alzi) sino all'equivoco gravi, illuminato nelľambivalenza se-mantica dalla coppia in antitesi (magii e scalzi), collaborano e firmare un disegno, quasi una vignetta, satirico bilicato tra sde-gno e scherno. Quindi (w. 133-134) ľindugio sugli aspetti sce-nografici della pomposa processione, ripercuotendo la nota sprezzante di gravi, deforma il bozzetto sino alia caricatura, in un crescendo figurativo e spettacolare ehe dall'abbondanza dei manti stesi sui cavalli giunge alia constatazione che una (una pelle), una sola cappa ě sufficiente a rivestire, ricoprire, addob-bare ben due bestie, il primo e il secondo animale, palafreno e cardinale. Ľapostrofe prorompente nel finale (v. 135), come una didascalia esclamativa della grottesca cerimonia, nel rilievo accordato alla divina pazienza (dieretico e sotto accento principále), dá corpo all'impaziente insofferenza di Dante, esaspera-to per la tolleranza di Dio. Si ripropone cosi, drammaticamen-te, il contrasto tra 1'estatico raccoglimento del cielo ove svaria-no silenti le coreografie simboliche della vita contemplativa e si dibattono i temi teologico-intellettuali della predestinazione divina e dell'insufficienza terrena, e il clima agitato in cui pre-cipita la professione monastica di Pietro Damiano di fronte al degrado degli istituti conventuali. Nello slargo paradisiaco che segue alle ultime parole del camaldolese, con quelle luci sfolgo-ranti, come all'inizio della visione saturnina, lungo la scala, es-so esplode nel grido solidale di tutti gli abitanti celesti, unanimi nella protesta, rumoroso sino a risultare ineffabile, cosi alto che il suo messaggio verbale sfugge al rintronato pellegrino. Questo cupo incomprensibile rimbombo (al v. 142 tuono echeggia sinistro, ultima parola in rima del canto) lacera il cielo ove Beatrice non sorride e i beati tacciono (cfr. xxn 10-12) con la sinistra violenza di un pauroso preconio: ě l'adesione del cielo all'apostrofe di Dante, audacemente sdegnato per l'inerzia di Dio verso il tradimento dei suoi ministri. Bibliografia: A. Seroni, II canto xxidel Paradiso (1961), ora in Da Dante al Verga, Roma 1972, pp. 9-27; R. Ramat, Indicazioni di lettura per il xxidel Para-diso, in AA. W., Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, Palermo 1962, pp. 58-71; M. Pecoraro, // canto xxi del Paradiso, in AA. W., Lectura Dantis scaligera, cit., pp. 733-782; P. Brezzi, II canto xxi del Paradiso, in AA. W., Nuove letture dantesche cit., vii, Firenze 1974, pp. 15-34. canto xxn 364 Meraviglia di Dante e conforto di Beatrice (vv. 1-21). - San Benedetto (vv. 22-51). - Dialogo tra Dante e san Benedetto (vv. 52-73). - La corruzione dei benedettini nel giudizio del low fon-datore (vv. 74-96). - Ascesa lungo la scala dei contemplanti e arri-vo al cielo (ottavo) delle stelle fisse (vv. 97-111). - Invocazione di Dante alla costellazione dei Gemelli (vv. 117-123). - Sguardo del pellegrino sull'universo (vv. 124-154). Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre sempre colä dove piü si confida; e quella, come madre che soccorre subito al figlio palido e anelo con la sua voce, che '1 suol ben disporre, mi disse: «Non sai tu che tu se' in cielo? e non sai tu che '1 cielo e tutto santo, e ciö che ci si fa vien da buon zelo? 1 Oppresso di stupore: Sopraffallo da nieraviglja (per il grido dei beati che alia fine del canto precedente suggel-la 1'invettiva antiecclcsiastica di Pietro Damiano). Linguaggio di sapore boeziano (De cons. phil. i pr. 2: «te stupor oppressit»). 2 parvol: pargolo, bambino (il fanto-lin di xxm 121: c cfr. Purg. xxx 44, dove ě anticipata la similitudine familiäre nei confronti della stessa gui-da, v. 1, Beatrice). 3 inogrú occasione alla persona della quale maggiomietitc si íida: cioč alla madre (v. 4). 5 anelo: anelante, ansante (per la paura). 6 che... disporre: la quale é solita pla-carlo e rassicurarló. 9 e tutto quello che qui (cíl avyiene Is i la «£• ratio») procede da santa indi-gnazione. Nlä buon zelo, sulla scorta di analoghc giunture (cfr. Pure, vm 83 e xxix 23-24), anch'esse seman- 365 CANTO XXII 10 - 25 Come t'avrebbe trasmutato il canto, e io ridendo, mo pensar lo puoi, 12 poscia che 'I grido t'ha mosso cotanto; nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi, gia ti sarebbe nota la vendetta 15 che tu vedrai innanzi che tu muoi. La spada di qua su non taglia in fretta ne tardo, ma' ch'al parer di colui 18 ched isiando o temendo 1' aspetta. Ma rivolgiti omai inverso altrui; ch'assai illustri spirit! vedrai, 21 se com' io dico l'aspetto redui». Come a lei piacque, li occhi ritornai, e vidi cento sperule che 'nsieme 24 piii s'abbellivan con mutui rai. Io stava come quei che 'n se repreme ticamente ambigue, si pub intendere piu genericameme «amore per il bene». 10 trasmutato: alterato, ridorto., 11 e io ridendo: e se. avcssuisp, e 1) rnio riso (cioe insieme con k luce ab-bagliame della mia gioia). 12 giacche il solo grido ti ha a ta] punto {cotanto) agitato, sconvolto. 13 suoi: contenuti nel grido (cfr. v. 12). 14 la vendetta: la divirra piinizione: cioe il giusto castigo, cbiesto a Dio dai beati, che si abbattera sui corrotfi minis tri della Chiesa. La profezia e intenzional men te generic a. 15 innanzi... muoi: prima che tu muoia, prima della tua morte. 16-18 La.giusta vendetta (La spada) celeste [di qua su) non colpisce presto ,ne tardi {tardo), tranne che {ma ch't all'opinionc di chi l'attende con desi-derjota lui sembrera in ritardo) o con timore (e in tal taso l;i riterrá in anti-i ! La metafora della spada e an-che in Epist. VI 1,4; per ma' cHe) cfr. Inj. rv 26 e xxi 20. 19 inverso altrui: verso le altre anime (letteralmente «ad altri oggetti di at-tenziones). 21 se come io ti esorto a fare [dico) riconduci'Io sguardo (ad essi: gli spiri-ti del v. 20). Dai latino «reducere», redmh seconda persona singolare del presente imlicativo di ridure, impiega-to a xxvn 89, e potrebbe esserc tin provenzalismo. 22 ritornai: volsi diipnoyo- 23 sperule: sfere tuminose, spirit! beati. La forma alterata (da «spere»j ha valore affettiyo^ 24 .e divenivano píu belle (cioě splen-dentí) scambiandosi vicendevolmen-te i fulgori, cioě irradiando reciproca-mente, ľuna sulľaltra, la propria luce. 25 repreme: repr.irne, trattiene. 