giulio ferroni andrea cortellessa italo pantani silvia tatti storia e testi delia letteratura italiana dalle origini al 1300 4 MOVDVDOKI U N I V E RS ITA 225 230 *35 So delia Taula Ritonda, Tristano ed Isotta la bionda; e come ľuom tutto si monda: e ke '1 peccato no'l confonda, si dé mondare. Or no-mmi vogl[i]o nominare né per nome ricordare: troppo si converria cercare anzi ke '1 potessi trovare, tant'e serrato. Lo mio nome ě dimezzato; per metade so' chiamato; ľaltra metade ě, dal suo lato, lo leone incoronato con fresca cera; cui di me vuol, parauľ ä íntera. EPOCA i LA crviLTÄ r™. U-ta COMuNaie FINU AL íjqq BI.* La letteratura religiosa cido bretone, come ü mago Merlino; re Artu, che al suo tempo (al temporale) nacque proprio grazie alľintervento di Merlino, che aiutö il packe ad unirsi alla madre; la Tavola rotonda; Tristano e Isotta; cutale per cotale é forma delľanti-co senese. w. 114-126. al culmine del proprio sape-re il giullare mette una prospettiva religiosa; sa anche come l'uomo si purifica dal peccato, e ribadisce che l'uomo si deve purificare, affinché il peccato non lo porti a rovina {confonda). w. 127-131. Ora non voglio dire il mio nome né (voglio) che esso venga ricordato: bisognercbbe cercarlo troppo a lungo prima di poterlo trovare, tanto é nascosto. w. 231-237. In questa ultima strofa lau-tore sembra fornire una chiave per ü proprio nome, dicendo che il suo nome é dimezzato, che egli ě chiamato per metä. che l'altra sua metá ě il leone bianco {con fresca cera, con volto chiaro) incoronato; e chi vuole sapere di lui ha parola intera. In realtä sembra trattarsi di una sciarada, per cui il nome dimezzato sarebbe Gert (di solito in Toscana abbreviazione di Ruggieri) e l'altra metä sarebbe la voce del leone, che «rugge», quindi Ruggieri-ma il leone bianco incoronato é lo stem-ma del popolo senese, per cui forse «il ri-matore vuol dire che, chiamato solita-mente Ruggieri, egli ě nella sua piena de signazione Ruggieri da Siena» (Contini). San Francesco ď Assisi Cantico difrate Sok II titolo Cantico difrate Sole {Canticum fratris Solis) ě attestato dalla piú antica vita di san Francesco, attribuita al suo discepolo frate Leone, la Le-%mda antiqua o Speculum perfectionis ("Specchio della perfezione"), che racconta che esso sarebbe stato composto dal Santo due anni prima della morte, a san Damiano, dopo una notte di sofferenze: la Legenda motiva il titolo con il proposito di mostrare che «sol est pulchrior aliis creaturis, et magis potest assimilari Deo» ("il sole ě piú beilo di tutte le altre creature e piú di tutte puö assimilarsi a Dio"). Sia questo titolo sia ľaltro con cui questo primo testo della tradizione poetica italiana ě stato presto designa-to (Landes creaturarum o Cantico delle creature) mostrano il suo legame con varie espressioni della poesia religiosa, e in particolare con la poesta della Bibbia, specie con i salmi dedicati alle lodi (laudes) di Dio, dove va-riamente ě ripetuto ľimperativo Laudüte (essi erano molto usati nella liturgia della Chiesa). Notevole la consonanza (indicata giä da uno dei pri-rai biografi di san Francesco, Tommaso da Celano) con il Cantico dei tre povanialla fornace contenuto nel Libro di Daniele (3,51-89).Dasato s" ver" setti a coppia di lodi a Dio, il primo introdotto dall'imperativo Benedicite ("Benedite") e indirizzato volta per volta alle diverse forme del creato u sccondo costituito dalla ripetizione costanře di una stessa formula di ode (per esempio: «Benedicite, sol et luna, Domino, / laudate et superexaitate eum in saecula. / Benedicite, stellae caeli, Domino, / laudate et superexai-,ace e"m in saecula. / Benedicite, omnis imber et ros, Domino, '^u°fe" superexaitate eum in