ULTIMI VOLUMI PUBBLICATI Beppe Sebaste Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne Franco Arminio Ven to forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi dt paesologia Marcello Fois In Sardegna non c'e il mare Daniele Benati Paolo Nori Baltica 9. Guida ai misteri ďoriente Marco Cassini Kefusi. Diario di un editore incorreggibile Gianrico Carofiglio Né qui né altrove. Una notte a Bari Enrico Brizzi La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco Angelo Ferracuti Viaggi da Fermo. Un sillabario piceno C. Susani C. Raimo T. Pincio N. Lagioia S. Ventroni CdeMajo F.Viola P. Fiore M. Di Porto E. Trevi Mario Desiati Foto di classe U uagnon se n'asciot M. Rovelli M. Murgia S. Liberti E. StancaneĽi A. Leogrande G. Meacci V. Mattioli G. Falco Sono come tu mi vuoi. Storie di lavori Valerio Magrelli La vicevita. Treni e viaggi in treno Mario Desiati Foto di classe. U uagnon se n'asciot A. Pascale L. Caminiti DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Gianluigí Ricuperati La tua vita in 30 comode rate. Viaggio nelľltalia ehe vive a eredito ^Editori Laterza Indice Foto di classe 3 I chiusi 11 I fuggiti 24 1 fedeli 39 Gli usati 59 I mammisti 74 I soldáti 91 Gli arrangiati 104 Irimasti 118 Appunti sul metodo e urťannotazione sugli alberi da frutta in cittá 128 Foto di classe «Quindici anni fa uscivi in villa?» Si. «Hai dato il tuo primo bacio in villa?» Piu o meno si. «Hai fumato la prima sigaretta in villa?» Si. «Hai fatto il tuo primo filone?» Si altre decine di volte, mimetizzato dietro il trulletto di chianca, ci devono ancora essere le tacche con le date. «Se hai risposto si a tutte queste domande allora non puoi mancare al raduno Tutti in villa, la sera del 25 dicembre.» Nella posta elettronica era arrivata sotto forma di questio-nario questa ammiccante mail che segnalava la riapertura delia villa comunale di Martina Franca dopo diversi anni di chiu-sura. In ogni paese del sud c'ě una villa e in quasi tutti i paesi del sud, soprattutto in Puglia, le ville sono i luoghi di aggrega-zione dei ragazzi sotto i venťanni. La villa comunale di Martina aveva la particolarita di estendersi attorno alia Rotonda, uno spiazzo dove negli anni Sessanta faceva tappa il Cantagi- 3 ro, sostavano le grattachecche con il ghiaccio raccolto nelle neviere attorno alla cittä e i giovani si radunavano rispettan-do una geografia predsa. Ogni parrocchia aveva il suo ango-lo di Rotonda, ľappuntamento era dopo la messa delia do-menica mattina e l'Azione Cattolica del sabato pomeriggio. Poi tutto fini perché la Rotonda richiamava la musica e la muška richiamava gli schiamazzi, ma anche le notti insonni dei vicini. Dopo due risse indimenticabili aľľinizio degli anni Settanta, tra abitanti del quartiere e giovani delia Rotonda, questa fu chiusa e rimase aperta solo la villa. Alla stagione delia neve ghiacciata, dello sciroppo di amarena e dei gruppi parrocchiali seguirono gli anni delle prime droghe e delia di-visione per scuole. Fino alla fine degli anni Novanta fu čosi, licei in zóna alta e istituti tecnici accanto ai resti delia Rotonda. U custode delia villa era sempre lo stesso da oltre trenťanni, lo chiamavano Iaiul. Era un vecchio poliomielitico, zoppo e senza una mano, ehe alle undici di ogni sabato gridava per scacciare noi uagnon dalla villa e chiuderla secondo ferree re-gole orarie ehe diventavano immancabilmente non solo un'a-bitudine, ma un vero dato biologico; un po' come la catego-ria dei custodi dei passaggi a livello, ehe ancora per molti sno-di qui sono manuáli. «laiul ťascua u cul!», Iaiul ti bručia il čulo, gridavano i ri-tardatari ehe restavano anche fino a mezzanotte nelle fronde di palissandro attorno alla fontána vuota, neha parte piú oseura delia villa. Era proprio li ehe uscivo, sin dalľinizio degli anni Novanta, con equivoci personaggi ehe oggi dopo quasi venťanni