il contado fiammingo. Bruxelles ě meno cara di Parigi, piú provinciale e piú nordica. Ci serve per smaltire ľesame di maturita e i sonnolenti anni dell'apprendistato. Scopriamo tutt'insieme la birra, il sesso, les trous. Ai giardinetti del Petit Šablon andiamo spesse volte perché si trova gente giovane come noi, si f uma canapa, si suona e si chiacchiera su che faremo da grandi. Li una notte conosciamo Ibrahim che ě egřziano e lavoracchia da queste parti, paria un francese corretto, ha qualche anno piú dí noi. Ci si vede ogni sera e a noi piace soprattutto quando ci racconta la guerra ehe ha fatto ľanno prima al Sinai, anche se spesso tende a strafare con i suoi carrarmati 69 Stella rossa che a sentir lui era il solo di tutti gli arabi che stava sulla torretta a sbracciarsi e dare ordini e come fischiava il piombo d'Israele e come rimbalzavano le mitraglie sulla corazza del T 55, pareva di stare al tirassegno tanto che poi solleva immancabilmente la camicia e mostra la cicatrice, perö non si capisce bene come abbia fatto a ferirsi proprio li. Quando finiamo i franchi andiamo a lavorare con lui in Rue des Tanneurs. Puliamo i vetři di un ospedaletto-ambulatorio, laviamo i pavimenti, scrostiamo gli usci, intonachiamo e verniciamo, anche i termosifoni che son la mia specialita perché si lavóra da seduti col pennello angolare come lo specchietto del dentista e non si fatica piú di tanto. Li conosciamo anche gli svizzeri che sono in due e stanno sempře a farfugliare per i cazzi loro e non sono mica tanto espansivi, tutt'al piú quando Gigi arriva a lavorare in ritardo loro canticchiano allegri e strafottenti "Arriva Giggi l'ammoroso, tralala" che ě ľunica canzonaccia italiana che conoscono, poveri les suisses. C'e poi anche Jeff che paria solo fiammingo ed é un casino comunicare perché stiracchia non piú di cinque vocaboli inglesi e trequattro tedeschi, ma a gesti e sorrisi e pacche si riesce comunque. Ci pagano una miseria ogni finesettimana, pero c'e sempře la risorsa delia cassa comune ehe ci pas-sano per il mangiare e allora si riesce a fregare qualche franco in piú stiracchiando sulle vivande e facendo i morti di fame con le infermiere ehe cosí si commuovono e passano le bifsteck, gratis. Dormiamo sempře lí in Rue des Tanneurs in 70 uno scantinato che ě poi una cave immensa e anche bella e con un odore buonissimo di mar-garina fritta e io ci sto bene e penso anche il Gigi. La sera ci ubriachiamo. Ibrahim percorre tutta Rue de la Régence da Place Royale fino al Palais de Justice che sta in un immenso piazzale e si vede dalľalto tutta quanta Bruxelles, le gu-glie di Notre Dame de la Chapelle che sta lí sotto a fianco di un cavalcavia, i cristalli nerastri del Palais des Communications che ci andiamo a telefonare in patria, i grattacieli, le piecole piaz-ze, le stradine contorte e lastricate, i grandi boulevards tra i platani, un'Europa diplomatka e veloce, un terzomondo cencioso e disperato e commovente come i ragazzi che vivacehiano alle Galeries Saint Hubert o alia Gare du Midi in attesa del treno per Amsterdam di cui Brüssel quella fiamminga, ě il serbatoio... in mezzo alia strada tra i taxi e le auto diplomatiche che sfrec-ciano e i tram che van sottoterra come i metro, canta "Gigi, Gigi, tansa-na-knicky" e balia che sembra un burattino e dice che ě un ritornello egiziano e funziona cosí: si sostituisce il norae delľamico e si ripete la strofetta che vuol dire "sei il mio grande amico" o piú in generale "mi piace che me ne sto con te". La impariamo subito ed ě tutto un ciondolare a braccetto con Jeff che regge lo spino, ci guarda, non capisce ma tarantola anche lui. Dormiamo in un unico stan-zone nei sac-ä-coucher. La prima notte Ibrahim ci impressiona perché si corica con una papalina e sotto la testa mette un coltello piuttosto lungo 71 e ricurvo che pare una scimitarra da fiera. Guardo Gigi e gli dico in dialetto "questo qui ci sgozza" e lui "stai tranquillo, tutťal piú ci incula". E ride e capisco che ě bevuto e Jeff nel suo angolo suona la chitarra, suona male, davvero molto male, una ninna nanna per non dormire. La notte un po' insonne avanza. La luce di un lampióne az-zurra e livida entra dagli abbaini e si sente ampli-ficato dal sotterraneo il cick-ciack di qualche ubriaco che passa. Gigi dorme, lo guardo col faccino che spunta dalla mummia. Gli ě cresciuta la barba, ma ne ha poca e solo il mento e parte delle guance ne sono ricoperti, pero lui ci tiene ugualmente al suo pelo. C'e un tavolaccio al centra della stanza su cui sono giornali e lattine di Stella Artois e mutande. Sento dei rumori, mi volto, intuisco la sagoma di Ibrahim che s'alza ed esce a fatica dal suo giaciglio. Mi rannicchio dentro stringendo gli occhi. "Tu dors?" chiede. Ho un brivido e non rispondo, son giä morto. Mi scuote. "Aide-moi, s'il-te-plait." Bestemmio. "Qu'est-ce-que il y a?" Vuole che lo aiuti a spo-stare il tavolo contro il muro. Mi alzo, infilo gli slip, sento il freddo della cave sotto ai piedi. Sistemiamo infine il suo sacco a pelo sul tavolo. Si corica, ě contento di dormire piú in alto di tutti, l'egiziano. "Bonne nuit mon ami" dice poi tutto felice. Bonne nuit Ibrahim, bonne nuit. II lavoro termina nel volgere di quattro set-timane. Abbiamo rimesso a nuovo tre stanzoni, un paio di uffici e tante piccolissime cellette per le visitě del medico, ognuna con il vestibolo che da in un altro stanzino ďattesa e finalmente nel- 72 l'ambulatorio ed ě stato veramente faticoso ver-niciare dentro quei labirinti con la pittura bianca che colava dal soffitto sulle nostre teste e appic-cicava i capelli e il viso e le braccia nude e dopo nella lavanderia nemmeno la doccia, sedevamo in fila negli scompartimenti dei grandi lavandini di cemento come in una tinozza e a turno giú secchi d'acqua gelata uno in faccia all'altro, tutto un guerreggiare di spruzzi e shampoo e grida poli-glotte nel cantinone lavatoio. Per la prima volta Mme Lévy-Glady, sua maestä la direttrice, si fa viva con un paio di assistenti. Viene a visionäre il lavoro ma non si complimenta. Dice che per i soldi che ci ha dato non ě affatto un buon lavoro e questo lo riferirä agli I.B.O. che le han mandate gente straccia e fannullona, come per esem-pio les italiens. Gigi le grida vaffanculo ma lei naturalmente non afferra. Poi dice che abbiamo tre giorni di tempo per lasciare la sua clinica di beneficenza, ma non di piú, in fondo ě giä fin troppo. buona che ci lascia soggiornare per il fine settimana e poter cosi visitare i pizzi delle be-ghine, giú ai musei che ancora non si ě potuto farlo per l'orario di lavoro e non si possono mica mandare a casa i turisti senza che abbiano apprez-zato le meraviglie di Bruxelles. I primi che se ne partono sono gli svizzeri che andranno a Pa-rigi e cosi per la sera combiniamo un gran ristoro d'addio, noi cuoceremo gli spaghetti, Ibrahim preparerä il cous-cous e les suisses il pirren-müessli, come dessert. Jeff invece dice che il massimo che puö fare ě invitare gente e cosi la sera, nella sala mensa siamo in tanti, davvero 73 troppi e gli svizzeri hanno preparato un pento-lone pieno di yogurt e frutta fresca e Ibrahim il cous-cous sbagliando perö le dosi cosi ehe ne ricava solo tre piatti di quella poltiglia giallina e gli italiani invece a darsi da fare intorno alle pentole ďacqua bollente e al sugo rosso sangue che fa senso vederlo far le bolle sul fuoco. Quan-do viene il momento di scolare la pasta ci sono tuttí addosso che hanno il languorino di stomaco per quel bloody-mary che bolle in pentola e noi a dire andate via ehe c'intrigate e sedetevi un po', mica c'e niente da vedere, nessun trucco, nessun miracolo, e dopo riusciamo finalmente a smam-marli pero succede ehe rnentre io verso il pen-tolone nello scolapasta, in piedi su uno sgabello per fare centro, Gigi si scotta col vapore e cac-cia un urlo e molia tutto nel lavandino, due chili di spaghetti in giro nello sporco. Io prendo a ridere a vedere il Gigi tutto lessato e con gli occhiali appannati che resta li fermo impalato a vedere i vermicelli che scappano per il buco del lavandino e allora mi piego a meta tutto ingolfato dai singulti ehe non riesco nemmeno piú a respi-rare e lui sbotta in una madonna e subito dopo si-bila "datti da fare impiastro!" Intanto gli altri si voltano per vedere che cazzo combiniamo in mezzo a quel vapore e quelle grida, ma Gigi sorride da gran dáma e dice, un attimo cári e siamo pronti e loro tornano a chiacchierare mentre noi, di spalle, ce la facciamo sotto dal ridere, perö biso-gna uscire dalľimpasse al piú presto, mica pos-siamo menarla per molto questa storia, la pasta scuocerebbe e gli spaghetti diverrebbero lumaconi 74 freddi e insipidi e loro se ne accorgerebbero e allora tutto a puttane, i soliti italiani pasticcioni. Cosi Gigi ha un lampo e sluma verso la dispensa, vede uno straccio di quelli per asciugare le stovi-glie, l'afferra, si benda la mano e via, dentro al lavandino a raccattare gli spaghetti scivolosi e bollenti e metterli nella pentola, e sibila di far cosi anch'io e farlo presto prima che se ne va-dano tutti giú nel gorgo del sifone, e smuoviti che nessuno se ne accorgerä, ma io sono sempře piegato in due che me la rido a vederlo tutto bestemmiante che da manate agli spaghetti e ogni tanto si volta pure come niente fosse e sgrana un sorriso paraculo verso i commensali cioě come dire tutto fila liscio, state buoni e vedrete che bontä, slurp slurp. Dopo, quando si sono recuperati spaghetti a sufficienza io verso il sanguinaccio sempře fra i singulti trattenuti che non gliela faccio piú a continuare la commedia del grand-chef e allora mi ricordo d'un colpo che non ho messo il sale nell'acqua di cottura, acci-denti a me, e sbianco, tanta fatica per niente. Perö lo dico subito al Gigi piagnucolando, il sale il sale, cazzo ľho scordato Gigi, e lui s'in-cazza e sbuffa e prende il barattolo del sale e lo sparge sulla pasta con gesti ampi a mo' di croce e ci fa sopra scongiuri e benedizioni alzando gli occhi verso la cappa nera della cuisine, e io sbotto a ridere matto d'un Gigi ehe non sei altro, ma ormai ě fatta, portiamo la zuppiera in tavola e quando ě ora di dividere le porzioni di-ciamo ehe non abbiamo piú fame e che in fondo ě tutta una questione di gentilezza che usiamo 15 loro perché lo sappiamo fin troppo bene, noi, che di queste squisitezze non hanno mica 1'oc-casione di vedersele in tavola ogni giorno, fortuna nostra, e cosi gli spaghetti furoreggiano nei piatti e loro si complimentano e ci stringono la mano e sorridono leccandosi i bafli, dopo pero scap-piamo in una pasticceria che abbiamo i crampi alio stomaco per la fame, le risate e ľocchiolino complice che ci stringevamo mentre gli altri sfor-chettavano nei loro piatti. II giorno dopo gli svizzeri se ne partono e ci lasciano sulk porta delia nostra clinica di bene-ficenza che serve soprattutto gli immigrati di que-sto quartiere che son tutti marocchini e spagnoli e taňte volte abbiamo visto le donne veštite di marrone dalla testa ai piedi con su il panzone che facevano ginnastica pre-maman mentre noi le spiavamo dalle impalcature della nostra Sistina. A Les Marolles sono tutti fuoriusciti, di ogni razza. Abitano questo vecchio e bellissimo quartiere, perö malsano e trasandato. Di italiani non ce ne sono, quei pochi rimasti in Belgio stanno ancora alle mines, gli altri sono ormai tornati. Perö tutti qui hanno il ricordo della nostra razza e quando giriamo Rue Blaes per la spesa ci rico-noscono e ci fanno festa, anche i musulmani ai quali taňte volte abbiamo fatto la gaffe di chie-dere del prosciutto e quelli "Rien viande de porc! Rien!" ma poi, capita la buonafede, han fatto i gentili e i simpatici. E questa storia dei musulmani ha avuto anche dei risvolti nella nostra convivenza in Rue des Tanneurs perché la sera che era di turno in cucina Jeff aveva preparato 76 un potage Campbell's senza tanto badare a quello che c'era nella scatola e Ibrahim dopo qualche cucchiaiata comincia a farsi serio e stropicciare il naso e grattarsi il mento pensieroso e lisciarsi il baífo perplesso e chiedere infine che cosa c'e nel piatto e noi "verdure, son verdure Ibrahim" ma lui