Storia delia Literatura Italiana T. „„„tn CECCHI E NATALINO SAPEGNO DIRETTORi: EMILIO LBLLtii VOLUME OTTAVO Dall'Ottocento al Novecento RlOSOFtCK-A FAKULTA U^IVfSSíTV 3. i. rU"KVľ4i v GARZANTI Antonio Fogazzaro a un cibo d'infanti che gli adulti respingono, non comprendono che se Dio ě infinit e immutabile, l'uomo pero se ne fa un'idea sempře piú grande di secolo in secolo>e che di tutta la Veritá Divina si pud dire cosi. I modernisti sono « combattuti dallo Spirito di menzogna » ma « han no S mentě piena di Veritá e il cuore pieno di Cristo », « sono Ponore della Chiesa >) Degli ultimi tre romanzi del Fogazzaro // santo ě certamente il piíi bello.g anche il meno torbido per un evidente impegno del' 'autore a puriíicare al massi-mo la sua materia narrativa. L'antico fascino del Fogazzaro risorge ad aw gere la figura e la missione del « santo », la sua vita di pemtenza a Subiaco, la sua,r predicazione a Jenne, le sue apparizioni nelle nuove catacombe di Roma. S< personaggio ě stretto da contraddizioni e incertezze lo deve alle ragioni del cuore, ,ř alle sottili e mutevoli esigenze sentimentali delle quali il narratore era assai piů *> esperto che delle armi della logica. Quello che convince poco nel Santo, come inf Piccolo mondo moderno e piú tardi in Leila, ě la rapiditá dei trapas si, che non si spier "| ga nemmeno sentimentalmente, dalla incredulitá alla fede: Piero Maironi, Jennea e Massimo Alberti hanno, ad ogni conclusione di romanzo, queste illuminazioni* supreme e il loro stesso meccanico riprodursi non ě un buon argomento di persuajj sione. Con Leila (191 o) il Fogazzaro torna ai těmi de] Santo con un senso di rasse-g gnazione ma anche con qualche moto ribelle che dimostra una sottomissione *' alia Chiesa priva di una totale adesione intima. I vecchi credenti come Marcellö| Trento, donna Fedele e anche Luigi Alberti si contrappongono ai gruppi di| farisei che pure sono considerati con uno sforzo di obiettivitá animati da zelo^š sincero e desiderosi di servire Dio e la Chiesa, sia pure per stradě tortuose. Si distinguono dagli uni e dagli altri gli irrequieti protagonisti: Leila ai conilrii dell'incredulitá e Massimo, sospetto di modernismo ma che non lo ě in senso* proprio, e rischia di perdere la fede sotto il peso della calunnia. II narratore i|= questo ultimo romanzo ha ripreso tutti i temi prediletti: la rinuncia alPamoreJj seguita, piú che dalla pace, dal tormento, il richiamo dei sensi travestito di inquie« tudini spirituali, 1'esigenza della fede ma anche della veritá cercata per altre vie,*j la suggestione del paesaggio confidente e il conforto della musica. La solita brá-|j vura ě evidente in alcuni personaggi, specialmente quelli di contorno, ma /.«7« ě 1'opera di uno scrittore stanco. Ě un romanzo nelle intenzioni aperto alla spe-^ ranza ma lo vela una tristezza irrimediabile con le ceneri della rinuncia, della pas-sione non domata dal di fuori ma intimamente esausta. m CAPITOLO SESTO Educatori, memorialist}, giornalisti Nel quadro della << rigenerazione nazionale » ebbe naturalmente molto ri-fievo il compito educativo affidato alla letteratura della nuova Italia. Si trattava |i « fare » gli Italiani; di qui il tono moralistico, pedagogico, divulgativo della cultura letteraria e scientifica. Al di sopra di tutto era la patria (« Ľltalia avanti tutto! Ľltalia sopra tutto! »); seguiva la monarchia che 1'avevaunificatael'eser-eito che era stato il suo strumento. Si vagheggiavano da parte degli spiriti illu-ihinati le piú seducenti conciliazioni: della religione con la patria e della religione con la scienza. II paese era pověro e gli Italiani dovevano essere educati alla mo-r-ale dei sacrificio e all'obbedienza; 1'unita non era del tutto compiuta e alľeser-eito erano quindi riservate cure particolari. La famiglia rappresentava una patria in miniatura e al centro della famiglia era la figura della madre adoratissima: la letteratura ottocentesca ě gremita di madri šante, votate esclusivamente al sacrificio. Tutti gli scrittori italiani furono piú o meno consapevoli di questi principi |a affermare ma il loro assertore piú convinto e di maggiore successo e popolaritá fy Edmondo De Amicis. Nei « rosei» bozzetti della Vita militare, del 1868 ma m edizione definitiva dell'8o, ľautore cercô di « provare drammaticamente » che «1'armata ě una vera scuola di educazione nazionale », secondo 1'opinione del Bossi che aveva poca stima dello scrittore. Tempo fa, parlando ďuno di questi bozzetti, due lettori molto facili a commuo-versi hanno significato, senza volerlo, il doppio scopo che mi sono proposto nello scri-t-vere 1'intero libro. fí Un popolano disse: « Finito di leggere, avrei stretto la mano al primo soldato in cui mi fossi imbattuto per la via. » jg Un soldato