Vol. n Filológia romanza e cultura medievale Studi in onore di Elio Melli íÄšfe";, Vol. n i m im PRELIMINARIALĽEDIZIONE DEGLÍ ANTICHI VOLOARÍZZAMENTÍITALIANI DEL DE SENECTUTE '■n-j, Laura Ramello \m - . \\p\. Nel delineare la situazione che contraddistingue il panorama culturale ifpänbdeisecoiiXIII-XVnon sipuôprescinderedalľattentavalutazionediun aspetto che di tale panorama costituisce una deile manifestazioni piů salienti, cjífňi>onente individuabile nelľintensa quanto varia opera dei volgarizzatori. io ifuor di dubbio appare in effetti essere il fatto che ľattivitä traduttrice giun-jpj|d assumere un ruolo di primaria importanza, a Hvello letterario, in un arco tempprale i cui estremi vanno dal Duecento al pieno delľetä umanistica,1 e altrettanto indiscusso sembra essere il primato dell'Italia nel conseguimento di liveili di tutto rispetto dal punto di vista delta tecnica dei volgarizzamenti, sorta dí 'unita di misura' delia duttilitä dello strumento espressívo ehe si va via via perfezionando.2 Almeno due risultano essere i nuclei genetici da cui !e versioni in ambito itaiiano emanano: tali fonti originarie vanno individuate da un lato in opere in lingua latina e dall'altro in testi francesi.3 ] ' Šulla questions a sua tempo rideitó ampiamente ed approfondiutmente il Folena, il quale non nÍMeíf di notáre come «nella culiura lelteraria ilaiiana il tradurre sembra occupare ab origiiie un posto Pfjyíléeiato e assai piú imporlante che altrove» (cfr. G. Folena, Volgariaare e tradurre, Torino 1991 e l$jt,|j,30). j 'u"s jl Segre puna In effetti I'attenzione sul fatto che «...i volgarizzamenti... tramite principále per la fgM^ojne delta culiura... servirono a misurore il coefficients di elasticita del votgarc che contempora-rwamep(t imboccava, ma con maggior prudenza, lu strada dell'au(onomia» (inlroduzione a La prosa mbyecento, a cura di C. Segre e M. Marti, Milano-Napoli 1959, p. JÍXV11; ristanipala in C. Segre, Uni'ua, stile e societu, Milano 1963, pp. 49-78). Éln un primo tempo le trasposizioni da original! francesi paiono comparire con maggiore fre-rispetta at volgarizzamenti Irani da tesu' latini (cfr. La prosa cit., a cum dí C. Segre e M. Marti, I). Una distinzione fondamentule sussisie inoltre a livedo della tipologia dei testi tradotti: in eíffjfí, se dal francese vengono in prevalenza volgarizzaie opere di caraltere romnnzesco o didattico, Ptf piů che concerne i'ambito latino emerge con chiarezza, almeno nei primi tempi, un preponderate |«lamento verso testi di tipo rewrieo-giuridico. Va da sé che cio cotnporta anche un'evideate diffe-ijl'azione a livedo di pubblico a cui le diverse versioni in volgare itaiiano sono indirizzate (cfr. I'in-l^piiipne a Volgarizzainenti del Due e Trecento, a curadiC. Segre, Torino 1953, pp. 11-46 (si veda-Bfjjaparlicolarelepp. 11-14), anch'essa ristampata in C. Segre, Lingua, stile ch., pp. 13-47). Per com-plejjre il quadro delle traduzioni in ambito itaiiano non vanno poi dimemtcati i volgarizzamenti di owredi carauere religiose fra i quad giocano senz'allro un ruolo di prinwria importanza le ontiche ver-! 4w vernacoledellaBibbia. 688 Laura Rameilo Da queste matrici scaturiscono dei volgarizzamenti che paiono acquisiřj con il trascorrere del tempo, connotati diversi: in effetti, se ie versioni ch potremmo definire *di prima genera2ione* si caratterizzano per la loro talofj marcata disinvoltura nel rendere il těsto da cui vengono tratte, ben prestol manifesla una piů accentuata preoccupazione nei confronti della precisionel accuratezza della traduzione, accompagnata da un sempře maggiore affinamenl to deila tecnica espressiva."4 Un chiaro rapporto di causalitä sembra sussistere fra la comparsa dei priifj volgarizzamenti dei classici latini e la vivacitä delia vita politica comunaíl quesťultima aveva in effetti risvegliato un rinnovato interesse verso queg scrittori della classicitä a cui piů di altri era riconosciuto il ruolo di 'auctoril tes* in campo retorico-giuridico.s 1 Ě il caso di Cicerone, le cui opere retoriche vennero tradotte da Bruneti Latini;' a queste versioni di Brunetto va forse affiancato il Fiore di Rettoricaů\ Fra Guidotto da Bologna, volgarizzamento della pseudo-ciceroniana Rhěloriq ad HerenniumP I trattati rétorici non furono tuttavia i soli testi ciceroniani ad essere ogge.(t! delľattenzione dei volgarizzatori in epoca medioevale e preumanistica; in tal 4 Cfr. La prosa... cil., a eura di C. Segre e M. Marti, p. XXIX. * Cfr. F. Maggini, / printi volgarizzamenti dei classici latini, Firenze 1952, p. 1, Volgarizzam ti., cil., a eura di C. Segre, p. 14 e G. Folena, op. cil., p. 40. s A Bruneilo Latini Iradutlore di Cicerone sono state dedicaie non poche ricerche. Ricordiarno gli studi di C. Segre sui «Volgarizzamcnti ciceroniani di Bruneilo Laiini» in Volgarizzamenti... cil.,, 351 -98, e sulla prosa di Bruneilo («La "Retlorica" di Brunetto Latini», in Lingua, siile... cit., pp. I7i.. 226) e di F. Maggini («Qrazioni ciceroniane volgarizzate da Brunetto Laiini», in / printi volgarizza^ metal... cil., pp. 16-40). La Retlorica e stala edita a eura di F. Maggini, Firenze 1915 (ristampata Bologna nel 1971 a euru di M. Alinei). U Latini costiluisce soltanlo uno degli eserapi di auiori di 0| origináli che fecero delľaitivita tradutlrice una deile loro varte oceupazioni; allre personalita di rilicvi si affiancono infalli alľautore del Trésor. basti pensare a Barlolomeo di S. Concordio e Boli] Giamboni, oltre a Dante, Petrarca e Boccaccio. Sulľopera dl Barlolomeo di S. Concordio si rinvia aj «Appunti sul "Sallusiio volgarizzato" di Bartolomeo di S. Concordio» di F. Maggini, /príml volgdH zamenil... cit., pp. 41-53 e «11 "Culilina" dl Sallusiio volgarizzato da Barlolomeo da S. Concordio», il Volgarizzamenti... cit., a eura di C. Segre, pp, 399-446. A «Orazio e Vegezio volgarizzati da Bói* Giamboni» e dedicato lo studio di C. Segre comparso in Volgarizzamenti.. cit., pp, 315-350; allo sie, so aulore si deve anche ľindagine su «Jean de Meun e Bono Giamboni tradultori di Vegezio» ij Lingua, stile... cit., pp. 271-300. 'Sul Fivre di Rellorica di Fra Guidotto si veda F. Tocco, «II Fior di Rettorica e le sue principál redazioni secondo i codtci fiorentini», in Ciomale siorico delia leueraiura ilaliana, 14 (1889): 337-ťŕ G. Di Giulio,;/ Fiore di Rettorica di Fra Guidotto, la Rettorica ad Erennio e i iibri *De inventúrne. Assist 1914, F. Maggini, i printi volgarizzamenti... cil, pp. 1-40, olire ai giä citati contríbuli di Segn (Volgarizzamenti... cit., pp. 14-15) e Folena {op. cit., pp. 32-33). Per ulteriori approfondimenli sugi antichi volgarizzomenil italiani del classici si vedano inollre: A. Schiaffíni, Tradizione e poesia nétít prosa ďane italiana dalia latinita medioevale a G. Boccaccio, Roma 1943J, G. Billanovich, «íf Boccaccio, il Petrarca e le piu antiche Iradizioni delle Decadi di Tito Livio», in Giornale siurieo deM leueraiura ilaliana, 130 (1953): 311-37, MT. Casella, «Nuovi appunti inlorno al Boccaccio Iradutton di Livio», in Itália medioevale e unumistka, 4 (1961): 77-J29, V. Lippi Bigazzi, / volgarizzamenti tri centeschi dell'Ars Amandl e dei Remedia Amoris. Flrenze 1987, Id., «II Valerie Massimo volgare: altrŠ' ricerche», in Studi di filológia italiana, 54 (1996): 97-152. "* Antichi volgarizzamenti italiani del De senectute 689 periodo furono in effetti volte in volgare italiano anche le cosiddette 'opere ininori' del grande retore latino, quali il DeAmicilia e il De Senectute. Queste operette, nelle ioro antiche versioni vernacole, costituiscono un campo di studio a tutt'oggi praticamente insondato, ma comunque degno ď interesse; vale dunque la pena di addentrarsi in esso nel tentativo di mettere a fuoco qualche spunto per ulteriori riflessioni. .2, La cronistoria delle ricerche condotte sulle antiche versioni volgari del De Senectute di Cicerone 6 segnata da pochissime tappe significative: la prima di esse ě datata 1819, anno in cui fece la sua comparsa a Roma una modestissi-ma edizione di un volgarizzamento dell'operetta tulliana curata da Guglielmo Manzi sulla base di un codice barberiniano,8 edizione che fu riprodotta a Mi!ano:nel 1826 dal Silvestři, il quale «aggiunse errori ad errori»;' successiva-mente; Zambrini e Lanzoni la ristamparono, senza alcun intervento migliorativo, altnolánel 1850.'