sembra proprio che avverta in gola un brutto, davvero brutto sapore e allora corre nel cestino dei rifiuti, recupera la scatoletta e legge gli ingre-dienti, poi arriva incazzatissimo dove sediamo a mangiare e urla ehe ľabbiamo fatto apposta qui c'e della carne impura e via di seguito, tanto che noi subito ci spaventiamo ma poi ci gettiamo a ridere perché Ibrahim si mette col capo a terra a far scongiuri e belare non si capisce bene che cazzo di Allah e poi s'infila alia bruttodio un dito in gola per vomitare quel pezzetto di wurstel che c'era nel piatto... Ma soprattutto gli spagnoli sono bellagente e ci trattano come fossimo ameri-cani sbarcati in centrafrica, tutti premurosi e gio-viali. Conosciamo Gonzales che ha una drogheria e noi gli abbiamo esaurito la scorta di spaghetti. Ci presenta il figlio di sedicianni che verrä poi con noi qualche sera al Jeu-de-Balle a bere la Trapiste. Gonzales ci racconta ogni volta degli Italiani che ha conosciuto, "Ah, les italiens!" dice aprendo il suo sorriso baffuto e grasso eppoi estrae dal bancone una chitarra e intona funiculi-funiculä cha-cha-cha e io rido e applaudo e la rnoglie esce dal retrobottega e ci offre un sorso di vino spagnolo con la piccola Esterella di cinque anni stretta al sottanone e noi stiamo bene a sentirci italiani e ne siamo anche fieri e orgo- 77 gliosi che capiamo che questi légami qui sono nati tra la gente che lavóra mica trattati a tavo-lino da diplomatici o ministri del cazzo, che di loro ci vergognamo si, altroché. Gonzales lavorava nei pressi di Liegi, quindici anni prima, alle miniere. Coi soldi messi da parte ha aperto la drogheria, suo figlio Miguel studia da meccanico e non vuole lasciare la Belgique e lui allora finge di strattonarlo dietro al banco e gli dice in spagnolo che ancora non ha visto il sole né il mare di Spagna e non sa nemmeno cos'e la luce di Siviglia perché se li avesse visti non parierebbe cosi. Ma poi sorride e beve un goccetto di vino e gli luccicano gli occhioni neri, ma tanto neri come il carbon. Se ne parte poi anche Jeff, torna a casa sua, vicino Gand. Gigi Ibrahim ed io decidiamo di passare sull'Amstel. L'egiziano ha degli amici ad Haarlem, ci ospiteranno, si fu-merä roba buona. L'ultima notte in Rue des Tanneurs la passiamo insonni. Sul Boulevard d'Anspach, nei pressi di Place de la Bourse, ab-biamo rimorchiato in una discoteca due ragazze, Christine e Nicole. Christine ě con me e da quando ci siamo slumati ě praticamente un con-tinuo passarcela in bocca, per strada, al caffě, sul trammetrö. L'altra sta col Gigi, ě bruttina ma ha due grosse tette e i capelli lísci e lunghis-simi. Nella cave ci strapazziamo, Ibrahim lo ab-biamo tenuto fuori dal gioco, ě giä brutto esser doppiati, come in un pessimo film dal sincrono sballato, da un'altra coppia. "Non, non Ibrahim, je t'en prie. Attend au cafě." Per me ě la prima volta che scopo fino in fondo con una ragazza ma sono fatto dalľalcool e la storia mi prende bene. Gigi ne fa tre e continua a limonare anche quando Christine ed io ci siamo rivestiti ed uscia-mo verso il caffě, Ibrahim stará bestemmiando perché ě tardissimo. Infatti lo troviamo al centro della piazza che gioca con delle lattine di birra. Mi vede mentre sta per scalciare attraverso una porta che si ě fatto con cassette e cartoni e mi corre incontro ci abbracciamo gli dico ridendo "Joking apart, when you're drunk you are terrific, when you're drunk" eppoi prendo la chitarra e gli canto tutt'intero il pezzo di Robert Wyatt, che ě Sea Song e allora mi faceva letteralmente impazzire, a diciottanni. Ubriaco fradicio Ibrahim mi sta ad ascoltare mentre Christine ci saluta, affonda le mani in tasca dei blue-jeans e scompare verso le scalinate che portano su al Palais de Justice illuminato dal chiarore del mattino. Verso le cinque ci sorprende un'automobile della Police, siamo accartocciati sui gradini della piccola chiesa del Jeu-de-Balle che strimpelliamo tutte le nostre cose di amici in sbornia dura. Ci chiedono dove abitiamo, diciamo che siamo ospiti, non facciamo nessun cenno al lavoro, infine ci restituiscono i documenti e se ne vanno. Torniamo a letto. Gigi e Nicole dormono, lei s'e infilata nel mio sacco a pelo. La scuoto, le dico di tornarsene a casa che io non so come fare a dormire e lei risponde ehe non c'ha casa e di lasciarla in pace che ha sonno. Guardo Gigi che almeno mi aiuti lui, perö mi accorgo ehe non dorme, ě immobile con gli occhi spalancati verso il soffitto, che avrä di tanto interessante? Lo strattono, ma non risponde, gli 78 79 sfugge soltanto un sorriso antipatico. Gigi comin-cia cosi coi buchi, ad Amsterdam non si fara al-tro, ma la roba ě buona e quando torniamo in Italia non si ě piú suonati di tanto. Con Ibrahim ci lasciamo ad Haarlem dove si abitava per quello scorcio di settembre. Insieme si ě sniff a to parec-chio, io non mi fido a bucarmi, un giorno lo faro ma non mi piacerä troppo vedere il mio sangue salire come una fumata in siringa e poi tornar-sene in vena, ma a quel punto della mia awen-tura non mi fregherä piú nulla. Amsterdam ě sporca e puzza. Sui canali c'e tutta la sozzeria umana che riesco a immaginare. Da Haarlem Gigi ed io decidiamo di passarvi per conto nostro un po' di giorni, dormiremo al Vondel Park; altrimenti, se fara brutto tempo, in uno sleeping qualsiasi. Per prima cosa ci siamo seduti in Dam Plaze, non facciamo in tempo a posare il culo che subito ci si avvicina un nero e prende a biascicare la sua litania "Hasch, hasch, el-es-di, hasch, hasch". Scuotiamo la testa, non ci son soldi. Chiedo di accendere una sigaretta rollata col Samson a una ragazza che siede ac-canto, lei mi passa la pipa con la marja, la conosciamo, ě francese, di Rennes. Un uomo sui trenta si avvicina e guardandomi fa camman gi-rando appena la testa. La scuoto anch'io imba-razzato in un no. Gigi ridacchia dicendomi del finocchio. Allora mi alzo, raggiungo alle spalle l'uomo, lo sfioro sul braccio "Yeah, but where to?" e lui sorride e mezz'ora dopo entro al Thermos I in Raamstraat che ě una sauna affollata come una piazza nel giorno di mercato. Lui paga 80 1'ingresso anche per me, ci spogliamo, mi fa un pompino e mi regala qualche fiorino chiedendo se mi poträ rivedere. Io scuoto le spalle. Gigi lo trovo sempře sui gradini della fontána del Dam che limona con la ragazza di Rennes. "Hai fatto la marchetta?" dice. Dico di si e che ora tengo finalmente i soldi per un pasto decente perché del Wimpy e dei suoi Hamburger pommes-frites non ne posso piú. Al Vondel fa freddo, ma c'e un gruppazzo scannato di italiani in circolo che cantano, suo-nano e fumano un joint dietro ľaltro grandi come cannoni e rollati con dieci cartine, minimo. Ac-cendono un piccolo falo, ci mettiamo col sacco a pelo li vicino. Gigi e la ragazza f anno un buco e bevono birra da una maxi lattina. Mario ha ven-ticinque anni, ě bello. D'improvviso penso che andarci a far l'amore sarebbe bello, molto bello baciargli la barba. Mi rannicchio al suo fianco, quando mi passa la marja mi struscio al suo braccio e gli bacio le dita. Lo alza raccogliendomi, ci passiamo il fumo in bocca, ci baciamo, entro nel suo sacco a pelo che abbiamo aperto un poco lontano, facciamo all'amore ma ě soprattutto un odore, il suo, il mio, quello un po' rancido di naftalina del panno trapuntato. II falö brilla in-termittente nelle ultime scintille di fuoc'o, la ce-nere tutt'intorno si smorza al chiarore della prima luce ehe filtra dagli alberi. Come tante luma-chette gli altri dormono nei loro panni, a due, a tre, soli, raggruppati, in fila. Mario non vuole che me ne vada quando tento di portarmi fuori per tornare nel mio sacco a dormire. Cosi ci baciamo 81 eppoi ci alziamo e ci teniamo la mano e passeg-giamo sulľerba fredda e rugiadosa fin verso il lago. Ci sediamo sul pontile del chiosco, un'esile pagoda ricamata nella luce sognata del mattino, ci abbracciamo e parliamo sottovoce come dopo bevuti per non perderci lo starnazzare delle anatre e dei cigni che lenti si muovono dal canale. Di li a poco aprono il cottage, beviamo il caffě e nella toilette ci laviamo. Mario dice che tornerä presto in Italia e che se voglio posso tornare in auto-stop con lui, gli dico che ho il B.I.G.E. ehe vale fino ad ottobre e che sarebbe per me sciocco ri-nunciare a un viaggio giä pagato. Lui scuote la testa e dice fai come credi. Poi si ficca le mani in tasca e un'erbetta in bocca e scalcia i fiori lungo il lago che sembra dire non mi frega un cazzo, perö ci sto male. Dopo succede che io lo raggiun-go e quando gli sono proprio al fianco gli dö una spallata ridendo e dico mávala e lui per de ľequi-librio che sta cadendo nel lago e tende la mano e io ľafferro e continuo a dire non ci credo che fai l'incazzato per una scemenza del genere e anche lui non ci crede perché ridacchia e mi morde un dito e poi io scappo e lui dietro di corsa ma non mi prende mica, perché ci ho due gambe che quando le meno vado proprio forte e faccia-mo cosi gli stupidini finché non mi stanco e ci ho il fiatone e mi butto sotto a un albero. Mario mi raggiunge con un tuffo ehe si fa anche male alle costole pověro Mariolino, a gettarsi in quel modo, perö siamo vicini e ci stringiamo per i capelli e lui mi scuote la testa e dice che gli sembra di stare in un.film di Lelouch tanto si 82 sente rosa, di dentro. Chiacchieriamo e a me piace starmelo a sentire con quella sua bella parlata fiorentina e quel suo modo di gesticolare nem-meno fosse un ragazzo di Napoli. Poi mi sugge-risce una cosa per il ritorno e io mugugnerö un poco, poi dirö si e anche Gigi lo dirä. Infatti non ě stato difficile. Abbiamo trovato quasi subito a chi vendere i biglietti di ritorno. Gigi sputtana immediatamente le centocarte ehe abbiamo rac-colto e ci compra dieci quartini. Io mi incazzo quando lo vedo tornare senza soldi e Mario s'in-cazza pure lui, dicendo che di noi non ci si puo fidare e che ě cosa da grulli esser cosi scasinati perché ci fregheranno sempře. Allora prendo le bustine che Gigi ha avuto il pudore di far rima-nere al di fuori del suo braccio e torno al Dam. Contatto solo gli italiani, da piú fiducia ad en-trambi. Riesco a piazzare cinque dosi a quindici carte l'una a dei ragazzi calabresi appena arrivati e contenti del prezzo che qui, per quanto caro, ě sempře enormemente inferiore che da noi. Una la divido con del. bicarbonato e ne faccio tre ehe mi spariscono dalle mani appena propongo il prezzo di un deca. Le tre restanti le tengo come fondocassa. Telefoniamo ad Haarlem per dire che non torneremo e ehe si partirä ľindomani da Amsterdam. Cosí la sera ci vediamo al Rokin con Ibrahim che ě venuto per dirci addio ed ě una sera un po' piagnona perché sembra ehe non ci si debba mai piú rivedere, campassimo pure cen-tanni, gli indirizzi si perderanno fra i cassetti e gli inchiostri svaporeranno e le voci si scorde-ranno e tutto il resto si scioglierá piano piano, per 83 cui sappiamo che sono gli ultimi momenti, pero chissá. Cosi giriamo per Amsterdam tutti ubriachi e fumati e Ibrahim mi tiene un braccio e dall'al-tro c'e il Mario che cosi sembriamo la pariglia del can-can. Poi viene ľora ehe c'e ľultimo treno per tornare e Ibrahim deve portarsi alia stazione anche se fatica a distaccarsi perché sono stati tempi belli. Allora in stazione succede che me mi tiene per ultimo alľabbraccio e quando ci salutiamo mi da un bacio in bocca e dice se lo so che m'amava e allora io dico che lo sapevo vecchio mio Ibrahim, certo che lo sapevo. Poi il treno gialloazzurro parte e noi ce ne andiamo con Gigi che dice che sono proprio un finocchio nato e sputato e io gli dico di si, ehe la mia voglia di stare con la gente ě davvero voglia e che non ci posso fare un cazzo se mi tira con tutti. Mario assiste divertito scuotendo la testa ricciolona. Dopo, salutata la donna di Rennes, partiamo anche noi. Col Gigi ci lasciamo a Francoforte, poco piú avanti dell'aereoporto, dopo un litigio furioso, in mezzo all'autostrada tre pazzi italiani gesticolanti e bestemmianti al cielo del Nord. Gigi che sca-valcava lo spartitraffico e si mette nella direzione inversa e urla ehe ne ha piene le palle di questo ritorno bislacco con due