saecula...», "Benedite, sole e luna, il Signore■ loaa-fdo ed esaltatelo in eterno. / Benedite, stelle del cielo, il Signore, / Jod«e-'» ed esaltatelo in eterno. / Benedite, pioggia e rugiada, il Signore /10 telo ed esaltatelo in eterno..."). D'altra parte san Francesco aveva g«com Posto varie preghiere in latino, proprio sul modello de. «" U Exbortatio ad laudem D/("Esortazione alia lode di * " totdomna horas dicendae ("Laudi da dirsi a tutte le ore ), basate P Pno sulla ripemione di formule come laudate, hudemus ecc. La compos izione 172 Discordanzc sulla forma origin aria deltesto HP0CAI UOWi«^ wlínEK^«U^S-F^CESa)D,ASSISI 173 La lode a Dio 1-a "teologii > e fraterno (notáre l'uso dei termini frate e sora) con le formě della nátura: e, secondo alcuni eritici, si lega anche ad un espli-cito obiettivo polemico, quello di esaltare la bontá del creato e di ricorda-re la minaccia della dannazione eterna contro le posizioni di qucgli eretici (in primo luogo i catari), che affermavano la nátura «cattiva» e diabolua del mondo fisico e la bontá della sola realtá spirituále e oltremondana (ne-gando tra 1'aftro 1'esistenza dell'inferno e la resurrezione dei corpi I, [edizione: Poeti del Duecento, a eura di G. Contini, vol. I, cit.] Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e 1'honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfano, et nullo homo ěne dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature. spetialmente messor lo frate sole, v. 1. bon Signore: Colui da cui deriva tutto ció che ě buono. v. 2. tue so': sono tue, spettano a Te; solo a Dio appartiene la possibilitá di lodare Dio; onne: ogni, tutte le benedizioni. v. 3. se konfano: forma umbra: si confan-no, convengono, si addicono. v. 4. nessun uomo ě degno di nominar-ň; ěne, "ě", forma umbra; dignu, latini-smo per degno; mentovare per "nomi-nare, chiamare" ě voce dialettale umbra (Baldelli). v. 5. cum: forma lalina della preposizione con, che per i] Casella vale «cosi comc», estendendo la lode di Dio a tuttc le creature; ma da allri viene imetfnclato con valore di compagnia (insteme alle creature) o di strumento (per mezzo delle creature), o comunque negli stessi modi 111 cui viene interpretato il successive per (cfr. v. 10). v. 6. messor lo fratc: messcr (ralello sole-; Wil- li lingiu|g(iii c lo stile 20 15 EPOCA I LA CIVILTÁ COMUNALE FINO AL i300 lo quale iorno, et allumini noi per lui. Et ellu ě bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle: in celu lai formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dái sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale ě multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello ě bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke '1 sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati. TI z LA LETTERATURA RELIGIOSA. SAN FRANCESCO d'ASSISI sore forma umbra, traduzione del latino do-minus, "signore". v. 7. iorno: luce del giorno; allumini noi per lui: ci illumini per mezzo di lui. v. 8. radiante: radioso. v. 9. porta significato di te, ě simbolo di te (e questo valore del sole giustifica an-che il titolo del componimento). v. 10. per sora luna: per le varie interpre-tazione di per (a causa di, per mezzo di, attraverso ecc), cfr. introduzione al bra-no; sora ě forma arnica per sorella. v. 11. clarite: chiare, brillanti, splendenti, lucenti. v. i}, tutto il verso si riferisce ai modi di esscrc deH'aria (primo dei quattro elementu; al vento, alle nuvole, al sereno, e a ogni possibile tempo atmosferico. v. 14. attraverso cui (per mezzo dell'aria e delle sue varie condizioni stagionali) dai nutrimento alle tue creature, v. 16. casta: pura. v. 18. ennallumini: illumini: forma simile a allumini del