disse: « Ě un racconto che consola e mette un po' di buona volontá. » v Che si voglia bene al soldato, e ch'egli faccia il soldato con cuore: se io riuscissi a ottcnere questi due affetti in qualcuno dei miei lettori, stimerei largamente compensate le.mie fatiche, e sarebbe pago il mio desiderio piú vivo e piú caro. II Cosi, nella dedica alla « cara Madre », nella seconda edizione della Vita militare. Una scéna poco credibile con l'autore che gongola in incognito e il dialogo fra il soldato e il popolano che nel '69 avevano molte probabilita di essere analfa- Educatori, memorialist!, giornalisti beti. Lo scrittore confessava ad ogni modo che il suo intento principále non era' stato di narrare ma piuttosto di fare « del bene ». II De Amicis non fu in realtá un narratore e lo dimostrano anche questi bozzetti, a eccezione di « Carmela » che ě un autentico racconto come l'autore non riuscirá piú a scriverne, nemmeno nelle insipide Novelle del '72. La vita militare ě un insieme di episodi edificanti irrorati da dolci lacrime. Manca lo sviluppo narrativo: nella premessa e giá im-plicita la conclusione e tutto tende a esaurirsi come un esempio e una sentenza. Alcuni di questi bozzetti (« Una marcia d'estate », « Una marcia notturna ») so-no veri appunti di cronista e testimoniano giá la disposizione a vedere « la somma pelle delle cose », secondo il giudizio limitativo del Dossi: una disposizione che ě tuttavia la prima dote del giornalista. Di questa qualitá il De Amicis faceva larga-mente uso nelle corrispondenze dai vari paesi europei e mediterranei che visito fra il '71 e il '79. Sul suo trapasso da ufficiale a viaggiatore il Croce ha osservato: « Se fosse stato un pensatore avrebbe continuato a lavorare su problemi che la realtá öftre al pensiero. Ma egli era, invece, nient'altro che un moralista, un edu-catore, cui veniva meno, pel momento, la materia, se non l'uditorio. Descrittore in ozio, eccolo in giro quaerens quem devoret, ossia quid describat. E pei descrittori in ozio c'e sempre pronto il libro di viaggio. » I libri di viaggio furono sei: Spa-gna (1873), Ricordi di Londra (1873), Olanda (1874), Marocco (1876), Costantinopoli (1878-1879), Ricordi di Parigi (1879), piü Sull'Oceano (1889). In queste corrispon- Ii denze raccolte poi in volume De Amicis scrisse le sue pagine migliori: fresche, I vivide, eleganti, ancora oggi leggibili con diletto. Vi risalta un giornalista dalla i|| prosa agile e brillante, alia ricerca del colore piu che del fatto come poteva esserlo II un giornalista dell'Ottocento per il quale il viaggiare significava piü una sorgente 11 di awenture che di inchieste. Per quanto De Amicis non fu alieno da certe inda- il gini di sapore sociologico come risdh-i soprattutto in quel libro sull'emigrazione 11 che ě Sull'Oceano. De Amicis si occupa un po' di tutto, spcsso molto superficial-mente per la sua scarsa informazione come quando discetta di arte, con impressio- I ni bambinesche. Ma quando scrive sul suo vagabondare in una cittá straniera tie-see a dare il senso della grandezza di Londra o della vita notturna di Parigi con un potere di rievocazione di sicura presa sul lettore. Uno degli innumerevoli 91 esempi della sua curiositá ilare ě nelPepisodio delle « Belle frisone » in Olanda dove si puo rilevare che le qualitá inventive del De Amicis si liberavano esclusi-vamente, e in misura non certo troppo limitata, al contatto della sua pittura 4r; « dal vero ». In un giorno di pioggia a Leuwarde l'autore segue una banda musi-cale sperando che le donne « tappate in casa » per il maltempo avrebbero « fatto capolino »: S'aprirono le finestre delle prime case, e si affacciarono alcune donne colla testa tutta luccicante d'argento, come se fossero elmate; ed avevano infatti due larghe piastre d'argento che nascondevano affatto i capelli e coprivano una parte della fronte strin- Educatori, memorialisti, giornalisti gendo il capo come un casco di guerriero antico. Un po' piú oltre, s'affacciarono akre donne, quali col casco ďargento, quali col casco ďoro. II battaglione svoltó in una delle stradě principali, e allora su tutte le porte, a tutte le finestre, agli svolti delle stradě, alle soglie delle botteghe, dietro le cancellate dei giardini comparivano caschi ďoro e ďargento, grandi e piccini, con velo e senza velo, tersi e sfolgoranti come celate ďar-meria; mamme in mezzo a una nidiata di ragazzine, tutte col casco; vecehie cadenti, col casco; serve colla casseruola in mano, col casco; signorine che s'erano alzate allora dal pianoforte, col casco; Leuwarde pareva una immensa caserma di corazzieri sbarbati, una metropoli di regine spodestate, una cittá dove tutta la popolazione si preparasse ad una grande mascherata medioevale... Tutti quei caschi coloravano