366 canto xxn 26-38 la punta del disio, e non s'attenta 27 di domandar, si del troppo si teme; e la maggiore e la piú luculenta di quelle margherite innanzi fessi, 30 per far di sé la mia voglia contenta. Poi dentro a lei udi': « Se tu vedessi com' io la caritä che tra noi arde, 33 li tuoi concetti sarebbero espressi. Ma perché tu, aspettando, non tarde a ľ alto fine, io ti farô risposta 36 pur al pensier, da che si ti riguarde. PQuel monte a cui Cassino e ne la costa fu frequentato giä in su la cima da qui 26 il púngenie desidc-rto {la punta del disio «lo stimpto del desiderio »), e mm ši arrischia. 27 «... teme: tanto teme di doman-dare troppo: cioe (si h pTeonasticó), talc ě la paura di apparire importuno. 28 e; cmand'ccco die,, - luculenta: I'it-minosa (il latinismo anche a ix 37). 29 margherite: gemme, gioie. Qui il latinismo, diversamente che a il 34 e a vi 127, indica le anime. - fessi: sLfe^ ce (in bisticcio con far del v. 30). >0 per accontentare il mio desiderio con le sue parole (di sé «per suo mezzo »). Altrí interpreta d; sé « del suo riome », cioe svelando la propria identita, o anche «intomo, a proposito di sé», in relatione ai vv. 37-45, nei quali l'anima tesse la propria biografia. 31 dentro a lei: entro la luce che fa-sciava quell'anima, cioě dalla voce interna alia luce. 32 com' io: come conosco io (il «ve-do» sottinteso"da'Vei/«J; def v. 31). 33 ayresti (giä) manifestato i tuoi pensieri, il tuo desiderio (senza timo-re: cfr. vv. 25-27). 34-35 non... Hne; non ritardi^di^rag-giungere ľalto st opi i del tuo viaggi la visione di T5ÍÔ. 36 anche soTtariťa a quel che hai pen-£ft@Jpur al pensier «alla domanda sólo pensata»), dal mo mento che sci tanto restip ad esprimerlo (st ti n-guarde «cosí ti guardi»), 37 La montagna sulla pendice della quale si trova Cassino. Nclla . zione, che sembra condotta a stretto contatto con ľinizío della biografia benedetlina («Castrum, quod Cassi; mini dicitur, in excelsi montis láteře situm est») seritta da Gregorio Magno (D/a/, n'2), modello del ri-tratto dantesco (cfr. vv. 39-42 e nn.), si indica, piutlosto che il Monte Cairo, una sua pendice («lulcrc» nel těsto latino), aka appena (rispetto ai millesettecento dél Cáiro) cinquecento metri, sulla quale sorge ľab-bazia di Montecassino. Per costa čfŕľ M 45. 38-42 fn ahitato fin^ěmř^fy^) sulla vetu da una popoiaziotie nsigsina Wi-gannata «soggctta agli ingahni del pa-ganesimo»l e contraria alla lede cri 367 canto xxn 39 - 48 39 da la gente ingannata e mal disposta; e quel son io ehe sú vi portal prima lo nome di colui che 'n terra addusse 42 la veritä che tanto ci soblima; e íanta grazia sopra me relusse, ch'io ritrassi le ville circunstanti 45 da ľempio cólío che '1 mondo sedusse. Questi altri fuochi tutti contemplanti uomini fuoro, accesi di quel caldo 48 che fa nascere i fiori e' frutti santi. stianaj^a/^ijpojto); ed io sono quelle che introdusse (portal prima «recai per la prima vo!ta») in quells ciroa monruosa (sit) il nome di colui phe ar-feco sulla terra il Verbo che inrialza (soblima) i credetjti.fa «noi») sino aH'eierca beatitudine. {tanto «a tal punto»): civi il nome di Ctisio. Park (cfr. v. 35) sanrJenedetto, natoa Nor-cia nel 48iTTTTioTto-^^OTiteca^srtro-nel ^43. Dopo aver precocemente (ad appena quartordlci anni, scandalizza-to d&lla corruzione della curia, roma-.., na} rinunziato al mondo, si ritiro it) soIiludiriL' presso.Subia^g, Per la rigi-da vqcazione eremitic a atl.rasse un gran numero di seguaci, che distribui in dodici monaster! da lul fondati in Umbria; i- si i-cto poi in Campania, a tJassino, dove distrusse i rest! del cul-to pagano e fggdu; il cqnvento di Montccassino^ pel quale morf (543). A ijuesta seconda parte della vita (cfr. anche i vv. 43-45) egli allude nell'autobiografia dantesca condotta sulla menzionata traccia gregoriana, dove si ricorda la distruzione ad opera sua di un tempio dedicate ad Apollo, esistente ancora nel sesto secolo dopo Cristo, e la conversione dei seguaci al nuovo credo (cfr. w. 44-45): « vetustissimum f anum fuit, in quo ex antiquorum more gentilium a stulto rusticorum Apollo celebrabatut. Cir-cumquaque in cultu daemonum luci succreverant, in quibus adhuc eodem tempore infidelium insana multitudo sacrificiis sacrilegis insudabat. liluc itaque vir Dei perveniens contrivit idolurn, subvertit aram, succendřt lu-cos atque ipso in tempio Apollinis oraculum Mariae Virgims, ubi vero ara eiusdem Apollinis fuit, oraculum sancti Ioannis constraint, et commo-rantem circumquaque multitudinem praedicatione continua ad fidem vo-cabat»(Dia/. n2). 43 e cosi abbpndante Grazia divina risplendetté su di me.(cioe nelle mie parole). Oppure: «e rifuke in me (per merito di Dio) una tale grazia». In ogni caso relusse e perfetto di« reluce-re» (latino «reluxit»), 44-45 die io rinse i i a distogliere (ri-trass:) glí abitanti dei borghi limitrofi {le ville circunstanti) dal ciiltc (colto) pagano (empio «non pio») che a ve v a corrotto {sedusse «inganno»: cfr. v". 39) tutta l'umanitä {I mondo). Per la scrizione colto cfr. v 72. 46-48 Tutti questi altri spirit! splen-denri {fuochi) furo no in vita {uomini) dediti alia vita contemplativa (cob-tentplanti), infiammati di quel fuoco 368 51 54 57 60 canto xxii 49 - 62 Qui e Maccario, qui h Romoaldo, qui son li frati miei che dentro ai chiostri fermar li piedi e tennero il cor saldo»fino a qui E io alui: ^L'affetto che dimostri meco parfando, e la buona sembianza cb'io veggio e noto in tutti li ardor vostri, cosi m'ha dilatata mia fidanza, come '1 sol fa la rosa quando aperta tanto divien quant' ell' ha di possanza. Pero ti priego, e tu, padre, m'accerta s'io posso prender tanta grazia, ch'io ti veggia con imagine scoverta*. Ond' elli: «Frate, il tuo alto disio s'adempiera in su l'ultima spera, d'amore verso Dio (di.quel caldo) che genera i pensien ediťícantí (/ fiorí) e le buone azioni {frutti). La metafora, scritturale, del fiori e dei frutti nascc da quel caldo, un traslato a sua volta legato a fuochi.^ . 