Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 1 NUOVI STANDARD PER NUOVI PARLANTI. SINCRONIA E DIACRONIA DI UN REPERTORIO LINGUISTICO. A casa mia si parlava un misto di dialetto e italiano. Un giorno analizzai una frase che mia madre mi aveva detto quando avevo diciassette anni: mi aveva dato le chiavi di casa e io tornavo tardi la notte. Mi disse: “Figliu mè, vidi ca si tu nun torni presto la sira e io nun sento la porta ca si chiui , nun arrinescio a pigliari sonnu. Restu viglianti cu l’occhi aperti. E se questa storia dura ancora io ti taglio i viveri e voglio vedere cosa fai fuori fino alle due di notte!”. Porca miseria, dissi, la prima parte di sto discorso è la mozione degli affetti, la seconda parte interviene il notaio, la giustizia, il commissario di pubblica sicurezza, il legalitario. De Mauro, Camilleri (2013: 4) Il repertorio linguistico italiano comprende, com’è noto, le varietà della lingua e le varietà dialettali poste lungo un continuum multidimensionale, ovvero un insieme di continua che uniscono, sfumando l’uno nell’altro, le diverse varietà linguistiche. I due poli di riferimento, italiano e dialetto, non sono oggi così distanti. Così come l’italiano si muove tra varietà, per così dire, ‘alte’ e ‘basse’, anche il dialetto è investito da una forte variabilità dovuta alla minore o maggiore tendenza arcaicizzante del sistema. Si assiste dunque a un triplice orientamento del dialetto all’interno del repertorio: • la propensione all’italianizzazione (il dialetto subisce la spinta standardizzante della lingua italiana e si modifica in direzione di essa), • la tendenza verso l’italiano regionale (in cui è il dialetto che spinge i suoi tratti verso la lingua); • l’avvicinamento ad altre parlate locali considerate più prestigiose. Alcuni dati relativi all’uso dell’italiano e dei dialetti (1 ) evidenziano come l’utilizzo esclusivo dell’italiano abbia portato certamente ad una diminuzione dell’impiego del dialetto; si osserva tuttavia un ampliamento degli spazi comunicativi in cui l’italiano e il dialetto si mescolano e vengono utilizzati in maniera concomitante. Usi linguistici Solo o prevalentemente italiano Solo o prevalentemente dialetto Sia italiano sia dialetto Altra lingua (2 ) Contesti relazionali In famiglia 53,1% 9% 32,2% 3,2% Con amici 56,4% 9% 30,1% 2,2% Con estranei 84,8% 1,8% 10,7% 0,9% Tabella 1. Elaborazione dai dati Istat (2012) Secondo questi dati, l’uso dell’italiano è diventato prevalente in tutti e tre i domini relazionali e, per conseguenza, anche l’uso del dialetto è stato ridotto. Gli spazi intermedi sono invece occupati da una percentuale compatta di parlanti che combina italiano e dialetto, anche in questo caso, in maniera analoga all’interno del cluster familiare e amicale, ma con una forte differenza rispetto alla zona periferica della propria rete sociale. Ciò che va sottolineato è pertanto il movimento di convergenza fra gli usi dialettali e quelli della lingua sicuramente favoriti dalla continua migrazione interna, dall’aumento dei livelli di scolarità, soprattutto per le giovani generazioni che favoriscono la consapevolezza del dialetto e delle sue funzioni, dallo sviluppo di canali di comunicazione audiovisiva e telematica e il conseguente aumento delle possibilità di interazione linguistica. Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 2 Naturalmente gli spazi e i ruoli sociolinguistici dei due codici in contatto restano quelli tradizionali: se l’italiano è la lingua dell’ufficialità e delle relazioni formali con parlanti che si collocano al di fuori della rete sociale, il dialetto è la lingua del cluster, della famiglia e delle relazioni personali. Nondimeno, il punto di contatto fra italiano e dialetto è rappresentato, tenendo conto della variabilità rispetto alle reti sociali, dai parlanti che instaurano delle relazioni periferiche e che, secondo Grassi, Sobrero, Telmon (2007: 217) (3 ), mostrano “un comportamento più ricco di alternanze di codice e di produzioni mistilingui”. Italiano e dialetto non sono più da considerarsi in un rapporto di conflittualità, e il discorso mistilingue (4 ) sembra fare naturalmente parte, caratterizzandolo e rinnovandolo persino, del repertorio linguistico degli italiani. 