compongono quello ehe ľantropologia cri-minale chiama «la schiuma delia societä». Causa liceo ab-bandonai la schiuma ed entrai a far parte delia créme delia cittä, con gran sollievo dei miei genitori, un attimo prima ehe ľhashish si trasformasse in eroina e čerti goliardici scherzi in qualcosa di serio. E cosi, dopo un giovedi grasso particolar-mente eruento (mi pare del 1992) in cui seguii una banda di «schiuma» vestita da punk con maschere da zombie e man-ganelli pieni di acqua che seminarono feriti anche abbastan-za gravi per la villa, decisi che era meglio frequentare giovani in Barbour e Dr. Martens. Fra questi e'era Valerio, oggi professore di matematica in una scuola superiore a Parma. Ci siamo rivisti, dopo oltre died anni, la sera del 25 di-cembre. Entrambi siamo stati vittime di quello che chiamerei il marketing della nostalgia. In Italia e in tutto il mondo occi-dentale grazie a Internet fioccano i social network come My-Space o Facebook, grazie ai quali ě possibile fare amicizie. I social network hanno una funzione molto diffusa e molto clic-cata nel motore di ricerca per vecchi compagni di scuola. Si tratta di una mappatura di tutte le scuole superioři iscritte nel registro del Ministero della Pubblica Istruzione, dove gli utenti poi registrano le proprie generalita e possono ricerca-re i vecchi compagni iscritti come loro al social network. Un fenomeno che ha portato alla nascita di numerosi siti, a un replicare di moltitudini di raduni in ogni parte d'ltalia, al successo di una cinematografia e di un immaginario post-scolastico. Lo spirito di chi partecipa e organizza o semplice-mente aderisce a questo grande target della nostalgia ě varie-gatissimo. C'ě chi ě realmente nostalgico, chi ha sensi di ri-valsa, chi awerte una solitudine, chi ha rimpianti o chi, come me, ě sospinto da una insostenibile noia e una insana dose di voyeurismo. Conobbi Valerio sui banchi di scuola. Allampanato e glabra, veniva chiamato Valeria per alcuni atteggiamenti parti-colarmente raffinati (fumare tabacco sfuso, portare il trench 4 5 e dare sempře del lei a tutti i professori) interpretati come se-gni inequivocabili di omosessualitá. Fu mio amico solo in quegli anni. Poi lo persi di vista, andó a studiare a Firenze, si prese una laurea in matematica poi una cattedra a Parma. «Ti rendi conto che ho studiato dieci anni per non trovar-mi martinesi davanti e adesso sono finito a Mardna 2?» Per i martinesi Parma ě la cittá universitaria per eccellenza, tanto che esiste un autobus giornaliero che unisce la cittá della cer-tosa di Stendhal con la valle dei trulli. Ma Valerio un po' mentě, se oltre dieci anni dopo la maturita ě li al raduno, con un raffinatissimo cappotto di pelle e un berretto di tolfa. Spesso si parte e si lascia la cittá con un certo odio, un risentimento dovuto alTinsoddisfazione della vita di provincia. A maggior ragione per uno come Valerio, che per tanti anni si era senti-to chiamare Valeria per i modi affettati e gentili, non doveva essere un bel ricordo piombare nel luogo dei suoi primi tor-menti e delle sue prime umiliazioni. La sera del 25 dicembre Pária era fredda e umida. Mi ero sentito un po' stupido a vedermi allo specchio, cercavo par-ticolari che non dessero nell'occhio. Una sciarpa scura, un giaccone nero e possibilmente pantaloni abbinati. Vestirsi bene ě non farsi notáre, questa la regola negli anni della villa e inconsciamente ne stavo ancora applicando il regime. II cie-lo caliginoso si era coperto di una nebbia minacciosa. Ri-schiava di piovere, ma non era opportuno portare 1'ombrel-lo. Ricordo che anche gli ombrelli non erano visti di buon oc-chio nelle regole ďeleganza in villa. Anzi ricordo interi saba-ti passati sotto piogge sottili e durature senza mai neanche mettere il cappuccio in těsta. Coprirsi dalla pioggia era un viatico sicuro alla bolla di «soggetto», in