50 li... mki: í. miei.contratĽÍli, i sc-guaci delia mia regola: í benedettini. E impossibile Stabilire a quale eremita di nome Macario Dante si riferi-sca: forse a san Macario d* Alessandria, morto nel 404, forse a san Macario d'Egitto, morto intorno al 390. En-trambi discepoli disant'Antonioerap-presentanti del monacheslmo Orientale, venivano nel Medlóevo šcám-biati facilmente tra di loro. Ben identify abile ľ in vece san Romualdo, della famíglia ravennate degíi Onesti, nato attorno al 956 e morto nel 1027, a] quale si deve la fondaüione delľOrdi-ne camaldolese (1018) e del toscano eremo di Camaldoli (1027), menzio-nato anche dal poeta {Purg. v 96). 51 vissero senza .tetitennamenti (senza cedete a tentazioni) e peiseveraro-iio nell'osservanza della regola. 53 la... sembianza: il benigno as petto, l'espressione di benevolenza. 54 In... vostri: nelle luci di tutti voi: cioě nello splendorc di san Benedetto e degli altri spititi contemplanti. 55-57 ha allaryato la mia fiducia (in voi) cost come il sole schinde (ja) la rosa allorché essa si apre tanto qnan-to ě nelle sue possibility (quiitii' ciť ha di possanza «quanto essa ha di po-tenzas), cioe in tutto lo splendore consentitole daüa sua natura, quindi al massimo. II paragone {fa e di uso vicario) per qualche verso anticipa-to in Comi. TV xxvB 4. 58 m'accerta: fammi certo, assicura-mi. 59 prender..* grazia: ottenere una cosi aha grazia. 60 con.,, scotíetta: con figura scoper-ta, cioe in aspetto spogliato dalla've^"" Ste della luce, ossia nelle tue, umane 61 alto: prqfondo, nobile (cfr. vm 85 e xxm 125). 62 verrä esaudito ií'adempiera «si at-tuerä*) nell'Empireo (dove infattisan 369 canto xxn 63 - 73 63 ove s'adempion tutti li altri e '1 mio. lvi ě perfetta, matura e intera ciascuna disíanza; in quella sola 66 e ogne parte la ove sempr' era, perché non ě in loco e non s'impola; e nostra scala infino ad essa varca, 69 onde cosi dal viso ti s'invola. Inf in lä sú la vide il patriarca lacobbe porger la superna parte, 72 quando li apparve d'angeli si carca. Ma, per salirla, mo nessun diparte Bernardo, additera al pellegrino anche san Bcnedetto: cfr. xxxn 35). 63 tutti... mio: í desideri diogni altrp beato, compreso quello mio (e 'Imio). Grammaticalmente in tutti li altri ě sottinteso «disii», da ricavarsi da Jisto (del v. 61), cui si riferisce 7 mio; quest'ultimo sark, piuttosto che quel-. lo specifico del santo, di rispondere al pellegrino, il desiderio, comunca tutte le anime, di vedere Dio (cfr. del restow. 64-65). 64-66 Nell'Erapireo (lvi «Li*) ogni desiderio ě perfetto, pleno, integro; (soltanto) in quclcielo (in quella: rife-rito ad ultima spera del v. 62) ogni parte (di cui esso si compone) sta do-ve si trovava dall'eternita (sempře), cioě ě immobile. La terna degli attri-buti di significato affine (perfetta de-rivera dal latino «perficere») avvia enfaticamente la presentazione del-1'Empirco, eseguita secondo le lince aristotelico-tomistiche percorse dalia speculazione dantcsca. Per di-siahiá, accolto con favore dalia ťrán-cia nella poesia sículo-toscana, cfr, xxm 39 e xxxiii 15. 67 per il fatto che ě fuori dcllo spa-zío (loco) e non possiede i, nou gira aítorno ai, poli (non s'impola}: diver- samentc dagli altri cieli (che sono učilo spazio e ruotano). Si veda in generale per i čořicetti Conti, n iii ed Epist. xni 71-74; loco éusato tecnicamente, nel significato aristotelico di «spazio contenente un corpo»; s'impola i ve-risimil mentě un neologismo, certo un apax, dantesco da un «impoIarsi»_ («in»pití «polo»). 68 irtjino... usura: salesjno alTEmpi: reo (essa rinvia ad ultima spera del v. 62). Per varca, «valicá»,_cfr. n 3. 69 per la qual cosa in questo modo sí> nasconde (s'invola «sí sottrae») álla" tua vista. Per s'invola cfr. Inf. xxvř 42. 71 porger... parte: protendere la por-zione superiore. La visione (vide al v. 70) biblica di Giácobbe ě la fonte non solo dell'invenzione ma anche della seguente presentazione dante-' sca: «Viditque in somnis scalam staň-" tem super terram et cacumen jllius tangens coelum; angelos quoque Dei ascendentes et descendentes per eam» (Genes, xxvm 12). 73-77 Ma, per percorrerla [cioě, per innalzarsi, con la contemplazione, a DioK'oggi'fMo) nessuno stacca i piedi da terra [ossia, rinuncia ai beni mon-dani), e cosi la mi a rcgola t rimasta canto xxn 74 - 86 da terra i piedi, e la regola mia 75 rimasa e per danno de le carte. Le mura che solieno esser badia f atte sono spelonche, e le cocolle 78 sacca son piene di farina ria. Ma grave usura tanto non si tolle., contra '1 piacer di Dio, quanto quel frutto 81 che fa il cor de' monaci sf folle; che quantunque la Chiesa guarda, tutto e de la gente che per Dio dimanda; 84 non di parenti ne d'altro piu brutto. La carne de' mortali e tanto blanda, che giu non basta buon cominciamento (tra voi) soltanto per consumare le carte (dove viene inutilmente tra-scritta, poiché nessuno la segue). I conventi (Le mura) che un.tempo era-no luoghi di devozione (badia) sono ora ridotti a coyi di ladr; (spelonche), e i saii monacal! (cocolle) sono sacchi ripieni di farina guasta (ria: cioě, ri-vestono frati corrotti). Visibile ai vv. 76-77, specialmente in spelonche, lo spunto evangelico: «Domus mea do-mus orationis vocabitur: vos autem fecistís Ulam speluncam larronums (Matth. xxi 13; e cfr. Jer. vn 11 e Luc. xix 46); per cocolle cfr. rx 78. /'9-81 Ma nessuna forma, anche la . peggiore (grave), di usura offende (si Infle contra «si leva ad offesa di») _Ia volontä divina quanto ľimpossessarsi ifí'lie rendite conventuali (quel frutto) ■ lie rcndono il cuore dei frati.cosi puzzq (cioě che accecano di cupidigia cli animi dei monaci al punto di farli impazzire). Ma altri interpreta diver-•ntnente, intendendo si tolle «si ri-tcuote» ed usura «il ricavato delľusu-m». 82-83 dal momento che tutto quello che (quantunque) la Chiesa custodisce äppartiene completamcrite (tutto) it poveri (genie che per Diu dimanda «coloro che chiedono la caritä in no-me di Dios). Muovendo (v. 79) dalla nota condanna dell'usura (Inf. XI 95-96), san Benedetto adatta la solenne affermazione generale di Dante (rilasciata a xn 93; e cfr. Mori, m x 17) alia polemica contro la bramosia dei monaci. Per quantunque (latino «quantumeumque») cfr. vin 103). 84 e non dei parenti (dei monaci che se ne impossessano) o di persone legate (a loro) da^rapporti ancor piü turpi. L'accusa, espticiia nei riguardi del ritpomm&(parenti), si fa poi allu-sjva (d'altro piü brutto «di persona sozza»), deprecando pudicamente (donde la genericitä del riferimento) il malcpstume dei frati che favoriva-no concubine e figli naturali. 