Maurizio Dardano, Pietro Trifone (a cura di). Grammatica italiana: con nozioni di linguistica, vol.III, Zanichelli, Bologna 1995, pp. 305-315. Il modo e il tempo verbale sono due categorie grammaticali che insieme alla persona, al numero, alla transitività o intransività, alla forma attiva o passiva e per ultimo ma non meno importante all’aspetto caratterizzano il verbo, cioè uno dei parti del discorso che è variabile. La flessione permette la coniugazione verbale. Infatti il verbo è il centro sintattico della frase, attorno al quale si organizzano i diversi elementi che la compongono.[1] Nella lingua italiana distinguiamo sette modi verbali: quattro modi finiti (indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo) e tre modi indefiniti (infinito, participio, gerundio). Tramite i modi siamo capaci di proferire i vari tipi di atteggiamenti psicologici o di rapporti comunicativi tra il parlante e il ricevente.[2] Usando l’indicativo l’interlocutore esprime certezza, il congiuntivo la possibilità, il condizionale il desiderio e l’imperativo serve per dare un comando. La differenza tra i modi finiti e indefiniti è marcata. Quelli primi determinano il tempo, la persona e il numero, quelli secondi non determinano la persona e il numero con eccezione del participio.[3] Claudia legge il libro ascoltando la radio. I suoi nonni leggono il libro ascoltando la radio. [Il gerundio del verbo ascoltare non si cambia sia nella prima frase con il soggeto Claudia sia nel secondo caso dove è il soggetto alla forma plurale. Resta invariabile.] Partita lei, tutti erano felici. Partiti i bambini, tutti erano felici. [Al contrario, le frase che includono il participio hanno la forma che deve adattarsi sia alla persona sia al numero.] Il tempo verbale indica il momento in cui si svolge l’azione. Per il tramite dei diversi tempi ed anche degli avverbi o delle locuzioni avverbiali possiamo descrivere quello che è successo nel passato, quello che succede adesso o quello che succederà in futuro. Il tempo indica qual è il rapporto cronologico che intercorre tra l’azione o lo stato espressi dal verbo e il momento in cui viene proferito l’enunciato.[4] Il rapporto cronologico può essere di contemporaneità (il fatto che si svolge nello stesso tempo come l’enunciato), di anteriorità (il fatto che si è successo prima dell’enunciato) e di posteriorità (il fatto che avviene dopo). Monografia: Eva Klímová, Otázky vztahu slovesného modu a modality v italštině (na pozadí angličtiny a češtiny), Slezská univerzita v Opavě, Opava 2009. Articolo di miscellanea: Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi & Anna Cardinaletti (a cura di), I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione, in Grande grammatica italiana di consultazione, vol. II, il Mulino, Bologna 1991. Atto di convegno: Pier Marco Bertinetto, Perifrasi verbali italiane: criteri di identificazione e gerarchie di perifrasticità, in La temporalità nell’acquisizione di lingue seconde. Atti del convegno internazionale (Pavia, 28-30 ottobre 1988), a cura di G. Bernini & A. Giacalone Ramat, Milano, Franco Angeli, pp. 331-350. Articolo di rivista: Andrea Cecchinato, La coordinazione di modo finito e di infinito: un caso di rianalisi, in «Studi di grammatica italiana», XXIV, 2005, pp. 21-41 ________________________________ [1] Dardano T., Trifone P. (a cura di), Grammatica italiana: con nozioni di linguistica, vol. III, Zanichelli, Bologna 1995, p. 305. [2] Ibidem, p. 311 [3] Ibidem, p. 312 [4] Ibidem, p. 312