1. L’innovazione linguistica Il dibattito sull’innovazione linguistica non è nuovo nel panorama degli studi linguistici e dialettologici e numerosi autori si sono occupati dei fenomeni di contatto e delle modalità di sviluppo delle lingue attraverso prestiti, calchi o adattamenti e cambi di vario tipo. Ci si trova di fronte, oggi più che mai, a dei sistemi particolarmente duttili da far pensare ad uno sgretolamento degli stessi. In realtà questi scivolano all’interno del repertorio assestandosi e stabilizzandosi in alcune zone piuttosto che in altre. Come sostiene Camilleri, “se l’albero è la lingua, i dialetti sono stati nel tempo la linfa di questo albero” (5 ) e, facendo parte di uno stesso apparato, questi codici vivono e si sostengono a vicenda secondo dinamiche di mutuo e variabile sostegno. Secondo Beccaria (2010: 135), inoltre, il dialetto oggi non rappresenta un sistema in grado di contribuire all’arricchimento dell’italiano; al contrario, le spinte innovative arrivano dall’esterno, ovvero dalle lingue straniere che promuovono l’introduzione di neologismi, e dall’interno, grazie ai linguaggi ufficiali della burocrazia, della politica, dei giornali e dei mass media. L’innovazione dialettale avviene invece grazie alla spinta dell’italiano e riguarda alcune sfere semantiche con un carattere più o meno pubblico, “in cui cioè con maggior forza e insistenza si fa sentire il bisogno del parlante di istituire contatti che vanno al di là dei limiti della propria comunità e della propria regione” (Grassi 2008: 295). Proprio Tropea (1991), in tempi già abbastanza lontani, aveva rilevato in Sicilia come la penetrazione degli italianismi riguardasse soprattutto il linguaggio tecnico-burocratico, quello della vita religiosa e del commercio, i concetti astratti come i nomi dei colori o il lessico relativo ai sentimenti e ai valori morali; “ma sono permeate di italianismi anche aree più interne della semantica di una comunità, come le parti del corpo, le malattie, parentela e stato sociale, e persino modi di dire” (Grassi, Sobrero, Telmon 2008: 175). Tale interferenza tuttavia risulta assente per ambiti semantici connessi alla vita familiare o alle attività agricole tradizionali, ovvero per quegli ambiti meno esposti al contatto con il mondo esterno. Ma in che modo il lessico dialettale si italianizza? La pratica più nota è quella che vede l’introduzione di parole italiane di uso comune che vengono adattate foneticamente, in particolare mediante l’utilizzo di desinenze. Come nell’esempio del salentino riportato in tabella 2. Forma arcaica Forma adattata Forma italiana awnu/awnitRed:u aI:el:u agnello fru’m:ikula Furmika formica RiMkarjed:u vitjed:u vitello ‘uitu ‘komitu gomito Tabella 2. Italianizzazione del lessico dialettale (tratto da Grassi, Sobrero, Telmon 2008: 174) La vitalità del sistema dialettale, in termini terraciniani, si misura attraverso la reazione del sistema nei confronti dell’innovazione (6 ); oltre alla semplice interferenza lessicale, sono i tratti Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 3 morfosintattici e fonologici derivanti dal contatto che consentono il mutamento delle forme. Nel caso dell’innovazione lessicale Berruto (2008: 28-29) parla di “regole fonologiche dialettali forti [che] garantiscono la dialettalità della varietà italianizzata”. Infatti, “la morfologia e la forma morfonologica della parola costituiscono generalmente il discrimine che permette di assegnare gli elementi all’uno o all’altro sistema”. Attingendo da due serbatoi linguistici diversi, la parola nuova generalmente si può comporre o attraverso l’unione di un morfema lessicale dialettale e di un morfema grammaticale italiano, oppure, al contrario, attraverso un morfema lessicale italiano insieme ad un morfema grammaticale dialettale. Queste dinamiche di contatto e di interferenza rinvigoriscono lo spazio sociolinguistico dei parlanti, determinando una proliferazione delle forme sia nel sistema dialettale che in alcune varietà dell’italiano. La parola italiana e quella dialettale ‘adattata’ coesistono all’interno dello stesso repertorio creando coppie sinonimiche “in cui un elemento è dialettale e l’altro italiano (o proviene direttamente dall’italiano)” (Grassi, Sobrero, Telmon 2008: 174). Ma può anche accadere che la forma italiana si stabilizzi all’interno del sistema dialettale oppure che due varianti si specializzino su ambiti semantici diversi. È il caso degli zoonimi ragnu e taranta che, come dimostrato da Tempesta, Bitonti (2013) in area salentina, identificano rispettivamente l’aracnide e il simbolo culturale del tarantismo. Mentre la prima voce, che si compone di un morfema lessicale italiano e di un morfema grammaticale dialettale (-u), si è affermata nel sistema del salentino, il termine taranta è una voce dialettale che si sta spostando e immettendo anche nel repertorio dell’italiano. Le due forme oggi coesistono con specializzazioni lessicali e semantiche diverse determinando degli assestamenti nel repertorio non solo dell’area meridionale. Sul versante della diastratia, i mutamenti che si creano nel repertorio si distribuiscono secondo variabili sociolinguistiche significative. Sono i giovani che, tradizionalmente, favoriscono la formazione di una lingua fluida in grado di esprimere