85-87 La natura degli uomini e. cosi debole, che sulla terra (giti) un'qpera bene iniziata (buon cominciamento «felice prineipio») non dura (basta) un periodo di tempo pari a quello in-tercorrente tra la nascita e il fruttifi- 370 371 CANTO XXII 87 - 95 87 dal nascer de la quercia al far la ghianda. Pier cominciö sanz' oro e sanz' argento, e io con orazione e con digiuno, 90 e Francesco umilmente il suo convento; e se guardi 1 principio di ciascuno, poscia riguardi la dov' ě trascorso, 93 tu vederai del bianco fatto bruno. / Veramente Io'rdan völto retrorso piú fu,/e '1 mar fuggir/quando Dio volse, care di una_quercia (cioe, circa vent'anni). Il concetto verrä ripreso a xxvn 127-135 (e cfr. Mon. I xv 3-5); per il significato di basta cfr. Inf. xxk 89. 88 San Pietrp inizio il proprio apo-_stolato_jsenza ricchezzg^Evidente il ricorcTo ..evangelico_ (cfr. Inf. xix 94-95), concernente proprio il principe degli apostoli: «Petrus autem dixit; "argentum'et aurum non est mini" » (Act. Apostol. m 6). II verbo cominciö (che si richiama a buon comin-ciamento del v. 86) e usato in forma assoluta, come al v. 89 (dove e sottin-teso), mentre al y. 90 (dove pure e implicito) e impiegato transitivamen-te (ilsuo convento e complemento og-getto). Chi Io intende costruito con Poggetto in tutti e tre i casi, sottin-tende qui e al v. 89 il complemento, esplicito al v. 90. 89 e io: e io esordii nella vita monastics^ (sottinteso «cominciai» da cominciö del v. 88). 90 e san Francesco diede ini/io al suo Ordine {convento «sodali/i, >, co-munitä »)£onJ'iunilta. 91 'I... ciascuno: come hanno co-. minciato bene Pietro (gli apostoli), Benedetto (i beriedettini), Francesco (i francescani): cfr. buon comincia-meBtodelv. 86. 92 lä... trascorso: a che punto e arri- vato, decaduto. Cioě (soggetto ě 7 principio cleFv. 91), quanto si sono degradate, corrotte le tre istituziqni (Chiesa, Ordine benedettino, Ordine f rancescano). 93 ooas.taterai come cio che era ini-zialmente bianco si sia poi mutato in nero. Cioe (i due aggc-ttivi indicano per traslato un'antitesi): se paragoni 1'avvio e la fine, t'accorgerai che le virtu si sono trasfarmate negli oppo-' sti vizií, ossia la povertá in cupidlgia, l'austerita monacale in rilassatezz^ mondana, 1'umi I ta spirituále in ambi-zione terrena. 94-96 Tuttavia la retrocessions del fiume Giordano e la divisione del mar Rosso, awemite per volere di Dio (quando Dio volse), furono mira-coli (mirabilea veder) piú stupeí; {piú} di quanto sara (che) l'intervento celeste (7soccorso) in questa situazio-' ne di decadenza (qui). Cioe: il risana-mento, per opera di Dio, degli istituti ecclesiasitci sará un prodigio meno sorprendente ed eccezionale di quetti noti, ossia, come tale, si present a meno imprevedibiie,di quanto si creda, Nel complesso periodo (dove lordan vólto retrorso, un costrutto latihég^ giante, funge da soggetto, in correia':' zione al secondario e I mar fuggir) il duplice rinvio alle imprese del popplo eletto (il fiume che si ritira dinnanzi a 372 canto xxn 96 - 110 96 mirabile a veder che qui '1 soccorso». Cosf mi disse, e indi si raecolse al suo collegio, e '1 collegio si strinse; 99 poi, come turbo, in sü tutto s'avvolse. La dolce donna dietro a Ior mi pinse con un sol cenno su per quella scala, 102 si sua virtu la mia natura vinse; ne mai qua giu dove si monta e cala naturalmente, fu si ratto moto 105 ch'agguagliar si potesse a la mia ala. S'io torni mai, lettore, a quel divoto triunfo per lo quäle io piango spesso 108 le mie peccata e '1 petto mi pereuoto, tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant' io vidi '1 segno Giosue: cfr. Ios. in 14-17; jl mare che si apre dinanzi a Mose: cfr, Exod. xiv 21-29) e condotto sicuramente (l'av-verbio retrorso traduce letteralmente >< retrorsum ») sulla descrizione dei due miracoli offertu da Psalm, cxm 3: «mare vidit et fugit: Iordanus con-versus est retrorsumw. 97-99 In questo modo mi p.arlo, e dal punto in cui si trovava (indi «di li»: presso il pelltgrino) si riuni alle altre anime (a! suo collegio «alla propria compagnias), ed esse si s,errarc;na.in-sieme in un solo gruppo (si strinse); successivamente, con la velocita di un turbine (come turbo), salt verso 1'alto roteando rapidamente (s'avvol-ic «si volse attorno a se stesso»)vFor-sc 1'insistenza su collegio (cfr. vi 45 e six 110) noti e eslratiea alia profes-sione degli spiriti contemplativi. 102 tanto il potere sqprannaturale di Beatrice s'impose sull'iherzia del tnio corpo (tendente, per il peso della . .ii ne. al basso). Trasparente il significato simbolico (cfr. vv. 103-104). 103-105 e giammai sulla terra in cui (qua giu Jove) si sale e scende cor. ie forze natural» (naturalmente: oppure, «secondo le norme delle leggi fisi-. che»), si regtstro un movimento tan-to rapido (si ratto) che si potesse para-gdnare' '(agguagliar) alia velocitä della mia ascesaXa la mia ah «al mio salire pari ad un volow). 106-107 S'io... quale: Possa io rittjr-narc un giorno, o lettorc, a quelkj/P slit •celestei(/ri«»/o) per meritarmi la quale (per lo quale). II consueto costrutto ottativoj5'/o) dell'appello ha forse una sfumatura asseveraüva;per triunfo («trionfo dei beati»: e per me-topimia la Chiesa trionfante) cfr. v 116 e ix 120. 108 peccata: peccati, L'arcaica forma neutra a xvu 33 (e cfr. Inf. v 9 e TürgZUvi 18. 109 in... messo: con tanta velocita posto e ritirato. Per la retorica inver-sione dei due participi cfr. n 24. 110-111 in... esso: con quanta velo-citä (in quant': cfr. in tanto del v. 373 canto xxii 111 ■ 126 111 che segue il Tauro e fui dentro da es so. O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtu, dal quale io riconosco 114 tutto, qual che si sia, il mio ingegno, con vol nasceva e s'ascondeva voaco quelli ch'e padre d'ogne mortal vita, 117 qUand' io send' di prima Paere tosco; e poi, quando mi fu grazia largita d'entrar ne l'alta rota che vi gira, 120 la vostra region mi fu sortita. A vol divotamente ora sospira I'anima mia, per acquistar virtute 123 al passo forte che a se la tira. «Tu se' si presso a l'ultima salute», cominciö Beatrice, «che tu dei 126 aver le lud tue chiare e acute; 109) la costellazione che (ncilo Zo-diaco) segue al Toro, doe quella dei Gemelli, e penetrai in essa. II tipo di correlazione comparativa richiama, soltanto per ľaspetto temporale, n 23. —r 112-113 o... virtú: o costellazione, gcchissima di-*ťefty;iiyanuiis$^La scienza astrologica me3ievale ritene-va ehe í Gemelli predisponessero, Ľúti la loro influenza, agli studi t alle art i liberáli. 