v. 7, con prefísso raddop-piato, e con perfetta simmetria, dato che il fuoco corrisponde al sole, ě come un suo sostituto (e ancora nel v. 19, ed ello e bello, rinvia direttamente al v. 8, Et ellu ě bellu, detto a proposito del sole), v. 19. robustoso: robusto, con il suffisso -oso, che ha un forte carattere espressivo. v. 21. sustenta et governa: i due verbi si-nonimi indicano la funzione di nutrire attribuita alla terra sia dalla cultura paga-na che da quella biblica. v. zz. coloriti: vivaci, di molti colori. v. 14. sopportano malattia e sofferenza; sostengo per la terza persona plurále (so-stengono) ě forma dei dialetti delTltalia centrále. v. 25. '1 sosterrano in pace: sopporteranno con rassegnazione. v. 26. ka: giacehé; sirano incoronati: sa-ranno premiati, riceveranno ricompensa 3° Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporate, da la quale nullu homo vivente pô skappare: guai a-cquelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarä ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no '1 farrä male. Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. nella beatitudine del Paradiso (sirano ě forma umbra). v. 27. sora no stra mořte corporale: anche la morte del corpo ě nostra sorella e va accolta come manifestazione della vo-lontä di Dio. v. 28. pi> skappare: puo sfuggire, sottrarst a lei. v. 30. beati quelli che la morte troverä in grazia di Dio, legati alle sue santissime volonta. v. 31. dal momento che la mořte spirituále, la dannazione (chiamara mors secunda ne\['Apocalisse) non fara loro male. w. 32-33. abbandonata la forma passiva Laudato si', gli ultimi versetti si rivolgono a tutto il creato, che nei versi precedenti ha fatto da tramite della lode divina, con un invito a lodare, benedire, ringraziare e servire Dio con costante umiltä, secon-do i modi dei salmi biblici (basati su formule come Laudate e Benedicile); serviateli ě un congiuntivo esortauvo, con il suffisso -/; al dativo (a lui), che segue la costruzione del verbo latino servire. ll6 EPOCA I LA OVILTX COMUNALE PINO Al ,300 TI! LA LETTERATURA RELIGIOSA. IACOPONE DA TODI - LAUDE Donna de Paradiso Noto anche con il titolo di Pianto della Madonna, questo celebre compo-nimento, che costituisce uno dei risultati piü alti della poesia volgare del secolo Xl'n, e una lauda drammatica, composta cioe in forma di dialogo tra voci diverse, anche se non ancora in forma direttamente teatrale (destina-ta comunque ad una recitazione a piü voci, la lauda drammatica sarä il mo-dello da cui si svilupperä lo schema piü specificamente teatrale della sacra rappresentazione: cfr. GENERI E TECNICHE, tav. 35). II racconto della pas-sione di Cristo viene svolto seguendo il modello evangelico, ma dando un particolare risalto al suo carattere umano, e mettendo al centra la soffe-renza della Madonna, il suo lacerante dolore di madre di fronte alio scem-pio che deve subire la propria creatura, il suo assumere su di se, sul proprio stesso corpo, il martirio del figlio. La considerazione del dolore di Maria per la passione del figlio era giä presente in vari testi del secolo XI e XII: e nel secolo xm una piü profonda attenzione agli aspetti umani della passione era stata diffusa, anche a livello di devozione popolare, proprio dall'ordine francescano, di cui faceva parte Iacopone (che probabilmente e autore anche di una celebre sequenza latina su questo tema, lo Stabat Mater). In questa grande lauda sono proprio le voci drammatiche a raccontare i momenti cruciali della passione: da inizio al componimento un narrato-re, il quale si rivolge alia Madonna e, a piü riprese, fino al momento della crocifissione, le descrive i diversi tormenti che il figlio subisce (le sue bat-tute