di riflessi do-rati e argentati i vetři delle finestre e le imposte inverniciate; brillavano confusamente nel buio delle stanze semiaperte del pian terreno, apparivano e sparivano lampeggiando dietro le tendine trasparenti e i fiori dei davanzali. Passando accanto alle ragazze ritte sui marciapiedi della strada, rallentavo il passo e vedevo riflessi sulle loro teste gli alberi, le botteghe, le finestre, il cielo, le guardie civiche, il mio viso. In mezzo a tutte quelle teste amabilmente terribili, su cui non si vedeva una ciocca di capelli, io collo staio e la capigliatura lunga, mi parevo un uomo imbelle e spregevole, a cui da un momento albaltro una di quelle austere frisone dovesse porgere per scherno il fuso e la rocca... A ogni passo vedevo qualche scéna curiosa. Un ragazzo, per far stizzire una bam-bina, le appannava il casco col fiato, e quella subito s'affannava a ripulirlo con la manica, prorompendo in invettive, come un soldato cui il compagno insudici qualche parte delParmatura un momento prima della rivista del capitano. Un giovanotto, da una fi-nestra, toccava con la punta ďun bastoncino il casco ďuna ragazza affacciata alla fi-nestra accanto, il casco risonava, i vicini si voltavano, la ragazza faceva il viso rosso e spariva. In fondo a un corridoio, una serva si aggiustava il casco guardandosi in quello ďuna compagna gentilmente inchinata per farle da speechio. NelPatrio ďuna casa, che doveva essere un collegio, una cinquantina di ragazze tutte col casco, si disponevano a due a due, in silenzio, come un drappello di guerriere che s'apparecchiassero a fare una sortita contro il popolo ribellato. E in ogni nuova strada che infilava la banda, pullulava da ogni parte, come a un richiamo di guerra, una nuova legione di quelbeser-cito stravagante e gentile. Dell'86 e Cuore, il libro italiano piú popolare dopo Pinocchio, dono immanca-bile ai ragazzi per i compleanni e le prime comunioni. Anche questa ě uďopera pubblicata « per far del bene », dedicata particolarmente « ai ragazzi delle scuole elementari ». Ě la storia di un anno scolastico e figura seritta da un alunno di terza, di otto anni circa; i suoi compagni sono fra gli otto e i dieci anni, compresi i ripetenti. I genitori, presumibilmente sui trenťanni, ne dimostrano il doppio; barbuti e baffuti e forniti di tubini, di bastoni, di ocehiali, seri e sentenziosi i padri; le madri soffocate dagli scialli, dai cappelli, macerate dalle afflizioni e dai «sacri£izi». I flgli devono uniformarsi sul modello dei loro genitori integerrimi e considerarli sacri: -Euucaton, memonaiisti, giornalisti Pensa un po' quante volte fai degli atti ďimpazienza tu, e con chi? Con tuo padre e con tua madre, coi quali la tua impazienza ě un delitto. Al ragazzo di agiata condizione borghese ě rinfacciato dalla madre il suo be-nessere dopo la visita a un compagno povero: Guarda quel povero ragazzo, com'e costretto a lavorare, tu che hai tutti i tuoi comodi, e pure ti par duro lo studio! Ah, Enrico mio, c'e piú merito nel suo lavoro d'un giorno che nel tuo lavoro d'un anno. A quelli li dovrebbero dare i premi! Un predicozzo che, se non fosse stato « un delitto », avrebbe meritato Powia risposta che il lavoro di un giorno della « macilenta » madre del compagno povero valeva piu delle moralita profuse per tutto l'anno dalla madre del bambino ricco. Se alia prima nevicata il protagonista coi suoi amici si diverte « a scavallare per la strada » arriva implacabile la lettera firmata « Tuo Padre » a troncargli quel po' di allegria: « Voi festeggiate l'inverno... Ma ci son ragazzi che non hanno né panni, né scarpe, né fuoco » e cosi di seguito fino a « Pensate alle migliaia di creature a cui l'inverno porta la miseria e la morte. » Un terribile pensiero attra-versa la mente delPausterissimo padre (« Balen tremendo! ») mentre ammaestra il figlio sull'«amor di patria »: Ella [la patria] ě una cosi grande e sacra cosa, che se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei la carne e l'anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alia morte, io tuo padre, che t'accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t'accoglierei con un sin-ghiozzo d'angoscia, e non potrei amarti mai piu, e morirei con quel pugnale nel cuore. Al ragazzo sono elencati minuziosamente i suoi doveri sociali: Tutte le volte che incontri un vecchio cadente, un povero, una donna con un bimbo in braccio, uno storpio con le stampelle, un uomo curvo sotto un carico, una famiglia vestita a lutto, cedile ilpasso con rispetto... Cessa di'parlar col tuo compagno e di sor-ridere quando passa una lettiga d'ospedale... Spegni sempre ogni fiammifero acceso che tu trovi sui tuoi passi, che potrebbe costar la vita a qualcuno... E studiale, le strade; studia la