11?-117 in conjjiunzione..jCgG^.y.a iorgeva e tiainontava colui the gene r_a*iutte le tose terrene, il sole, quan do respirai per la prima volra (di pri ma) I'aria di Toscana, quando nacqut Dante nacque duncrue tra il 21 mag gio e il 21 giugno, il periodo nel quale il sole si trova nella costellazione dei Gemelli. La forma voscoif.ii. Purg. xi 60 e xvi 141: in entrambi i casi, come qui, in rima) ě variante dotta t)ó/,"Son la quale e in chiasmo; per la perifrasi indieante il sole cfr, y. 28-30 c Conv. m xn 7-8; tosco giä a Inf. x 22 e xxin 76. 119 di penetrare nell'alto cielo ;he presiede al vostro movhnento circola-re [vigim'tJA fa ruoLare»): cioe, dfsä-lire al cielo delic stelle fisse, 120 mi f u assegiiata in sorte la zona celeste da voi occupata. 121 JOJ/MftiMnnalza anelanti prcghie-re. 122 virtute; ca načíta. 123 per af fron tare l'arduo ci mento) che la impegna complctamcnre (a se la tira). II passo forte, (per i I sostanrivo cfr. iv 91 e xxx 22) e la.restanteJer scrizione del Paradiso, che ve its svol-ta inquesto e nei successive canti.' 124 a ľ ultima salute: alia suprema tjearitudine: fflioufofr. xxxm™?). s Iiis 4e tuet... acute: qli flThíiifi'ľí Hjla ogní ijapuritä e poienri. canto xxn 127 - 139 e perö, prima che tu piú ťinjtei, rimira in giú, e vedi quanto mondo 129 sotto li piedi giä esser ti fei; sí che '1 tuo cor, quantunque puô, giocondo s'appresentí a la turba triunfante 132 ehe lieta vien per questo etera tondo ». Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo 135 tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consigíio per migliore approbo ehe ľ ha per meno; e chi ad altro pensa 138 chiamar si puote veramente probo. Vidi la figlia di Latona incensa 127 ťinlei: ťaddentri in essa (divi-uita: Yultima salute idcl v. 124). II ver-bo b di coniazione dantesca («. inleiárii »: da «in * piú n lei »), ařfíne a s'inlu-iíi di ix 73! 128 quanto woWo:. quanjtaj^arje^el Uťato. 129 t i ho ormai f a t to (fe i «,fec es seti: sotto i piedi. Cioé: ti ho condotto, i:on il mio aiuto, a percorrere salendo. I (0 quantunque: quanto piú. 131 a... triunfante: alla schiera di ani-nie celebranti il trionfo di Cris.t.o. (presentate a xxiu 19-21). I i 2 etera tondo: cíelo concavo, síera eeleste. II sostantivo e la forma delVaccusarivo latino, con desínenza (in -a) alla greca, «áethera», che si-fjnifica propriamente -squínta essen-itafr, indica cioé la materia celesce: qui, come axxvn 70, vale «cíelo*. I 11 viso: sguardo. 114 le..: spere: i sette cirli infaiiari (1,11 na, Mercurío, Vcnere, Sole, Mafii', Giove, Saturno neiTordine). -íjtiesto globo: la Ten a. I ■ ■ y:/ u-mbiantc: meschino aspetto. II pocta ritrae il planeta terrestre ser- vendosi delle impression! visive di Scipione E miliaria riferite dal De re-/wWjfgdi,Cic£ry:K'.i?cl OJSiddeiW.tt-mmum Scitno/iis (la se/ione del tratta-to ciceroniano nofa a Dante): «ipsa terra ita mihi parva visa est, ut me imperii nostri... poeniteret»(rn 16). 136 comiglia: parere, giudizio, 137 Vha per meno: mcno lo (questo globo del v. 134) stima, lo considers meno. S'avverte ancora una eco {dalle parole dell'Africano al giovane Scipione) del Snmnium ciceroniano: «Si tibi [sedes hominum] parva, ut est, ita videtur, haec caelestia semper spectato, ilia humana contemnitos (vi 20). - ad altro: cioe alciefe, 138 probo: valente e saggio. II valore dell'aggcttivo (qui in rima ricca con approbo, falsamente derivative, del v, 136} discende da quello assunto, pel latino mcdievalejda Aprobus*. 139-141 Scorsi la^iy (ffclia diLatb-na) illliminatafacCTag «accesa»: dal sole) priva delle maccihie tytnza quell' ortibra) criejJ.M tempo ciydeiti_(a torto) causate dalla n antra car a e den- ' sadejl Suo corpo. La coppia degli at- 374 375 canto xxii 140 - 150 sanza quell' ombra che mi fu cagione 141 per che giä la credetti rara e densa. L'aspetto del tuo nato, Iperibne, quivi sostenni, e vidi com' si move 144 circa e vicino a lui Maia e Di'one. Quindi m'apparve il temperar di Giove tra '1 padre e '1 figlio; e quindi mi fu chiaro 147 il var'iar che fanno di lor dove; e tutti e sette mi si dimostraro quanto son grandi e quanto son veloci 150 e come sono in distante riparo. canto xxii 151 -154 L'aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom' io con Ii etterni Gemelli, tutta m'apparve da' colli a le foci; 154 poscia rivolsi Ii occhi a Ii occhi belli. tributi correda puntualmente l'auto-citazionc dantesca (il 60: credo che fanno i corpi rdrfe densi) intorno alia propria erronca credenza, slatata da Beatrice: la visione dall'alto della Luna spiega I'abbagUo.intervenuto nella contemplazione dal basso, confer-mando la dimostrazione della guida. 142-144 Qui sopportai (senza restar-ne abbagliato) la vista del Sole, e vidi come circofarmente ejircsso a lui si muovono i pianeti di Mercuric e cli Venere (cioe le prbiteTvicine al sole, di Mercurio e di Venere). Le perples-sita esegetiche del passo astronomico concernono circa, che si dovra inten-dere «in circofox e riferire a si move (accordato, come soVcnte, ad uno solo dci due^pgge.UU.M«W'' Dione), dal momento che i due pianeti, secondo Dante stesso, mm girano attorno a[ sole. Come quella (v. 139: la jiglia di Latona) indicante la lun'a (cfr. x 67), la perifrasi per il sole (figlio di Iperi'o-ne, qui vocativo) eqvidiana («Hype-rione natus»: Metam. iv 192) e torna, opportunamente chiosata, in Epist. m 7; alio stesso gusto mitologico appartengono le designazioni di Mercurio e di Venere con il nome delle ri-spettive madri (Maia e Dione). 145-146 Quindi... figlio: Poi m'appa-ri il bianco pianeta Giove intermcdio tjargySmJJT< IV padre) e Marte V! f ľ' glio). La nota coloristica implicita nel temperar oggetto della visione é sug-gerita dal parallelo candor de la tetň-prata Stella Sesta (xviii 68-69) e trova con f e r m a nelľjdeale. cammentajdjiit--tore ai due luoghi affini: «Giove é siella di teraperata corriplessione, in mezzo de la freddura di Saturno e de Io calore di Marte... intra tutte le stelle bianca si mostra, quasi argen-tea» (Conv. n xni 25). Come al v. 146, Quindi e inteso da qualcuno « i )i lí», cioe «dal cielo stellato». 