sono sei, ai w. 1-7, 12-15, 2°-24, 48-51, 56-59, 64-75). Molti interpreti identificano questo narratore con san Giovanni, che viene chiamato in causa verso la fine sia da Cristo (w. 104-in) sia da Maria (w. 128-129); una funzione narrativa ha anche la voce collettiva del popolo, che si inserisce con violenza in due sole strafe (w. 28-31 e 36-39), chiedendo che Cristo sia crocifisso, posto in mezzo ai ladroni e coronato di spine. Gli awenimenti cosi raccontati sembrano accadere sullo sfondo, fuori scena: ma ogni nuo-vo momento offre un motivo ulteriore di sofferenza alia Madonna, lacera piü fortemente la sua voce, che passa dallo sgomento e dalla sorpresa della prima battuta (w. 8-11) a richieste di soccorso (a Maddalena, w. 16-19) e di pietä (a Pilato, w. 24-27, e alia folia proterva, w. 32-35), fino a prorom-pere nel grido e nell'invocazione disperata al figlio (w. 40-47, in cui lapa-rola figlio viene insistentemente ripetuta), a rivolgersi alia croce stessa (w. 52-55) e poi a guardare finalmente ü figlio spogliato e ensanguenato (w, 60-63) Dopo che il narratore, nella sua ultima battuta (al centra della lauda), ha descritto la scena della crocifissione, Maria inizia, come ella stessa sot-tolmea («Et eo comenzo el corrotto», v. 76), il vera e proprio lamento, che ora 'n Poi si espande, in un dialogo con il figlio crocifisso: la prima battuta di Cristo (w. 84-87) si svolge con una tenera e tutta umana manifesta-zione di dolore per la sofferenza della madre, mentre nelle due battute successive (w. 92-95,104-m) egli la consola affidandola ai compagniche continueranno la sua missione e in particolare a Giovanni, presente al sup-piizio. Questo scambio di battute tra Cristo e la Madonna e regolato dal-la ripresa delle parole semplici e pure che indicano il loro legame umano [Mamma e Figlio); e in tutta la parte finale, piü ampia, del lamento della Madonna (w. 112-135) la parola figlio viene insistentemente ripetuta, in ap-passionate invocazioni, accompagnate da una fitta serie di attributi. II linguaggio di Iacopone Integra nel modo piü suggestivo toni di rea-lismo popolaresco con molteplici riferimenti culturali, con citazioni bi-bliche, entro una costruzione sottilmente calcolata. Lo stesso numero e successione delle strofe, come ě stato indicate da F. Mancini, risponde ad una precisa intenzione simbolica: infatti, se si esclude la ripresa, le strofe della laude sono 33 (gli anni di Cristo al momento della morte), quelle dedicate (da parte del narratore) al racconto della crocifissione sono 3 (il numero della Trinitä, sempře carico di risonanze simboliche) e si collocano, come si ě giä detto, proprio al centra della lauda, separandola in due parti (quella in cui interviene il narratore e quella del corrotto, il lamento fu-nebre, e del dialogo con il figlio), che sono perfettamente uguali (ciascu-na di 15 strafe). La dimensione religiosa giunge qui ad identificarsi totalmente con il senso del dolore e della sofferenza materna, in una spoglia essenzialitä, senza nulla di patetico o di languido: nella sapientissima articolazione del dialogo, negli echi e neue risonanze che si svolgono tra le diverse battute, nel senso stesso della fisicitä dello strazio, risuona una grande poesia del dolore assoluto, fissato come qualche cosa di eterno, in un infinito ripe-tersi. Per quanto, nella prospettiva religiosa di Iacopone, il tormento della passione trovi giustificazione nel piano divino della redenzione dal pec-cato, la sua poesia e la sua sensibilita sembrano comunque concentrarsi piú nettamente sulľinestinguibile lacerazione del dolore, sullo struggi-mento della madre, sul suo volersi identificare nella morte del figlio: e infatti, nel richiamo alla