cittá dove vivi... La madre illustra di rincalzo il bene supremo dell'elemosina: Quand'io do un soldo a un mendico, ed egli mi dice: « Dio conservi la salute a lei e alle sue creature! » tu non puoi comprendere la dolcezza che mi danno al cuore quelle parole, la gratitudine che sento per quel povero... fino alia chiusa: Educatori, memorialisti, giornalisti Oh mai piu, Enrico, non passare mai piu davanti a una madre che mendica senza metterle un soldo nella mano! I sacrifici dei genitori sono tutti puntualmente ricordati a maggior confusio-ne del colpevole di uno sgarbo e vi si aggiungono quelli della sorella Silvia, de-gna figlia di sua madre: Non sai che quand'eri bambino ti stavo per ore e ore accanto alia culla, invecedi divertirmi con le mie compagne, e che quand'eri malato scendevo da letto ogni notte per sentire se ti bruciava la fronte? Dopo i genitori e la sorella e il turno del maestro, sacerdote laico del mon-do di De Amicis: Rispetta, ama il tuo maestro, figliuolo. Amalo perche tuo padre lo ama e lo ri-spetta... Riprovatissimo un litigio con un compagno anche se concluso in un ab-braccio: Non dovevi alzar la riga sopra un compagno migliore di te, sopra il figliuolo di un soldato! Considerazione, quest'ultima, che difficilmente viene in mente come freno si-curo alia rabbia di un ragazzo. E naturale che, ossessionato da esempi morali tanto luminosi, Enrico si abbandonasse ai rimorsi e ai buoni propositi: Ah, sono scontento, scontento! Io vedo bene che mio padre e di malumore, e vorrebbe dirmelo, ma gli rincresce, e aspetta ancora; caro padre mio, che lavori tanto! Tutto e tuo, tutto quello che mi vedo intorno in casa, tutto quello che tocco, tutto quello che mi veste, che mi ciba, tutto quello che mi ammaestra e mi diverte, tutto e frutto del tuo lavoro, ed io non lavoro... In questo mondo severo e irreprensibile che comprende in una gara nobilis-sima ricchi e poveri una nota irriverente e certamente salutare e De Amicis Pha inserita con « Pinfame » figura di Franti. E il compagno cattivo che ride o sorride nei momenti piu patetici o solenni: per la rievocazione della morte di Vittorio Emanuele n, di fronte a un soldato che zoppica o a un ferito del lavoro. II sorriso e puntualissimo tanto da sospettare un tic, una contrazione nervosa. II Direttore guardo fisso Franti, in mezzo al silenzio della classe, e gli disse con accento da far tremare: « Franti, tu uccidi tua madre! » Tutti si voltarono a guardar Franti. E quell'infame sorrise. 358 359 Educatori, memorialisti, giornalisti La madre di Franti ě « affannata, coi capelli grigi arruffati, tutta fradicia di neve » e se ne va raccogliendo lo scialle che strascinava, pallida, incurvata, con la těsta tremante, e la sentimmo ancor tossire giú per le scale. Non mancano gli episodi ediřicanti come quello dell'« Ultimo giorno di carne-vale » con la bambina smarrita nella folia, la madre che la cerca coi « capelli sciolti, la faccia sformata, le věsti lacere » e il signore in maschera che la restituisce a quella misera donna non prima di essersi strappato « dalla destra un anello ďoro con un grosso diamante » e averlo infilato « con un rapido movimento in un dito della piccina »: « Prendi, » le disse, « sará la tua dote di sposa. » I « racconti menšili » non valgono piú delle vicende scolastiche di Enrico e compagni con una eccezione: « Dagli Appennini alle Ande ». Si tratta di un buon racconto con una conclusione ridicola, degna del Cuore di cui fa parte, ma fino al ritrovamento della madre ha un certo incanto poetico. Cuore ě un'opera dai molti tratti deci-samente immorali nonostante le baldanzose intenzioni moralistiche con le quali fu pensata e scritta. L'autore, quattro anni dopo, aderiva al socialismo e non si capisce come ci sia arrivato con queste premesse o perché non abbia ripudiato Cuore per il suo contenuto cosi chiaramente reazionario. Cuore ě tuttavia un libro importante ed estremamente significativo, anche nella sua falsitá e nei suoi aspetti piú irritanti e malefici. Nato a Oneglia nel '46, De Amicis consideró sua « patria » Cuneo dove la sua famiglia si era trasferita nel '48. Nel '63 entró alla scuola militare di Modena, partecipó alla guerra del '66 e fu presente alla battaglia di Custoza come si trovó nel '70 alla presa di Porta Pia. Inviato speciále della « Nazione » e della « Illu-strazione Italiana », collaboratore delle piú diffuse riviste letterarie, fu in rapporti di amicizia coi piú noti scrittori del tempo. Nel '90 pubblicó // roman^o di un maestro che non ě una organica opera narrativa a dispetto del titolo ma, come ha notáto Antonio Baldini, « un susseguirsi, piuttosto affannato (due volumi) di taňte situazioni-bozzetti ». Nel '90 De Amicis aderi al socialismo e vagheggió un nuovo