147 le variazioni del loro'ptSsto (cioe i mutamenti di moto compiuti da Giove, Saturno e Marte nella loro rotazione apparente attorno alia Ter-fít .|iiandn< aixijché- da nt-i-idenu- ad oriente si spostano da oriente ad oc-cidente, ossia con i movimenti cosid-(fet'äjt^äaadj,, che ľ astronómia to-lemaica'" spíegava con gli epicicli). Ľavverbio dove e sostantivata. 148 sette: sette ipianeti (le sette spere del v. U'4). —~ 150 e come si trovano in luóghi tra loro lontaiii; cioe, e come distano re-ciprocamente le lord dimore. ~I1 so- itantivo riparo i qui d'uso tecnico, corrispondente, nel linguaggio scicn-lifico dcll'astronomia, alia «dbmus» 0 «casa» della fascia zodiac ale sede dci sette pianeti. 151 L'aiuola: La piccola aíá, cioé la terra emersa ed abitata. La metafori-cu clesignazione cara a Dante {auesta tiuola a xxvil 86; «areola ista'morta-llum» in Mon. in xvi 11) e tipicamen-tr medievale: il precedente piú stiggc-.uvo e l'«angustissima area» di Bočilo (Decons. phil. n pr. 7). - litre io giravo.(intorno ad es-icme aH'immortale costellazio-M dci Gemelli. 153 apparve alia mia vista comple.tq-mente, dai monti ai mari {foci «luoghi marini dóve slxiccařio i fiumi»). Lettori antichi e moderni hanno in travisto in da' colli a le joci una preci-" sa indicazione geografica e di conse-guenza azzardato varie proposte di delimitazione topografica («da oriente a oecidente» o «dälle colonne d'Ercole al Gange» ecc). In veritá rjndeterminato. riassuntivo rilievo rnnrw-n^ i Hati pai-tflgglstlri, rr)m?~ appunto montagne e marine, che ap-paiono piú nitidi, sporgenti, nella visione della terra al lontano sguardp del contemplante. 376 377 commento al canto xxii Lo stretto legame di questo con il canto precedente (in entram-bi Dante incontra, nello stesso cielo di Saturno, gli spiriti con-templanti) ě all'inizio ribadito in termini narrativi, di conti-nuitä tematica, dalla spiegazione e dal commento del grido di si alto suono (xxi 139-142). Tanto phi che le parole rivelatrici e confortanti di Beatrice conseguono alia sbigottita meraviglia dello stesso pellegrino che ha sentito, senza afferrarne le parole, il tuono altissimo da esse provocato. In ambito familiare e colloquiale (basti la replicazione, tipica del parlato quotidiano, ai vv. 7-8: Non sai tu... E non sai tu), entro un rapporto non ine-dito tra figlio impaurito (Dante) e madre premurosa (Beatrice), cioě di verisimile situazione psicologica, il mistero del grido (v. 12: da xxi 140) si chiarisce nei termini di una preghiera rivolta dai beati a Dio perché intervenga con giusto castigo a punire la cupidigia dei preláti. La generica vendetta, circoscritta anche cronologicamente in termini approssimativi (vv. 14-15), nel produrre in primo piano (vv. 16-18) la fede del profeta nella divina giustizia, ribadisce, pur nella sua indeterminatezza, la spe-ranza di Dante in una non lontana rigenerazione delia Chiesa. Preparata dall'invito di Beatrice (w. 19-21), la nuova puntata narrativa převede un altro sguardo del pellegrino alle luci dei beati e un secondo incontro con una di esse, la piu splendente (v. 28), che previene, dichiarandosi, ogni domanda (w. 31-36). Non c'e bisogno che lo spirito pronunci il suo nome per com-prenderne l'identita terrena; ě sufficiente che nella prima parte (w. 37-51) egli accenni alle imprese conventuali — la fonda-zione del monastero di Montecassino e la conversione degli in-fedeli abitanti nella zona, nei quali culminó il suo apostolato claustrale — perché ľinterlocutore e il lettore comprendano trattarsi di san Benedetto, fondatore di un famoso ordine e campione e padre del monachesimo occidentale. Nello scorcio rievocativo Dante si awale di un passo estratto dalla circostan-ziata biografia che Gregorio Magno dedica al grande monaco. Per quanto limitato a meno di una decina di versi, il confronto con le righe della fonte pone in risalto non pure le qualitä della rilettura creativa ma anche le segrete finalitä polemiche impli- cite nella riproposta ritrattistica. L'artista trascura affatto le vicende della giovinezza benedettina (dalla dimora in Roma al ritiro in una grotta del Subasio, alia fondazione dei primi monaster!) per concentrare il significato della missione nell'istitu-zione del convento di Montecassino. Le gesta del santo si apro-no con il disegno del colle appenninico, profilato sulla carta geografica, oltre che orograficamente (v. 37), dai costumi degli abitanti (vv. 38-39), in modo che la conversione dei pagani ap-pare preannunciata prima che esposta (vv. 44-45). La presenta-zione del luogo destinato al chiostro si lega anche formalmente («Qwe/monte...»; «equelsonio») alľautoritratto delparlante, che sacrifica con decisione i propri meriti, in rilievo nel reso-conto dei Dialoghi gregoriani (steso in terza persona), addebi-tando alia volontä provvidenziale la conversione degli infedeli: agli apici son io e to ritrassi (w. 40 e 44), al centro il nome di Gesú con la buona novella e la luce (relusse) della Grazia illumi-nante (v. 44). Vero ě che la narrazione di Benedetto ě orientata tutta alľesaltazione delľamore verso Dio, che con il suo ardore rende evangelicamente (vv. 46-48: e cfr. xxi 118-119) fiorenti e fertili i conventi (le metafore sono al proposito illuminanti); s'increspa di commozione (Qui... qui... qui) nel ricordo di quanti praticarono con coerente fermezza la vita del chiostro, di tutti i monaci benedettini (lifrati miei: con possessivo d'affe-zione), nonsolodeicontemplativiillustri (Maccario... Romoaldo). E qui, ai vv. 50-51, sembra riecheggiare un lemma della Regula («Officina vero... claustra sunt monasterii, et stabilitas in con-gregatione»), senza tuttavia che ľimplicito raffronto con il preserve affiori alia superficie. Lo impedisce il pellegrino con il suo quesito (vv. 52-60), originato da un desiderio che partecipa del fuoco caritatevole (affetto, ardor vostri, 'Isol). La risposta — un'esaltante celebrazione dell'Empireo, funzionale in effetti (vv. 70-72) al ricordo della scala, tramite fra Dio e l'uomo, vista in sogno da Giacobbe — immette al centro figurativo e te-matico dei canti saturnini: la scala celeste ě immagine di