Scheda bibliografica De Blasi N., 2014, Geografia e storia dell'italiano regionale, Bologna, Il Mulino. Capitolo 1 1.Una prima osservazione Il giornalista Pietro Silvio Rivetta, noto con lo pseudonimo Toddi, scriveva nel 1941 quanto fosse difficile ascoltare nelle scuole un italiano senza contaminazione di intonazioni regionali, anche da parte degli insegnanti. Poi Fedele Romani, un professore abruzzese che aveva riscontrato nel corso dei suoi studi a Pisa (1915, 338) e nella sua carriera di docente, ha descritto in una serie di volumetti la grande varietà nel modo di parlare l’italiano. Ancora Toddi scriveva (1941, 133) dell’influenza della fonetica nel modo di parlare l’italiano, a volte con l’inserimento in buona fede di vocaboli del tutto incomprensibili se pronunciati fuori dal loro contesto regionale. 2. La percezione delle differenze Un’indagine statistica dell’Istat a rivelato che la maggioranza degli italiani ritiene di sapere parlare l’italiano, anche se non esiste la prova della loro effettiva conoscenza linguistica (Simone 1996, 260), perché l’indagine si basa in sostanza sull’autocertificazione degli intervistati; in ogni caso è indizio di una consapevole intenzione di volere parlare in italiano. Secondo Di Caprio e Milella (2008) l’italiano avrebbe delle caratteristiche unitarie associate ad altre che provengono dall’influenza della zona geografica di provenienza, che sfuggono all’attenzione dei parlanti. Si pone allora il problema dell’insegnamento dell’italiano perché, se da un lato è giusto che il dialetto sia parlato con una pronuncia genuina, sarebbe assurdo realizzare un italiano con i suoni dei dialetti, diversi l’uno dall’altro (Canepari 2006, 158). L’italiano regionale è una lingua che varia su base geografica (Poggi Salani 2010) e presenta forme diverse per effetto del contatto con i dialetti delle diverse zone in cui è parlato e la stessa denominazione di italiano regionale sintetizza l’essenza specifica della situazione linguistica italiana, che rende l’italiano unitario nel suo processo e diverso nelle sue varie realizzazioni (Cortelazzo 2001, 30). Le differenze tra l’italiano e l’italiano regionale sono particolarmente evidenti in campo fonologico, ancora visibili nella sintassi e nel lessico, e ormai praticamente inesistenti nella morfologia (Lepschy e Lepschy, 1981, 57). Insieme con una serie di elementi variabili e tipici dei diversi luoghi, la lingua che noi usiamo in ogni parte d’Italia presenta non pochi elementi comuni (Sabatini 1985) che da un lato garantiscono una stabilità di fondo e dall’altro lato danno la possibilità a ogni parlante di chiarire il proprio pensiero ricorrendo a sinonimi e perifrasi, a volte senza rendersi conto degli elementi locali per proprio modo di parlare, perché nella realtà, per ciascuno di noi l’italiano regionale è il nostro italiano (Poggi Salani 2010, 728). 3. La denominazione L’etichetta di italiano regionale, usata correntemente a partire da un saggio di Giovan Battista Pellegrini (Pellegrini 1960), circolava anche in precedenza ed utilizzata dagli studiosi per far risaltare le affinità tra le variazioni geografiche dell’italiano e quelle del latino. L’uso dell’aggettivo regionale deve intendersi non in senso generico ma come sinonimo di areale o di locale; per questo motivo è frequente nelle descrizioni dell’italiano regionale o degli italiani regionali il riferimento ad alcune grandi aree (De Mauro 1997) con riferimento alla variet settentrionale, toscana, romana, meridionale. L’istituzione relativamente recente delle regioni come entità amministrative (1970) ha determinato un possibile equivoco sull’aggettivo regionale che, nel caso della lingua italiana, va inteso come sinonimo di locale, in quanto le diverse regioni italiane sono quasi sempre caratterizzate da una notevole differenza interna e non si può ritenere che l’italiano parlato in una certa regione sia uniforme in tutta l’area regionale. Per questo motivo negli ultimi anni si è affermata negli studi la tendenza a riferirsi all’italiano parlato in alcune città, come nel caso dell’Enciclopedia dell’Italiano (Encit) contenente una voce complessiva sull’italiano regionale (Poggi Salani 2010) e voci specifiche dedicate a Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia (Morgana 2011; De Blasi 2011; Amenta 2011; D’Achille 2011; Cerruti 2011; Ursini 2011). 