contenuti e rapporti sociali comuni, oltre che prestigiosi, spesso adattando elementi dialettali alla lingua e viceversa. Le classi giovanili producono innovazione linguistica grazie ad un livello di alfabetizzazione più elevato rispetto ai gruppi di adulti e di anziani, e grazie ai frequenti contatti con realtà esterne e alle molteplici possibilità di comunicazione. I giovani riescono, grazie a competenze e abilità multiple, a gestire i due sistemi in maniera consapevole e plurima, aumentando le occasioni di interazione e di interferenza tra i codici e orientando le tendenze dei repertori sociolinguistici. Ancora, proprio come sostiene Tempesta (2005: 139) (7 ), “attraverso un processo, sempre più diffuso, di ricostruzione a partire dall’italiano, il dialetto viene in qualche modo conservato anche da gruppi sociali, come quello dei bambini, che i dati quantitativi indicano come italofoni, poco o per niente pratici del dialetto”. Perfino i bambini, dunque, partecipano all’innovazione dialettale attraverso meccanismi di sostituzioni e adattamenti grazie all’utilizzo di “nuclei dialettali duri” tipici dell’area linguistica di appartenenza (8 ). 2. Il lessico zoonimico nel repertorio linguistico Salentino L’analisi che si propone riguarda un’area del lessico di base degli italiani, quello relativo alla zoonimia, che conserva una strutturazione semantica stabile ma che, da un punto di vista lessicale, sembra caratterizzarsi per sostituzioni, conservazioni e frequenti adattamenti. Il lessico zoonimico viene qui osservato in prospettiva sociolinguistica da una parte e dialettologica dall’altra. In un rapporto di continuità e di mutamento i codici in contatto, nel caso specifico italiano e dialetto in area salentina, si risolvono in una condizione di evanescenza e allo stesso tempo di rimodellamento, oltre che di mantenimento. Attraverso un corpus di dati relativi alla zoonimia in Salento, si consolidano le ipotesi già suggerite da Tempesta (2003) sulla capacità metalinguistica dei parlanti, e delle giovani generazioni in particolare, come promotori di lingue e di culture nuove. Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 4 I dati, analizzati in sincronia e in diacronia, fanno rilevare diverse strategie di sviluppo in particolare del dialetto romanzo. Se sul versante della varietà dialettale si collocano prestiti, adattamenti, forme scorrette o del tutto assenti, sul piano dello standard si riscontra una maggiore saldezza e compattezza delle strutture ma con dei cedimenti a livello semantico, palesando un crescente utilizzo di iperonimi e di forme alterate. L’area di indagine, il Salento, appartiene alla famiglia dei dialetti meridionali estremi e ha, com’è noto, una differenziazione geolinguistica interna che consente il riconoscimento e la distribuzione di alcuni tratti su tre microaree. Si distinguerà pertanto, secondo Mancarella (1974 e 1975), il salentino meridionale, quello centrale e quello settentrionale (9 ). Il campione si ripartisce, dunque, all’interno di queste tre microaree ed è composto da 42 bambini, di cui il 64% femmine e il 36% maschi. Come evidenziato in tabella 3, risulta appartenere all’area meridionale il 31% degli informanti, all’area centrale il 53% e a quella settentrionale il 16%. Area linguistica Numero informatori % Salento meridionale 13 31 Salento centrale Area perileccese Area perimagliese 13 9 53 Salento settentrionale 7 16 Tot. 42 100 Tabella 3. Distribuzione del campione Lo spazio linguistico nel quale si muovono i bambini è costruito secondo la pratica quotidiana di ascolto e riproduzione dei modelli e dei tratti con i quali hanno maggiori contatti, all’interno di uno spazio sociale che è, ovviamente, quello della famiglia e del gruppo dei pari. Come sostiene De Mauro (1980: 102), “con l’ampliarsi delle capacità di movimento e di relazione, i bambini vengono a contatto con ambienti sociali diversi, sempre più differenti tra loro. E il vocabolario e le grammatiche si ampliano sempre di più”. Il patrimonio lessicale pertanto dei bambini si caratterizza per l’uso di migliaia di parole che, tenendo chiara la distinzione di De Mauro (1980) relativa al vocabolario di base, vanno dal lessico fondamentale al vocabolario di alto uso e di alta disponibilità (10 ). Il corpus di dati analizzati si riferisce, dunque, ad un questionario di traduzione in italiano e in dialetto relativo ai nomi degli animali(11 ). Si tratta di 20 voci relative ad alcuni zoonimi appartenenti alle categorie del vocabolario di base: in particolare fanno parte del lessico fondamentale i lessemi ‘cane’, ‘gatto’, ‘cavallo’, del lessico di alto uso gli zoonimi ‘ape’, ‘farfalla’, ‘formica’, ‘grillo’, ‘mosca’, ‘mucca’, ‘pecora’, ‘toro’, ‘volpe’, e del vocabolario di alta disponibilità le