° Ě necessario attendere piů di mezzo secolo prima che veda la luce un breve articolo del Marchesi suH'argomento," contributo che, sebbene di portata scienti-fica alquanto limitata, offre comunque qualche eiemento di novita, se non altro per Pampliamento della base manoscrilta sulla quale Pindagine viene condotta.12 • O. Manzi (a cura di), Traltati della Vecchiezza, dell'Amicizia, il Sogno di Scipione. epištola a Qu'mto Fratetlo volgarizzali nel buon secolo delta lingua ilaliana, Roma 1819. Gift, nel secolo scorso Zambrini espresse su di essa un giudizio radicalmente negativo: a suo parere infalli tale edizione «ribocca per ogni lato di errori ortografiei e d'tnierpunzione* {F. Zambrini, Le opere volgari a stampa deisccolfXllleXIV, Bologna 1884, p. 271). ' F. Zambrini, ibid. 14 F, Zambrini, L. Lanzoni (a cura di), Opuscoli di Cicerone volgarizzati net buon secolo della lingua toscana, Imola 1850.11 Trattato della vecchiezza b edito alle pp. 31-96. Tale edizione é přivá, come molta parte delle pubblicazioni coeve, di adeguati fondamenti scientiflci: basli osservare che in piii di un caso gli editori hnnno rilenuto di dover eiuendare il těsto edilo dal Manzi solo ed esclusiva-roente sulla base delia lezione latina e in apparente assenza di alcun controllo del codice oggesto di pubblicazione; lal.i inlervenli, che si spingono addiriuura alia orbilraria modifica della costruzione delle írasi. appaiono ingiustificabili e tali da inficiare seriumente il valore dell'edizione in questione. 11 C. Marchesi, «11 volgarizzamento loscano del libro "Della Vecchiezza" di Cicerone*, in Rassegna bibliograftca della leueraiura ilaliana, 12 (1904): 298-304. Alio stesso sludioso si deve anche il saggio su «Le redazioni trecentistiche volgari del "De Ainicitia" di Cicerone secondo i codici fiorsnlini., in Giornale slorko delia leueraiura ilaliana. 43 (1904): 312-329. Enirainbi i conlribuli sono stati ristampati in C. Marchesi, Scrilti m'mori di filológia e di letteratura, Firenze 1978, pp, 155-180 (á quest'ulliroa edizione si fara d'ora innanzi riferimento nelle cilazioni). In omaggio alia complc-lezzd delľinformazione si (icorda inoltre qui che il Marchesi si occur* anche delle traduzioni della Muaura di Aristotele, del Libri Meleororwn, delle opere di Valeno Massimo e á Sofode). " Ms.: dim. " Ms.: segue „jflddla patria aveva aqustata la nobiltä, rispuose Themistode: «Per Chercule,19 ehe né io, se io fossi Serifio, sarei villano né ttu, se fussi athenese, saresti stato ípbtle*. La qual cosa in quello medesimo modo delia vechieza dire si puote, perb ehe S somma poveria la vechieza non pub essere lieve al non savio, e ancora al non jgyjrj nella soma riecheza pub essere non grave. FiNl Veramente questo ehe tu di' é aleuna cosa, Lelio, ma in questo non sono le cose; si come si raconta ehe Temistode atheniese a uno ch'ebbe.!u nome 10 in una contesa rispose che, habbiendo quel Seripho decto che Temistocle non «|§üa gloria. ma della pairia haveva acquistata la nobilitä, rispose Temistocle: «Per {feieule, giuro che ne" io, se io fussi Seripho, sarei ignobile ne" tu, se tu fussi atheniese, aiamal* saresti nobile». La qua! cosa in quel medesimo modo della vecchiezza dire si pfioie, perö che nella somma poverlä la vecchiezza non puö essere lieve al non savio,2' ne la somma ricchezza puö essere non grave. FiRl Veramente questo che tu di' e akuna cosa, ma in questo non sono tulte lc oösc; sl come si raconta che Temistode alteniese a uno ch'ebbe nome Seriffio inn una ■contesa rispose che, abiendo quel Seriffio detto che Temistode non per sua gloria, ma della patria aveva aquisiata la nobiltä, rispose Temistode; «PerErchole, giuro che ne' io, se io fussi Seriffio, sarei villano ne" tu, se fussi attheniese, giamai saresti nobile». La qual cosa in quel medesimo modo della vechiezza dire si puote, perö che nella somma poverta la vechiezza non pub essere lieve al non savio, nella somma ricchezza puö essere non grave. MnR Veramente questo che di' e alchuna cosa, ma in questo non sono tuete le cose; ii come si raeconta che Tomistodes a uno ch'ebbe nome Serfio in una contesa rispuose che, abbiendo quello Serfio decto che Tomistodes non per sua gloria, ma per gloriadella patria aveva acquistata la nobilitä, disse Tomistodes: «Se Dio m'aiuti, ne" se iö; fussi Serfio, sarei villano, t\6 tu, se fussi acteniese, giammai saresti stato nobile». La quäle cosa in quello medesimo modo della vechie;;a dire si puote, perciö che nella somma povertä la vechiefsa non puote essere lieve al non savio, ne" ancora al non savio nella somma richec,?a,puote essere non grave. '* Di letlura sicura; potrebbe tranarsi di un caso di ipercorrezione (che compare, si noli, aoche in retazione ad allri due nomi propri - Hcnnio/Chennio; Omero/Comcro -) da ricondursi forse all'oscilla-zlone grafica che caratterizza questo manoscritto (de' chanpi/ loro hanpi; chosa/hosa; cholui/holui; choloro/holoro; comune/homune; conosco/honosco; pocho/poho). Non si pub escludere a priori che tale gratia costituisca un tenlalivo di resa della gorgia, sebbene si debba notare come il fenomeno Interest, eontrariamente alia norma (eft. G. Rohlfs, Grammaika siariea della lingua iialiuna e dei suoi diatetii, Torino 1966, vol. t {fonetka) 8 195, pp. 265-66), anche le vocali palalali (che/he; chiamaro-oo/hiamarono; vechi/vehi). Al momento ritengo preferibile limiiarmi a sollevare la questions rinviando ad allra sede una sua indagine sistemaiica e un'evewualc proposta di soluzione a livello di criteri di edlzione. 10 Ms.: ebbbe, 11 Ms.: om. la porzione di testo comspandente a ni ancora at non savio. I I \ >1 llil 694 Laura Ramello MdN Egli ě in parte quel che lu di', o Lelio, ma in cotesto non da mettere cosa; perb che come Themistocle alheniese rispuose a uno chiamato Seriphio a quejjj che colui gli aveva declo che non per la sua gloria, ma per quel I a della patria era div| tato famoso et disse: «0 Seriphio, né io, si fussi stato te, non sard slato sanza gloria,^ tu, se tu fussi stato atheniesi, saresti mai stato glorioso*. La quai cosa nel medesiji modo si puč dire deila senectu, la quale a uno savio benché sia povero pub essere leg gieri et a uno stolto, con tucto22 che sia ricco, sare23 sempře grave. RmV2 Eg!i e in parte quel che tu di', o Lelio. ma in eolesto non da mettere < cosa; pero che come Themistocle alheniese rispose a uno chiamato Seriphio a quell che colui gli aveva decto che non per la sua gloria, ma per quelia delta patria era divef tato famoso et disse: «0 Seriphio, né io, si fussi stato te, non sarei stato sanza gloria, 5j tu, se tu fussi stato alheniese, saresli mai stato gtorioso». La qual cosa nel medes'u modo si pub dire della senectů, la quale a uno savio benché e' sia povero puó es. leggieri et a uno stolto, con tucto che sia riccho, sare sempre grave. FiN2 Ě certamente chotesto che tu di', Lelio, gran cosa, ma non pero tale che I. quelia lutte le cose consistino; et come si dice Themistocle atheniese havere rispostoi uno certo Seriphio, el quale havendo con lui differentia et venendo insieme a parole, lil disse lui havere conseguitato la fama et lo splendore per la gloria della patria et non perl la sua, «Certameme», disse allhora Themistocle, «se io fussi Seriphio non sarei ingno-j bile, et se uu fussi atheniense mai saresti suto chiaro o in fama alchuna». La quai cosa| quasi nel medesimo modo della sencciů si puó dire, imperii che né nella strema inopia| la senectů pub essere non legiere ad huomo sapiente, né similmente alio insipiente, ben-., ché in abondantia di tutte le cose sia constituto, sará non grave. RmVl E certamente chotesto che uu di', Lelio, gran cosa, ma non pero tale che in • quelia tutte le cose consistano; el come si dice Themistocle atheniense havere rispostoi et uno certo Seriphio, el quale havendo con lui differentia et venendo insieme a parole, | li disse lui havere conseguitato la fama et lo splendore pelia gloria della patria et non -pel la sua, «Certamente», disse allora Themistocle, «se io fussi Seriphio non sarei ] ingnobile, et se uu fussi atheniense mai saresti suto chiaro o in fama alchuna». La qual chosa quasi net medesimo modo della senectu si pub dire, impero che non nella cxtre- í ma inopia la senectu pu6 essere non leggieri all'huomo24 sapiente, né similmente alio insipiente, benché in abondantia di tutte le cose sia constituto, sara non grave. OxB Quisto che tu dice, o Lelio, ě qualche cosa, ma non che baste; coma che se dice che Themistode ranpognandolo, respuse ad uno de Siriphia, dicendo quillo de 22 Ms.: diltografia di con tucto. 