finocchi ehe non fanno altro che metterselo nel didietro e lui davvero non ne puô piú e non ě assolutamente possibile ehe ci siano ancora dopo quattro giorni ehe siam partiti quelle tre dosi, ehe cazzo si tengono lí, mica faranno dei figli o si moltiplicheranno. E allora io torno con voi a patto che mi ridiate le 84 dosi, ma noi siamo inflessibili, soprattutto Mario, e Gigi lo lasciamo su un BMW che risale al Nord, saprä cavarsela, ma é da sconsiderati bruciare le uniche nostre risorse tutte d'un colpo. Non ci carica nessuno, ormai ě un'ora che attendiamo appoggiati al guard-rail e ai nostri zaini Invicta, Gigi sarä ormai lontano un centinaio di chilo-metri, poco piú poco meno... Finalmente una Benz attacca i fanalini rossi dello stop, un attimo dopo averci sorpassati; raccogliamo la nostra roba e corriamo e Mario ride, io chiedo perché e lui dice stringendo gli occhi che mi piaceva da mo-rire a quelľetä i ragazzi che per ridere stringe-vano gli occhi, e lui dice allora "Aspetta e ve-drai". E quando raggiungiamo la Benz vedo, e mi metto a ridere anch'io perché davanti, seduto come un pasciä, c'e il Gigi ehe non ci guarda nemmeno e dice spezzante "Forza finocchi che andiamo" eppoi al guidatore "Battista..." e quello non capisce ma se la ride con questi matti di italiani e cosi si riparte e quando ci scarica, verso Monaco, ci facciamo i tre quartini rimasti, uno per uno e vaffanculo. Agosto ě bello starsene a casa con la cittä vuota nessun rompiballe in giro, magari arrivi che senti la tua solitudine farsi pesante ma é un gioco diverso ed esser soli fa moko piú male in mezzo alia gente, allora si che ě doloroso e pungono le ossa e il respiro ě davvero brutto, come vivere un trip scannato e troppo lungo. Ma agosto ě bello starsene soli in cittä, prendere ľauto e gi- 85 rare fino a mattino spingendosi pieni di alcool verso la montagna che tutto ě uno scenario di-steso e silenzioso e passi col rombo dell'auto come al cinema, uscendo dal quadro un attimo dopo esservi entrato e non si rovina nulla. La via Emilia ě la dorsale di questo mio agosto inquieto e torpido, selvatico e morbido. Stasera mi sono messo in macchina lasciando il Gigi a sonnecchia-re, menomale che la faccenda di Bombay ě morta lí. Ora non voglio muovermi, soltanto scorrazzare la notte in questa prateria. E la scommessa ě venu ta da sé. I bar tra Reggio e Parma, ven tuno? No, trentatré. Quando torniamo in Italia ci iscriviamo Gigi ed io all'universita, a Bologna. Affittiamo una stanza con uso cucina da una signora anziana che occupa un'altra camera sul lato opposto dell'ap-partamento, fuori porta Saragozza. Lo stabile ě dello Iacipí e la nonna, a rigore, non potrebbe subaffittare visto.che la casa l'ha gratis, cosí sia-mo costretti a contrabbandarci per nipotini suoi con tutti gli inquilini e con 1'ispettore del comu-ne. Sullo stesso pianerottolo sta un vecchietto e anche lui ha studenti, il greco Grigorys che fa ingegneria ed ě un fuoriuscito che a quei tempi la c'erano ancora i colonnelli. Con Grigorys ci si trova qualche sera che nevica a tirare una bri-scola, i vecchietti contro noi due, ma se la vin-cono sempře loro perché il greco ě proprio negate a giocare alle carte eppoi c'e il fatto che non vuole imparare tutti quei segni di bocca e 86 f strizze di naso e slumate ďocchi per indicare re cavallo regina e fante e non si puö mica comu-nicare senza i segni, cosa ehe sanno invece benis-simo gli avversari ehe guardarli giocare sembra di stare al cabaret. Cosí perdiamo una partita sulľaltra ma son sconfitte queste ehe non lasciano traccia, nemmeno nel portafoglio perché i vecchietti giocano cinquanta lire ogni tre punti e cosí, se va proprio male, al massimo lasciamo sul tavolo ľequivalente del biglietto dell'autobus. Quando poi i colonnelli vacillano e cascan nella polvere altri patrioti vengono da Grigorys e per molte notti c'e festa grande con tutti gli abitanti dello stabile e si ride e si balia con tutti i fuo-riusciti al quintopiano dello Iacipí. Noi pero resistiamo novembre e dicembre e un po' di gennaio, poi subafEttiamo a due pesaresi per cinquanta carte come tangente. Ľaffitto ě di venticinque milá menšili, piú una quota per il riscaldamento e il gas. La nonna ě contenta dei pesaresi perché sono ordinati e tengono i capelli corti e non fanno chiasso tutti i santi giorni come invece facevamo noi ehe allora imparavamo a suonare la chitarra e il flautodolce e si riusciva benemale a fare tutto Viva Chile degli Inti Illi-mani. Si trova poi casa, una bella casa, dietro Piazza Maggiore dal gennaio. La lasciano tre ra-gazze ehe son passate a psicologia a Padova non resistendo alľambiente di lettere. Non han voluto tangenti, Gigi ridacehiava dicendo che er ano proprio sceme. Il nuovo appartamento ě di tre stanze piú un salottino e i ser vizi, cosí cerchiamo un terzo per dividere le spese visto che la casa sop- 87 L porterebbe benissimo anche quattro persone, ma tre son sufficienti ad andare avanti ed abbassare di ventimila l'affitto, insomma trentacinque a testa. Naturalmente col nuovo, Luca, ě cominciata una storia e Gigi stanco di aver sempře a che fare coi finocchi, ha preso una ragazza e ľha portata in casa e in quattro l'atmosfera ě ancora vivibile perö era senz'altro meglio prima, perché la Tony si porta continuamente appresso due stronze che fan magistero e non capiscono lette-ralmente un cazzo e insomma a marzo é scoppiato con me il grancasino "Tu sei misogino, odi le donne perché le temi", "c'hai l'invidia del pene" fino al fatidico "Sei fermo alia fase anale, bella mia" e allora io non ci ho visto piú; ho afferrato il volume piú pesante del Testut di Luca che fa medicína e glieľho sbattuto in testa alia Tony che s'e messa a sanguinare e Gigi ha mollato il cazzotto e sono s venu to. Siamo ritornati in due, Luca s'e disamorato e m'ha lasciato, la Tony ě scomparsa, l'affitto ě risalito paurosamente a piú di cinquanta carte a testa, nel settantacinque non sono pochi soldi, rimaniamo in arretrato, il primo mese non succede nulla, il secondo ce la sbri-ghiamo con un paio di telefonáte io che faccio la cieca di sorrento e Gigi la muta di portici, a giugno ci cacciano i carabinieri proprio quando dobbiamo sostenere gli esami per mantenere quei minimi soldi che da casa ci passano. Gigi ha ripreso a bucarsi e spesse volte lo seguo anch'io. Finisco alia Montagnola che in quel periodo stan rimettendo a nuovo e non c'é tanto giro. Non fatico ad andare a battere, l'unico 88 ostacolo ě che son schifiltoso e al massimo ne ri-morchio uno perché poi mi viene a piacere troppo e dimentico di chiedere i soldi, e comunque, alia Montagnola, sotto un bel lampióne scrostato nasce l'amore con Sammy che ě studente alia Johns Hopkins, dove pare insegni in quegli anni anche Francesco Guccini. Sammy ě di Boston, ě bello, cammina tutto all'americana che ě uno schianto e a me mi piace da morire sentirlo raccontare degli States e anche giocarci a basket, quando capita, con i compagni del suo cor so che son tutti bra vi, soprattutto il nero Christopher che ě un grande champion e come fa le entrate lui nessuno ě ca-pace. Christopher m'insegna i trucchetti del gio-catore nei dopopartita quando gli altri si ritirano per la doccia e noi invece si resta li a provare le entrate e le sospensioni e tutte quante le diavo-lerie che lui purosangue ha imparato in strada e gli piace vedere che faccio progressi, anche a suonare sulla chitarra i blues mentre lui miagola e ulula e si stropiccia 1'ugola, du-dudu, du-dudu yeahhhhhhh!!! Poi Christopher se ne va via che ha terminato il semestre ed é meglio cosi perché altrimenti me ne sarei innamorato cotto e lui non c'ha soldi e si sarebbe fatta la fame, bohéme sempře bohéme che due maroni. Sammy invece ě ricco, ha sempře il conto in banca piú che spa-lancato, suo padre ě avvocato e ha fatto pure la guerra in Sicilia e ama davvero ITtalia cosi come Sammy che ogni tanto sale ai vialetti della Montagnola a raccattare qualche briciola sparsa di eros mediterraneo. Io me lo faccio volentieri, lui c'ha il vizietto di andare anche con le donne e 89 questo lo fa piú interessante, poi trova da lavo-rare a Gigi alľinterno della Johns Hopkins come servo di cucina, a me mi mantiene con qualche deca che gli piace infilarmi fra le chiappe prima di chiudere la porta. Andiamo ad abitare dalle parti del Palazzetto dello Sport e cominciamo a frequentare le osterie bolognesi. Gigi si mette poi con Anna che ě molto bella, addirittura uno schianto, ma anche Gigi ě molto bello, ogni anno che passa diventa sempře piú bello. Poi Anna tenta di convincerlo a lasciare quel lavoro da sguattero cosí malpagato e tenta di ammaestrare anche me, vuole che lascio il mio Sammy perché uomo della CIA. Ma io le dico ehe non ě possi-bile che la CIA viene a spiare proprio noi e lei risponde ehe la vedro, ma fidarsi degli imperialisti, stop. Gigi alia fine cede e lascia i piatti della Johns Hopkins anche perché ora gli piace osservare quello che fa Giuliano Scabia all'Uni-versitä e nei quartieri e pure le cose di Gianni Celati sul romanzo della frontiera, Natty Bum-poo e Davy Crockett, e per questo ha bisogno di giorni liberi da mattino a sera. Insomma ad agosto ci troviamo ancora senza una lira col ri-schio di esser sbattuti fuoricasa ehe piú che una casa ě una topaia e quando piove gocciola il sof-fitto ed ě sempře umidiccio, ma meglio che dor-mire nelle nicchiette dei portici di via Zamboni come f anno molti altri senzatetto. Tante volte Anna dorme con noi nello stanzone e mi piace sentirli fare alľamore e succede che poi si chiac-chieri fino al mattino, loro due nudi che sem-brano angeli e io che getto loro addosso qualcosa perché anche se ě agosto e fa un caldo infame, diciamo sui trentagradi, nel nostro sottotetto ci sono correnti ehe cosí possono anche divenire pericolose, ti becchi poniamo un torcicollo e per dieci giorni sei beliefatto. Ma loro non vogliono preoccuparsi e se ne fregano e gettano gli strac-cetti topati e restano nudi e belli e al Gigi gli pende il coso davanti e ad Anna le cose rotonde e tremolanti e camminano per lo stanzone in cerca di vino finché il Gigi non si ficca una spina nel piede, bestemmia e torna a letto con l'Anna che cerca di toglierla e gli regge in alto la gamba che dalla mia posizione sembra lo debba perfino incu-lare, cosí d'un tratto. Sammy mi lascia, sempli-cemente. Non viene ad un appuntamento e capi-sco tutto. Cosí corro alia Johns Hopkins e mi dicono che ě tomato a Boston e che non tornerä fino a novembre e io bestemmio e mi vengono i lacrimoni perché Sammy era pur sempře un amore e un amico e uno che mi passava i soldi e porco-dio ora non abbiamo una lira e Gigi s'ě preso 1'infezione al piede e l'Anna s'ě trasferita da noi, alia topaia di via Massarenti, e gli passa Ia peni-cillina e gli antibiotici e lo cura e lo fascia e Gigi lo sorprendo una sera che quasi piange fra le sue braccia e dice che non gliela fa piú e vuole mo-rire e allora io mi alzo e lo raggiungo e lo strat-tono violento e poi gli urlo, no! Tu non mi lasci in questo merdaio da solo, ok? e allora taciamo, poi piano piano io sorrido e anche ľAnna e anche il Gigi ehe s'asciuga il viso e ora ridiamo forte, sempře piú forte e Gigi di li a poco guarisce, ě 90 91 settembre, tornano i bolognesi, il clima é miglio-re, insomnia riusciamo, un poco, a star bene. Mol to spesso cuciniamo in casa, soprattutto uova. Uova bollite, strapazzate, incamiciate, frit-te, sotťolio, sotto spirito, in salamoia, in nafta-lina, afíumicate, alia piastra, in frittata, in omelette, a fette, a dadi, a taglioline, alľocchio di bue, alia coque, brinate, gelate, bollenti, alia, cre-ma, gratinate, affogate e ripiene. Quando va bene mangiamo degli hamburger findus che vengono a costare qualche centinaio di lire mica di piú; molto spesso si va a verdura (alia mensa quasi mai perché non piace il casino) ma quelle costano e Gigi non s'adatta a mangiare quelle congelate cosí capita di rinunciare a una fetta di castrato per un paio di carote, ma ora ehe Anna abita con noi si mangia da riechi, tutte le granaglie integráli e biologiche e macrobiotiche, mastica-masti-ca e non ti riempi mai lo stomaco. In