parole ‘scorpione’, ‘vespa’, ‘zanzara’, ‘capra’, ‘asino’, ‘coniglio’, ‘pipistrello’, ‘riccio’. I dati ottenuti riguardano 757 esiti per l’italiano e 477 per il dialetto. Come messo in evidenza nella tabella 4, si assiste ad uno sbilanciamento delle competenze tra i due codici: mentre per l’italiano la maggior parte delle attestazioni riguarda esiti pertinenti, la percentuale di pertinenza diminuisce nel dialetto. Esiti pertinenti Esiti non pertinenti Assenza di risposta Italiano 74% 9% 17% Dialetto 56% 4% 40% Tabella 4. La competenza linguistica Ma il dato interessante è sicuramente l’assenza di risposta che occupa uno spazio importante nella distribuzione dialettale: la direzione sembra quella di una scarsa capacità di tradurre nel proprio dialetto un termine che però è noto nella lingua standard(12 ). Le attestazioni non pertinenti fanno pensare, inoltre, ad una sensazione di comfort rispetto all’uso del sistema nazionale nel quale i Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 5 bambini si muovono con maggiore agevolezza tanto da cercare, in mancanza di una competenza certa, possibili soluzioni in altri spazi lessicali. 2.1. Procedure di rimodellamento La versione in dialetto (13 ) ha prodotto una serie di esiti che si sviluppano in tre direzioni principali: la conservazione di lessemi arcaici, l’adozione di termini appartenenti alla lingua standard e l’adattamento fonologico. 2.1.1. Verso il dialetto I lemmi ‘cane’, ‘gatto’ e ‘cavallo’, appartenenti al lessico fondamentale, presentano attestazioni conservative; così anche ‘formica’ e ‘pecora’, per il lessico di alto uso, e ‘asino’, ‘coniglio’, ‘zanzara’ e ‘vespa’ per il lessico di alta disponibilità. Vediamone i dettagli. ‘Cane’, da CĂNEM, sembra produrre esiti conservativi in coerenza con le attestazioni dell’AIS (VI, 1097), dell’ALI (14 ) (2978) e del VDS (s.v.) che riportano il tipo kane (15 ) sia nel Salento meridionale che in quello centrale. Mentre si attesta kani nella fascia settentrionale insieme a kanə sia nel brindisino che nel tarantino. Nella stessa direzione si collocano i dati raccolti con l’86% di esiti in kane e il restante 14% equamente ripartito nel Salento settentrionale fra kani e kanə a Francavilla e il tipo kanə nell’area di confine con la Puglia dialettologica. Anche il lemma ‘gatto’, da CĂTTUM/CĂTTAM (16 ), presenta un considerevole numero di esiti conservativi o di adattamenti attraverso marche dialettali dell’area. Nel Salento centrale è diffuso, secondo l’AIS (VI, 1114) e l’ALI (2988), il tipo muRu, anche nelle colonie greche, mentre nell’areola meridionale prevale sia il tipo kat:u nella zona del Capo di Leuca che muRa sul versante ionico. Nell’area settentrionale si presenta invece il tipo jat:a a Brindisi e jat:ə a Taranto. I dati attuali evidenziano la medesima distribuzione con la diffusione di muRu (48%) nel Salento centrale, con sole due attestazioni nella zona meridionale dove prevale invece il tipo lessicale gat:u (17%), con la variante fonetica kat:u (12%) (17 ), che si estende a sua volta verso il Salento centrale. Si assiste qui alla conservazione di due tratti di area meridionale: l’uso della occlusiva velare sorda e sonora (k- e g-) e la presenza della -u atona finale. Le varianti (20%) del Salento settentrionale sono relative invece al tipo jat:o a Brindisi, jat:u a Francavilla e Oria e jat:ə a Cisternino e Martina Franca con la palatalizzazione della occlusiva velare da g- a j-. A Taranto si realizza il tipo kat:ə (3%), forma innovativa rispetto a jat:ə, riscontrabile nei due atlanti nazionali, con la velarizzazione della consonante iniziale e la riduzione da -o ad -ə nella sillaba finale. Secondo gli atlanti linguistici (18 ), ‘cavallo’, da CABĂLLUM, ha kavaÖ:u come lessema esibito in tutta l’area investigata, con kavad:ə a Taranto e forme contratte, con caduta della fricativa intervocalica, del tipo ka:Ö:u nel Salento centrale (esito presente in VDS). I dati attuali mostrano la medesima tendenza conservativa con il 31% degli esiti in kavaÖ:u (anche in Romano 2009, s.v.), con conservazione della consonante dentale retroflessa, e il 19% di kavad:u (senza retroflessione) soprattutto in area brindisina. Il 25% riguarda la forma adattata, già attestata dall’ALI a Lecce, del tipo kaval:u con radice italiana e marca morfologica dialettale di -u nel Salento centrale e di -ə al confine. Nella versione in dialetto si sono anche avute forme in italiano per il 19%. ‘Formica’ (dal lat. FORMĪCAM e dal lat. tardo la voce dotta FORMICALEŌNEM) (19 ) produce soprattutto esiti conservativi. Già nell’ALI (862/863), nell’AIS (III, 464) e nel VDS (s.v.) si evidenzia una distribuzione tra furmika nel basso Salento e furmikula nel Salento centrosettentrionale. La situazione è confermata dai nostri informanti che, a parte un 30% di esiti in italiano, attestano un 70% di forme conservative con la medesima ripartizione areale. Si conserva dunque la sillaba finale -ula e la vocale indistinta finale (come in furmikə) nella zona di confine. Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 6 Anche lo zoonimo ‘pecora’, da PĔCORA < PĔCUS ‘bestiame’, rappresenta un lessema compatto sia nella versione in italiano che nella versione in dialetto. Con l’87% di esiti conservativi, gli stessi attestati nei repertori consultati (20 ), in pekura. Tuttavia nel tarantino si assiste alla perdita dell’indistinta nella penultima sillaba (pe:k?r? in favore di pekorə). Inoltre, in area perileccese, due attestazioni rimandano ad un tratto caratteristico meridionale che è la dittongazione condizionata Ĕ in pjekura (cfr. Rohlfs 1966). Per quanto riguarda il lemma ‘asino’ (da ĂSINUM), le voci conservative tRutR:u e tRutR:ə di area meridionale sono quelle esibite nei repertori tradizionali oltre che in Romano (2009, s.v.) (21 ). I dati attuali riguardano gli stessi esiti per il 42% dei casi e adattamenti in asinu (con radice italiana e morfema grammaticale dialettale) per il 24% (22 ). Gli esiti di CUNĪCULUM, ‘coniglio’, si presentano coerenti con i repertori tradizionali dell’AIS (VI, 1120), dell’ALI (3009) e del VDS (s.v.) esibendo i tipi kuniju e kunig:ə (con lo sviluppo, in quest’ultimo caso da palatale a velare) rispettivamente in Salento e nella zona di confine. Questa collocazione riguarda il 69% degli esiti raccolti, mentre il restante 24% è costituito da forme adattate su base italiana con l’utilizzo di -u in sillaba finale o anche iniziale, come in kuniKu o koniKu, o anche con la riduzione di K a j come in koniju (23 ). Derivanti dal lat. tardo ZINZĀLAM/ ZANZĀLAM, le voci di ‘zanzara’, già presenti in AIS (III, 477), in ALI (4737) e in VDS (s.v.), risultano conservative per il 64% con attestazioni del tipo tsintsale e tsantsale in Salento (senza una distribuzione areale significativa), tsintsana a Brindisi e tsantsanə a Taranto. Il 36% degli item riguarda la voce italiana ‘zanzara’. VĔSPAM è la voce latina che si distribuisce nelle varianti vespa, nel basso Salento e nell’area al confine con i dialetti pugliesi, e espa nel Salento centrosettentrionale (24 ). Questi sono gli stessi esiti che si confermano nella nostra indagine con espa nel Salento centrale e vespa e vespə nel tarantino (96%) (25 ). 2.1.2. Verso l’italiano Il lessema ‘ape’ (ĂPEM) esibisce il tipo italiano per il 68% degli esiti, mentre il tipo conservativo apu per il 32% senza alcuna distribuzione diatopica di rilievo. L’esito apu è peraltro attestato dall’AIS (VI, 1152), dall’ALI (4512/4514) e dal VDS (s.v.) che mettono in evidenza come nella zona di confine con la Puglia dialettologica invece prevalgano la lapa a Brindisi e na la:pə a Taranto. Così anche lo zoonimo ‘farfalla’ segue, sia nella versione in italiano che in dialetto, la forma della lingua nazionale (26 ). L’81% degli esiti è farfal:a, mentre il restante 19% è costituito da forme miste come farfad:a (dove il nesso -LL- passa alla dentale -dd- non retroflessa) nel Salento centrale e meridionale, e farfal:ə e farfad:ə rispettivamente a Taranto e a Cisternino. Il processo di innovazione è registrato anche dai due atlanti: mentre l’ALI (4723) registra il tipo farfalla in tutta l’area tranne a Taranto (lə palum:ed:ə), l’AIS (III, 480) esibisce la stessa voce per il Salento settentrionale ma il tipo pon:ula nel Salento centrale e meridionale, riferendosi però, come sottolinea un motto raccolto a Vernole, ad un tipo di lepidottero nocivo per la produzioni agricole che nella zoonimia popolare è detto purciÖ:uts:u te sant_antoni (fig. 1). Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 7 Figura 1. Motto relativo a farfalla in AIS (III, 480) (27 ) La stessa differenziazione viene registrata da Rohlfs nel VDS (s.v.) e da Romano 2009 (s.v.). Gli esiti conservativi di ‘capra’ (CĂPRAM), krapa e krapə, sono registrati in AIS (VI, 1079), ALI (4270) e VDS (s.v.). I nostri dati vanno invece in direzione dell’italiano con l’86% di kapra e il restante 14% di lemmi adattati in kaprə fra il brindisino e il tarantino. Come già in Bitonti (2012), la voce lessicale ‘scorpione’, sia pure con diverse varianti fonetiche, sembra conservarsi in tutta l’area per il 48%. I tipi skarpjone, skarpjioni e skarpjunə sono quelli esibiti nei repertori lessicali (28 ), mentre i dati attuali vedono una proliferazione di varianti adattate come skurpjune e skorpjune con il passaggio della vocale in sillaba iniziale da -a ad -o oppure -u; in area di confine prevale l’uso della vocale indistinta finale come in skurpjonə o skorpjonə. Il restante 52% riguarda forme italiane. Sia nelle attestazioni di AIS, ALI e VDS (29 ) che nei dati esaminati, il lemma ‘volpe’ (da VŎLPEM o VŬLPEM) presenta esiti come urpe e vurpe in Salento e volpə nell’area di confine (48%), mentre il restante 52% riguarda esiti dell’italiano. La medesima distribuzione si ha per il lessema ‘mucca’ (30 ) che presenta il 50% di esiti in italiano e il 43% di esiti conservativi in vak:a già esibiti in AIS (VI, 1045) e in ALI (4330). Il 7% di esiti riguarda forme miste, come mok:ə e muk:ə nell’area di confine fra Salento e Puglia, costruite su base lessicale italiana e morfemi grammaticali areali. 