23 Di tetturn sicura. [I fiuto che la lezione sia eondivisa anche da RmV2 uatiiene dal considerarla come erronea; essa poirebbe essere ricondoltn ad una forma di condizionate del tipo stirea «sorebbe» (cfr. G. Rohtfs, Grammailca storica... cit„ vol. II (Merfvlvgia), $ 593, p. 339) se non si vuole pensare a una forma infinitivu {'sare = essare). s< Ms.: uhumo. Anitchi volgarizzamenti ilaliuni del De senectute 695 Sifjfia che Themistode non aveva tanta gloria per sua bontä, ma perché lui era d'Ai})ena, respuse Temistode: , forma di condizionale di seconds persona siagojare diffusa in area marchigiana (cfr. G. Rohlfs, Graiiunatica siarica..x\i., vol. 11 (Morfológia), i 599, pp. 344-45), ambilo dal quale il codice in oggeito muiua ďaltronde altri Irani linguisiici. .. * Ms.: diltografia di U. " Si fa qui notáre che ľordine con il quale i codici vengono ciiaii - sequenža che i poi la stessa adouata ad riportare la lezione dei diversi manoscritli - rispecehia una priorita, a livello di corretlezza, quale e quelia che si pub stabilire alio stato atluale delľindagine e che uoveiä ritlesso nel pur provviso-rio slonina che si é scelio di offnre in questa sede (cfr. iiifra). In base a ciď, t al fiac di non appesanlire inuljlmcnte ľesposiúone delle varič argomentozioni, rcpuio opponuno accordare un lilolo di prcferen-Q nelle ciiaziont a VrC, al moniemo miglioc rappresentante nulľanibito di quelia versions ad attesta-íione plurima di cui si dimosUcri qui di segutio ľesistenza, qualora gli altri tcslimoni imparerilott con VrC pjcstínlino vanami paramente graftehe. Lo stesso criteria verra adouaio anche per le due versioni a tradizione binoria, in rclazione alle quali si citera rispeltivamente da MdN e do FiN2. i, mm 696 Laura Ramello da VrC) «Veramente questo che tu di' e alcuna cosa, ma in questo non spijlj tutte le cose»; MdN e RmV2 recano per contro «Egli e in parte quel che tu ( o Lelio, ma in colesto non da mettere ogni cosa», proposizione a fronte deljL. quäle in FiN2 e RmVi si legge «E certamente chotesto che tu di', Lelio, gr3 cosa, ma non perd tale che in quella tutte le cose consistino» mentre Oxjjjflf RmVc e FiL rispettivamente riportano «Quisto che tu dice, o Lelio, e qualchäj cosa, ma non che baste», «Questo senza dubio alquanto importa, ma certo nonj tutta la importantia» e «Vero in alcuna parte quel che dici, o Lelio, ma non i tutto»; nella proposizione seguente si presti in particolar modo attenzione ajt esiti riconducibili ali'espressione latina «in iurgio»: se in VrC (FiR4, Rmf FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MnR) si rileva «in unacontesa», e se in MdN (RmV2 manca una locuzione interpretabile conie traduzione dell'espressione latina jy oggetto, in FiN2 (RmVl) si rinviene la perifrasi «havendo con iut differentia.t venendo insieme a parole», in OxB il modo infinitivo con pronome inienctuE «ranpognandoio» mentre in RmVc e FiL rispettivamente si legge «in alcurif parlare inzurioso» e «in una contenzione». Differenze evidenti caratterizza inoltre la traduzione della locuzione «splendorem assecutum»: alla fräse «ave aquistata la nobilitä» di VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MnR)|i| oppongono le lezioni «era diventato famoso» di MdN (RmV2), «havere cons^l guitato la fama et lo splendore» di FiN2 (RmVl), «aveva tanta gloria» di OxB;| «havere exaltatione» di RmVc e «l'avea fatto famoso» di FiL. Le lezioni che i codici presentano in rapporto alla risposta di Temistocleal| rimproveri ricevuti contribuiscono, con la loro evidente diversitä, ad accentuarj! l'impressione che si sta ricevendo di trovarsi d'innanzi a tradizioni in tutto e j tutto differenti; in relazione alla proposizione latina «Nec hercuie ... si egol Seriphius essein, nec tu si Atheniensis, clarus umquam fuisses» in VrC (FiR<0 RmC, FiR2, FiR3, FiRl) si rinviene «Per Ercule, giuro che ne" io, se io fossef Seriffio, sarei villano ne" tu, se fossi atteniese, giamai saresti stato nobile»,2* in; MdN (RmV2) si trova «O Seriphio, ne" io, si fussi stato te, non sarei stato sanzal gloria, ne" tu, se tu fussi stato atheniesi, saresti mai stato glorioso» e in FiN?| (RmVl) «Certamente ... se io fussi Seriphio non sarei ingnobile, et se ttu fussi! a In FiNl e MnR st individuals due variant! non puramente grafiche: nel prima manoscrilto, in ' luogo daH'aggetlivo «villano» compare il termine «ignabile»; nel secondo atresclamazione «Peri Ercuie» si soslituisce la meno letterale e forse piii aitenuata espressione «Se Dia m'aiutis. Per cib che : concerne il prima, la sostituzione deH'oggettivo «villano» con uii altro che rende pit) leiteralmeme la I lezione latina {si noli come nei codd. Parisians 6332. Leidensis Vossianus fol. 12, Rheinaugiensis 126 e 127, Monacensis 4611 e 7809 ti trovi vSeriphius essem ignobilis», nel cod. Ticincnsis Aldinianus 126 «Ser. ignobilis e.» e nel cod. Mediolanensis E 15 «Ser. e. umquum ignobilis») rappresenla sollanto_ una delle tame siiuazioni che inducono a credere che il copista di FiN 1 abbia rimaneggiato il lesto altingendo ad un manoscrilto latino e cio non solo per sanare evidenti conuitele. Quanto al secondo, si Iratta di un iniervemo dovuto fotse al gusto o alia diversa sensibilita di un qualche troscrittore - e comunque non interpretabile, a mio avviso, in chiave emendatrice - il quale non costituisce affatto un cuso isolate nel codice in oggeito. Antichi volgarizzameiui italiani del De senectule 697 ajbefliense mai saresti suto chiaro o in fama alchuna»; riguardo alla stessa frase RmVc e FiL nell'ordine si legge «Per sancto Ercole, se io fosse di Slfiphia non serria vile, e se tu fossi d'Athena non serri famoso», «Se io fusse Seriphio non seria non nobile, n& tu seresti mai horn prestante sebene fussi athe-niese»> e «S'io fossi stato il tutto Serifio, e ttu fossi stato ateniexe, pero non sare-stt.sWto mai famoxo». Analoghe e significative differenze si rinvengono in ultimo in relazione all'osservazione con la quale il brano riportato si conclude e che si pone come morale dell'aneddoto raccontato da Catone; questi infatti cosl aigomenta: «nec enim in summa inopia leuis esse senectus potest ne sapienti quijjßfri. nec insipienti etiam in summa copia non grauis»; questo concetto della neetjezza che di per se stessa non puö alleviare il peso della vecchiaia trova nei mapcritti diversa espressione; in VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MÄS-i !?gg'amo wPerö cne nel'a somma povertä la vecchieza non puö essere lftygaj non savio, no ancora al non savio nella somma riccheza puö essere non grave*,2' in MdN (RmV2) «la quale [senectü] a uno savio benchö sia povero puö essere leggieri et a uno stolto, con tucto che sia ricco, sare sempre grave», in FiN2 (RmVl) «imperö che ne" nella strema inopia la senectü puö essere non legiere ad huomo sapiente, ne" similmente alio insipiente, benchö in abondantia di tutte le cose sia constituto, sarä non grave», in OxB «perch6 inn ella somma povertä la vecchiecca puö essere leggera al savio, et nella somma recchecca puö essere grave al macto», in RmVc «perche- n6 etiandio in summa povertä pote essere non facile a io horn sapiente, a& in summa riccheca non grave a lo insci-pieiite» e in FiL «perö che in troppa povertä non si puö lievemente sostenere questa hetä, e in grande richeza e abondanza non puö essere alio stolto non grave». '. La generale impressione che si ricava da queste pur sommarie estrapolazio-rii'e raffronti e di trovarsi di fronte a differenze cosl sostanziali da fugare qualsi-voglia dubbio circa la sussistenza, a monte delle testimonianze conservale, di vqlontä palesemente indipendenti nel presiedere alla trasposizione dell*operetta tuiliana dai latino al, volgare; in altri termini pare del tutto plausibile la suespo-sta ipotesi circa I'esistenza a tutt'oggi di sei volgarizzamenti di cui uno ad atte-stazione plurima (recato da VrC, FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MnR), due a tradizione binaria (MdN-RmV2; FiN2-RmVl) e tre trasmessi da un solo codice (OxB, RmVc e FiL). : Questa situazione non puö tuttavia dirsi costante, almeno per quanto con-cerne uno dei manoscritti in questione; FiL infatti, che dal brano piü sopra ana- 28 Si noti come nei manoscritti FiNl e FiRl compaia la stessa omissione della porzione di frase *ni ancora al non savio»; si Iratta con lulta probubilita di un tipico caso di saut du mime au meine che rappresenla soltamo una delle numerosissime corrutlele dello stesso genere che accomunano i due codici in questione e che, verificandosi coslantemente e conlcmporaneamente sollanto in questi due testinioni. si allonlanano da una interpretaztone in chiave poligenetica giungendo a costituire una delle basi sulle quali ipotimre una loro discendenza da un amigrafo comune. ! fr 698 Laura Ramellü lizzato appare godere deilo status di veicolo di una delle versioni ad attesti ne