quella vita contemplativa che dalla terra perviene al cielo, ideale ter-reno del monachesimo trionfante un tempo in Oriente e in Oc-cidente, ora mortificato dai degeneri e indegni seguaci dei vari ordini. Rifluisce cosi dai canti xi-xn (alia coppia Francesco-Domenico succede il duo Pietro Damiano-Benedetto da Nor- 378 379 cia) il progetto riformistico del monachesimo al servizio della Chiesa e dell'umanitä tutta. E di nuovo, come Tommaso e Bonaventura avevano stigmatizzato violentemente la decadenza attuale dei rispettivi ordini in opposizione alia purezza dei fon-datori e delle origini, Benedetto, riprendendo Pietro, lamenta accorato e deplora addolorato la corruzione della sua istituzio-ne monastica. Piuttosto che nei suoi rappresentanti, qui la via del chiostro, raffigurata nel sacro simbolo biblico, viene esalta-ta, rievocata e rimpianta, negli ideali votivi di obbedienza, po-vertä, umiltä. L'elogio, sempre contenuto ma fermo, acquista indirettamente vigore dal biasimo dolente verso le condizioni attuali: con uno stacco marcato {l'avversativa Ma al v. 73) la voce di Benedetto batte in progressione di toni sull'attacca-mento degli uomini ai beni terreni, sull'accantonamento della regola (vv. 73-75: al centro, in rima, regola mid), per degradare, attraverso metafore di conio e sapore biblico (vv. 76-78: da spe-lonche a cocolle, e poi sacca... piene di farina), nella denuncia dell'abbandono e dello squallore patiti dal convento. Per un at-timo sembra che una sconsolata amarezza abbia la meglio sulla riprovazione moralistica, come se la sofferenza personale miti-gasse lo sdegno montante. E invece, con decisa sterzata (ancora un Ma: v. 79), tramite lo specifico capo d'imputazione — 1'in-debita appropriazione delle rendite claustrali contro la legge di Dio — tutti i beni ecclesiastici appartengono ai poveri —, la re-quisitoria processuale s'inasprisce precisandosi via via. L'accu-sa di aviditä s'abbatte con singolar forza sui monaci (le equiva-lenze tanto... quanta e quantunque... tutto; i moduli negativi non si tolle e non di parenti ne) sino a sfiorare maliziosamente, sia pure con stoccata generica, i costumi degli spregiudicati ne-potisti. L'enunciazione della fatale legge di decadenza cui sog-giacciono per fragilitä connaturata degli uomini gli istituti terreni, soggetti, come i prodotti della natura (e l'accostamento tornerä, seppur in altro quadro, a xxvn 124-126), a corruzione e peggioramento, promana una sorvegliata amarezza. L'« excursus* probatorio, tanto illustre quanto solido, autorevole non meno che categorico, pur senza allontanarsi dal bersaglio specifico — la folle aviditä dei monaci contemporanei, stigma-tizzata mediante il ricorso a due altissimi esempi, i fondatori di due gloriosi ordini, di vocazione ascetica, l'uno, san Benedetto 380 stesso, fornito, secondo i dettami della «Regola », di orazione e digiuno, 1'altro, san Francesco, di umilta {umilmente) —, tra-scende la problematica monastica. Dopo l'affermazione con-cernente la proprieta dei beni chiesastici (v. 82) e la debolezza degli uomini (w. 85-87), la menzione, atteggiata evangelica-mente anche nella forma (v. 88), posta a capo della lista, del principe degli Apostoli colpisce l'intera classe ecclesiastica. La seconda parte della dimostrazione comprovante la validita del principio generale, per quanto affidata ad una dizione metafo-rica, conferma il sospetto che il giudizio critico di san Benedetto coinvolga tutti i pastori della Chiesa. E tanto piu si avverte allora la sconsolata angoscia che intride la terzina conclusiva, ove persino la sintassi par mimare nei ritmi inconsueti l'ansia disperata di castigo e riscatto: qui (w. 94-96) sulla speranza di una punizione, sull'augurio del rinnovamento, s'impone la con-sapevolezza che 1'atteso soccorso divino nella squallida situa-zione sara quasi altrettanto miracoloso dei pivi straordinari prodigi biblici; e lo scorato abbandono e appena appena mi-tigato dal conforto del crucciato ricordo scritturale: nella vicenda degli Ebrei sul castigo dei malvagi prevalse la salvezza dei giusti. Chiuso sulla nota dei Salmi il discorso, la tensione narrativa s'allenta nell'azione: si dilegua, insieme agli altri con-templanti, san Benedetto, Beatrice spinge lungo la scala l'allie-vo verso l'alto, Dante s'avvia velocissimamente all'ottavo cie-lo. In corrispondenza e seguito all'entrata del pellegrino nella costellazione dei Gemelli, il canto inaspettatamente s'aderge riversandosi tutto a vantaggio del viandante. L'improwisa apostrofe al lettore (vv. 106-111), con quel giro maestoso dell'ottativo cadenzato sulla piu alta speranza, dove il legato dell'«enjambement» travolge come in un vortice la misura dei singoli versi, informa sul fulmineo apparire della nuova costellazione e suITaltrettanto subitaneo entrare di Dante in essa. Ai compiti informativi, assolti peraltro con sciolta eleganza (basti verificare 1'effetto espressivo prodotto dall'inversione retorica e dalla relativa correlazione al v. 109), l'appello accompagna altri propositi: ultimo messaggio lanciato dall'autore direttamen-te al lettore, e insieme un addio del personaggio alia terra e un arrivederci al cielo: nel momento in cui l'artista s'avvia a canta-re le sublimi dolcezze del phi alto paradiso, il pellegrino si con- 381 geda dal mondo con la speranza di tornare, dopo la morte fisi-ca, nella vita eterna, a contemplarle. Quest'avvertenza in par-ticolare, con la sua inimitabile mistione di Celeste e terreno, prepara la famosa invocazione alla costellazione dei Gemelli (vv. 112-123), che rappresenta una delle guglie della cantica. II poeta trasforma la topica domanda d'aiuto alle Muse in inarri-vabile discorso lirico. Alla vigilia di un eceezionale impegno ar-tistico, sull'esclusiva scorta di un argomento astrologico del tempo — l'influsso benefico dei Gemelli sugli studi e le belle arti, segno di predestinazione divina alla poesia —, lo scrittore si volge alle «sue» stelle per protestare la propria grandezza. La coscienza del magistero artistico attraversa squillando quest'inno di ringraziamento, dove la gran virtü astrale si riversa sull'jo riconosco (v. 113) lambendo io send' (v. 117) per attuarsi nel tnio ingegno (con quel tutto a capo del v. 114, distratto dal sostantivo tramite