profezia di Simeone, riportata dal Vangclo di Luca. 2,35, che conclude la lauda, 1'abbraccio della madre e del figlio nella morte, si fissa come un'immagine eterna, conclusiva, di un dolore senza scam po, «trovarse abbraccecate / maťe figlio impiccato». metro: struttura della balkta mezzana con ripresa di tře settenari (yyx) e strofe di quat tro settenari aaax: solo in pochi casi si hanno degii ottonari. «Donna de Paradiso, lo tuo figliolo ě preso Iesú Cristo, beato. Accurre, donna e vide che la gente ľallide; credo che lo s'occide, tanto l'ö flagellato». v. i. de Paradiso: del cielo. v. 1. preso: «fatto prigioniero»; notáre la rima siciliana Paradiso /preso. v- 4- accurre... vide: forme dell'imperativo. v 5 l'aliide:«lop«cuote« (da tf//'*«', "bartere I. v 7. l'ö: lo hanno. ;eun latinismo 2l8 EPOCA I LA CIVILTÄ COMUNALE FINO AL '300 TM LA LETTERATURA RELIGIÖS A. IACOPONE DA TODI - LAUDE -5 «Como essere porria, ehe non fece follia, Cristo, la spene mia, om l'avesse pigliato?». «Madonna, ello ě traduto, Iuda si ll'ä venduto; trenta denár' n'ä auto, fatto n'ä gran mercato». «Soccurri, Madalena, ionta meadosso piena! Cristo figlio se mena, como ě annunziato». «Soccurre, donna, adiuta, cä '1 tuo figlio se sputa e la gente lo muta; ölo dato a Pilato». «0 Pilato, non fare el figlio meo tormentare, ch'eo te pôzzo mustrare como a ttorto ě accusato». «Crucifige, crucifige v. 8. «Como... porria: come potrebbe essere accaduto. v. 9. follia: atto malvagio. v. 11. «che lo abbiano catturato»; om ě soggetto impersonale (come il francese on). I versi 8 e n sono legati sintattica-mente, mentre i due intermedi costitui-scono una forma incidentale, parentetica in cui si esprime, rapidamente, la causa delia giustificazione della sorpresa di Maria. v. 11. traduto: tradito (forma di participio meridionale). v. 15. «l'ha venduto a gran prezzo», detto in modo ironico, per dire il contrario («a basso prezzo»): si tratta del tradimento di uno degli apostoli, Giuda, che vendet-te Cristo per trenta denari. v. 17. mi ě arrivata addosso una piena, come un fiume in piena, cioě un «male repentino e irreparabile» (Contini): qui Maria si rivolge a Maddalena, la peniten-te che, insieme all'apostolo Giovanni, l'assiste ai piedi della croce. w. 18-19. «viene portato via, come e sta-to annunciato»: traduce direttamente una formula evangelica, «vadit, sicut scriptum est de Mio» ("Egli se ne va, come era scritto di lui" Matteo, 26, 24). v. 10. soccorrilo, donna, aiutalo. v. 11. che il tuo figlio viene coperto di sputi (cfr. Marco, 14, 65: «Et coeperunt quidam conspuere eum», "e alcuni co-minciarono a coprirlo di sputi"). v. 22. lq muta: lo trascina, lo porta da un'altra parte (da Pilato, come e detto nel v. successivo). v. 2}. ölo: lo hanno. v. 28. l'imperativo latino, in bocca alia folia, riprende direttamente quanto fl-portato da Giovanni, 19, 15: «DU autem clamabant. Tolle, toDe, crucifige eum» 30 40 45 Omo che se fa rege, secondo nostra lege contradice al senato». «Prego che mm'entennate, nel meo dolor pensate! Forsa mo vo mutate de que avete pensato». «Traiän for Ii latruni, che sian soi compagnuni; de spine s'encoroni, che rege ss'e clamato!». «O figho, figlio, figho, figlio, amoroso giglio! Figlio, chi da consigho al cor me' angustiato? Figho occhi iocundi, figho, co' non respundi? Figho, perche t'ascundi al petto o' si lattato?». ("Maessigridavano: Dai, dai, fallo croci-figgere"). v. 19. che se fa rege: che pretende di essere re (di questo veniva accusato Cristo). v. 30. lege: legge. v. 31. va contro gli interessi politici di Roma (ma anche qui si traduce Giovanni, 19,12, «Omnis qui se regem facit contradiät Caesari», "Ognuno che si fa re va contro gli interessi di Cesare"). v. 32. mme 'entennate: «mi intendiate, mi ascoltiate» (con l'assimilazione di -nd- in -nn, tipica dei dialetti meridionali): ora Maria si rivolge alia folla. v. 33- pensate al mio dolore. 