osteria ci sono i panini e delia buona birra e del vino in caraffa che si manda giú bene e in osteria, in via San Felice, incontriamo una sera Max ehe non sa dove andare a dormire perché l'ostello ě fuori Bologna e non ci sono piú autobus, ma anche se trovasse una bicicletta o un passaggio quello ha giä chiuso da un pezzo come se tutti fossero dei polli che vanno a letto alle ventidue. Cosi viene su da noi in topaia a dormire e ci prende anche gusto e resta dieci giorni, tanto che noi gli chie-diamo almeno di contribuire alle spese ordinarie visto che ha messo casa senza che nessuno gli 92 dicesse nulla e che per giunta porta anche delle coquettes come si trattasse di un puttanaio. Max finge di incazzarsi, ma capisce che il convento ě in malora e sborsa un deca che nasconde spie-gazzato nelle rríutandé e a me mi fa schifo pren-dere in mano quel foglio lercio ma poi penso che il denaro ě merda e la merda non fa male a nessuno e allora chi se ne frega se questo qui puzza di caeca e di piscio, lo prendo, lo apro, lo di-stendo corro fuori e ci compro alia Feltrinelli di Piazza Ravegnana qualche libro, poi torno a casa e la sera ci leggiamo tutti insieme un po' di Celine, un po' di Rabelais e un po' di Daniel Defoe. Max sparisce senza dir nulla la notte stessa. Pensiamo abbia trovato altri allocchi che lo sfa-mano gratis e la sua perdita non ci ě pesante. Piuttosto pesa il fatto che Anna ě incinta e non vuole abortire perché si sente dentro qualcosa di suo e per due o tre sere non si parla d'altro che di uteri e vagine e spermini e raschiamenti e con-sultori e radicali e bambinetti che nasceranno quando noi saremo a dar gli esami di giugno, il prossimo anno. Perö il pensiero che dentro la pancia dell'Anna cresce come un fiore un bambi-netto alia fine commuove anche Gigi, ma giochia-mo alia sacra famiglia per non piú di due giorni. E anche Anna capisce ehe é davvero impossibile che nella sua pancia ci sta un pargolino, perché sarebbe davvero un disastrato alluvionato a sce-gliere di venire al mondo nel trojajo di Via Mas-sarenti. Dice invece che era solo un ritardo, che le analisi col Predictor erano sballate e non do- veva fidarsi in quel modo al gioco di mamma-non mamma, che ora lei ě sana come una lupa, che sta bene e che era del tutto impossibile ehe si fossero sbagliati con le pilloline e i patentex. Gigi sembra sollevato e dice ehe l'emozione di essere padre per quei giorni non lo faceva dormire e anch'io dico qualcosa e vedo ľ Anna che prima comincia a sbiancare e poi si fa rossa e ancora bianca che sembra candeggiata, e suda, suda e tréma. Le chiediamo ehe c'e e lei si stringe la pancia e si mette le mani a pugno in mezzo alle cosce e grida con quanta voce ha in gola e poi le solleva che sono piene di sangue e di schiuma e noi ci guardiamo e Gigi corre immediatamente in strada, si scaraventa dalla topaia, e per fortuna Ií vicino c'e il pronto soccorso del quartiere. Arriva e urla "Perdio venite con me ehe la mia Anna sta male" e in un paio lo seguono e ven-gono su in casa, mi gettano da parte buttano l'Anna su un lettino e la portano via. In strada rimaniamo fissi con gli occhi che seguono la luce azzurrina perdersi nel traffico. Gigi mi abbraccia, piange e dice, mentre risaliamo a fatica le scale, che era tutto vero, non si era mica sbagliato, per due mesi ě stato un ragazzo padre e ora la povera Anna chissä come starä. Ma l'Anna si rimette in quattro giorni, torna alia topaia di via Massarenti e ci abbracciamo; ě dimagrita ma ě ancora bella e col Gigi si chiavano subito, lei arriva con le tette fuori e Gigi ě giá nudo da quando l'ha vista dal-l'abbaino incedere sotto ai portici con tutto il suo coraggio in viso e la sportina del supermer-cato ciondolante fra lemani. Rimaniamo insieme ancora un po', Bologna diventa sempře piú fredda e gelida, ě inverno, co-nosco Danilo ed ě come aver inghiottito il fuoco. Mi piace, mi piace, mi piace. Andiamo a vivere insieme, lasciamo la topaia con le sue finestrelle e gli abbaini aperti sul portico e il pavimento di legno sconquassato e il cesso fuori, sul balla-toio. Anche Gigi ed Anna vanno via e partono per Roma. Gigi ha smesso di bucarsi da un pezzo anche perché non e'erano soldi e ľamore del-l'Anna lo ha tenú to un po' fuori eppoi si eresce, questo ě innegabile, si eresce, perdio quanto sia-mo cambiati dalľestate di Amsterdam e non sia-mo piú dei bambini che si sentono offesi, vogliamo le nostre responsabilitä, Gigi va a Roma con l'Anna a lavorare in quartiere alia Magliana con un gruppo di teatro che abbiamo conosciuto fra Strada Maggiore e Via Guerrazzi, un lavoro di quattrocinque mesi. Io con Dilo sto bene. Insomnia alia stazione ci salutiamo ed ě come salutas-simo noi stessi partire e sparire dal treno della prima giovinezza. Dilo ed io torniamo abbracciati anche sull'au-tobus, poi si libera un posto vicino alľuscita e Dilo si siede e io in piedi davanti gli reggo la mano e ci guardiamo fissi fissi che appena a casa faremo l'amore per tutta la notte tanta ě la voglia e il bene, ma un vecchio s'avvicina e mi spinge col gomito che mi fa un male boia, perché prende il didietro del fegato che ě ingrossato e inceppato e dice catarroso " Spurcacioun" e passa per uscire. 94 95 Dilo che ha sentito e mi vede piegato e tutto storto, s'incazza e riesce ad afferrarlo per il cap-potto tenendolo metá su e metá giú dalľautobus con le porte automatiche ehe si aprono e si chiu-dono e ľautista urla al vecchio di togliersi dai piedi ma Dilo lo trattiene e gli dice del bastardo e alia fine lo calcia e lo butta giú, ma intanto uno sui trentacinque corre dal fondo dell'autobus verso di noi e grida di lasciare stare quel vecchio, brutti culi, e io m'azzuffo con questo qui e prendo un cazzotto alia bocca dello stomaco ehe non gliela faccio piú a respirare, ma poi vedo Dilo ehe salta dalľautobus e urla di venir giú e di far presto e allora salto in mezzo a un gruppetto di gente ehe non capisce bene quello ehe sta succedendo, ma quando vedono il vecchio ehe si lamenta allora ci guardano e in un paio ci inseguono gri-dando ehe siamo ladri e il vecchio scatarra ehe ě vero e ehe lo abbiamo scippato e anche il gui-datore dell'autobus scende per vedere il fatto, ma ormai siamo lontani, abbiamo svoltato per via Galliera eppoi girato in un androne, io ci ho un fiatone ehe quasi mi getto per terra e muoio lí sulla strada. Ma Dilo mi spinge, mi incita e mi chiama poverastella e suggerisce fattiforza e cosí prendiamo un'altra viuzza e sbuchiamo nel traffico incasinato del mezzogiorno, su via Marconi. Piango seduto sul muricciolo di Sanťlsaia ehe abbiamo faticosamente raggiunto; piango e struscio i piedi sulľerba e singhiozzo ehe non riesco a spiaccicare una parola. E Dilo mi prende la mano tra le sue e sussurra "Lo so ehe la vita da finocchi ě difficile, ma non permetteremo a nessuno di tor- turarci, non lo permetteremo ok? " Dopo mi ap-piccica un bacio sulla fronte, ce la mette tutta, il čaro mio Dilo dice scemate e fa il grandecapo e mi offre da bere uno Scotch e poi un altro ehe sembra dobbiamo festeggiare non capisco ehe cosa. Poi nella casa di- Dilo distesi sul letto a sentire dei dischi, lasciare ehe la musica entri nella testa e la riposi, luce morbida... Like a bird on the wire, like a drunk in a midnight choir I have tried in my way to be free, like a worm on a hook, like a knight from old-fashioned... fingere che tutto sia passato, ma il silenzio imbarazzato del dopranzo dice tutto il peso ehe ho dentro, che mi prende il respiro e il cervello e non bašta Tim Buckley, I am Young, I will live, I am strong I can give You the strange Seed of day Feel the change Know the way, Know the way... e non basta che le mie dita giochino fredde con quelle di Dilo. ...Non ho soldi per comperare dei buchi o una stecca di fumo, ci do dentro con l'alcool... Un giorno sto male. Tutto succede non appena accendo la prima sigaretta, al mattino. Durante la notte ho sofferto qualche strizza alio stomaco o giú di lí, ma non ci ho fatto caso, ci sono abi-tuato, poi viene un dolore alia testa, fortissimo. Mi děvo sedere e gettare la sigaretta. II respiro ě pesante e improvviso mi prende un pugno aci-doso sotto le costole e mi sembra di sentire gor-gogliare del veleno, il fegato bručia, un fuoco fi'tto al basso ventre e cosí mi piego portandomi le ginoechia sugli ocehi e sento caldo che scotta scendermi in pancia e non capisco come, ma il 96 97 retto si scarica come un sifone violento nel pi-giama e sporco la poltrona e intanto i dolori au-mentano e védo le mie frattaglie e il sangue e urlo e sudo e il cuore strapazza irregolare, ho paura di morire, ho paura di venir trovato sudi-cio cadavere nella stanza e sento questo odore decomposto e disfatto e ne ho orrore... Dilo mi trova svenuto alľospedale. Mi risveglio con ľin-fermiera che mi lava passandomi con una spugna e dice "Ieri ha bevuto troppo, e non solo ieri" e cosi resto a disintossicarmi, ma son giorni vera-mente brutti e i miei sogni troppo brulicanti di pulci d'acqua che si ingrandiscono nei lavandini fino a straripare e coprire il pavimento, ma so-prattutto c'e l'assenza, questa maledetta assenza di Dilo e del suo corpo. Avercele delle braccia grandi tutta la cittä per poterti coprire e stringere ovunque tu sia amore mio, avercela una lingua di mille leghe per leccarti e un uccello in volo sopra ai mari e ai monti e ai fiumi per raggiun-gerti affezionato mio čaro, e per venirti dentro e strusciarti e spezzare cosi questa atroce lonta-nanza e invece rimango solo, la notte tutt'intorno tace e la mia stanza invece urla e grida per te che non ci sei, io, io non ce la faccio proprio piú. Cosi dopo sei giorni scappo e torno da Dilo e gli dico "Io mi salvo solo vicino a te" e comincia una lenta convalescenza' cullata dal marzo bolo-gnese e dalla voce romána di Dilo che mi percorre con le sue lunghe dita da pianista che io prendo in bocca e passo sui denti e succhio e si gioca mentre viene anche aprile ed ě primavera, passeg-giamo ai Giardini Margherita, sono uscito da un tunnel, solo ora mi rendo conto di quei mesi in-vernali drunkato drunkato che ho rischiato di lasciarci le penne. Dolcissimo Dilo aiuta a studiacchiare per gli esami, ma a me non importa tanto di queste sca-•denze e invece ě lui che dice di andare avanti, almeno per avere qualche soldo dai tuoi, anche solo per quello, lui lavoracchia un giorno si e tre no alia sede regionale delia RAI, prima faceva il fotografo, poi ľoperatore e adesso fa ogni tanto delle trasmissioni come tecnico di regia, ma ě un lavoro di merda, anche se ben pagato, perché alia RAI si sta di merda, sembra d'essere in clinica ognuno col suo camice bianco, ma a maggio sca-drä il contratto dopo non si sa cosa fare, intanto ci sono cinquecentomila lire che ha da parte e vuole assolutamente che ci prendiamo una vacanza in Marocco, insiste, e la mattina del ventun maggio io do l'esame, la sera lui termina le registra-zioni, il ventidue siamo a Roma, prendiamo il charter e la mattina ci svegliamo che fa caldo, il sole ě giallo, il maře ě biu, il nostro orgasmo, sul tappeto, ě proprio un orgasmo. La mattina facciamo sempře ľamore appena svegli nel guardare dalla finestra dell'albergo il mare, e restiamo una settimana a fumare e spinel-lare come autentici marocchini e una sera dico a Dilo "Pensa se potessi avere un figlio da te" e lui ridacchia "non stare a scazzare" perö anche al Dilo gli piacerebbe se avessimo un pargolo dal nostro amore, poi diciamo che siamo scemi, proprio stupidi, che abbiamo la fortuna di non 98 99 rimanere incinti e ci diamo dentro, nel deserto, gli altri dieci giorni. Nelľoasi si sta bene la notte che fa freddo e il cielo sembra un albero di Natale tutto lucci-cante, Dilo ed io nei sacchi a pělo accanto alia tenda, contiamo le stelle, siamo insieme a tre ragazzi francesi, gay simpatici e furbi ehe non strafanno come le superchecche di cosanostra e sono anche mol to belli, Michel ě quello ehe mi piace di piú e sta insieme a Francois che ha i capelli dritti che gli scendono a meta della schiena e una gran barba e la mattina, quando esce dalla tenda e va verso il pozzo sembra un dio magro e dinoccolato