dialetto suggitt, ap-pellativo utilizzato per personaggi fuori schéma, ma in senso diminutivo. Scemi, meno dotati, blby, come una parola del dizionario ceco che si adatterebbe perfettamente al termine «soggetto». Blby («groppo di labiali che come guitti soffoca-no una pověra liquida», notava Ripellino) era lo Švejk di Hašek, e stava per scemo di guerra. A Martina sarebbe stato un soggetto e bašta. Arrivai in villa da dove arrivavo sempře, perché c'ě anche un'urbanistica e uno stradario dei propri luoghi ďinfanzia, angoli da rispettare, riti da non tradire. Percorsi via Recupe-ro ed entrai attraverso i cancelli di ringhiera che portavano nello spiazzo davanti al trulletto dove quindici anni prima si mobilitavano gli scioperi. Ed ecco le stesse persone di tanti anni prima, tutte uguali a prima, tutte identiche a come erano state lasciate. Un solo ombrello aperto nonostante due gocce che presto erano finite e quell'ombrello apparteneva a Valerio. Attorno a quell'ombrello c'erano tre ragazze, ombre appollaiate vaghe e vocianti con le teste chine su qualcosa. In questi anni avevo dimenticato: Valerio era sempře circonda-to da donne e forse quel malevolo appellativo era dovuto anche all'invidia. Percorsi i pochi metri che ci dividevano per andarlo ad ab-bracciare dopo tanti anni e in quello spazio ebbi modo di ri-vivere le incredibili e perfette dinamiche di anni prima. La piú stupefacente era quella del «liscio», che consiste nel far finta di non vedere qualcuno per evitare di salutare e fermar-si a parlare. Almeno due persone mi lisciarono completa-mente. Ma anche io ne lisciai una. Mi sentii palpitare il cuo-re, ero sollevato, avevo evitato qualcuno. «Eccone un altro!» mi gridó Valerio guardandomi. Chiu-se l'ombrello, si tolse il cappello e mi fece un inchino. Le ra- 6 7 gazze risero, ombre trasformate in tre volti che si compongo-no poco alia volta nella mia mentě: nostre compagne di clas-se. Maria Teresa, Maria Cristina e Maria Carmela, «le tre Gra-zie», chiamate cosi in senso ironico (ma non facevamo prima a chiamarle «le tre Marie»?), ed era incredibile che ancora si muovessero in branco come quindici anni prima. II tempo non aveva reso giustizia a Maria Teresa e Maria Cristina, oli-vastre e secche come indiáne, l'una alta e occhialuta, Paltra bassa e riccia con una larga voglia sul mento. Maria Carmela era diventata un'appariscente signora, cappotto lungo, oc-chialino tondo, collier, tailleur pantalone e chignon («Vado a una festa organizzata dagli awocati di Taranto» tenne a far-mi sapere). «Ad arrivare soli in villa si fa sbianco» mi rimproveró bo-nariamente Valerio, illuminando uno dei territori piú oscuri del rimosso. Lo sbianco era la figuraccia. Altro fondante via-tico al mondo dei soggetti. Lo sbianco era arrivare in villa da soli, fermarsi a parlare nelle zone con la luce, andare in mo-to col casco. Fu allora che guardai quello che Valerio stava mostrando alle nostre tre compagne di scuola. Era la foto di classe, quella dell'ultimo anno. Maria Teresa, con il tono basso e finto timido di una suora, le dite sottili e le unghie man-giate, indicava persona per persona quello che erano diven-tati i nostri compagni di classe. Memorizzavo i nomi e i me-stieri, ma non connettevo nessun pensiero. Arrivati su Valerio, scandi sicura «Matematico», e poi, sul mio volto «Non ho mai capito quello che fai veramente, diciamo poeta?», e sulla parola «poeta» c'era una neanche tanto vaga cardella... ops! presa in giro. La serata trascorse in una sorta di euforia, nel rivedere le persone che non si vedevano da anni. Si cercavano rughe e difetti, qualcuno cercava le vecchie fiamme, e forse ě per quello che vidi arrivare tutto trafelato Osvaldo. Osvaldo era uno dei piú bei ragazzi di Martina, mio compagno di banco e, a detta sua, assoluto protagonista delle notti versiliane: da alcuni anni