al raomento um'ca, confluisce, a partíre da un certo punto, nell'ambito dljj tradizione manoscritta rappresentata da ViC, FiR4, RmC, FiR2, FiR3, Fü FiRljMnR. q| A dimostrazione di ciö si esamini il passo seguente: Catone, dopo aveŕl suto le lodi alľoperositä dei maggiori scrittori e filosofi greci, la cui vecctt fu costantemente animata dagli studi cosl prosegue (§ 24-25): . iif| Age, ui ista diuina studia omittamus, possum nominare ex agro Sabino rus| Romanos, uicinos e( familiäres meos, quibus absentibus numquam fere ulla jtj_ maiora opera ftunt, non serundis, non pereipiundis, non condundis frueffi Quamquam in aliis minus hoc mirum est; nemo est enim tam senex, qui se am non pulet se posse uiuere; sed idem in iis elaborant, quae sciunt nihil ad se dm pertinere: Serit arbores, quae alteri saeculo prosiem, ut ait Slatius nosjj Synephebis. Nec vero dubitat agricola, quamuis sit senex, quaerentľcút.j respondere: «Dis immortalibus, qui me non aeeipere modo haec a maidrjj uoluerunt, sed etiam posteris prodere». Questo é quanto si rin vierte nei manoscritti: VrC Poi, adeiö che questi divini studi lasciamo, io posso nominare del cára Salino viliesi romani, vicini et dimestichi miei, Ii quali, essendo absenti, non si faj poco meno giamai maggiori opere in quei campo né in semináre, né in ricogliere^| governare Ii frutti. Advegna che in queste cose questa sia minore maraviglia, ptrö nessuno e si vecchio che un anno non pensi potere vivere, im in altre cose s'affatič; le quali sanno che al postutto niente loro appartengono: piantano gľalbori che all)| secolo saranno utili, si ccome disse Statio nostro nel libro di Tebe. Né gíä dub agricola, advegna ehe sia vecchio, a echi domanda perch'elli semini di rispondere^ ľinmoriali Idii, li quali non solamente vollono ehe questo io ricevesse dalli pass; ancora a quelli che debbono venire io facesse prode». F1R4 Poi, adeiö ehe questi divini studii lasciamo, io posso nominare del eha Salino viliesi romani, vicini e dimestichi miei, li quali, essendo absenti, non si pocho meno giammai maggiori opere in quel chanpo né in semináre, né in richoglít in ghovernare li frutti, Advegnia che in queste chose questa sia minore maraviglia,:g ehe nessuno é sl vecchio ehe un ano non pensi poterc vivere, ma in altre chose s'g chano, le quali sano ehe al postutto niente loro apartenghono: piantano gli alb aiľaltro secholo saranno utili, sl chome disse Stazio nostro nel libro di Tebe. dubita lo agrichola, advegnia ehe sia vecchio, a echi domanda perch'elli semíj rispondere: «Ad ľinmortali Iddii, li quali non solamente voliono ehe questo io riß se dalli passati, ma anchora a queili che debono venire io facesse prode». RmC Poi, accib ehe questi divini studii lasciamo, io posso nominare del i Salino viliesi románi, vicini e dimestichi miei, li quali,30 essendo absenti, non si i w Ms.: dittografia di li quali. Antichi volgarízzamenii iialiani del De seneclute 699 g^o-níeno giamai maggiori opere in quel campo né in semináre, né in ricogliere e in —s li fructi. Advegnia ehe in queste cose questa sia minore maraviglia, pero ehe fjiessuno e sl vecchio che un anno non pensi potere vivere, main altre cose s'afaticano, fie quali" sanno3* che al poslutto niente loro apartengono: piantano gli alberi che all'al-iirosecjjlo saranno utili, sl come disse Statio nostro nel libro di Thebe. Né giá dubita I'a-lericota/advegnia ehe sia vecchio, achi domanda per chi elli semini di rispondere: «Alli linmortali Idii, li quali non solamente vollono che questo io ricevessi dalli passati, ma Išncorfl a queli che debbono venire io faciessi prode». FIR2 Poi, acci6 che questi divini studii lasciamo, io posso nominare del campo Isalino viilesi romani, vicini e dimestichi miei, li quali, essendo absenti, non si fanno Epocho raeno giammai maggiori opere" in quel campo né in semináře, né in ricogliere e Ijflgovernare li frutti. Avegna che in queste cose questa sia minore maraviglia, per6 che Eěssunó e sl vecchio che un anno non stimi di poter vivere, ma in altre cose s'affatica-Ko, le qtiali sanno che al poslutto nienie loro apartengono: piantano li alberi che al'altro Ijecuio saranno utili, sia come disse Statio nostro nel libro di Tebe. Né gá dubita lo agri-fóla,& avegnia che sia vecchio, a chi domanda perch'elli semini di rispondere: Ml'itimortali Idii, li quali non solamente vollono che questo io ricievessi dalli passati, pa ancora a quelli che debbono venire io facessi prode». FiR3 Poi, aci5 che questi divini studi lasciamo, io posso nominare del canpo |alino vilessi romani, vicini e dimestichi miei, i quali, essendo assenti, non si fanno co meno giamai maggiori opere in quel canpo né in semináře, né in ricogliere e gho-Wnare i frutti. Avengnia che in queste chose questa sia minore maraviglia, perfc che fwsuno.e sl vecchio che uno anno non pensi potere vivere, ma inn altre chose s'afati-hano, le quali sanno che al postutto niente loro apartenghono: piantano li albori che Taltro secholo saranno utoli, sl come disse Statio nostro nel libro di Tebe. Né giá jibita l'agricola, avengnia che ssia vecchio, a chi domanda perché elli semini di jjjfcpondere: *Alii immortali Iddii, i quali non solamente vollono che questo io ricievessi illi passati, ma anchora quelli che debbono venire io faciessi pro*. FiNl Orsil, acci6 che questi divini studii noi lasciamo, io posso nominare del npo Sabino rustici romani, vicini e domestici miei, li quali, essendo absenti, non si nno poco meno mai maggiori opere in quel campo né in semináře, né in ricoglere, né \ governarc i frutti. Avengha che in queste cose questa sia minor maravigla, perb che fessuno e sl vecchio che uno anno non pensi poter vivere, ma in altre cose s'affaticha-go, )e quali sanno che al postutto niente a lloro apartengono: piantono arberi che all'al-J© secplo saranno utili, sl come dixe Statio nostra nel libro di Thebe. Né gia dubita lo jgricola, avegna che sia vecchio, a cchi domanda perché elli semina di rispondere: {Airimortali Iddii, li quali vollono che non solamente questo io ricevessi dalli passati, na ancora a quegli che debbono venire io facessi pro». 11 Ms.: diuografm di le quail * Ms.: fanno. "Ms.: opercbe. 54 Ms.: angliola. 9t ■■ E' 1, II 1 ■ 700 Laura Ramello FiRl Poi, acciô ehe questi divini studii lasciamo, io posso nominare del canp Sabino villesi románi, vicini e domestichi miei, !i quali, essendo assenti, non si fann p oco meno mai maggiori opere in quel canpo né in semináre, né in ricoglere, nd]| governare i frutti. Avegna ehe in queste cose questa sia minor maravigla, pero ehe tie; suno é si vecehio ehe uno anno non pensi poter vivere, ma inn altre cose s'afíatichano le quali sanno ehe al poslutlo niente loro apartengono: piantano alberi ehe aľaltro secri lo saranno ulili, si come disse Siatio nostro nel libro di Thebe. Né giä dubita lo agricok avegna ehe sia vecehio, a chi domanda perché elli semina di rispondere: «Alt'inmoria]jl Idii, ii quali vollono ehe non solamente questo io ricevessi dalli passati, ma ancora t quelli ehe debbono venire io facessi prode». MnR Poi, accib ehe questi studi lasciamo, io posso nominare del canpo Savinii| villesi románi, vicini e dimestichi miei, li quali, essendo axenti, non giammai meno aleune in quel canpo maggiori opere si fanno né in semináre, né in ricoglere, in riponere fructi. Avegna ehe nelľaltre cose questa sia minore maraviglia, perciô ch nessuno e sl vecehio ehe uno anno non pensi potere vivere, ma in altre cose s'affaticaj no, le quali sanno ehe al postucto niente a lloro pertengono: piantano gli alborí ch aľaltro secolo saranno utili, si come dice Statio nostro nella fine del Thebaidos. Né gij| dubita lo lavoratore, avegna ehe egli sia vechio, a chi domanda perché egli seminal risponde: «AgIi immortali Iddii, gli quali non solamente vollono ehe questo io ricevessej dagli passati, ma ancora a quegli ehe debbono venire prode facesse», MdN Ma lasciamo andare gli studii di coscoro ehe ssi possono dire divini; i' possql nominare nel paese Sabino contadini románi, vecehi et mia amici, e' quali, quando noiT sono presenli a Uavorare, non si fa aleuna opera buona né in semináre, né in ricorre, néj in riporre aleuno fructo. Con tucto ehe nelľaltre cose non e da maravigliarsi, pero ch non ě aleuno sl vecehio ehe non estimi potere vivere anchora uno anno, ma eglino s'afi faticano anchora in quelle cose delle quali sanno non hanno havere fructo: et nestáno e'tí pongono atberi che3S hanno a essere buoni in una altra ctä, sl come dice Statio nel libro! suo de' Sinefebi. Mae non dubita el contadino vecehio rispondere a chi lo domanda