2.1.3. Verso l’adattamento fonetico Il 25% degli esiti del lemma ‘grillo’ (da GRĪLLUM) è di tipo italiano, mentre il 75% delle fonti produce esiti adattati che si distribuiscono con gril:u soprattutto nel Salento centrale, grid:u a Francavilla e gril:ə nell’area di confine. Rispetto alle attestazioni AIS (III, 466), ALI (4744/4745) e VDS (s.v.), dove si conservano la velare sorda -k e la cacuminale in kriÖ:u e kri:Öə, nell’inchiesta attuale il percorso di adattamento sembra riprodursi attraverso la perdita di alcuni marche fonologiche dell’area e l’adozione dei fonemi dell’italiano. ‘Mosca’, dal latino MŬSCAM, produce, in diacronia (31 ), esiti come muRka in Salento meridionale e centrale, mentre moska e moskələ nel Salento settentrionale oltre che nella zona di confine. Secondo i dati in esame, si evidenziano fenomeni di apocope con attestazioni nuove in moskə (12%) e muska (52%) (32 ) nell’area centromeridionale, mentre prevale la forma italianizzante mosca (34%) nel Salento centrosettentrionale. L’innovazione, o meglio l’adozione della forma standard, sembrerebbe provenire dalle scelte linguistiche del capoluogo, orientando il Salento centrale verso due direzioni opposte. Il tipo latino TĀURUM produce esiti adattati come toru (58%), già presente nel Salento centrale nell’ALI (4328), e torə nella zona di confine (11%) (33 ). Sembra essersi perso il tratto dialettale del dittongamento attestato nell’AIS (VI, 1041) e nel VDS (s.v.) con towru e tawru (34 ). Per ‘pipistrello’, voce interessante dal punto della zoonimia popolare, si assiste al completo abbandono di voci arcaiche (35 ). Mentre il 36% delle attestazioni riguarda voci dello standard, il 56% è relativo a fenomeni di adattamento fonetico con un proliferare di numerose varianti: la più comune è pipistrel:u con la conservazione del nesso consonantico -ll- e l’adozione di -u in sostituzione di -o. Ancora pipistreÖ:u (con la dentale cacuminalizzata) e pipiRtrel:u (con la palatalizzazione di -s) per il Salento (36 ). Nella zona settentrionale e in area di confine i lemmi utilizzati sono papastril:ə e papastrid:ə con il passaggio da -ll- a -d:- e l’uso dell’indistinta finale. Anche lo zoonimo ‘riccio’ (lat. ERĪCIUM, quasi sinonimo del greco echînos ‘porcosino’) conferma per il 32% attestazioni conservative in rits:u in Salento e rits:ə in area di confine (37 ). Mentre il 4% riguarda voci italiane, il 64% è costituito da voci adattate come ritR:u, anche in questo caso la variazione areale è assente. Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 8 3. Repertori dinamici e pratiche di convivenza Le dinamiche di contatto tra lingue caratterizzano il repertorio italiano ma anche, e in maniera ancora più energica, quello di un’intera area dialettale che, in termini terraciniani, è attraversata sia da correnti innovative provenienti dall’esterno che da spinte conservative interne, determinando le scelte e l’uso di specifici elementi linguistici. Il contatto ha luogo nelle parti basse del repertorio ovvero negli spazi dell’italiano regionale, dei dialetti di koinè e della parlata locale (rustica o arcaizzante); l’interferenza che si produce favorisce non solo la vitalità del dialetto ma anche lo sviluppo, o l’evoluzione, della lingua nazionale. Il rinnovamento dei repertori linguistici passa, come si è detto, dai gruppi sociali giovanili le cui competenze sociolinguistiche risultano in fase di costruzione. Quella che ne risulta non è una varietà marginale, come si potrebbe erroneamente pensare, ma un repertorio nuovo cha ha la possibilità di differenziarsi e di stabilizzarsi all’interno del continuum variazionale in cui tutti i parlanti si muovono. Le strategie messe in atto dal gruppo in esame consentono un’estensione degli usi linguistici secondo direzioni diverse ma al tempo stesso complementari. Come confermato in Bitonti (2012: 356), i “meccanismi di riprogettazione lessicale” si basano sull’impiego di strutture provenienti dai due codici egemoni presenti nell’area: italiani e dialetti. Per il Salento le tendenze attuali sembrano dirigersi verso l’adozione di voci italiane e di alcuni tratti fonetici dell’area dialettale di appartenenza come: - l’uso di -u < o in sillaba