romanzo, //primo maggio, che rimase fortunatamente allo stato intenzionale. Delle sue ottime qualitá giornalistiche, ma anche di scrittore, rimangono okre ai libri di viaggio i Ritratti letterari (18 81), i postumi Nuovi ritratti letterari ed artistici e i molti bozzetti « umoristici e letterari», fra i quali quelli raccolti nel Cinemato-grajo cerebrale (1909). De Amicis fu tra quanti accettarono la teoria manzoniana della lingua e il Fucini lo descrive mentre correva « le vie di Firenze a occhi spa-lancati, a orecchi tesi », col « fedele taccuino sempře aperto a ricevere il ricordo di parole, di frasi e di atticismi che sgorgavano a larga vena dalla bocca di questo popolo allora tanto arguto e tanto buono ». Dal suo interesse per la « questione della lingua » derivó un libro, L'idioma gentile (1905), frutto di lunghissime ricer- Educatori, memorialisti, giornalisti che ma scientificamente privo di consistenza. Lo scrittore mori a Bordighera I'ii marzo 1908. Ai « rosei bozzetti » della Vita militare del De Amicis si contrappongono i romanzi di Arturo Olivieri Sangiacomo, di Torino (1862-1903), che intese rappresentare la vita dell'esercito senza addolcimenti e falsificazioni, in quella difficile e agitata fine del secolo fra la formazione e lo scioglimento dei Fasci si-ciliani e le tragiche giornate di Milano. A questo scopo si presto lo schema del romanzo-inchiesta che ha nei Richiamati (1897) uno dei suoi esempi piú indicativi. Piú che i fatti privati del tenente-avvocato Ugo Serra contavano evidentemente per 1'autore le condizioni spesso dolorose dell'esercito e le ragioni di quei moti sociali che i « richiamati » erano costretti a reprimere. Lo scrittore si era documen-tato scrupolosamente sulla questione meridionale allora oggetto di larghi studi e dette prova, oltre che di una čerta preparazione, di sensibilita politica, rarissima in un militare. L'Olivieri Sangiacomo pubblicó anche opere narrative, sempře di argomento militare ma di puro intreccio romanzesco come La spia (1902); riusci tuttavia assai meglio dove segui le sue inclinazioni di educatore e di osser-vatore appassionato dei costumi militari concedendo poco spazio alla retorica delle vicende amorose. Al di fuori del suo piú autentico campo di interessi, fu uno scrittore ingenuo ed enfatico e di influenza dannunziana, alia ricerca del par-ticolare raffinato anche in momenti inopportuni: « Si... calma... calma... si fa presto a dire... » singhiozzó il conte gittandosi sopra una poltrona di bambou. Oppure, dopo una domanda di matrimonio: Con uno sguardo dolcissimo, lungo, profondo, inesprimibile, ella gli confermó nel cuore la divina certezza, lo ringrazió dal piú profondo dell'anima. Si alzó, gli offrl il caffě che fumava nelle tazze giapponesi sopra un piccolo tavolo di lacca e si dileguó a un tratto leggera come una farfalla. II Cuore condizionó molta letteratura educativa e dell'87, 1'anno successivo alia sua pubblicazione, ě Testa, « libro per giovinetti » di Paolo Mantegazza, dedicate appunto al De Amicis: Da mezzo secolo non sono piú un fanciullo: eppure leggendo il vostro Cuore ho pianto anch'io come un fanciullo. Da quelle lagrime ě nato quesťaltro libro. Non ě 1'antitesi né una contraddizione del vostro; molto meno poi un'altra fiamma che superbamente io voglia accendere accanto alla vostra. 360 II mio libro non ě ehe una penombra delia vostra luce. Aggraditelo come un segno modesto delia mia stima e del mio affetto per voi. Siate felice. Ě un libro nutrito ovviamente di buoni propositi e di preziosi ammaestra-menti. Vedi, Battista, io sono povero, non posso regalarti né un orologio né una borsa piena di marenghi; eppure sarei tanto felice di darti ľuna e ľaltra cosa, perché fui amico carissimo del babbo tuo e delia tua mamma. Ma non potendo farti dono ďalcun oggetto prezioso, voglio darti un consiglio, ehe vale assai piú ehe un orologio ďoro e piú ehe una borsa piena, e se tu lo seguirai, un giorno, ritornando a San Terenzo, se sarô ancor vivo, mi verrai a ringraziare. II consiglio ě di proporsi di prima mattina « tre cose buone da fare nella gior-nata » e di accertare la sera se tutto ě andato bene. Chi ebbe quel consiglio ne fece tesoro fino all'estrema vecchiaia addormentandosi ogni sera in pace e serenitá. Mantegazza non fu ad ogni modo il solo scienziato interessato ai problemi della let-teratura pedagogica. Giá l'abate Antonio Stoppani, geologo illustre, si era messo da tempo su questa strada e nel '73 aveva pubblicato II belpaese, un libro desti-nato a un pubblico infantile dove in forma piacevole si ammannivano cognizioni scientifiche serie. Nella voga del romanzo scientifico, alia « mostruosa miscěla di vero e di falso » rappresentata soprattutto da « quelle opere del Verne che hanno inondato