peí| chi e' pongha quegli alberi: «Io gli pongo per gli Dii immortali, e* quali vollono che|j non solamente io pigliassi de' fructi degli alberi ehe io pongo, ma anchora ehe io ne dessi a quegli ehe hanno a vehire». RmV2 Ma lasciamo andare gli studii di costoro ehe si possono dire divini; ioáj posso nominare nel paese Sabino contadini románi, vecehi et mia amici, i quali, quandóf non sono presentí34 a iavorare, non si fa aleuna opera buona né in semináre, né in ricor-j) re, né in riporre aleuno fructo. Con tucto ehe nelľaltre cose non é da maravigliarsi, perol ehe non é aleuno sl vecehio ehe non sitmi ancora poter vivere uno anno, ma eglino s'arí fatichano ancora in quelle cose delle quali sanno non anno avere fructo: et jnnestano et 1 ponghono alberi ehe anno a essere buoni in un'altra eiä, sl come dice Statio nel librdj suo de' Sinephebi. Mae non dubita el contadino vechio rispondere a chi lo domanda peí| " Ms.; segue non. * Ms.: punii. La Iezionc erronea & forse imputabile al mancato scioglimento di un'abbreviazione. Antíchi volgarizzamenti italiani del De miieciuie 701 chi e' pongha quegli albori: «Io gli pongho per gľlddii inmortali, e' quali vollono ehe non'solamente io pigliassi de" fructi degli albori ehe io pongho, ma ancora ehe io ne dessi a quegli ehe anno a venires. . ., FiN2 Ma lasciamo andare questi studii divini; io vi potrei nominare molii lavora-torľdel contado Sabino, mia vicini familiari, e' quali, mentre ehe sono absenli, ne' loro campi mai si fa opera alchuna ehe sia grande non nel semináre, non nel ricorre, né nel riporte de' fructi. Benché in queste cose non pare ehe sia da maravigliarsi se si afatico-Bb, perché non e alchuno tanto vechio ehe non si dia ad intendere almeno dôvere vivere uno anno, ma noi vegiamo ehe e' s'afatichono etiamdio in quelle cose delle quali per nessuno modo possono a lloro pervenire e' fructi, perché, chome dice Statio in Sinephebi:" e' seminano et pongono quegli alberi ehe hanno a giovare a quello secolo ehe ha a venire dtetro a lloro. Né dubita ľagricola, benché sia vechio, sendo domandato a cbie' pongha tali fructi rispondere: «Alli Iddii inmortali, e' quali non mi ereorono solamente perché io quegli da altri ricevessi, ma perché etiamdio a quegli ehe dopo a me hanno a venire gli lasciassi». m- . RraVl Ma lasciano38 andare questi studii divini; io vi potrei nominare molti lavo-ratdri del contado Sabino, mia vicini et familiari, e' quali, mentre ehe sono absenti, ne' loro campi mai si fa opera alchuna ehe sia grande non nei semináre, non nel ricorre, né nel riporre de' fructi. Benché in queste cose non paia ehe sia da maravigliarsi se s'afati-chano, perché non e alchuno tanto vechio ehe non si dia a intendere almeno dôvere vivere uno anno, ma noi vegiamo ehe e' s'afatichono etiamdio in quelle cose delle quali per nessuno modo possono a lloro pervenire e' frucii, perché, come dice Statio in Sinephebi: e' seminono et pongono quegli alberi ehe anno a giovare a quello secolo ehe ha a venire dietro a lloro. Né dubita ľagrichola, benché sia vechio, sendo domandato a chi e- pongha tali fructi rispondere: «AIIi Idii inmortali, e' quali non mi ereorono sola-menu? perché io quegli da aluri ricevessi, ma perché eiíamdio a quegli ehe dopo a me hanno a venire U lasciassi». QxB Et voglie ehe noi lassamo quisli studii divini; io te posso nominare del campo Sabino li rustici románi, vicini et míi domestici, loro presenti non se fonno maie nelli campi maiore opere non nei semináre de li campi, non nello recogliere de li fructi. Et advérigadioché negli altri questo sia manco mirabele, perché niuno ě tanto vecehio ehe non pense podere vivere uno anno, ma li vecehie se adfatigano in quilie cose le quale šäcciono ehe ad loro non adpertengono: pongono gli arbori li quali farronno prodo ad ľaltra eta, como ehe dice Plato inn elli Sinephebi. Et non dubita ľagricola, advenga ehe sia vecehio, respondere ad chi ľademanda perché'semina: «Ali Dii immortali, li quali fcnno voluto non solamente ehe noi receviamo5* questo da li maiori passati, ma ehe noi facciamo utele a quilli ehe degono venires. " Ms.: finephebi. a Per la presenza di n in luogo di m come consonante tematica nella prima persona plurále del presetite indicativo si veda G. Rohlfs, Groiwnaúca storica... cit., Vol. 11 (Morfológia), S 530, p. 252. 39 Ms.: nelľinterlinea: ehe noi avemo. t: i] 702 Laura Ramello Anlichi volgarizzamemt italiani del De senectute 703 Ii m RmVc Omeuiamo hora questi divini studii; posso del contado de Gabina nomin villani e domestici mei in abscentia di quäl: ne' canpi quasi mai alcune magiore op non si fanno non in semináre, non in ricevere, non in reccoglicre finalmente y fry Benché in quelli questo e de inancho admiratione, perché niuno é tanto viechio che n pensi uno anno posser vivere, ma essi medesimi in quelle cose se affaticano le quj sanno nienle a sé apertenere: piantano Ii arbori y quali a uno altro seculo habiamott zovare, come el nostro Statio nel suo libro el quäle Sinephebe da lui fu nominato.,j dubita el vilan lavoratore, benché sia vechio, respondere a chi el dimanda a chi pian,(j lavori: «Co facp ali inmortali Dii, y quali hanno voluto non solamente me questo ric verc day passali, ma etiamdio dare ay successori». FiL Ma accib che nnoi lasciamo stare questi divini studii, io posso nominale: lavoratori románi, miei vicini e amici, i quali, pongniamo che non sieno presenti, non/j fanno pero minore opere ne' canpi, non si exercitano nella semenia, non nel richoglie, e non nelriporre e' fructi. Ma ancora ě piccola cosa questa, perú ehe potresti dire qii sto exercizio é solamente ďun anno e niuno é sl vecehio ehe non si ereda vivere 1$ anno, ma diciamo ch'eglino satisfaciano in quelle cose che sanno fermamente che iiůa tornera a utili a lloro: e' ponghono e seminano arbori ehe debbono fare fructo di qulä ciento anni, come disse Stazio nostro nel libro di Tebe. Né giä dubita ľagricola, avenjj gnia ehe sia vecehio, a chi domanda perché semina di rispondere: «Agl'inmortali Dii^jj quali non solamente vonllono che questo io rícievessi dalli passati, ma anchora a quejjj ehe debbono venire io faciessi pro». Ľipotesi delia sussistenza, alrneno sino ad un certo punto del brano in que™ stione, di sei volgarizzamenti dei De Senectute ciceroniano piü sopra avanzatal pare qui trovare una chiara conferma; si vedano in particolare, fra i varí aspettii degni di nota, le differenti modalita di traduzione messe in atto in relazione alläj frase latina «sed idem in iis elaborant, quae sciunt nihil ad se omnino pertinejl re»: in VrC (FiR4, RmC, FÍR2, FiR3, FÍNI, FiRl, MnR) si legge «ma in altnfl cose s'affaticano, Ie quali sanno ehe al postutto niente loro appartengono», inj MdN (RmV2) «ma eglino s'affaticano anchora in quelle cose delle quali sannpl non hanno havere fructo», in FiN2 (RmVl) «ma noi vegiarao ehe e* s*afaticha|| no etiamdio in quelle cose delle quali per nessuno modo possono a lloro perye^i nire e' fructi», in OxB «ma li vecehie se adfatigano in quille cose le quale sacrl ciono ehe ad loro non adpertengono», in RmVc «ma essi medesimi in quellej cose se affaticano le quali sanno niente a sé apertenere» e in FiL «ma diciamot ch'eglino satisfaciano in quelle Cose ehe sanno fermamente ehe non tornera a| utili a lloro»; se il sempiiče accostamento di queste lezioni rende manifesta lás disparita delle versioni, clö risulterä ancor piu evidente dalľosservazione del] modo in cui appare resa la citazione da Cecilio Stazio; se nel těsto latino leggia-1 « Di leuura sieura Potrebbe tranarsi di un caso di ipercorrezione da meitere in relazione con i| ; fenomeno di cm alle no. 38. itio «Serit arbores, quae alten saeculo prosient», nei codici troviamo un venta-gliodi soluzioni traspositive ehe vanno dalia frase «piantano gľalbori ehe alľaltro secolo saranno utili» di VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNi, FiRl, MnR). alla proposizione «et nestáno et pongono alberí che hanno a essere buoni in una altra etä» di MdN (RmV2), accanto alle ancora diverse modalita di FiN2 (RrhV2), di OxB, di RmVc e di FiL ehe recano rispettivamente «e' seminano et potigono quegli alberí ehe hanno a giovare a quello secolo che ha a venire die-iro a lloro», «pongono gli arbori li quali farronno prodo ad ľaltra etä», «piantano U arbori y quali a uno altro secuio habiamo a zovare» e «e' ponghono e seminano arbori ehe debbono fare fructo di qui a ciento anni». '•■ L'impressione ehe si ricava dalla breve disamina sino ad ora condotta indu-cé ancora una volta a eredere che FiL trasmetta una versione del De Senectute autonoma