iniziale, centrale e soprattutto finale (es. gril:u, toru); - l’ammutinamento, ovvero l’uso della vocale indistinta in fine di parola (es. kaprə, moskə), per l’area dell’altro Salento e di confine con i dialetti meridionali; - il passaggio del nesso consonantico -LL- a dentale con e senza retroflessione (es. farfad:a, kavaÖ:u), anche se in molti casi si conserva (es. pipistrel:u); - palatalizzazione della occlusiva velare (es. jat:ə < gat:ə). La sezione di lessico presa in esame riguarda in maniera evidente voci di origine latina che, considerate dal punto di vista dei due sistemi in contatto, risultano omofone. Solo quattro zoonimi risultano conservativi (kane, muRu/ kat:u, pekura, espa) senza alcun tipo di estensione verso altri tipi di lessemi, né in direzione della lingua standard né dell’adattamento fonologico. Sono numerosi i casi in cui la forma arcaica è scomparsa (cfr. tabella 5), lasciando lo spazio all’italiano e ai prestiti adattati. Forma arcaica Forma adattata Forma italiana - farfad:a / farfal:ə farfalla - kaprə capra - skurpjune / skorpjune scorpione - gril:u / grid:u grillo - toru / torə toro - pipistrel:u / pipistred:u pipistrello Tabella 5. Dileguamento delle forme arcaiche (38 ) In particolare, nei casi di ‘farfalla’, ‘capra’ e ‘scorpione’, il lemma italiano prevale sul lemma adattato, mentre nel caso di ‘grillo’, ‘toro’ e ‘pipistrello’, sono le nuove parole che risultano dominanti rispetto alle voci italiane. Come dimostra, inoltre, la seguente tabella, in diverse occasioni i sistemi di convivenza sono l’italiano e la forma arcaica e nessuna innovazione sembra prodursi. Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 9 Forma arcaica Forma adattata Forma italiana furmika / furmikula - formica tsintsale / tsantsale - zanzara apu - ape vurpe / urpe - volpe Tabella 6. Dileguamento delle forme adattate Nelle prime due voci la forma arcaica risulta più vitale rispetto alla forma italiana, mentre per ‘ape’ e ‘volpe’ gli esiti italiani sembrano avere più prestigio. Altri zoonimi risultano, infine, avere una suddivisione complementare: le tre forme presenti sono sia arcaiche che italiane ma anche adattate (tabella 7). Il repertorio di questa area del lessico si è tripartito e vede la compresenza di forme sinonimiche in cui, ad esempio, solo in due casi (‘mosca’ e ‘riccio’) le neoformazioni, quelle adattate foneticamente, prevalgono sulle altre. Forma arcaica Forma adattata Forma italiana kavaÖ:u / kavad:u kaval:u cavallo tRutR:u / tRutR:ə Asinu asino kuniju / kunig:ə kuniKu / koniKu coniglio muRka muska / moskə mosca rits:u ritR:u riccio vak:a mok:ə / muk:ə mucca Tabella 7. Complementarietà dei sistemi in contatto Si tratta, evidentemente, di tre sistemi, l’italiano, il dialetto e il misto, che hanno un potere sociolinguistico di tipo complementare e che riescono a differenziare e a rinnovare porzioni di lessico facendo leva sul potere dei tratti a loro disposizione. L’interferenza (fonetica e lessicale) fra i codici linguistici e i processi creativi dei parlanti caratterizzano, dunque, un repertorio linguistico fortemente dinamico, consentendo, attraverso la coesistenza di varianti, la conservazione, lo sviluppo e la vitalità di un’intera area dialettale. Masarykova Univerzita (Brno) Alessandro BITONTI Bibliografia AIS: Jaberg K., Jud J., 1928-1940, Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale/ Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Halle, Max Niemeyer Verlag. Alfonzetti G., 2012, Il discorso bilingue. Italiano e dialetto a Catania, Milano, FrancoAngeli. ALI: Bartoli M., Terracini B.A., Vidossi G., Grassi C., Genre A., 1997, Atlante linguistico Italiano, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato. Beccaria G.L., 2010, Il mare in un imbuto: dove va la lingua italiana, Torino, Einaudi. Berruto G., 2004, Prima lezione di sociolinguistica, Bari, Laterza. 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(3 ) Gli autori distinguono fra parlanti ‘in-rete’ (parlanti che costituiscono il cluster e che occupano gli spazi interni di una comunità), parlanti ‘periferici’ (che intrattengono rapporti sistematici, oltre che nel cluster, anche al di fuori della comunità di appartenenza) e parlanti ‘extra-rete’ (estranei al cluster e orientati verso comunicazioni e reti sociali esterne). (4 ) Sul concetto di ‘misto’ o ‘lingua mista’ si vedano Berruto (2004), Tempesta (2005) e Alfonzetti (2012). (5 ) In De Mauro, Camilleri (2013: 15). (6 ) La vitalità è qui intesa come quel “gioco alterno di resistenza e di permeazione dei singoli fatti innovatori, secondo il valore che il parlante man mano loro attribuisce entro lo schema sempre mutevole del proprio sistema (Terracini 1955: 25). Inoltre, come confermato da un’ampia bibliografia, il repertorio