un parentetico, e calcola-to, qual che si sia); e quest'orgogliosa consapevolezza si flette soltanto nel riconoscimento che l'alta missione di veritä e di poesia e stata decretata dall'Altissimo (v. 118 mi fu grazia largi-ta; v. 120 mi fu soriita). Chiamato dunque per imperscrutabile volontä divina all'eccezionale esperienza, alle soglie della prova decisiva — la visione di Dio e la sua trascrizione verbale —, Peletto innalza la prece di aiuto alla costellazione che l'ha visto nascere e ora, nel cielo stellato, lo ospita: e l'io soggetto dell'ar-tista si converte dinanzi al passo forte del Paradiso, cioe al verti-ce cruciale e sgomentante della creazione artistica, in segno di estrema umiltä e massima adesione sentimentale ai disegni provvidenziali, neü'anima mia che quasi stilnovisticamente (Tanto gentile, vv. 2 e 14) sospira, impetrando assistenza ed aiuto nell'impatto decisivo. Le parole di Beatrice (vv. 124-132), con il loro sapore ortativo e consolatorio, da un lato riafferma-no oggettivamente, all'esterno, la singolaritä del passaggio (vv. 124-126), ribadendo la necessitä di una capacitä visiva adegua-ta all'oggetto, dall'altro, invitando l'uomo a volgersi verso il suo mondo per rincuorarsi con la vista del cammino e del tra-gitto compiuti, consentono che in un attimo di raccoglimento cosf alto l'ombra dell'umano risusciti accanto al bagliore del di-vino. Lo sguardo a ritroso di Dante, che si prolunga nella de-scrizione del cosmo sino alla fine del canto (vv. 133-154), e il naturale completamento della trepida preghiera rivolta me-diante la costellazione zodiacale a Dio. Sostenuta dalle luci or-mai chiare e acute del veggente in prima persona {vidi al v. 134, Vidi al v. 139, sostenni, e vidi al v. 143, m'apparve al v. 145, mi si dimostraro al v. 148, m'apparve al v. 153), la visione topica dall'alto si modella in particolare su uno squarcio del ciceronia-no Somnium Scipionis. Al di Ik della diversitá narrativa di impo-stazione (basti rammentare che Scipione viene invitato dalTAfricano a non sostare troppo a lungo nella contemplazio-ne della terra), essi dividono in comune il raffronto tra la mae-stosa grandezza dei cieli e la vile angustia del globo, che ma tura nel loro descrittore un disprezzo per le cose terrene pari all'ap-prezzamento per quelle celesti. Eppure, a prescindere dal fatto che le concordanze contenutistiche non scoprono mai nel rie-cheggiamento calchi servili o riprese passive, la lettura classi-ca agisce nella ricreazione in prospettiva cristiana di Dante come stimolo fantastico ad una autonoma proiezione, ad una percussione originále del tema nella storia dell'ultima ascesa. Nella tregua momentanea delTazione, lo spettacolo interpreta il raccoglimento meditativo del pellegrino e del poeta dinanzi ai Gemelli e al passo forte, coagulando le sensazioni momenta-nee del contemplante e i sentimenti profondi dell'autore: in-corniciati dalle due notazioni intorno alia terra (w. 134-138 e 151-153), i sette pianeti sfilano in una sintesi potente ed elegante, che ferma i connotati scientifici di ciascuno senza scor-dare, nei nomi, le antiche favole a monte, cosi che, all'inizio e alia fine (vv. 139-141 e 146-147), la rilevazione tecnica delle loro proprieta si associa sperimentalmente al ricordo personále del viaggiatore. Poco rileva che Dante non potesse, secondo gli odierni scienziati, ammirare dalla costellazione dei Gemelli i sette pianeti, ché qui il lettore dei classici prende il posto dell'astronomo, subentrando nel ruolo dell'Africano, il quale avalla con la sua «auctoritas» di modello 1'infrazione tecnica. Vero é piuttosto che dopo la smagliante sfilata planetaria, l'og-getto della visione (la grandezza, la velocitá, la dimora dei sin-goli astri) é riassunto (vv. 148-150) con puntuale riepilogo (quanto... quanto... come) non semplicemente a fini didattici. Preme su questa colorata carta astronomica, segnata, ai confi-ni, dal vil sembiante (v. 135) e dall'aiwoiz (v. 151), il robusto 382 383 senso dantesco delle vanitä terrene, di una «vanitas vanita-tum» biblica e medievale, orientato dallá infinitä e bellezza delle sfére alio sprezzo violento verso un mondo meschino e miserabile ehe si dilegua mentre si spiega da' colli a le foci (le «latera» e i «vertices* ciceroniani) interamente (potentissimo quel tutta a capo del v. 153). Ľaiuola che ci fa tanto feroci ě pe-rifrasí spoglia del sentimento di ieratica lontananza ehe ďistin-to vi avvertirono i lettori romantici, ma carica, per contro, di un'ironica antitesi (la terra cosi piecola e cosi malvagia) ehe conforta il laico e il cristiano al distacco etico-religioso dal mondo. Oltre le coordinate delia tradizíone letteraria, sul limi-tare delľeterno, cure e inquietudini verso il presente e il terre-no vaniscono e smorzano di fronte all'incalzare delia visione. E un addio alia terra, anche se non ě questo ľultimo sguardo del pellegrino all'indietro (cfr. xxvn 76-87), fermo e struggente perché, bilicato, nella memoria del poeta, tra il nulla e il tutto, tra sé uomo e sé beato. A queľľaiuola si oppongono, vincenti nella contemplazione finale, gli ocebi belli di Beatrice. Bibuografia: A. Chiari, II canto di San Benedetto, in Tre canti danteschi, Vare-se 1954; G. Varanini, 11 canto xxndelParadho, in AA. W., Lectura Dantis sca-ligera cit., pp. 787-820; E. de Michelis, IIcanto xxadelParadiso, in AA. VV., NuoveIetturedanteschec.it., vn, Firenze 1974, pp. 35-76. canto xxiii Dante in contemplazione di Beatrice (vv. 1-15). - II trionfo di Cri-sto tra le anime beate (vv. 16-45). - Riso di Beatrice e dicbiarazio-ne del poeta (vv. 46-69). - Visione delle anime trionfanti (vv. 70-87). - Apoteosi della Vergine Maria (vv, 88-111). - Maria risa-le all'Empireo (vv. 112-120). - Inno dei beati alia Vergine (vv. 121-129). - San Pietro tra i beati in trionfo (vv. 130-139). Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido de' suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, che, per veder li aspetti disiati e per trovar lo cibo onde li pasca, in chegravi labor li sono aggrati, previene il tempo in su aperta frasca, 2 dopo essersi riposato presso il nido dei propri diletti figli. Ncl mosso quadro comparativo, percorso da re-miniscenze e suggestioni classiche in qualche particolare (l a*\