ehe cammina sulľacqua. II terzo si chiama Jean-Paul pero tutti lo chiamiamo Pau-lette perché sembra una donna e ha i seni al silicone che stanno ritti alľinsú e pazienza se non assomigliano proprio a quelli di Paulette. Hanno una tenda larga e attrezzata e un piano di viaggio dettagliato, perché vogliono scendere fino al Kenia e poi tornare in aereo e quasi quasi Dilo ed io facciamo il pensiero matto di seguirli, ma dura un attimo perché stiamo bene cosi, noi due, senza affaticarci nel centrafrica. Quando loro partono lasciandoci nelľoasi ci baciamo tutti sulla bocca e sorridiamo promettendoci di rivederci a Parigi per ľanno nuovo, Paulette mi regala una pipa da puro tutta intarsiata e colorata, col fornellino in pietra e allora ci facciamo un'ultima fumatina in gruppo, poi Michel si avvicina e pastic-ciamo un po' insieme e allora mi chiedo cosa pensi Dilo ehe ci sta guardando e non riesco a darmi da fare come vorrei, ě la prima volta ehe vado con un altro da quando lo conosco e non é cosí facile, poi mentre Michel mi sucehia in bocca giro gli ocehi e vedo Dilo ehe entra nella tenda per mano a Francois e dico andiamo anche noi, e cosí facciamo ľamore tutti e quattro mentre Paulette carica la pipa e ce la passa ed é davvero divertente perché a un certo momento Dilo ed io ci incontriamo vis-ä-vis attorno al cazzo dritto di Francois, uno da una parte e uno dalľaltra e ci guardiamo come dire "toh, guarda chi c'e" e allora prendiamo a ridere e seopiamo per nostro conto mentre i francesi ci guardano e dicono anche un po' seceati "Vite, vite que nous on met les voiles! " II giorno dopo partono davvero e torní amo a salutarci. II rientro in Italia ě brutto perché siamo a luglio e a Bologna fa un caldo infernale. Ma non appena apriamo la porta della casa troviamo una lettera ehe sta li per terra con nemmeno tanta polvere sopra. La leggiamo, ě Gigi ehe é tomato ed ě venuto a cercarci e ha lasciato il messaggio infilandolo dalla porta. C'e il nuovo indirizzo, usciamo, lo troviamo e la sera siamo di nuovo uniti, con l'Anna che ě davvero bellissima e Gigi davvero sereno, insomma che sia sul serio la volta buona? In osteria ci ubriachiamo col tocai che fa schifo cosí acquazzonato e ce lo fanno pagare fin troppo quel diluvio giallino giallino che sembra pipi di un infante. Ma c'e molta nostalgia quella sera del grande rientro, noi quattro seduti al tavolo a mangiare panini e tagliatelle, io ehe non avevo nemmeno tanta fame. Gigi ricorda di Bru- 100 101 xelles e delia mia prima scopata e sembra sul serio divertirsi e anche ľAnna e persino Dilo ehe queste fole non le ha mai sapute e a un tratto arriva persino a sussurrarmi delľetero e io allora gli tocco il cazzo sotto il tavolo e dico "ho voglia di stare con te a seopare tanto ho bevuto" e lui "pazienta un po', mettiti cosí" e mi prende la gamba passandola fra le sue che piú intricati e scomodi di cosi, pero sto bene a sentirglielo duro, col ginocchio. Loro sono andati dalle parti del Pilastro, un po' fuori Bologna, ma hanno un ap-partamento grande e vivono con due del gruppo teatrale che ha lavorato a Roma e sembra stiano bene, ma Gigi vuole andare a Miláno, dice che con Bologna ha chiuso, che gli ricorda troppi ca-sini e ora che ě il settantasei e abbiamo vent'anni e qualcosa benemale ě successo, non si puö tor-nare indietro a fare la vita scassata di prima, insomnia a Miláno andranno a lavorare in zona undici, lui ľAnna e degli altri che hanno cono-sciuto in questi ultimi tempi e sembra ci siano anche dei soldi. Sono ubriaco duro e mi pro-pongo, Gigi mi guarda luccicando gli occhi, dav-vero vieni con noi? Io dico di si, verrö con voi e anche il Dilo verrä e saranno tempi belli e ci divertiremo ad abitare tutti insieme, ma Dilo scuote la testa e dice di no, ehe non se la sente di andare a Miláno, che nei quartieri ci ha giii lavorato troppo quando faceva il fotografo e di Centri Sociali e Comitati di Zona ne ha strapiene le palle. Gli dico sei stupido a fare cosí, ma e irremovibile. Ci diamo quindi appuntamento per il giorno dopo alľora di cena e li si vedra meglio che fare. A casa sul letto Dilo paria paria e chiacchie-ra, se vuoi andare vai, io non ti fermerö ma io m'addormento e il mattino dopo non mi rivolge parola. Gli chiedo ehe cazzo ha, ma non vuole rispondere e mentre prepara il caffě e le uova gli monío da dietro sulle spalle e lo bacio sul collo e lui mi scuote la testa, mi mette le mani sotto alle gambe e m'ingroppa a cavalcioni e mi porta ridendo in giro per la casa e fa il cavalluccio nitrito e spazzito e io rido e ci gettiamo per terra sulla stuoia, facciamo ľamore sfuracehiato, ě bello ě bello, no restero con te a Bologna, non ci riesco proprio amore a lasciarti nemmeno un'ora, io ti amo ti amo perdio quanto ti amo amore mio. Settimo anno settimo mese poco importa, la erisi ě avviata e galoppa come un fulmine, tanto ehe quando ce ne accorgiamo ě ormai troppo tardi per porvi rimedio chiarendoci le idee e le voglie e tutte quante le cose ehe girano per la testa e ehe ognuno rimugina in quei silenzi a tavola sempře piú pesanti e in quella attesa nel letto ehe tutti e due vorremmo piú lunga possibile, cioě non far niente, solo dormire cosí in šanta pace. Poi lo scazzo. Dilo si incarica lui di far scoppiare il casino e questo succede una sera che fa caldo e i nervi sono tesi, ma proprio tanto. Comincia a far battute stronze sul fatto che bevo troppo, che spendo e spando soldi in birre di prima classe e ai caffě 102 103 a ogni ora, anche quando vado in osteria con i compagni del mio corso e a sentir lui, pagherei sempře io per tutti, coi soldi suoi. Gli dico non ě vero, queste sono palle belle e buone. E lui venefico urla di chiudere la ciabatta almeno ora che quando sono seduto davanti a un bicchiere non lo faccio mai e mica una ma tante volte mi ha portato a casa completamente fatto che gli facevo persino schifo poi a pulirmi e lavarmi e sempře leccarmi il culo nemmeno fosse la gatta madre, ostia! E io comincio ad arrossire e a in-cazzarmi e capisco che c'ě guerra e dico qui c'e ^nche delľaltro, non ě mica possibile ehe mi fai carico di queste merdate, no, tu mi vuoi buttar giú dalla tua vita il perché non lo so ma tu c'hai qualcosa di rogna dentro e te la sfoghi con me. Dilo allora tace, poi infila dritto il corridoio e se ne va, perö qualcosa ha detto, cioě che non capisco un cazzo e amen. Mi lascia dunque solo ma io penso che s'acqueterä e che ritornerä, ma passano le ore e viene mattino e ancora non ě tornato, io mi sono bevuto nelľattesa, non gliela faccio a stare sveglio e m'addormento. Ma nemmeno nella tarda mattinata quando riprendo co-noscenza lui ě in casa. Allora scoppia la crisi anche a me e mugugno per tutto il giorno quel che gli diró quando si rifarä vivo e ne sentirä allöra, cosa crede? Che io non abbia faticato ad accet-tare il suo attivismo sfrenato, mai fermo un istan-te, sempře con la testa qui e la e progetti di lavoro e collettivi e interventi e storie varie e il suo odio per il cinema, proprio te cinematogra-faro di merda, cinefilo delia malora con la puzza sotto il naso ehe non gli piace nemmeno Jaws! e quante di liti fatte su quel film di Spielberg eppoi su quelli di Dario Argento ehe a me piac-ciono tutti, mica ci ho il puzzo come lui ehe la crisi del cinema italiano ě perché ci sta ľinva-sione degli americani! Oooooh bruttofesso boc-chinaro rottinculo ciucciacazzi te e il cinema italiano, affanculo! Ahhh quante ehe ne sentirä non appena osa ritornare il grande padre, ah se ne sentirä er romanaccio de Roma caput mundi, st'infame, sto zozzone, sto disgrazziato, alia malora! Ma i giorni passano e Dilo non torna proprio, tanto che penso m'abbia abbandonato sul serio, sfigato io ehe non la voglio capire. Ma chissenefrega amore mio, io ci sopravvivo lo stesso senza te, lo vedrai diosanto, lo vedrai ehe sono ormai ca-pace di f ármi la mia vita da solo. Tanti propo-nimenti, tutto in merda. Da solo non gliela faccio, ě difficile difficile, guardo la tivú da mattino a sera, nienťaltro; la notte ai cinema e bazzicare le osterie per vedere se lui c'e, persino davanti alia sede delia RAI a fare piechettaggio per guar-darmelo anche solo passare davanti. Ma niente, sparito, dileguato povera Stella, me e anche te. Via un giorno dietro ľaltro dal calendario a muro, tutti foglietti ehe si perdono per la cucina e stanno li tra i piedi a ricordarmi ogni momento ehe Dilo non torna, ogni foglietto un giorno di noia. Poi una sera che sono sul letto a leggere sento far casino attorno alia serratura e cosi mi alzo e faccio appena in tempo ad arrivare sull'in-gresso che entrano trequattro mai visti prima e con loro c'e Dilo e mi salutano con mezzo 104 ■ 105 sberleffo come dire ci hai anche il maggiordomo, eppoi vanno in cucina a mangiare. Dilo s'incazza subito e fa battute odiose perché il frigorifero ě vuoto e sguarnito ehe pare la Siberia, e c'é solo una qualche birra a metá e cosí dice a me che sto in disparte ma di che vivi, ehe mangi? E io, vivo ďaria, non si vede, non lo vedi brutto stronzo come son ridotto che non ti fai piú vivo, ma con chi glieľhai accidenti, ehe ťho fatto e chi é questa bellagente, almeno fammi conoscere con chi vivi, cazzo! Ma lui f a il superiore e gli altri se ne escono ehe sentono la bruttaria ehe tira. Cosí restiamo faccia a faccia e ci guardiamo dritti negli ocehi in un interminabile silenzio, finché la sua bocca non accenna a un sorriso smor-fiosetto e quando vedo ehe sta proprio lí lí per ridere mi getto fra le sue braccia e gli lancio un cazzotto alio stomaco e mentre ě ripiegato uno schiaffo e gli urlo tu mi ammazzi, tu mi ammazzi e continuo a menarlo e poi lui si rialza e mi sbatte contro lo stipite delia porta e mi dä un calcio sulla gamba e urla anche lui e mi chiama mar-chettaro ehe lo sa bene quel che facevo alia Mon-tagnola eppoi non solo lí. E io gli do un altro cazzotto in faccia e lo stringo per i capelli che ci ha il sangue che gli cola e gli grido avanti sputa tutto e lui sputa e dice fra uno schiaffo e ľaltro e pugni e calci che voleva starsene da solo e che la vita a due gli ha rotto il cazzo, perché noi la si pensa diversamente e io devo ancora imparare a reggermi con tranquillitä questi rapporti e smet-terla di bere che cosí mi rovino, guarda li ci hai giä la panza gonfia. "Risolvi invece i tuoi casini 106 e datti da fare, mica l'ubriacone da mattina a sera, sempře a piangere sulla mia spalla se uno ti dice fínoechio. Guarda chi sei per la madonna, che da quando viviamo insieme anch'io ci ho preso paranoie e nevrosi e tutte le avemarie del caso!" Non ci meniamo piú ora, ma siamo in piedi uno di fronte alľaltro senza parole a lec-carci le ferite e io non ho il coraggio di alzare gli occhí e capisco che veramente sono peggio dell'edera, dove m'attacco muoio e forse c'ha ragione lui che non faccio altro che scaricargli addosso tutte le mie paranoie, cioě dire sempře, fai te che per me ě lo stesso. E infatti Dilo lo dice che questa mia passívita gli ha rotto il cazzo, perché uno non puö mica starsela a me-nare per tutta la vita se ě cosí, ma piuttosto vi-versi bene e anche meglio degli altri. Questo lo dice sottovoce come se sussurrasse mentre si tocca la bocca e si guarda le dita insanguinate. Mi lascia li e va verso il bagno e quando mi passa davanti io non ho il coraggio di far nulla, ma sen to un singhiozzo dietro ľaltro e met to giú le lacrime in silenzio. Poi mi faccio forza e lo raggiungo davanti alio specchio ehe si sta medi-cando e si ě tolta la camicia e le braghe e c'ha dei segni rossi anche sugli stinchi. E lui non mi caga, fa come non esistessi finché alzo la testa e pure il braccio per toccarlo e allora ruggisce di scatto schiaffandomi quel gesto e grida di sparire, pren-der aria, raus, raus, che non ti posso piú vedere lí pietoso a chiedere il bacio delia pace e piangere ehe non sai fare altro e ľhan capita tut-ti ormai ehe sai fare solo quello, via via! sloggiare • 107 e circolare! E a questo non sono mica preparato e scappo via che mi sen to meno delia cacca. Dopo arriva lui ehe me ne sto sdraiato sul letto a pancia in giú e al buio e tutto sbavato e dico "Scusami Dilo non volevo proprio