si arricchisce e muta grazie Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 11 all’uso e/o all’introduzione di prestiti, calchi, incroci, calchi risemantizzati o termini intraducibili. Si veda, fra tutti, Grassi (2008: 300-302). (7 ) Si veda anche Tempesta (2011). (8 ) Come in Moretti (1999). (9 ) Tenuto conto delle varietà di confine, le località esplorate sono così distribuite: fanno parte dei dialetti salentini meridionali i centri di Andrano, Castrignano del Capo, Corsano, Miggiano, Nociglia, Poggiardo, Ruffano, Spongano, Supersano, Taurisano e Tiggiano; dei dialetti salentini settentrionali Brindisi, Cisternino, Francavilla Fontana, Oria, oltre a Taranto e Martina Franca che si collocano lungo la linea di confine con i dialetti pugliesi. Rispetto agli obiettivi della ricerca, per quanto riguarda il salentino centrale occorre fare una distinzione fra l’area leccese, vale a dire dei centri che ruotano intorno al capoluogo (quindi Arnesano, Copertino, Minervino di Lecce, Monteroni, San Cesario di Lecce, San Pietro in Lama, San Pietro Vernotico, Squinzano, Trepuzzi, Vernole), e l’area più a sud il cui centro di maggior prestigio sociolinguistico sembra essere rappresentato da Maglie. In direzione di questo centro guardano Galatina, Uggiano La Chiesa e anche i centri della Grecìa Salentina di Calimera, Carpignano Salentino e Castrignano dei Greci. (10 ) D’Achille (2006: 63) sostiene che queste tre aree del lessico presentano livelli di conservazione e di innovazione differenti: “il lessico fondamentale e quello di alto uso hanno una lunga durata e comprendono moltissime parole derivate dal latino e attestate fin dai primi secoli dell’italiano […], mentre il lessico di alta disponibilità è più legato alle trasformazioni sociali e alle mode e comprende quindi anche parole entrate in italiano in tempi recenti o recentissimi”. (11 ) Gli esiti ottenuti sono stati rilevati mediante l’ostensione iconografica dei referenti. (12 ) Alcune delle procedure di traduzione in italiano sono state già discusse in Bitonti (2012). (13 ) Nell’analisi che segue si tiene conto solo degli esiti pertinenti. (14 ) I dati dell’ALI, non ancora editi e consultati direttamente presso l’Archivio, sono stati raccolti nell’area di interesse fra il 1956 e il 1964. (15 ) Per gli esiti ottenuti, così come per le fonti lessicografiche consultate, si adotta il sistema di trascrizione IPA. (16 ) O anche da GĂTTUM/GĂTTAM del latino tardo in sostituzione di FĒLEM. (17 ) Esito attestato in Romano (2009, s.v.). (18 ) AIS (VI, 1062) e ALI (1617). (19 ) DELI (1999). (20 ) Cfr. AIS (VI, 1068), ALI (4266/ 4294/ 4355), VDS (s.v.), Romano (2009, s.v.). I restanti esiti sono forme dell’italiano. (21 ) Relativamente a questo zoonimo l’autore registra due proverbi: U ciucciu te Sant’Anastasìa caricu scìa e ccaricu vanìa (L’asino di Sant’Anastasia carico andava e carico tornava), Ttacca u ciucciu aÖ:unca ole u patrunu (Lega l’asino dove vuole il padrone). (22 ) Gli esiti rimanenti riguardano il tipo italiano asino e il tipo cavallo dovuto ad una erronea interpretazione dell’immagine. (23 ) Il 7% riguarda forme italiane. (24 ) Cfr. AIS (III, 463), ALI (4517), VDS (s.v.) e Romano (2009, s.v.). (25 ) Alcune voci non pertinenti riguardano ape e insettu (4%). (26 ) La voce ‘farfalla’ ha un’etimologia discussa. Cfr. DELI (1999, s.v.). (27 ) “Porcellino di sant’antonio, non passare dall’orto mio, mi danneggi le melanzane, e mi picchia il padre mio”. (28 ) Cfr. AIS (III, 485), ALI (861) e VDS (s.v.). (29 ) Cfr. AIS (III, 435) e ALI (4608). (30 ) Per la discussione sull’etimologia di questa parola e della voce ‘vacca’ si veda DELI (1999, s.v.). (31 ) Si veda AIS (III, 477), ALI (859/860) e VDS (s.v.). (32 ) Invece del conservativo muRka che è attestato per il 4%. (33 ) Alcuni esiti non pertinenti riguardano le voci vak:a, muk:a e bue (26%) e la forma italiana toro (5%). (34 ) Sebbene in tutta l’area pugliese prevalga la forma dittongata, nel tarantino, mentre nell’ALI si trova tour?, nell’AIS si attesta torə. (35 ) Il VDS (s.v.), ad esempio, attesta voci come arturìgghiula, attavìvala, attuvìcchiula, cattapìgnula, cattavìula, diaulicchiu, strippa ti tiàulu, lindineÖ:a di notte. Si veda in particolare per l’area indagata Sobrero, Miglietta (2005). (36 ) L’8% dei bambini ha prodotto la nuova voce vampiru, anch’essa adattata dall’italiano con marca morfologica dialettale. (37 ) Gli stessi esiti sono riscontrabili in AIS (III, 441) e ALI (4609). (38 ) Le forme in grassetto hanno, nei dati analizzati, una percentuale maggiore e risultano, quindi, prevalenti rispetto alle altre. Bitonti Alessandro (in stampa), Nuovi standard per nuovi parlanti. Sincronia e diacronia di un repertorio linguistico, in Rivista Italiana di Dialettologia, 39. 12