l'ltalia », l'abate Stoppani contrapponeva libri ove la forma popolare e Pintěnto di recar dilětto non tradiscono il rigore della sciěnza, la santitá del vero. Da buon cattolico assegnava alia scienza il compito di studiare l'opera di Dio mentre da patriota affermava che anche « nelle scienze fisiche e naturali» si doveva cominciare col nosce te ipsum, col conóscere cioě la stôria fisica e naturale del prôprio paese. Gli episodi dello zio educatore e geologo in compagnia dei nipoti sembrano anticipare Giannettino. Giannettino (1876) ě il primo libro per ragazzi di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, di Firenze (1826-1890). L'autore, patriota, repubblicano, gior-nalista, era arrivato tardi alia letteratura per l'infanzia dopo una traduzione delle fiabe di Perrault. In Giannettino gli spunti narrativi, spesso assai felici come quelli del teatro delle marionette e del serraglio sono soffocati dall'intento di fornire ai « piccoli lettori» una quantitá di nozioni storiche e scientifiche che diventano addirittura esorbitanti nel Viaggio per l'ltalia di Giannettino. Ma le facolta inventive hanno la loro rivincita nelle Avventure di Pinocchio, pubblicate a puntate sul « Giornale per i bambini » prima di essere presentate in volume nell'83. L'autore era moralista ma le prediche del grillo parlante succeduto al dottor Boccadoro di Giannettino, e quelle della fata, tutte basate sull'idea di castigo, per non parlare delle tirate dei vari benpensanti, uomini e bestie, che Pinocchio incontra per via, sono distribuite con misura nel cor so del libro e temperate dall'arguzia, dal buon senso di una civilta vecchia anche se scaduta e immiserita tanto da non avere niente da spartire col cipiglio e la mutria delPeducatore De Amicis. Pinocchio e inoltre un campione della migliore lingua fiorentina registrabile in quegli anni nella letteratura italiana: freschissima e veramente nativa, da confrontare ai moltissimi esempi risibili di fiorentinismo d'accatto che allora imperversavano in un « man-zonismo » male inteso. Ma il Collodi non si limito come altri scrittori toscani a riportare fedelmente sulla pagina le « delizie » del vernacolo, quasi senza inter-vento da parte dell'autore. Quando Pinocchio riassume rapidamente le sue ultime avventure, i racconti sono modelli di eloquio infantile e popolare riplasmato con un estro inventivo che non trova riscontro in altri testi del tempo se non, con le debite cautele critiche, nel parlato dei Malavoglia, per citare un'opera apparsa nello stesso anno che con Pinocchio non ha ovviamente nulla di comune: Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la vostra casacca, mi compraste l'abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinaio mi voleva mettere sul fuoco perche gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che mi dette cinque monete d'oro, perche le portassi a voi, ma io trovai la Volpe e il Gatto,che mi condussero all'osteria del Gambero Rosso dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro, e io via, e loro dietro, e io via e loro sempre dietro, e io via, finche m'impiccarono a un ramo della Quercia Grande, dovecche la bella Bambina dai capelli turchini mi mando a prendere con una carrozzina, e i medici, quando m'ebbero visitato, dissero subito: « Se non e morto, e segno che e sempre vivo » e allora mi scappo detto una bugia, e il naso comincio a crescermi e non mi passava piu dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d'oro, che una l'avevo spesa all'Osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai piu nulla, la quale il Giudice, quando seppe che ero stato derubato, mi fece subito mettere in prigione, per dare una soddisfazione ai ladri, di dove, col venir via, vidi un bel grappolo d'uva in un campo, che rimasi preso alia tagliola e il contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perche facessi la guardia al pollaio, che ri-conobbe la mia innocenza e mi lascio andare, e il serpente, colla coda che gli fumava, comincio a ridere e gli si strappo una vena sul petto, e cosi ritornai alia casa della bella Bambina, che era morta, e il Colombo, vedendo che piangevo mi disse: « Ho visto il tu' babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a cercare » e io gli dissi: « Oh! se avessi Pali anch'io! » e lui mi disse: « Vuoi venire dal tuo babbo? » e io gli dissi: « Magari! ma chi mi ci porta? » e lui mi disse: « Ti ci porto io » e io gli dissi: « Come? » 362 363 č lui mi disse: « Montami sulk groppa » e cosi abbiamo volato tutta la notte, e poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso il mare mi dissero: « C'ě un pover'omo in una barchetta che sta per affogare » e io da lontano vi riconobbi subito, perché me lo diceva il core, e vi feci cenno di tornare