farti male che ti amo ehe di piú non potrei e ho scazzato a prendermela cosí, lo so" e lui si siede accanto, poi si mette sopra e mi copre e appoggia la testa sulla mia e dice sottovoce hai fatto bene, perché queste cose uno se le deve scegliere da solo e farsele da solo e io ťho lasciato solo un poco, perché non é giusto ehe tu viva sempře addosso a me e lo so ehe non abbiamo un modello per il nostro amore, ma questo va anche bene perché ci obbliga a trovarcelo insieme tutti e due e cre-scere insieme e accettare quel che capita con tutte le conseguenze, mica bere o rimuovere o far finta che non aceade niente anche dentro a noi solo perché ci vogliamo bene, cioé anch'io ti amo, ma per questo vorrei che tu comprendessi ehe prima o poi sarai solo e questa storia la-ricorderai se ťha fatto erescere sul serio e io ľinterrompo e dico ehe non le voglio sentire queste cose, ehe ci soffro, ma lui continua "Anch'io vorrei ehe non ci si lasciasse mai, dav-vero, io ti amo" e allora alzo su la testa e lo guardo e lui s'avvicina con la mano e mi dä un buffetto sotto al naso tutto smocciolante e mi prende fra le braccia e continua a sussurrare io ti amo e allora ci stringiamo ancora piú forte eppoi facciamo alľamore tutto dissestato e am-maccato con la faccia gonfia e gli ocehi neri e le ossa rotte, senza luce e senza musica, ma va bene cosí ě meglio cosi é stupendo cosí. E si apre una storia nuova nella nostra vita, piú consapevole, piú adulta, perché le crisi e i cazzotti van bene quando servono ad andare avan-ti e si risolvono con scazzo ehe non é giusto far sempře i piagnoni e i vittimari e dar la colpa a chi non si sa chi, cioé sappiamo benissimo a chi dover torcere le budella ma bisogna pure andare avanti e lottare per quel minimo ehe ancora ci resta e cioé anche solo un rapporto, una storia, un amore e insomma mille e mille ricordi anche belli e strasognati e magari ďun tempo davvero passato ehe si stava bene a fare i ragaz-zi, be' tutte queste cose non valgono la benché minima speranza di un'ora finalmente adulta e migliore per tutti e per questo qui si vivacchia e ci si dispera, mica farsi pippe e nostalgie da mattino a sera. Insomma inizia settembre e ce la passiamo abbastanza bene soprattutto quando arriva il quattordici e io faccío ventunanni e Dilo mi regala una bicicletta nera e lucente e sono tutto preso dalla commozione e gli getto le braccia al collo e gli dico che tutto é davvero fanta-stico. Poi nel pomeriggio percorriamo i viali dei giardini Margherita, io ehe pedalo e lui sulla canna col gelato che sbrodola sulle braccia e mi piace da morire sentirgli il suo odore appoggian-dogli le labbra al collo e dietro le orecchie. Fino a sera pedaliamo un po' ubriachi quel magnifico quattordici settembre, un caldo primaverile, una luce schietta che quando il sole va giú i mattoni di Bologna avvampano rossi come se la cittä do- 108 • 109 vesse da un momento alľaltro bruciare e not restare i soli superstiti scendendo allacciati dai colli verso le macerie sulla nostra bicicletta fiam-mante. Ognitanto riceviamo posta da Anna e Gigi ehe a Miláno sembra se la passino comsí-comsá, qualche scazzo, qualche miseria e un po' di tran-quillita. Con Dilo non ci sono casini, siamo molto innamorati, vivacchiamo da froci tranquilli ma succede che in autunno tutto si mette in moto come una corrente sotterranea che butta i germo-gli, un germinal anticipato che ci getta in collet-tivi e riunioni e si vede che nelle osterie c'ě qual-cosa di nuovo, forse soltanto piú voglia, ma non so bene di cosa. Dilo e io siamo nel collettivo omosessuale, la maggior parte sono studenti fuo-risede ma ci sono anche marchette e superchecche e qualche criptochecca ehe ha fiutato ľaria nuova e viene alle riunioni come se dovesse andare a battere, non dicendo nulla ma roteando gli occhi, tutto un su e giú di ammiccamenti ma ě giusto che sia cosi e ottobre-novembre ě tutto un grandaffare, preparativi di spettacoli e recitals e uscite fuori disastrose nei cinema che quando arriviamo no i in ventitrenta tutti chiassosi ci guardano come pazzi, ma nessuno si azzarda a dir niente e noi ce la ridiamo perché andiamo benone. Verso la fine del mese Gigi ci invita a Miláno, dice che alľinaugurazione delia Scala ci sarä casino eppoi una festa in piazza Vetra e insomma "se voi venite ci si rivede e ci si diver- te". E cosi per SanťAmbrogio Dilo ed io si va a Miláno, ľappuntamento ě in piazza Duomo nelle prime ore del pomeriggio, noi sbarchiamo in Centrale al mattino, ma si sente che ě una brutta aria quella che ventila. Mangiamo qualcosa dalle parti di via Torino e Dilo dice "Esco un attimo a prendere le sigarette" gli dico "va bene" e vado al cesso. Quando esco inizio ad aspettarlo, ma passa un'ora e non lo védo tornare cosi che arrivo all'appuntamtnto da solo e Gigi e Anna sono fermi in mezzo a dieci poliziotti ehe li per-quisiscono e chiedono i documenti e io mi tengo da parte ma Piazza Duomo viene completamente assediata dalla polizia ehe ě tutto un cellulare e schieramento di scudi e camionette ehe fa venir freddo perché loro si battono i manganelli sulle gambe e sembra debbano caricare i turisti da un momento alľaltro. ĽAnna la lasciano, ma Gigi viene portato su un furgone con altri e sparisco-no. Io aspetto ehe ľAnna arrivi dalla mia parte, poi ci abbracciamo e le chiedo ehe cazzo succede e lei dice che son tutti stronzi, quelli che hanno incendiato gli autobus e quelli che si menano li vicino e io le dico "Non trovo piú Dilo" e allora andiamo a casa sua perché non e'e niente da fare e passiamo la notte in soggiorno, ma prima di arrivare in Regina Giovanna abbiamo superato quattro posti di blocco e sempře ě stato un farsi mettere le mani addosso e declinare a bassa voce il nostro nome. Ma tutto ě andato bene per noi due, anche se mentre trascorre la notte pensiamo che forse il Gigi lo stanno menando e Dilo... vorrei che se ne fosse tomato a Bologna, ehe non 110 111 m'ama piú e che m'ha lasciato cosi senza dir nulla, in un bar di via Torino, il giorno di San-t'Ambrogio. La notte succede casino e quello che abita con loro torna con la testa mezza spaccata e sanguinante ma non ci si fida a portarlo al pronto soccorso. Lo medichiamo come si puö, poi verso le due viene uno ehe f a medicina, lo visita e dice che non ě tanto grave, ma che sarebbe meglio portarlo al pronto soccorso, non a Miláno. Lui non ci vuole andare, dice che si sente benone, poi sviene e si ě costretti a chia-mare un taxi e Anna e lo studente di medicina lo accompagnano e spariscono. Resto in casa da solo, mi maledico per essere stato cosí ingenuo a venir su, ma non ci si aspettava questo casino. Verso le quattro ritornano tutti e tre, hanno tro-vato un medico che non ha segnato la visita e ha accettato di mettergli a posto il cranio senza av-visare il pian tone. Viene mattino e siamo ancora lí, il ferito ehe dorme, Anna ed io con gli ocehi gonfi, un gran puzzo di mozziconi e lo studente continua a fumare celtiques una dietro ľaltra. Verso le dieci e trenta suonano al telefono e Anna risponde concitata, poi sbuffa e sorride appena, capisco ehe ě il Gigi ehe ě tornato e bisogna aprirgli la porta. Ma Anna si volta e dice "C'e anche Dilo, tutto ok" e allora scendiamo di corsa, ci abbracciamo ci baciamo e "poreodio prima che si torni a Miláno"... Nella vasca da bagno Dilo racconta la brutta giornata. Appena uscito dal bar chiede a un pas-sante dove sia una tabaceheria, questo gli indica la piazza, lui s'incammina e serocia ďun tratto in un blocco volante delia polizia ehe chiude la strada con le camionette per traverso. Lo fer-mano, vedono ehe ě di Bologna, ehe ha ľac-cento di Roma e quindi pensano ehe ě uno sban-dato e precario venuto su per far casino e dun-que lo portano dentro. Nello stanzone palestra delia questura Dilo si trova con un centinaio e piú di altri ragazzi, i piú giovani avranno tredici anni, i piú vecehi ventisei, tutťal piú ventotto e incontra pure due in completo da tennis con le borse e la tuta che passavano dal metro del duo-mo e li hanno messi dentro, cosi imparano a girare con quelle racehettazze contundenti. E in-fine trova anche Gigi e si fanno coraggio dicendo ehe non s'azzarderanno a far niente, che forse a mezzanotte, terminata la prima alia Scala, li la-sceranno andare e invece devono attendere le nove del mattino e trascorre una nottata con gente terrorizzata e altra che fa confusione e Dilo lo chiamano in un ufficio tre quattro volte e ogni volta sempře la stessa domanda e i confronti con i fonogrammi che hanno richiesto alle questure di Roma e Bologna. Ma per fortuna ě incensu-rato e cosí con il Gigi lasciano finalmente via Fatebenefratelli e se ne tornano in Regina Gio-vanna. "Perö ad esser sincero ci ho avuto una fifa ehe..." io non lo lascio continuare, mi avvi-cino ancora di piú, l'acqua esce sciabordando dalla vasca. Dopo mangiamo insieme qualcosa, ma decidiamo di tornarcene a Bologna il piú presto possibile, Gigi dice "Peccato" noi "Un'altra volta andrä meglio" e li salutiamo sulla porta, anche il ferito che apre gli occhi e li strizza per- 112 • 113 ché ě l'unica cosa che puö fare, tutto immum-miato com'e. II settantasette inizia con Dilo ed io a Paris, chez les f olles. Ci si diverte abbastanza, merito dei boulevards innanzitutto, ma poi m'accorgo per la prima volta che la vita a due mi sta im-poverendo, che non riesco a sopportare di stare con altri e tutto mi displace perché sento come avessi messo la testa a posto, che poi non ě vero. Perö in quella settimana non ho tempo per pen-sarci sopra troppo perché siamo sempře sballati a forza di haschisch che ě ottimo e di marja che ě buona, ma cosí buona ehe ti stoná soltanto l'odore. Michel una mattina entra nella mia stanza, io mi sveglio e guardo Dilo che dorme nella sua solita posizione col cuscino sopra le orecchie. "Tu viens boir un café?" Tossisco. "Ga-va Michel". Usciamo, fa freddo, i miei Levi's diven-tano duri di ghiaccio e ogni passo é una soffe-renza. In un bistrot ehe sta aper to tutta la notte beviamo il caffe e mangiamo dei croissants caldi caldi, saranno le sei al massimo. Michel mi pren-de la mano e dice che non gliela fa piú, che é stanco e che vuole morire. Gli dico Michel non menare queste cose di mattino per caritä, ma lui d'improvviso si mette a piangere e io mi com-muovo perché vedo questo ragazzone di trent'anni bello e pulito che piange, piange senza singulti, lascia soltanto che le lacrime scendano sulle guan-ce e sui tovagliolini con gli occhi sbarrati e assenti e io lo vedo in una visione come una sta- tua miracolata e ho paura e allora gli afferro il braccio e lo scuoto e per pieta Michel destati e andiamocene. Finalmente si muove e lo trascino sul boulevard, eppoi scendiamo al Quai e fa freddo che quando uno di noi parla gli si appanna il fiato come una nebbia in cui l'altro si perde. E Michel parla, perdio quanto parla quella mattina che ci facciamo tutta Montmartre nel gelo e finalmente ci scaldiamo in un caffe e beviamo due pernod a testa; parla lento come se ogni parola gli costasse una tremenda fatica a salire alle labbra, ma io continuo a tenerlo sottobraccio perché sento che abbiamo bisogno uno dell'altro quel giorno cosi attaccati siamo un po' piú forti, ognuno nelle sue miserie. E dice guarda, io mi sento che tutti mi leggono dentro come fossi di vetro ehe non ho piú nemmeno un angolo in cui tenerci il cuore e il mio territorio di liberta, no, mi fanno male gli occhi della gente, ě un momente cosí tante volte ě passato, ora sono qui tutto terremotato di dentro e sento questo sisma che mi traballa le budella e se sto seduto anche la sedia che ľaltra notte al cinema ho gridato terremoto, terremoto e la gente ha urlato, perö ero solo io e Paulette s'e messa a ridere, perö non mi passa non mi passa santiddio, e piango una lacrima sulľaltra ehe non so da dove ven-gano fuori, perö escono e sembran mare, sálate e biu. E io gli dico te agli altri non devi manco pensare ehe sono tutti stronzi idioti e non sanno nemmeno ehe cosa voglia dire essere liberi o felici, mentre tu lo sei perché hai la tua vita con gente bella ehe ti vuol bene e allora ehe ti frega, 114 115 pensa