e indipendente rispetco alle altre cinque trasposizioni di cui si viene evidehziando ľesistenza. Tuttavia si veda cio ehe i manoseritti riportano in relazione alla frase latina «ut ait Statius noster in Synephebis»; in MdN (RŕnV2) si legge «s) come dice Statio nel libro suo de' Sinefebi», in FÍN2 (RmVl) «chome dice Statio in Sinephebi»; OxB reca «como che dice Plato inn elli Sinephebi» e RmVc «come el nostro Statio nel suo libro el quale Sinephebe da lui fu nominato». Si osservino ora le lezioni di VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl) e FiL: in contrasto con ci6 ehe si legge nel těsto latino e nelle altre versioni VrC reca «sl ccome disse Statio nostro nel libro di Tebe»;'" la stessa proposizione compare in FiL; certamente non si puó accantonare a priori ľipotesi ehe ľidentica e caratteristica lezione ehe accomuna VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl) e FiL sia stata determinata unicamente dalľau-tonomo utilizzo di codici latini, quali fonti per la traduzione, in cui era giä pre-sente una passo tale da motivare il fraintendimento del titolo delľopera del commediografo latino a cui si fa qui riferimento. Quesťipotesi appare tuttavia difficilmente soslenibile alla luce di un impre-scindibile dato di fatto: da questo punto in avanti le lezioni di VrC (FiR4, RmC, 41 Nella varia lectio del De Senectute pare possibile trovare ragione dl codesta lezione; il codice Rheinaugiensis 126 riporta infatli 'fine Thebaidos' in luogo di 'Synephebis', lezione ehe trova riscon-tro pressoché letterale in MnR in cui leggiamo 'nella fine del Thebaidos'; si puo dunque supporte o ehe MnR rechi ľipotetica lezione originaria, lungo un altro filone raodificatasi nel modo che eonosciamo ad un livello tale da trasmeitersi a tutta la restante tradizione manoseriua conscrvaia, oppure ehe si sia tiauato di un intervenlo successivo volto a recuperare aderenza col latino di cui MnR mostrerebbe trac-cin. Al monienlo sarei personalmente piü orientaia verso questa seconda possibilitit poiché anche Fit, che pure in alui casi c solidale con MnR nelľoffrire una lezione che e da riienersi migliore, qui concor-dj cpn gli nltri codici. Comunque sia, mi pare fuor di dubbio ehe la ragione prima di entrombi gli esiti vada ricercala giä nel latino. Le variamí del De Senectute non soccorrono invece nello spiegare la lezione 'Plato' al posto di 'Statio' presente in OxB; dagli elemenli oggi in mlo possesso mi sento di avanzare queste duo ipotesi: o la traduzione h siata eltettuaia a panire da un manoscrilto latino a noi ignolo ehe gta recava questa lezione erronea, oppure si tratia di una corruttela generalasi nel processo di trasmissione del íesto, data la sussistenza di una possibilili di confusione fra i due nomi propri dovu-ta ad una ceisa affiniiä grafica. 704 Laura Ramello FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MnR) e FiL divengono infatti perfettamente sovrappüff nibili; si esamini la fräse che segue; se nel De Senectute leggiamo «Dis immotíJ talibus, qui me non accipere modo haec a maioribus uoluerunt, sed etiam poste^t ris prodere», e se MdN (RmV2), FiN2 (RmVl), OxB e RmVc rispettivametn|f riportano «Io gti pongo per gli Dii immortali, e' quali vollono che non solařl mente io pigliassi de' fructi degli alberi che io pongo, ma anchora che io nel dessi a quegli che hanno a venire», «Alli Iddii inmortali, e' quali non mi creoíI rono solaraente perché io quegli da altri ricevessi, ma perché etiamdio a queglf \ che dopo a me hanno a venire gli lasciassi», «Ali Dii immortali, Ii quali anno i voluto non solamente che noi receviamo questo da Ii maiori passati, ma che noi \ facciamo utele a quilli che degono venire» e «fo faco ali inmortali Dii, y quali hanno voluto non solamente me questo ricevere day passati, ma etiamdio darg jj ay successors, FiL segue VrC (FiR4, RmC, FÍR2, FÍR3, FiNl, FiRl, MnR) nejí recare «Agrinmortaii Dii, Ii quali non solamente vonliono che questo io riciefi vessi dalli passati, ma anchora a quelli che debbono venire io faciessi pro». . j Alia luce di una tal situazione piu ragionevole pare dunque i'ipotesi di una; contaminazione fra due versioni originariamente indipendenti di cui FiL reca traccia evidente, contaminazione che dal punto suindicato in poi, é da conside-rarsi totale; in conseguenza di ciö, FiL si inserisce a pieno titolo, sia pure soio per una porzione dell'operetta tulüana, nelPambito del volgarizzamento a tradt-zione plurima; ě doveroso tuttavia osservare come detto codice non offra purr troppo un testo in buone condizioni essendo mučilo4* nonché segnato da un'am-pia lacuna in corrispondenza dei capp. 12-17 deil'edizione Bonaria. L'esempio ora riportato ha avuto a mio avviso i! merito di evidenziare, accanto alia confermata pluralita di versioni, anche il particolare comportamen-to del codice FiL; l'ultimo caso che si intende qui proporre alFattenzione conforterä ulteriormente le ipotesi suesposte. Catone, proseguendo nel suo elogio all'etä senile, racconta un aneddoto che mette in evidenza l'onore in cui a Sparta erano tenuti gli anziani; cosl egli argomenta (§ 63): Lysandrum Lacedaemonium, caius modo feci mentioncm, dicere aiunt solitum Lacedaemonem esse honestissumum domicil ium seneciutis; nusquam enim tanlum tribuilur aetati, nusquam est senectus honoralior. Quin etiam memoriae prodilurň est, cum Alhenis ludis quidam in ihcatrum grandis natu uenisset, magno consessu locum nusquam ei datum a suis ciuibus; cum autem ad Lacedaemonios accessisset, qui, legaii cum essem, certo in loco consederant, consurrexisse omnes ill i dicuntur et senem sessum recepisse. Quibus cum a cuncto consessu plausus esset multiplex datus, dixisse ex its quendam Athenienses scire quae recta essent, sed facere nolle. a II volgarizzainenio si airesta infalti in corrispondenza deH'inizio del cap. 22 deil'edizione Bonaria. Antichi volgaiizzamemi italiani del De seneclute 705 Nei codici leggiamo: ,'j, VrC Dicono Ii huomini che Lisandro de Llacedemonia, del quale poco dinanzi feci :menzione, era usato di dire che in Lacedemonia era uno oneslissimo domicilio della vecchiezza, perö che in nessuno luogo (anto si concede alia etade, in nessuno luogo !a vecchieza e piu honorata. Et ancora e messo in memoria che con ciö fosse cosa che in Aciene a cerli giuochi alcuno huomo di gran tempo venisse nel luogo diputato per quelli giuochi vedere, in un grande assettamento di genti no' Hi fu dalo luogo in alcuna parte datli suoi cittadini; ma andando elli verso quelli di Lacedemonia, Ii quali per caso v'erano per ambasciadori et in cerio luogo sedeano, lutti si levarono inconiro al vecchio et lui ricevettono Ira Horo a ssedere. Alli quali ambasciadori con ciö fosse cosa che da tulli quelli che sedeano molto favore con letizia dato fosse, dicesi che ll'u-no disse: «Gli Atteniesi sanno quelle cose che da ffare sono, ma fare non le vogliono». iFiR4 Dichono Ii huomini che Lissandro de Llacedemonia, del quale pocho dinanzi feci menzione, era usato di dire che in Lacedemonia era uno oneslissimo domicilio43 della vechieza perö che in nessuno luogho si choncede tamo alia elade, i' nessuno luogho la vechieza, é piíi honorata, E anchora e messo in memoria che chon ciö fosse chosa che in Altene a ccrti giuochi alchuno huomo di gran tenpo venisse nel luogho diputato per quelli giuochi vedere, in un ghrande assettamento di gienti no' Iii fu dato luogho in alchuna parle dalli suoi cittadini; ma andando elli verso quelli di Lacedemonia, Ii quali per chaso v'erano per anbasciadori e in certo luogho sedeano, tulli si levarono inchontro al vechio e lui ricevettono tra Horo a ssedere. Alli quali anbasciadori chon ciö fosse chosa che da tulli quelli che sedeano molto favore chon letizia dalo fosse, dicesi che ll'u-no disse: «Gli Altenesi sanno quelle chose che da ffare sono, ma fare no' He vogliono». RmC Dicono Ii huomini che Lixandro de Llacedemonia, del quale pocho innanfi feci mentione, era usato di dire che in Lacedemonia era uno honestissimo domicilio43 della vecchieca, perö che in nessuno luogho tanto si concede alia etade, in nessuno luogho la vecchieca e piü honorato.44 Et ancora ě messo in memoria che con ciö fosse cosa che in Alhene a cierti giuochi alcuno huomo di gran tempo venisse nel luogho diputato per quelli giuochi vedere, in un grande assetamento di genti non Ii fu dato luogho in alcuna parte dalli suoi ciptadini; ma andando elli verso quelli di Lacedemonia, Ii quali per caso v'erano per ambasciadori et in certo luogho sedeano, luiti si levarono inconiro al vecchio et lui ricievettono tra Horo a sedere. Alli quali imbasciadori con ciö fosse cosa che da tulli quelli che sedeano molto favore con lelitia dato fosse, diciesi che 11'u-no disse: «Gli Ateniensi sanno quelle cose che da ffare sono, ma fare non le vogliono». FÍR2 Dicono Ii huomini che Allexandro de Llacedemonia, del quale poco avanti feci mentione, era usato dire che in Lacedemonia era uno honestissimo domicilio della *> Ms.: domicilii. 