alia spiaggia... La řiorentinitá di Pinocchio non ě attestata solo dalla lingua ma dalla rappre-sentazione di una societa parsimoniosa, dal tono dei vecchi brontoloni che di quella societa sono i cardini, dalla secchezza e concisione delle battute e dei capitoli e da una čerta ironizzazione delle proprie disavventure che ě un po' di tutti i personaggi. Gli ingredienti piú schiettamente fiorentini non hanno tutta via ostacolato la fortuna mondiale di Pinocchio, come non 1'hanno impedita ad Alice nel paese delle meraviglie gli elementi di satira vittoriana; lo si spiega con la continuitá delle invenzioni tutte felicissime, dalla nascita del burattino al paese dei balocchi. La fantasia, per quanto assai meno vivida che in Pinocchio, ha il sopravvento nelle piacevoli Stone allegre (1887) che non a caso hanno il carattere di storie « senza capo né coda » con appena qualche granello di moralismo. Anche il secondo Ottocento fu una etá di memorialisti che continuarono la tradizione vivissima delle testimonianze risorgimentali. Cosi la letteratura gari-baldina appartiene cronologicamente alla seconda metá del secolo anche se conserva un accento decisamente romantico che nella narrativa contemporanea sembra ormai perduto. Agli scrittori garibaldini e di tendenza democratica si contrappongono i memorialisti di parte moderata. A questa corrente appartengono i Ricordi di gioventii (1904) di Giovanni Visconti Venosta, milanese (1831-1906), uomo politico e autore di novelle di influsso manzoniano e del noto scherzo in versi La parten^a del crociato. I Ricordi, scritti in una prosa gradevole, discorsiva e arguta, sono una rievocazione affettuosa e fedele di Milano risorgimentale fra il '47 e il '59. Libri ricchi di informazione e stesi con garbo letterario sono Firenze capitak (1904) e / primi anni di Roma capitale (1906) del giornalista fiorentino Ugo Pešci (1842-1908). Una mescolanza di nativa misura e umorismo fiorentino e di enfasi letteraria alla Guerrazzi ě nei Gem e capi ameni deW Ottocento (1911) di Leopoldo Barboni (1848-1921), che per le sue simpatie letterarie e per le sue ami-cizie puo sembrare vicino ai democratici ma fu in realtá un conservatore, inna-morato di una Firenze chiusa e ancora « granducale ». Altra vivace e spiritosa testimonianza sulla Firenze di quegli anni ě Caricaturisti e caricaturati al Caffé Michelangiolo (1893) del pittore Telemaco Signorini. Ma il migliore dei memorialisti di parte moderata fu certamente Ferdinando Martini (1841-1928), di Firenze, che sembra riassumere e portare alla piú felice espressione le qualitá di equilibrio, di buon senso, di irónia e di affetto che sono comuni un po' a tutti questi scrittori di « ricordi». Uomo politico di grande prestigio, esperto e combattivo (la sua azione per l'intervento del '15 ebbe un peso determinante), autore teatrale e ottimo giornalista (il giornalismo letterario italiano ha in lui un autentico protagonista), il Martini si distingue dai memorialisti contemporanei per la maggiore cultura e perizia letteraria. Del '91 ě il suo libro Nell'Africa italiana. Impressioni e ricordi mentre della sua opera piú riuscita, Confessioni e ricordi, il primo volume (Firenze granducale) ě del 1922 e il secondo, su avvenimenti fra il 1859 e il '92, addirittura del 1928. Quanto al suo Diario 1914-1918 ě apparso per la prima volta nel '66, a eura di Gabriele De Rosa. Confessioni e ricordi hanno il loro posto fra quanto di meglio ě stato pubblicato da scrittori fiorentini e toscani del secondo Ottocento; sono, fra 1'altro, un esem-pio ammirevole di lingua dopo tanto imperversare di « arrabbiato » e male inteso fiorentinismo. II suo Diario 1914-1918, di interesse storico piú che letterario come sembrava awertire 1'autore dicendolo seritto « in esperanto temperato di volapuk », non soltanto ě una preziosa fonte di informazioni ma un'opera di originále interpretazione storica e il vigoroso e spregiudicato ritratto di una intera classe dirigente. Non mancarono fra i libri di memorie quelli sull'Africa nella prima etá del colonialismo italiano: scritti di politici, esploratori, militari e religiosi. L'opera piú imponente ě quella in dodici volumi del missionario Guglielmo Massaja (1809-188 9),/ miei trentacinque anni di missione nelľalta Etiópia (1885-1895), dramma-tico e affascinante documento privo di ambizioni letterarie. Altra suggestiva e colorita testimonianza ě quella delľuŕficiale Gaetano Casati (1838-1902), Died anni in equatoria e ritorno con Emin Pascid del '91, un libro pieno davvero « di cose e non di ciance » su un mondo che attrasse la fantasia di Kipling. II volume di «impressioni e ricordi» letterariamente piú fine ě al solito quello di Ferdinando Martini, Nell'Africa italiana dove, okre alla resa efficace e