a te che váli, pensa a noi che siamo la razza piú bella che c'ě, me lo ha insegnato Dilo questo, ridi, ridici pure su, noi si che siamo una gran bella tribú. E allora sembra che piano piano tutto passi, ma si sa bene ehe non bašta dire due parole o inventáre uno scherzetto o fare una rima sciocca, e che quando uno ci ha i cazzi suoi, be', sono veramente suoi, non c'ě da fare un caz-zo, manco gli stoici gli epicurei o i filosofi, niente. Non si puö impedire a qualcuno di farsi o disfarsi la propria vita, si tenta, si soffre, si lotta ma le persone non sono di nessuno, nel bene e nel male. E quando c'ě un po' di coraggio in prú o quando i pugni in tasca sono davvero serrati e le labbra strette e gli occhi piccoli, quando c e paura ma tanta tanta e non si sa bene di cosa, perö c'ě sempře gente ehe ti segue anche nel cesso, suc-cede. Anche per Michel succede e noi non si ě potuto impedir nulla. Francois e Paulette e Luden tornano alia sera, non si sapeva dove rintrac-ciarli. Siamo sconvolti e per fortuna c'ě Dilo che ě forte e paria lui alia police e agli altri. Rima-niamo altri dieci giorni finché Francois non perde quello slavato delle orbite e Michel riposa al camposanto. A Bologna ci ě difficile inserirci nuovamente in quello che si era lasciato e non appena a feb-braio si occupa ľuniversitä dico a Dilo "non me la sento, ho bisogno di stare solo con te e basta, cerca di capire amore" e lui dice "ti capisco, ma vieni anche tu che ě bello vedrai, stanotte si dor-me la e cosi anche domani e c'e posto per noi, ce lo siamo conquistato, perdio non lo capisci?" ma io proprio non capisco e finisce che resto chiuso in casa anche a marzo e il mio pensiero ě continuamente al corpo di Michel che sotto terra si decompone e si scioglie e io non riesco a sopportare questo pensiero di morte e scrivo che voglio essere cremato perché questa corru-zione del corpo non la sopporto e non tollero che dove Dilo ha baciato crescano le bestie, ma Dilo non capisce questo mio sfarmi a pezzi tanto che lo védo sempře meno, anche a fare l'amore. E finisce, cosi... Una notte mi alzo dal letto e prendo a girare per casa e guardare dalla finestra il cielo, poi torno sotto le coperte e mi alzo e prendo una matita e scrivo "Caro Dilo ti lascio che sono stato tanto bene assieme a te come mai mi era accaduto e non importa che ora ti dica quanto ti ho amato e ti amo, perché sai benis-simo ehe non appena riguardi a quello che siamo stati, li trovi facilmente i segni del nostro amore. Sono tutti li che dicono ciao a me che me ne vado perché proprio non ce la faccio a immaginar-mi il tempo dello squagliamento e del deteriora-mento, con te che arriverai qui e comincerai a cancellare tutto e io non voglio ehe si apra la battuta di guerra, tutti e due lanciati a stracciare le belle cose che siamo stati, c'e solo tristezza quando si finisce una storia come la nostra, la-sciamola dunque cosí, io non voglio infierire." Dopo, via. A Miláno Gigi e Anna sono contenti di rive-dermi e mi chiedono notizie di quello ehe si fa a Bologna che a stare a sentire i giornali succede la rivoluzione, ma io dico non so nulla e loro 116 • 117 capiscono che sono a secco, terribilmente a secco. Mi sistemo sul divano delia cucina e al mattino děvo alzarmi presto e rimettere il letto a posto sennö non si passa e non si sa come preparare il caífě. Seguo Gigi ehe lavóra in una scuola elementare, una classe lui, una ľAnna e una Bepi al mattino, al pomeriggio altri tre che devo an-cora conoscere. Imparo da Gigi a fare qualcosa, gli sto sempře dietro e dimentico giorno dopo giorno Dilo. Il lavoro mi prende molto e c'e un mese che faccio anche il pomeriggio e poi le riunioni coi genitori e arrivo alle mie quattordici ore di lavoro giornaliero, ma stiamo andando bene e c'e un collettivo che al Centro Sociale vuole collaborare. Ci si mette insieme, bambini, maestri genitori e ragazzi e si preparano delle uscite nel quartiere e delle storie da raccontare e tanti tanti disegni di come erano le case tren-tanni fa e le vie e i mercatini e poi un plastico e ore e ore di registrazioni coi pensionati che al circolo raccontano senza interruzioni e cosi, piano piano si ŕaccoglie il materiále per costruire una rappresentazione e una storia del quartiere e delia gente che ci lavorava e succede che... una mattina mi chiamano in direzione didattica e lui da dietro la scrivania mi dice ehe non ě colpa sua, che non puö farci niente, ma alcuni genitori hanno avanzato obiezioni e che a lui non interessa la misura dei miei gesti, né il tono della mia voce e nemmeno con chi me la passi la notte, ma... sbatto la porta e torno in aula come nulla fosse successo, ma il giorno dopo mi sento cresce-re contro ľantipatia e le difficoltä e ľostilitä e an- che le persone con cui prima lavoravo e si andava bene anche la domenica ehe m'invitavano a pran-zo, anche loro si sembrano spiacenti, ma... Io dico ehe alia fine ě giusto che me ne vada perché a incarognirmi in questa faccenda rischierei di sputtanare quei due mesi di lavoro e trascinare nello svacco anche altri che invece sono proprio quelli ehe devono continuare e quindi dico al Gigi, ě meglio ehe continui tu e io ti seguo dal di fuori, perché non ě colpa loro, di quelli che lavorano e si fanno il culo se faticano ad accet-tare un finoechio, pazienza, qui sono in gioco troppe cose per una storia che invece ě solo mia e quindi un fatto personale, pazienza, lo so che la vita da finoechi ě difficile... Ma alia fine lascio tutto e quando Gigi dice che ha saputo chi ě stato a mettere il veto sul mio nome al consiglio d'interclasse, che ora sono pronti a mobilitarsi contro quel fascio e quel direttore che vogliono bloccare il nostro lavoro, anche allora dico lascia perdere, non me la sento di affrontarli, sto solo, sto qui a disegnarti le carte di Propp e magari ne faccio delle stampe da vendere perché stanno venendo bene e continuo a far gli aquiloni che ancora me ne chiedono tanti... II giorno che c'e la festa e tutti escono ed entrano dalla scuola e nelle stradě c'e una bella confusione e i muri delle case sono rivestiti dai disegni dei bambini e dalle storie dei vecchi, Gigi mi da duecentomila lire e dice ehe non ne ha di piú, ma quando il comune salderä allora ce ne saranno altrettante perché ho lavorato sodo e se il lavoro ě venuto bene che sembra si faccia il contratto anche il 118 JL 119 prossimo anno e un libro per l'Emme Edizioni, ě anche merito mio; io allora dico che vado via, a Bologna, e do qualche esame al Dams, poi prima di prendere il treno in Centrale gli scrivo una lettera e gli dico ehe la strada per cambiare la scuola ě ancora lunghissima e che non serviran-no queste feste e queste uscite e che quando non ci sarä scuola la scuola allora si ehe funzionerá e sarä bella finalmente, perché uno si alzerä e andrä al cinema e a fare alľamore ed ě questa la scuola, cioě ľesperienza, mica la normalizzazione, te lo dico io ehe ho imparato piú da un pompino che da ventanni di esami. Vedo Dilo dopo questi mesi nella sua casa, gli porto come regalo una fiaschetta rivestita di pelle con su seritto Gin e una pipa ehe ho com-prato sottocasa. Mi accoglie con un bacio leg-gero sulle labbra ehe contraccambio tremando. Nella sua camera c'e un ragazzo molto giovane e dalľaria dolce che legge James Baldwin, mi guarda "tu devi essere quello ehe ha imbrattato tutta lä casa, o no?" e sorride alzandosi e io arrossisco e sto per dire, va be' sono io lo spor-caccione, pero lui allunga la mano e ce la strin-giamo e capisco quel poco ehe c'e da capire. Mi passa al fianco uscendo, ci guardiamo negli oc-chi e lui li riabbassa prontamente e arriccia il naso quasi timido. Dilo si siede sul letto e dice siediti qui anche tu e lo raggiungo e gli prendo la mano e la bacio e ľaccarezzo ma lui dice "quello ehe hai seritto ě stato terribile, ora si ehe ě davvero finita" e allora mi getto tra le sue braccia e ci baciamo dentro la bocca, ma sono 120 offset cosi offset che mi viene da vomitare e mi alzo e dico "Dilo ora non ho piú casa qui a Bologna e volevo chiederti se avevi un posto, non piú di un mese, quel tanto che serve a tro-vare una sistemazione decente e riallacciare i vecchi rapporti" e lui m'interrompe e dice capisco, ma reggeremo questa nuova situazione? Scuo-to la testa e dico di no, che non la reggerei e non la reggo nemmeno adesso e che stupido ehe sono stato a venire, děvo sempře rovinare tutto accidenti e non capisco mai quando ě ora di dire bašta alle storie e cosi riprendo la mia roba ed esco, lui Dilo non m'ha accompagnato, s e limitato a tenermi gli ocehi addosso come dovesse gelarmi di sale. La casa non si trova, non si trova e resi-sto una settimana mica di piú a dormire alľostello e mi dico ehe ě giunto il momento di tornare a casa, a Correggio, che in fondo da quando sono partito tre anni fa sarö tornato non piú di cinque-sei volte. Piantar radici diventa cosi facile che arriva agosto e nemmeno ho voglia di andarmene via, ma poi aeconsento e mi imbarco in una spedizione in auto verso Londra con vecchi amici del liceo e tra questi c'e Rosanna con cui studiavo ogni giorno al ginnasio e si facevano tanti sogni insie-me e si ascoltava Per voi giovani e si andava spesse volte al cinema e allora si che c'era tanta voglia di starci al mondo e allacciare intensita e cireuiti con tutti e nessuno riuseiva a fermare la selvatichezza di quelle giornate trascorse a im- 121 maginarci adulti e fořti e duri, noi contro tutti. Con ľUniversitä ci siamo persi di vista e dopo, anni dopo anche per sempře, ma adesso abbiamo taňte cose da raccontarci e nessuno dei due im-magina quel che poi accadrä una brutta giornata di apríle. Partiamo dunque e dopo ventiquattr'ore ininterrotte di viaggio tocchiamo ľlnghilterra e prendiamo alloggio a Kilburn, sulla Bakerloo Line della metropolitana di Londra. Siamo in quattro e la sera facciamo di solito tardi sbevazzando avanti e indietro, soprattutto lager bier che qui ě davvero buona e non ha niente a che spartire con le birre bionde del continente. Lasciata 1'un-derground verso mezzanotte percorriamo il viale cantando e ridendo verso il villino in cui allog-giamo e che fa tanto Free-Cinema, John Schlesinger tanto per capirci. Da un lato della strada in leggero pendio sbucano tre ragazzi di corsa e ci arrivano addosso e poi ne saltano fuori altri quattro e ci prendono a botte e allora scappiamo e raggiungiamo di corsa la casa, ma la fuga ci ha sgranati e ľultimo ě quello che ha le chiavi per cui noi tre siamo li trepidanti e bestemmianti e gli urliamo "sbrigati, sbrigati!" ma lui ě lento e non gliela fa e viene raggiunto e menato e noi si rimane davanti al cancelletto impalati dalla paura, ma dura un attimo, bisogna aiutarlo pověro cristo, e lo raggiungiamo urlando inferociti tanto per spaventarli ma quelli non si spaventano e ci menano e prendiamo anche una coltellata che per fortuna ě solo di striscio e sfodera il giub-betto, ma le chiavi sono fortunosamente passate nelle mani di Rosanna che corre sola verso la casa, corri corri vecchia Stella, eddai che gliela abbiamo ormai fatta e cosi apre finalmente la porta e riusciamo a ritirarci, malconci ma salvi. Cosi io sul letto, mentre riprendo fiato e cerco di allontanare la paura dico che domani me ne vado e che Londra mi fa schifo e che ci sono troppi delinquenti in giro se arrivano a menare anche noi che siamo scassati e lisci ehe piú lisci non li trovi nemmeno negli sleeping da died penny. E infatti il giorno dopo Rosanna ed io torniamo indietro e lasciamo gli altri due con la macchina diretti a Edimburgo, in Scozia e spen-diamo i soldi del soggiorno per il rientro in treno. Mentre trasbordiamo a Calais, le dico senti, sono stanco di farmi menare e prendere sempře botte e non gliela faccio piú con questa vita scassata e vorrei mettermi tranquillo perché sono stanco di tutta questa cialtronata che ě la mia vita e se una volta pensavo che avrei anche potuto esser felice solo che trovassi un uomo da farmi, ora dico che anche questo non bašta perché non si vive in un letto o in un cinema o in un apparta-mento o in un cesso e io sento la mancanza di tutto quello ehe non ě cinema, non ě