faceva il PR nelle discoteche di Marina di Pietra-santa, Forte dei Marmi e Viareggio. In realtä il grande Osvaldo, dopo aver bevuto un paio di drink, iniziava a sostenere di essere stato - e tuttora di farlo dietro profferte ritenute adat-te al suo spessore - un gigolô. Lui poteva avere tutte le donne che voleva, ma ogni Nata-le tornava a Martina con la speranza di incontrare una ragaz-za che andava nel corso C. Assieme a un'altra sua compagna erano chiamate «le tipe piccanti». Ragazze agognate da Osvaldo e me per almeno un lustro e che non ci degnavano neanche di uno sguardo, ma su cui edificammo storie imma-ginarie. «Le hai viste?» «No.» «Qualche loro amica?» «No, ho visto un loro ex fidanzato, ci ho pure parlato.» «Fidanzato delia tua o della mia?» «Non me lo ricordo.» Per me fu una serata piacevole: un jukebox diffondeva la musica degli anni Novanta, c'erano i ritornelli piú noti di Va-sco Rossi e di un giovane Ligabue nelle nostre orecchie. A Gli spari sopra di Vasco la villa esplose in un boato, poi applausi, cori. I trentenni erano contagiati da un'esaltazione ignota. Qualcuno gridava, girava il racconto delľultima memorabile rissa in villa, risalente a quindici anni prima. Ognuno la rie-vocava con mille sfumature diverse, ognuno aveva da ag-giungere un particolare ripescato nella memoria, o forse sem- 8 9 plicemente nell'ampio spettro della mitomania. Valerio gira-va con questa foto di classe, che alia fine della serata mi ri-trovai in mano. Valerio era sparito e con lui tutte le persone che erano apparse quella sera. Tornai da solo a casa, con la nebbia che aveva awolto tutto il paese e 1'odore di terra ba-gnata che saliva fino in bocca. Rimasi sveglio a lungo. Scorrevo i visi della mia foto di classe. Era stata scattata nella primavera del 1996. C'erano al-cuni assenti quel giorno e chi era assente per magia scom-parve per sempre dal passato. I miei compagni di scuola era-no quei venti la e in quei venti ragazzini mangiati dall'acne cercai una delle ragioni delle mie ossessioni. Che fine aveva-no fatto? L'indice di Maria Teresa che si posava volto su vol-to e raccontava le occupazioni di ciascuno immediatamente illumino un dato che quella sera avevo sottovalutato. Di tut-ti quei venti ragazzi, erano rimasti sotto l'Ofanto soltanto in quattro. Un quinto. I dati sull'emigrazione giovanile che po-chi mesi prima avevo studiato per un articolo si tramutarono in vite umane, in volti, in facce, ed erano le facce con le qua-li ero cresciuto. In quel momento ebbi per la prima volta la percezione dell'umanita della statistica, di quanto fosse uma-na se applicata agli uomini. I dati freddi diventarono di car-ne. II miracolo dei numeri che si trasformano in uomini mi turbo. Fu sbalorditivo, ma quella notte decisi che avrei do-vuto ricercarli tutti. I chiusi Ho rintracciato Valerio per restituirgli la foto di classe. Non avevo avuto un sonno sereno. Mantenevo alcuni oscuri sensi di colpa nei suoi confronti. Erano affiorate nella notte le con-seguenze piü sgradevoli di simili incontri, avevo fatto l'im-mancabile sogno di chi somatizza le prime responsabilitä: l'incubo di presentarsi alľesame di maturita senza aver studiato. Ho cercato sulla vecchia agenda, dove c'erano i numeri (ancora senza prefissi) nella mia incerta calligrafia di tredi-cenne. Ho provato un senso di sospensione. A ricomporre le tessere di quei tempo smaterializzato mancava solo il fruscio della rotella del telefono. La voce della madre di Valerio era la stessa di quindici anni prima, e lo stesso balbettio veniva restituito, identico a quindici anni prima, da parte mia. «Valerio, volevo ridarti quella foto, non so come ě finita nelle mie mani.» «Per me puoi tenerla.» E dal tono capii che aveva giä esau-rito la sua dose di nostalgia. «La conservo per altri dieci anni. Sei d'accordo?» «...» «Mi piacerebbe comunque rivederti.» 11