spiritosa di un ambiente smagliante e pittoresco ma anche tragico e crudele, ě espresso il respon-sabile atteggiamento di un uomo del Risorgimento di fronte alle « tristi e talora disoneste necessitá » dell'avventura colonialista. Un libretto molto ingenuo ed enfatico ma assai significativo per renderci conto dei metodi pedagogici in uso nella nuova Italia ě Come fu educato Vittorio Emanuele ni di Luigí Morandi, romano (1844-1922), insegnante di italiano del principe ereditario. II Morandi, studioso manzoniano della « questione della lingua », ě noto anche oggi per la sua edizione dei sonetti del Belli, condotta con eriteri alquanto diseutibili e con la maggiore incomprensione per la grandezza del poeta. Nell'81 l'educazione del futuro sovrano fu affidata al colonnello Osio: era un uomo duro e inŕlessibile e si comportô sempře col principe come un uffi-ciale autoritario e intransigente nei confronti di una recluta. La giornata di Vittorio Emanuele era regolata da norme rigorosissime: sveglia alla sei, bagno, 364 365 ť.ciucatori, memorialist!, giornalisti tazza di brodo o caffě e latte, nei limiti di un'ora. Alle sette in punto la lezione di italiano, poi equitazione, scherma, esercizi militari e ginnastici alternati alle ore dedicate alia fisica, alia matematica, all'inglese ecc. fino alle nove di sera, con gli intervalli per i pasti consumati nell'amena compagnia del colonnello Osio e del capitano Morelli, suo « degno collaboratore, cosi per coltura, come per carattere ». Se « I'augusto Alunno » si dimostrava poco diligente negli studi il colonnello esplodeva in scenate violentissime: Guai poi se in que' componimenti, sempře cosi nitidi e pe' quali, come per tutti gli altri lavori, il Principe teneva una specie d'archivio ordinatissimo, il Colonnello avesse veduto uno sgorbio, una macchia d'inchiostro! Una volta die, nel correggerne uno, il Principe, invece di cancellare nel modo usato una parola da me segnalatagli come superflua, s'era divertito a cancellarla edificandoci sopra un piccolo triangolo, il Colonnello fece prima un fiero rabbuffo al colpevole, poi rimproverô me, perché non avevo lacerato il corpo del delitto; e se ne andô, sbatacchiando con impeto l'uscio della stanza da studio. Uno dei mezzi usati per far capire alľallievo la gravitá della sua colpa era di « strappare in quattro pezzi il componimento e prescrivergli di rifarlo da capo ». Altra scéna accaduta di fronte all'allibito Morandi si era conclusa con le parole del colonnello giá pronto ad andarsene con l'accompagnamento del consueto sbatter di porta: Si ricordi che il figlio ďun Re, o il figlio ďun calzolaio, quando ě asino, ě asino! Una certa durezza nei confronti del ragazzo era ritenuta indispensabile dalla stessa regina Margherita: una volta, per punire l'impazienza del figlio per il ritardo della colazione, gli squadernô per tutta risposta sotto gli occhi il canto dantesco del conte Ugolino. Vittorio Emanuele doveva montare a cavallo ogni giorno con qualsiasi tempo, anche se indisposto. E se domani avessimo una guerra, il Principe non dovrebbe montare a cavallo, ancorché raffreddato? La difficoltá piú grave da superare per « I'augusto Alunno » era rappresentata dal componimento. L'aridita dell'allievo era favorita dall'obbligo di svolgere un numero inverosimile di temi secondo la consuetudine del mondo scolastico di allora, per quanto il Morandi, rendendosi conto dell'errore, cercasse con le letture, le traduzioni, le piccole indagini filologiche di stuzzicare l'interesse let-terario del ragazzo e la sua scarsa immaginazione. Ma il Morandi era, filologica-mente, un amatore di quisquilie come prováno i suoi almanaccamenti sui sinonimi Educatori, memorialisti, giornalisti cravatta e corvatta con netta preferenza per il secondo. A temperarne poi le alquanto modeste iniziative eterodosse in materia di componimenti, ci pensava il colonnello Osio che diffidava delle liberta concesse all'alunno: Lo obblighi, lo obblighi senza complimenti a scrivere su quel che piace a lei. Superba proposizione che si accordava mirabilmente con l'altra di piú ampio significato: II Principe puö fare tutto... quello che voglio io. Si aggiunga a tutto questo un sistema protettivo che condannö il ragazzo alia mancanza di amicizie, facendolo vivere come un vecchio a contatto di persone anziane e vietandogli il normale, stimolante rapporto coi compagni di studi. Otto anni di questa severa educazione avevano formato un carattere non sviluppandolo secondo le sue migliori inclinazioni ma inasprendolo, soffocando ogni moto alia spontaneita e alia iniziativa. II' principe ereditario aveva imparato soprattutto a obbedire, secondo il principio fondamentale caro agli educatori del secondo Ottocento, ottusi e in buona fede. 366 367