44 Da emendaisi in honorata sulla base di VrC, RR4. RR2, FÍR3, FiNl. FiRl, MnR, FiL; la forma maschile e forse da impuiarsi all'ültrazione del sost. maschile luogo che compare poco prima. 1 706 Laura Ramello Anlichi volgarizzamenti italiani del De seneciute 707 vecchiccija, perö che i' nessuno luogo tanlo si conciede alia etade, i' ncssuno tuogoj alia" vecchiecca e pjü honorata. Et ancora b messo in mimoria che con cib fusse che in Ac-tene a cierti luoghi44 alcuno huomo di gran tempo venisse nel luogo diputato pet quelii giuochi vedere, in un grande assettamento di genti non Ii fu dato luogo in alcuna,) parte dalii suoi cittadini; ma andando elli verso quelii di Lacedemonia, alli4' quali pej caso v'erano per ambasciadori e in cierto luogo sedeano, tutti si levarono incontro a). vecchio e lui ricievettono tra lloro a ssedere. Alli quali ambasciadori con ciö fusse chijj di tutti quelii che sedevano molto favore con lelitia dato fosse, diciesi che ll'uno disse: «Li Attenesi sanno quelle cose che da ffare sono, ma ffare no' lie voglono», FiR3 Dichono gli uomini he48 Allessandro di Laciedemonia, del quale poho dinan!: zi feci menzione, era usalo di dire che i' Llaciedemonia era uno onestissimo domicilii della vechieza, perö he in nessuno luogho lanto si chonciede all'etade, in nessuno luo,; gho la vechieza e piü onorata. Anchora b messo in memoria he con cib fusse chdsä cKT inn Atene a cierti giuochi alquno uomo di ghran tenpo venisse nel luogho diputato per quegli giuochi vedere, inn un ghrande assettamento di giente non gli fu dato luogho inn alquna parte dagli suoi cittadini; ma andando elli verso quegli di Laciedemonia, i quali per haso v'erano per inbasciadori e in cierto luogho sedeano, tutti si levarono inchontro al vecchio e lui ricievettono tra lloro a ssedere. Alli quagli inbasciadori con ciö fosse hosa che da tutti quegli he sedeano molto favore co' lletizia dato fusse, diciesi he ll'uno disse: «Gli Attenesi sanno quelle chose che da ffare sono, ma ffare non le vogliono». FiNl Dicono gli huomini che Lixandro di Llacedemonia4" era uno50 honesiissimo domicilio della vecchiezza, perö che in nessuno luogho tanto si concede all'etade, in nessuno luogho la vecchiezza b piu honorata. Et ancora e messo in memoria che con ciö fusse cosa che in Athene a certi giuochi un certo huomo di gran tempo venisse nel luogho diputato per quegli giuochi vedere, in un grande assettamento di gente non gli fu dato luogho in alcuna parte da' suoi cittadini; ma andando egli verso quegli di Lacedemonia, Ii quali per caso v'erano per ambascadori e in certo luogho sedeano, tutti si levarono incontro al vecchio et lui ricevettono tra loro a ssedere, Alli quali ambascia-dori con ciö fusse cosa che da tutti quelii che sedeano molto favore con tetitia dato fusse, dicesi che l'uno dixe: «Gl'Atheniesi sanno quello che si dee fare, ma fare no'l voglono». FiRl Dichono gl'uomini che Lixandro di Lacedemonia49 era uno honescissimo domicilio della vecchiezza, perö che in nessuno luogo tanto si concede all'etade, in nessuno luogo la vechiezza e piu honorata. E ancora b messo in memoria che con ciö fosse 45 Da emendarsi in la sulla base di VrC, FiR4, RmC, FiR3, FiNl, FiRl, MnR. RL. 46 Da emendarsi ingiuuihi sulla base di VrC. FiR4, RmC, FiR3, FiNI, FiRl, MnR, FiL. L'errore di copia i stalo probabilmente causato dal ricorrere del lennine luogo che compare nelle immediate vicinanze, olire aU'innegabile affinita grafica. " Da emendarsi in // sulla base di ViC, FiR4, RmC, FÍR3, FiNl, FiR I, MnR, FiL. * Cfr.no. 19. *> Ms.: om. la pouione di tesio comspondente a del quale poco dinanzifeci menüone, era usalo di dire ehe in Lacedemonia. K Ms.: segue era umi annullato da puntini soUoscrilti. cosi che inn Athene a cerli giuochi alcuno huomo di gran tenpo venisse nel luogo dipu-(alo per quelii giuochi vedere, inn uno grande assettamento di gente non gli fu dato luogo inn alcuna parte da' suoi cittadini; ma andando egli verso quegli di Lacedemonia, Ii quali per caso v'erano per anbasciadori e in certo luogo sedeano, tutti si levarono Jncontra il vecchio e lui ricevettono tra loro a ssedere. Alli quali anbasciadori con ciö fusse cosa che da tutti quelii che sedeano molto favore con letitia dato fusse, dicesi che l'uno disse: «Gl 'Atteniesi sanno quello che ssi dee fare, ma fare no'l voglono», MnR Dicono gli uomini che Lisandro di Lacedemonia, del quäle poco dinanci feci niéntione, era usato di dire che Lacedemonia era uno beatissimo abituro di vechieca, per-ciö che in nessuno luogo la vechieza b honorata quanto quivi. Ancora b messo in memoria con ciö fosse che in Actene a cierli giuochi alcuno51 di grande tenpo venisse nel" luogho diputato a cciö per quegli giuochi vedere, in uno grande assectamento di gienti in nessuna parte gli fu dato luogo dagli suoi cictadini; ma andato verso quegli di Lacedemonia, gli quali per caso v'erano anbasciadori e in certo luogo sedevano, lucti st levarono incontro al vechio e lui ricevero51 a sedere tra lloro. Gli quali anbasciadori con ciö sia cosa che dt tueli quegli che sedeano molto favore con licentia dato fosse, dicesi che l'uno di costoro disse: «Gl'Acteniesi sanno le cose che da ffare sono, ma fare no' lle voglono». FiL Dicono gli uomini che Allessandro de Laciedomia, del quäle pocho dinanzi feci men2ione, era usato dire che Laciedomia era uno honesiissimo domicilio54 vecchiezza, perciö che in nessuno luogho tanto si chonciede all'etade, in nessuno luogho la vecchiezza b piü onorata. Anchora ě mmesso in memoria che con ciö fosse cosa che" in Actene a cierti giuohi49 anlchuno di grande tenpo venisse nel giuoo diputato per quelii giuochi vedere, inn uno grande assectamento di genti no' ili fu dato luogho inn alchu-na pane da Ii suoi cittadini; ma andando elli verso quelii di Laciedomia, i quali per caso v'erano anbasciadori e in cierti iuoghi sedeano, tutti si levarono chontro al vecchio e Hui ricievettono tra lloro a ssedere. Alli quali anbasciadori con ciö sia che da tueti quelii che sedeano molto favore chon letitia dato fosse, diciesi che ll'uno disse: «Gli Ateniesi58 sanno le cose che da fare sono, ma fare non lle vogliono». MdN E si dice che Lisandro di Lacedemonia, del quäle poco innanzi io feci men-lione, soleva dire che Lacedemone era una honestissima casa et stanza della vecchiaia, irnperö che in nessuno luogo tanto s'altribuiscie all'elä et in nessuno luogo la vecchiaia ě piü honorata. Anchora si decte alla memoria che in Athena, faccendosi alcuni giuochi, venne nel theatro uno vecchio et che dove era la grande quantitä della gente a sedere non gli fu dato luogo da' suoi cittadini. Ma quando e' venne a* Lacedemonii, e' quali, Percha erano legati, sedevano in uno luogo ordinato a quello, si dice che lucti coloro si 11 Ms.: om. huomo. 52 Ms.: segue giuoco annullato da Hatto orizzonlale. " Ms.: ricevevero. u Ms.: om. delia. 55 Ms.: diltografia di che. ^ Ms.: segue nel nostra chollegio annullaio da iratto oriziontale. 