4. Gli ambiti d’uso dell’italiano regionale L’italiano regionale o locale si percepisce primariamente nell’ parlato e prevale l’atteggiamento, “in accordo con la tradizione scolastica, è quello di evitare il regionalismo nelle scritture di tipo semplicemente comunicativo e che prevedano un pubblico” (Poggi Salani 2010). Non tutte le caratteristiche locali sono percepite allo stesso modo dal parlante e in ogni caso non sono immutabili, perché l’italiano regionale è molto fluido e vario e non è agevole fissarlo in schemi precisi (Pellegrini 1960) ed è una formula utile per caratterizzare le varianti locali della lingua nazionale nell’uso medio e parlato. “Da tempo è quindi diffusa la constatazione che l’italiano regionale o locale sia concretamente il nostro corrente italiano parlato.” (Poggi Salani 2010). 5. Una nuova prospettiva di studio Il primo studioso a dedicare una riflessione specifica all’italiano regionale è stato Giovan Battista Pellegrini (1960, 137) e precede la Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro, pubblicata nel 1963, che punta a una storia dell’Italia contemporanea in prospettiva linguistica. Ha contribuito dopo anche l’opera di Francesco Bruni chiamata l’Italiano nelle regioni (1992; 1994) che tratta delle modalità e dei tempi di diffusione della lingua italiana nelle aree regionali. Invece nel libro Tra lingua e dialetto in Italia, Pellegrini(1960) osserva che cosa c’è tra il dialetto e l’italiano standard ed evidenzia una zona di interferenza abbastanza ampia. 6. La lingua e la cucina Per la lingua italiana vale ciò che vale per la cucina, che cambia da una zona all’altra, ma possiede anche caratteri comuni, come nel caso dei diversi tipi di pasta o le varie qualità di torte che appartengono alle diverse cucine tradizionali, che sono una metafora della cucina italiana e del suo carattere di fondo: la riconoscibilità complessiva, l’esistenza di elementi comuni che definiscono un’identità forte e precisa, articolata nelle diversità locali e la perfetta legittimità che ogni variante assume nel contesto complessivo, nonché l’impossibilità a desumere da quelle varianti un modello unitario (Montanari 2010, 17). Il problema di giungere a denominazioni univoche in ogni parte d’Italia per oggetti di uso comune è stato considerato tanto tempo, tra Ottocento e Novecento, come uno dei settori più spinosi della didattica dell’italiano. La necessità di giungere a denominazioni univoche era sottolineata da Peruzzi (1964, 20) che parlava di “inutili ricchezze del vocabolario” accennando alla varietà di sinonimi dell’italiano e a quelle forme tra loro equivalenti che sono considerate geosinonimi. Nell’ambito della cucina resistono nelle diverse realtà locali i nomi di prodotti tipici di determinate aree e nonostante le novità intervenute negli ultimi decenni le abitudini quotidiane e gastronomiche degli italiani non hanno conosciuto un movimento verso l’uniformità che invece si è registrato altrove. La crescita del benessere è stata contrassegnata dall’adeguamento del mondo rurale agli stili di vita della città, senza portare a un livellamento nazionale dei consumi. Invece a differenza di Inghilterra, Germania e Stati Uniti, il prodotto industriale pronto da consumare preparato altrove, in Italia non ha avuto successo. La ricchezza ha stimolato in Italia la valorizzazione di derrate e ricette tradizionali, e la ricerca delle piccole produzioni e un culto della rarità enogastronomica; la cucina di casa è rimasta un importante riferimento gastronomico, mentre il fast food fornisce pasti a meno del 3 per cento della popolazione (Capatti e Montanari 2006, IX). La cucina, quindi, presenta e tollera (a volte incoraggia) una sua variazione tra norma e uso. 4 fonti: monografia Bruni F.,1992, L' italiano nelle regioni: lingua nazionale e identità regionali, Torino, Utet. miscellanea Grassi C., Sobrero A., Telmon T.(a cura di), 2006, Introduzione alla dialettologia italiana, Roma-Bari, Laterza. articolo di rivista Coluzzi P., 2009, Endangered minority and regional languages ('dialects') in Italy., in Modern Italy, 14 , pp. 39-54. atto di convegno Cortellazzo M., Mioni A.,( a cura di), 1990, L'italiano regionale, congresso internazionale di studi ,14-16 settembre 1984, Roma, Bulzoni.