Recensione a Per grazia ricevuta Paolo Mauri in “La Repubblica“, 31 maggio 2005 Quello che conta è l'oggi. E' in un eterno oggi che si vive, si fanno le cose, si commettono sbagli, si fa l'amore. Oggi si fatica e si prende una mezz'ora di sole durante la pausa-pranzo e magari si decide di farsi tatuare una scritta sulla spalla, di quelle provvisorie che vanno via a lavarle. Oggi si prende il metrò e poi l' autobus per raggiungere il lavoro, oggi si incontra persino la professoressa universitaria che ha profittato della tua tesi e l' ha stampata col suo nome, oggi c' è un vernissage con quegli animali morti in formalina firmati da un artista innominato (ma è Damien Hirst) che fa scandalo e anche un po' vomitare e una bambina gentile parla con un amico immaginario che si chiama Daniele e gli confida tutto quello che succede e quando si mette a tavola pretende che ci sia un piatto anche per lui. I personaggi di Valeria Parrella vivono (allegramente o disperatamente) alla giornata, tirano a campare nella Napoli mariuola che si arrangia come può, accettano i guai, magari strillando, ma poi si rassegnano. Anche alla galera, anche alla morte. Se hanno sogni, stentano a venir fuori, perché provvedere all' oggi è già tanto, è già tutto. Valeria Parrella racconta storie che naturalmente hanno un inizio e una fine e persino una trama, ma le sue sono soprattutto "tranche de vie", reperti di una quotidianità che è un modo di esserci, al mondo, e soprattutto di affermare, spesso con caparbietà, la necessità, il diritto biologico di vivere o almeno di sopravvivere in una specie di confronto e talvolta lotta senza quartiere con tutto ciò che sta fuori dal sé: il ragazzino che cerca di scipparti il cellulare, i colleghi di lavoro, i parenti, le madri che si preoccupano, gli amanti che non arrivano. In altre parole il pulsare della vita, che è come il sangue che batte alle tempie e ti dice che il corpo esiste e non puoi, non devi ignorarlo. Dopo l' esordio sorprendente di Mosca più balena uscito con successo due anni fa da minimum fax, ecco, stesso editore, un altro libro: Per grazia ricevuta. Sono quattro racconti ancora una volta napoletani e ancora una volta bisogna dire che l' autrice reinventa con un tocco particolare la sua città senza mai cadere nelle trappole del già visto, ma talvolta sfiorandolo come per sfida. In "Siddharta" c'è la Napoli che si arrangia e qui lo fa falsificando i bestseller, Anna Frank, Siddharta, appunto, Il giovane Holden e c'è il tipografo Guglielmo che sbaglia sempre e salta dieci pagine, e c' è il proprietario che si chiama Ferdinando ed è finito in prigione perché ha tentato di stampare i francobolli della posta prioritaria, ma sono arrivati i finanzieri e l' hanno preso sul fatto. Il protagonista è un giovane innamorato della musica e della chitarra, ma ha lasciato perdere per prendere il diploma di maturità e poi per questo lavoro di fotoincisore. Conserva solo le unghie lunghe. La sorella, che sta preparando gli esami all' università, gli domanda se può procurargli la Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce e alla madre che insiste a chiedergli perché non fanno i libri per l' università risponde «Mamma, non li abbiamo mai fatti i libri per l' università. Copiamo solo quelli che vendono di più». In "P. G. R." (Per Grazia Ricevuta) il racconto che dà il titolo a tutta la raccolta c'è un inizio che vale un libro di storia: «Poi, un giorno, il contrabbando è finito». Il contrabbando che riempiva la strada di donne e di fuochi, di gente che andava e veniva. Adesso via Dante è diventata buia e pesante da fare a piedi. Il gruppetto di ragazzi che spacciano non valgono le contrabbandiere. I magazzini chiudono, non c'è ragione di stare fuori:«fino a domani la strada non esiste più». La grazia ricevuta è un lavoro a tempo indeterminato, con i contributi e tutto. La normalità, la normalità piccolo borghese, che chi vive nei quartieri sogna come qualcosa di remoto o addirittura di impossibile: un dono del cielo. Questo, almeno, è il punto di vista della madre della ragazza che narra la sua giornata particolare, quando la ditta dove lavora il cognato Alfredo come operaio le rimette a posto casa, provocando però il crollo del solaio del bagno, sicché si vede che l' inquilina di sotto ha la vasca con l' idromassaggio. Se ognuno deve fare la sua parte per riuscire a sopravvivere e a farsi strada, bisogna anche aggiungere che in scena è sempre la vita collettiva: la famiglia, la strada, il quartiere. C' è un intreccio costante di parole, di gesti, di modi di fare e anche di ostracismi, come quando, dopo il fattaccio del ragazzino pestato per via del tentato furto del telefonino, il quartiere decreta una forma di chiusura, perché l' appartenenza è finita, si è rotto un patto non scritto. Si può andare in carcere e non rimetterci nulla nel prestigio sociale, ma certe cose non si devono fare, perché i limiti sono segnati nei codici genetici e non hanno bisogno d' altro. Fare, non fare: contano le azioni. La protagonista del primo racconto, "La corsa", dopo aver perso il suo uomo, Mario, che è stato accoltellato, si arrangia spacciando e finisce dentro. Deve scontare due anni ed ha un figlio piccolo: l' unico espediente possibile è non pensarci e lasciare che il tempo scorra via, ma è difficile e il suicidio diventa una tentazione. Tutti questi racconti sono animati dalla presenza, per nulla accessoria, di bambini. Tonino che vuol fare l'estetista come la madre e sta diventando effeminato, il figlio di Michele che sta per nascere ed è come se chiamasse suo padre al momento giusto, facendogli evitare la finanza che arriva un minuto dopo, Agnese che ha l' amico immaginario e chissà se è malata o solo una solitaria che ha inventato un gioco pericoloso, Luca che sta tra la madre e la zia. E c' è anche il bambino non nato di Marina, già madre di Agnese e ora alle prese con un suo amore clandestino e un matrimonio che stenta. Questi bambini cascano in mondi che non hanno scelto di abitare: sono prima di tutto figli del Caso. Li salva un amore spesso rabbioso e comunque fiero, istintivo, una protezione che somiglia a quella delle femmine animali. La storia di Marina, intitolata "L' amico immaginario" è lontana dai bassi e dai vicoli: ci si muove tra musei e gallerie, vernissage e aerei, si comunica via computer e anche qui l' autrice è a suo agio, costruisce con sapienza un racconto a più piani. Lo sguardo è spesso cinematografico, come è ovvio nella letteratura contemporanea. Ma è la scrittura, abilmente tessuta e tramata di espressioni prese dalla lingua viva, come già accadeva in mosca più balena, a vincere alla fine. E, aggiungiamo, la sapienza di cogliere un gesto e farne un emblema. Come quando la ragazza si fa fare il già citato tatuaggio e poi alla madre sgomenta spiega che è finto e va via con l' acqua. È l' epica dell' antieroe. E l' antieroe, questo personaggio-persona impegnato a sopravvivere al minimo senza mai troppo chiedersi perché, è il vero protagonista di queste pagine, spesso delicatamente ironiche, e in ogni senso legate all' oggi e a quel flusso misterioso che è la vita di cui, ci dice l'autrice, siamo oggetti e soggetti insieme.