708 Laura Ramello rizzorono et riccvctlono a sedere quello vecchio. AUora da tutti coloro che sedevano y fcce grande romore con molta festa, onde uno di coloro disse: «Gli Aiheniesi sanno quello che si debba fare, ma e' non lo vogliono fare». Ri»V2 E si dice che Lixandro di Lacedemonia, del quale pocho inanzi io fecj menlione, soleva dire che Lacedemonia cra una honestissima casa et slanza della vechiaia, imperii che in nessuno luogo tanto s'atlribuiscc all'ctä et in nessuno luogo la vecchiaia é piü honorata. Ancora si decte alla memoria che in Alhena, faccendosi alchuni giuochi, venne ncl Ihcatro uno vecchio et che dove era la gran quanütä della gente a sedere non gli fu dato luogo da' suoi ciptadini. Ma quando e' venne a' Lacedemonii, i quali, perché erano leghati, sedevano in uno luogo ordinale a quello, si dice che tueti coloro si rizzorono et ricevettono a sedere quel vecchio. Allora da tueti coloro che sedevano si fecie grande romore con molia festa, onde uno di coloro disse: «Gli Atheniesi sanno quello che si debba fare, ma e' non io vogliono fare». FiN2 Lysandro lacedemonio, del quale pocho fa feci menlione, dicono era usalo di dire Lacedemonia essere uno honestissimo domicilio della senectü, perché non é luo-gho alchuno dove tanto honoře sia airibuilo a quella etä né ě paese alchuno dove la senectü sia piü honorata. El perché dicono essere suto dagli scriptori mandato alla memoria che, faccendosi Athene certi giuochi, venne in theatro uno molto vechio et cercando di porsi a sedere non trovb alcuno in tanta moltitudine che gli facessi luogho. El perché andando atorno capitó a certi Lacedemonii e' quali, perché erano inbasciado-ri, in luogho certo et seperalo erono suti conlocati, costoro subito lo vidono, tutti dicono che si ricorono et fra loro lo riceverono a ssedere. Et mostrando el popolo atheniense con segni di care^ce che tale acto fusse loro piaciuto, disse uno d'essi Lacedemonii Ii Alheniensi chonoscere optimamente quelle cose che sono recte, ma non le volere fare. RmVl Lysandro lacedemonio, del quale pocho fa feei mentione, dicono era usato di dire Lacedemonia essere uno honestissimo domicilio della senectü, perché non b luogho alchuno dove lanto honore sia atribuito a quella etä né e paese alchuno dove la senectü sia piü honorata. El perché dicono essere suto dalli scriptori mandato alla memoria che, faccendosi Athene certi giuochi, venne in theatro uno molto vechio et cerchando di porsi a sedere non trovö alchuno in tanta multitudine che gli facessi luogho. El perché andando atorno capitö a certi Lacedemonii i quali, perché erono inba-sciadori, in luogho certo et seperato5' suti collocati, costoro subito lo vidono, tutti dicono che ssi ricorono et fra Horo lo riceverono a ssedere. Et mostrando el popolo atheniense con segni di carecce che tale acta fusse loro piaciuto, disse uno d'essi Lacedemonii gli Alheniensi chonoscere optimamente quelle cose che sono recte, ma non le volete fare. OxB Dicono che Lisandro de Lacedimonia, del quale io agio facta mentione, usava de dire che Lacedemonia era honestissimo abergo de vecchiec^a: in niuno loco tanto se daie ad quista etä, in niuno loco k piü honorata le vecchiec$a. Ancora rao fo 11 Ms.: om. erono. m Antichi volgarizzamenti italiani del On senectute 709 avuto ad memoria quando nelli iochi de Acthena, venendo uno homo antiquo nel then-Ifo dove sedevano molta gente, non li fo facto luocho da niuno suo cictadino. Ma da poi andando per ambassiadore ad Lacedemonia, ognuno sc levoie et recevecte quisto anti-quo ad sedere. Per la qual cosa essendone meravegliosamente parlato, uno de loro disse quill i d1 Athena saverc quello che e dericto, ma non volerlo fare, RmVc Dicono Lixandro lacedemonio, del quale hora parlai, usare de dire in Lacedemonia esserc la residenlia overo adunatione dey vechi honoratissima, perche1 rlora non e mai la vechieca in tanto prexio, rie may e la veehieca piu honorata. Che se trovi mandato a memoria per scripture cssendo in Athene uno hom vechio conducto a vedere alcuni giuochi in grande moltitudine di persons che sedeano, niuno di suoi ciia-dini li dette luoco. Essendo poi passato inaci dove li ambassador! dey Lacedemonii in certo luoco sedeano, se dice tutti esserc in pie levati et havere quello vechio cum loro a sedere recevuto. Et essendo da tutti i sedenti intorno a queili ambassatori per tale acto cum varii gesti statuili overo accarecati, disse uno atheniese: «Voi sapeti quello che per hpnesta si debe fare, ma fare non lo voleti», Tre sono gli element! degni di nota sui quali ci si vuole qui brevemente soffermare; il primo riguarda le modaiita di traduzione dell'infinitiva latina «Lacedaemonem esse honestissumum domicilium senectutis»: VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl58) reca «Lacedemonia era uno onestissimo domi-cilto della vecchiezza»; ia stessa lezione ricorre in FiL, il che confermerebbe l'ipotesi di contaminazione piu sopra avanzata; MdN (RmV2) riportano «Lacedemone era una honestissima casa et stanza della vecchiaia», FiN2 (RmVl) un letterale «Lacedemonia essere uno honestissimo domicilio della senectu», OxB «Lacedemonia era honestissimo abergo de vecchie;;a» e RmVc «Lacedemonia essere la residentia overo adunatione dey vechi honoratissima*; il secondo concerne la frase «cum autem ad Lacedaemonios accessisset, qui, legati cum essent, certo in loco consederant, consurrexjsse omnes illt dicuntur»: VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MnR), e con essi FiL, reca «ma andando elli verso quelli di Lacedemonia, li quali per caso v'erano per amba-sciadori e in certo luogo sedeano, tutti si levarono incontro al vecchio», in MdN (RmV2) si iegge «Ma quando e' venne a' Lacedemonii, e' quali, perchd erano legati, sedevano in uno luogo ordinato a quelio, si dice che tucti coloro si rizzo-rono», in FiN2 (RmVl) troviamo «E1 perchd andando atorno capit6 a certi Lacedemonii e' quali, perche" erano inbasciadori, in luogho certo et seperato ■ Si osservi come ancora una volta in FiNl e FiRl compala lo stesso soul da meme au nUrne che comporta 1'omissione della porzione di frase «del quale poco dinanzi feci menzione, era usaio di dire che in Lacedemonia* e che induce a credere ad una slessa dipendenza da un anu'grafo carmine; quanio alia varianle di MnR, che reca abeatissimo abituro* in luogo di «onestissimo domicilii, ritengo che essa possa trovare lo stesso ordine di spiegazioni piu sopra esposlo (cfr. no. 28), vale a dire che essa sia frutlo di un intervemo motivate da semplici ragioni di gusto. 710 Laura Rameilo erono suti conlocati, costoro subito lo vidono, tutti dicono che si ricorono» e in OxB e RmVc rispettivamente «Ma da poi andando per ambassiadore ad Lacedemonia, ognuno se levoie»59 e «Essendo poi passato inaci dove Ii ambassadori dey Lacedemonii in certo luoco sedeano, se dice tutti essere in pié ievati»; I'ultimo caso riguarda la causale «Quibus cum a cuncto consessu plau-sus esset multiplex datus»: in VrC (FiR4, RmC, FiR2, FiR3, FiNl, FiRl, MnR60), cosl come in FiL leggiamo «con ciö fosse cosa che da tutti quelli che sedeano molto favore con letizia dato fosse», in MdN (RmV2) «Allora da tutti coloro che sedevano si fece grande romore con molta festa», in FiN2 (RmVl) «Et mostrando el popolo atheniense con segni di carecce che tale acto fusse loro piaciuto», mentre OxB riporta «Per la qual cosa essendone meravegliosa-mente parlato» e RmVc «Et essendo da tutti i sedenti intorno a quelli ambassa-tori per tale acto cum varii gesti statuiti overo accarefaü». Rimandando ad aítra sede un'analisi dettagliata delle modalita di traduzio-ne che vada oltre il loro semplice accostamento - peraltro giä di per sé di una qualche utilita per gli scopi qui perseguiti - mi pare che ie ipotesi in precedenza avanzate circa la pluralita delle versioni e Pavvenuta contaminazione fra due di esse trovino qui definitiva conferma; i sei volgarizzamenti appaiono essere in prevalenza anonimi; fanno eccezione Je versioni recate dai codici FiN2 (RmVl) e OxB che parrebbero da attribuirsi l'una a Andrea Cambini e l'altra a Giovanni da Fermo;61 tutti i codici, ad eccezione, come giä detto, di FiL, non-ché dt FiR3 che e mutilo in fine, conservano un testo che puö dirsi completo; i volgarizzamenti sono, in linea generale, di ambito linguistico toscano; in RmVc si riscontrano dei tratti settentrionali e in OxB di marchigiano centrale. In base al quadro che si ě venuto delineando sino a questo punto pare pos-sibile dunque addivenire alla formulazione di uno stemma provvisorio cosl strutturato: " La versione trasmessa da OxB alimenta in questo caso qualche dubbio sul livello di compren-sione del testo latino da pane del tradutlore, se non si vuole supporre un intervemo peggiorativo awe-nuto in una fase success™. " In MnR si rinviene la lezione «]icentio» in luogo di «letizia* attribuibile credo o ad una cattiva lellura, o ad uno di quegli interventi a cui si i piu sopra accennato. " Nell'incipit di FÍN2 (RmVl) in eľfctti si legge: Libro della Senecti di Marco Tullio Cicerone Iradoclo dal latino in lingua fioremina per Andrea Cambini ad Antonio et lorenco di Bernardo de' Medici, mcmre nell'explicit di OxB trovioroo: Quifmisce el libro de Tulio Della Veccbiecca votga-ricato per Messer Giovangne da Fermo. II Bernardo de' Medici a cui si occenna nella dedica potrebbe forse essere quel Bemardeuo de' Medici, discendcme di Chiarissimo, figlio di Antonio e padre di Lorenzo, ehe morl nel 1465: ta questione merita di essere in fuluro npprofondiw in vista della datazio-ne del volgarizzamento di Andrea Canibini. Amichi volgarizzamenti italiani del De seneciuie 711 SCHEMA In esso a, FiL, ß, %, OxB e RmVc rappresentano le sei versioni; il ramo del volgarizzamento a presenta una struttura bifida: dall'archetipo otlM discen-dono infatti i due subarchetipi