apparta-mento, non ě letto e non ě cesso cioě sono stanco e vorrei dormire per una eternitä e magari sve-gliarmi che tutto ě cambiato e finalmente si sta bene e non bisogna menarsela tanto con ľalcool e i buchi e i soldi e... Poi lei dice che faccio la lagna e di smetterla lí perché cerco sempře giu-stificazioni e meglio sarebbe se mettessi la testa a posto che ě il solo modo di sopravvivere in questo merdaio che si chiama Italia e allora le 122 123 dico che son tutte cazzate e che in Italia soprav-vivi solo se hai la lira e anche cosi fai una vita di merda perché... insomma torno a Correggio da solo perché Rosanna la perdo a Miláno che si prende un treno per la Versilia e se ne va nella sua casa al mare e mi dice anche vuoi venire, ma io rifiuto, non ho nessuno a casa, starö bene e mi riposerö vedrai, vedrai, vedrai... Poi a Correggio diventa tutta una morte civile ed erotica e intel-lettuale e desiderante ehe ti chiedi la gente come fa a sopravvivere e capisci la sera, guardando dal balcone le stelle e la luna che il prezzo ě dav-vero alto e che sono tutte sublimazioni e che ě vero, piú si vive piú si ě costretti a castrarsi e ...Viene settembre, faccio ventidue anni e sono solo. Mi faccio un giro di mura sulla mia bici-cletta e penso a Dilo e al suo corpo e alia sua voce e alle sue dita ehe mi piaceva tanto tenere in bocca e succhiare come caramelle, poi a Michel ehe non c'e piú e a Francois eppoi a Mario quella notte al Vondel Park e a quel risveglio sot-tile e sognato e a Ibrahim che chissä che fine ha fatto poveraccio, e a Sammy che non ě piú tornato, porco agente delia CIA, e a Luca e a Christopher e alle partite di basket e ai blues sulla scalinata di Santo Stefano e allora vedo tutti i miei amori come perle di una collana sban-data e che altro non faccio che staccare queste perle e ormai c'e rimasto soltanto il fildirafia e sono a secco, cosi a secco che quasi mi imbarco nel servizio militare e mi impicco cosi ce l'hanno loro proprio tutta la colpa di questo mio fallimentare tirar di conto. A Reggio mi faccio poi un giro di 124 buchi e arrivo a fame tre-quattro-cinque-sei-sette al giorno anche se non so piú bene cosa sia il giorno e cosa la notte e dormire e star sveglio e cosi passo tutte le ventiquattrore in piazza fin-quando mi danno il foglio di via e torno a Bologna, ma senza buchi non gliela faccio e meglio tornare a Correggio, al CIM che almeno me la passano loro e ho benemale una casa. Quando Mattia arriva a Correggio io sono scoppiato sfat-to, ma non piú di tanto perché l'istinto di sopravvivenza ě l'istinto di sopravvivenza, e da questa tautológia nascono i giorni migliori, senz'altro. E Mattia lo vedo in vasca una mat-tina alto e bello che arriva all'uno e novanta come me e quando lo abbordo mi piace da morire girare con lui ehe mi fa sentire normale e la gente cí guarda ehe sembriamo i figli del Walhalla perché uno alto da solo ě uno scherzo di natura ma in due ě una razza superiore. Di Mattia m'innamoro e facciamo sempře le tre-quat-tro del mattino a contarcela e menarcela in giro per la campagna e le vecchie case di Correggio che a lui di Mantova piacciono tanto e gli ricor-dano quei paesini della bassa che ci stai bene perché non c'e půla nelle piazze a rompere i coglioni. E a Correggio prende a nevicare e men-tre nottambuliamo pieni pieni di alcool, la neve ci fa i capelli bianchi come vecchi ma bašta che li scrolliamo e siamo ancora ventenni e siamo belli... lui sa che sono finocchio e una notte cerco di baciarlo e di stringerlo ma non succede nulla, non si va piú in la di qualche carezza im-barazzata, tantonemmeno riesco a strappargli un 125 pompino che ne ho voglia-voglia che quasi scop-pio. Dopo tutto si corrompe e si sfalda col disgelo che inizia subito dopo Natale e per Capodanno c'ě il sole e Mattia se ne va e mi dice che ě stato bene ma deve tornarsene a Mantova a studiac-chiare e "ti ringrazio ehe mi hai insegnato taňte cose" e lo védo partire e scoppio a piangere in sala ďattesa che si avvicina una suora e fa pověro figliolo e io la guardo e le dico porcodio, fatti i cazzi tuoi che sto malemale che di piú non potrei. Torno a Bologna ma c'ě sempře Mattia alto e bello con quegli occhioni biondazzurri che mi fanno impazzire, ma lui si sbatte con le donne, io sono tagliato fuori e giro per Strada Mag-giore come un tagliato fuori, cioě guardo i miei piedi e sento di camminare sui carboni accesi come un mentecatto invasato che ci prende gusto a far bruciare i piedi suoi, tanto non li sente neanche suoi. Cosi faccio un bislacco tentativo di suicidio perché ad ammazzarmi non gliela faccio, ma tentare si e allora passerö un poco di tempo in clinica e almeno avrö da dormire e mi faranno tanto Valium che mi piacerä. Mi s veno il polso sinistra e vedo il sangue e ho paura, ma poi mi faccio anche il destro, il tutto nella toilette di un bar e mentre divento dolce lascio ehe il mio sangue sbuchi fuori di sotto la porta che se entra qualcuno mi portano dritto dritto alľospedale, ma nessuno viene e allora dico ehe potrei anche morire e ho paura e sto per urlare ma tutto dura un attimo perché poi prendo gusto ad abbando-narmí in terra e ascoltare i miei sensi partire e sento la mia voce che dentro dice stai calmo, ora 126 ce ľhai fatta, stai calmo, dormi ehe hai vinto e chiudo gli ocehi e mi sveglio tanto tempo dopo in clinica con la gente intorno, ed ě davvero un brutto risveglio perché ormai ero piú di la ehe di qua ed era molto piú difficile tornare indietro ehe continuare, ma la cameriera ha dato I'allarme che ero tutto rosso e sanguinante e a forza di trasfusioni e cure m'hanno fatto tornare quag-giú nella merda, poi giorno dopo giorno dico meglio cosí, é come se fosse passata la crisi, ho voglia di vivere. Ed é Karia la mia nuova voglia di vivere, Karia con le storie del suo bosco boemo e la sua voce scricchiolante, Karla con il suo corpo un giorno grasso, uno seceo, i capelli ora lunghi ora corti, Karia ehe scende dal suo reparto nella mia corsia e si siede sul lettuccio e racconta e la notte vado io su e strizzo ľocchio alľinferrniera di guardia, tanto sa ehe sono frocio e ehe tengo il permesso del mio indagacervello. Insomma é Karla questo mio risveglio, Karia ehe nienťaltro é ehe una bella ballata di Leonard Cohen, una canzone ubriaca e roca. Chiacchieriamo chiacehie-riamo, lei ventottenne spiantata e ricca appena separata da un maschio italiano stronzo e gigolo, io un po' a secco come sempře, un po' euforico come sempře. Dura una settimana perché poi mi dimettono e allora sono costretto ad andarla a trovare in clinica perché lei non la lasciano an-cora. Facciamo progetti insieme, non appena fuori si andrä ad abitare sopra Verona dove ha una casa e io accetto e ho voglia di andare con una donna e di starci a far ľamore e di viverci insie- 127 me. Io non so bene ma con Karla ě sempře un interrotto comunicare e anche i silenzi fra noi sono belli perché non pesano, insomma ě un'errt-patia molto forte e dura il tempo che dura. In Piazza delle Erbe, a Verona, un giovedi che siamo scesi per il mercatino incontro alcuni ex di quando avevo quel giro di buchi a Reggio Emilia. Sento un pugno alio stomaco e strattono Karla dicendole di entrare nel primo bar e di perderci, ma loro mi hanno visto, mi inseguono e mi ve-dono con questa bella donna che ě Karla e chie-dono soldi dicendo ehe a Reggio non si puö piú stare, che sono tutti pieni di fogli di via, tanto ehe in cittä possono incontrarsi solo sugli autobus, mentre a Verona ce n'e quasi come ad Amsterdam. Io dico ehe non buco piú e ehe non c'ho i soldi e cerco di svicolare ver so piazza Brä e in effetti li lasciamo lí e torniamo a casa, ma la notte dormo molto male e il giorno dopo sono sballato e nevrotico e litigo con Karla, ma lei sembra capire e non reagisce. Dopo ci si saluta freddi come bambini che hanno sciupato il gelato. Dilo abita sempře nella stessa casa di Bologna, ma in compagnia di un ragazzo ehe non ě giovanissimo, ma ě uno schianto, un corpo stu-pendo anche sopra ai věstiti e infatti fa il balle-rino al Comunale. Quando suono il campanello le gambe mi tremano, poi lui appare ed ě gentile, ma io lo sento freddo anche quando offre del tě e mi guarda con le braccia inerociate sorridendo, come dire, racconta un po' la vitaccia ehe fai. Ma io non apro bocca, non ci riesco. Lui dice che mi trova sciupato, ľaltro, il ballerino, non dice nulla, poi alia prima parola che gli esce capisco che ě uno straniero perché col Dilo se la menano in inglese. Dilo dice che ha avuto notizie dal Gigi, che se n'ě tornato a Correggio e che con l'Anna hanno rotto e che non sapeva dove trovarti. Ma io voglio parlare ďaltro e anche se la faccenda del Gigi mi stupisce, mi sento solo di fare al-l'amore con un uomo e soprattutto con Dilo che da quando l'ho lasciato un anno e piú fa, non l'ho potuto fare con nessuno. Ma poi la svoglia mi prende perché capisco ehe non e'e piú nulla da fare e quando un amore finisce, finisce sul serio e non ci sono pezze o nostalgie che lo pos-sano togliere dal sepolcro. Purtroppo. Sul treno di ritorno per Reggio di fronte e'e un ragazzo sui venticinque che mi guarda e ogni tanto sorride e quando a Modena gli altri dello scompartimento scendono, si alza di scatto, chiude il separé e abbassa le tendine e dice che cosi si ě piú tranquilli. Poi allarga le gambe e mi guarda. Abbasso gli occhi e mi volto indifferente verso il finestrino e conto le teste delle persone che so-stano sui binari. Ma il cuore palpita e anche il sesso e perdio la fortuna che tutti capiscono che sono finocchio anche 'sto stronzo. E lo stronzo mi tocca la gamba e fa piedino che quasi rido e grido brutto puttaniere che cazzo vuoi? Ma poi non lo dico perché sarebbe veramente un con-trosenso e anche se lui non c'ha molta verve non gli ci vuole molto a dire apri il čulo e io sblat. Non appena il treno s'avvia cambia posizione e si mette al mio fianco & mi tocca la coscia con la mano. Al cesso e'e puzza e fa freddo e la luce ě 128 129 livida e scolora come sotto il tavolo di un chi-rurgo e lui tira fuori la sua anatómia e la sbatte in faccia e dice fammi un pompino e io lo prendo in mano e in bocca e gli stringo le cosce e mi faccio chiavare in bocca ma lui poi mi distacca e dice voltati e io mi volto e lo mette dentro tutto e mi bručia, ma vengo e viene anche lui dicendo ce l'hai cosi tenero che sembra una figa e io mi volto sudato e gli dico la gente come te serve solo a far pompini brutto idiota e lui prende a scazzottare e a dire scemate ma io non l'ascolto, non posso, perché penso a Dilo, caro Dilo ora si che t'ho fatto finire. AI Posto Ristoro delia stazione di Reggio bevo quattro fernet di fila poi mi metto a fare lo stop verso casa e arrivo che ě notte, suono dal Gigi, ě lí, ci abbracciamo e "Siamo ancora insie-me, vero? " Agosto trascorre lento, solo, la notte a girare per la campagna e contare i pioppi sugli argini e bere. II Gigi ora stará dormendo, la mia scom-messa ě persa. Non importa... Sulla mia terra, semplicemente cib che sono mi aiuterä a vivere. 130 Senso contrario Sulla terrazza del bowling una sera noiosa e ubriaca, bere martini uno dietro l'altro prima vodka e poi gin, sentire le chiacchiere di un tizio sballato ehe ne ha passate di tutti i colori perse-guitato com'e da un Burberrys chiaro. Una serata davvero vuota, le olive finiscono, il tizio che im-preca e bestemmia e non gli basta scaricare la rabbia sui birilli, no deve pure rompere le palle. Guardo dalla vetrata di cristallo la cittä stretta nella notte. Oltre il cavalcavia le luci della stazione, di lato invece la piccola palestra di karate, ci lavoro un pomeriggio su due, tenere in ordine i registri dei corsi, spazzolare la mo-quette, strusciare le piastrelle dei bagni, con-trollare le serrature degli armadietti nello spo-gliatoio, centocarte al mese. Davanti la piazza con la filovia, le pensiline, la gente che aspetta bat-tendo i tacchi. Specchio il mio viso aífaticato e sudato, ap-pena terminata la partita del Torneo Amatori, persa per un soffio cazzo, due birilli. Poi capita al bar Ruby e si vede subito che cerca la mia faccia in mezzo alia gente, perché non appena 131