33-34- «forse ora voi cambiate idea, rispetto a ciö che avete prima consi-derato»: si noti la delicatezza e l'inge-nua dolcezza di questa ipotesi di Maria, die ignora l'ottusa ferocia deüa folla, e l'eco sottile tra pensate del v. 32 e pensato del v. 34. v- 3*. Traiin for: tiriamo fuori (dal car-cere). v- 37> compagnuni: compagni (per essere con lui crocifissi): notare la rima siciliana con encoroni. w. 40-47. Questa prima invocazionc del la Madonna a Cristo (che anticipa il la mento vero e proprio che avrá luogo a partire dal v. 76) inizia con un verso in cui la parola figlio é ripetuta ire volte, a cui seguono due versi che iniziano an ch'essi con figlio, riecheggiaia dalla nma -iglio, cui segue una strofa i cui primi tre versi iniziano ancora con figlio: oltre a ri volgere al figlio gli epiteti affettuosi dci w. 41 e 44 (in questo verso occhi iocundi, "con gli occhi che danno gioia", ě ícco-stato al vocativo come una semplice »p-posizione, senza la preposizione che ci si aspetterebbe: la sintassi di lacopone pro cede anche qui per rapide associazioni), Maria gli rivolge accorate domande («chi dá consiglio / al cor me' angustiato?», "chi consola il mio cuore disperato?"; «co' non respondi?». "perché non ri-spondi?"; «perche t'ascundi / al petto o' si lattato?», "perché ti nascondi al petto dal quale sei slato allattato?". EPOCAI LAdVILTÄCOMUNALEFINOAlijoo Tl.* 5° 55 60 65 70 «Madonna, ecco la croce, che la gente I'aduce, ove la vera luce dei essere levato». «O croce, e que farai? El figlio meo torrai? E que ci aponerai, che no n'ä en se peccato?». «Soccurri, plena de doglia, cä '1 tuo figliol se spoglia; la gente par che voglia che sia martirizzato». «Se i tollit'el vestire, lassatelme vedere, com'en crudel firire tutto l'ö ensanguenato». «Donna, la man Ii e presa, ennella croc'e stesa; con un bollon l'ö fesa, tanto lo 'n cci ö ficcato. L'altra mano se prende, ennella croce se stende e lo dolor s'accende, ch' e plu multiplicato. v. 49. l'aduce: la porta. w. 50-51. «dove deve essere innalzato Cristo, che e la vera luce»: levato e con- cordato non con luce, ma con Cristo, sot- tinteso. v. 53. torrai. «toglierai, porterai via». Di grande tenerezza questa allocuzione di Maria alia croce, di cui ella invoca la pieta, come prima aveva fatto con la folia, v. 54. <■ cosa gli attribuirai a colpa. v. 56. plena di doglia: piena di dolore (il narratore si riferisce a Maria, il cui nome c soitinteso): rovescia il tradizionale attribute ddl'Ave Maria, «gratia plena», piena di grazia. v. 57. dal momento che il tuo figlio viene spogliato. w. 60-63. "Se gli togliete i vestiti, lascia-temelo vedere, come nelle crudeli ferite I'hanno tuito insanguinato»: vestire e fi- rire sono infinití sostantivati; notáre la ri-ma siciliana con vedere. v. 64. ilúzia qui ľultima battuta del narratore (le tre strofe al centro della lau-da), che descrive nei particolari 1'atto della crocifissione: ognuna delle tře strofe ě dedicata alle tre membra in cui vengono conficcati i tre chiodi, uno per ogni mano, e il terzo per i piedi; notáre che i participi in rima presa e stesa, rífe-riti a una delle mani, sono ripresi nei due indicatívi presenti in rima nei versi corrispondenti della strofa successiva, riferiti all'altra mano, prende e stende (mentre nella terza strofa vi corrisponde solo la parola in rima del primo verso, prěnno). w. 66-67. con un chiodo ľhanno ferira trafitta {fesa, á&fendere), tanto ce lo han-no conficcato. 75 80 u LETTERATURA RELIGIOSA. IACOPONE DA TODI - LAUDE Donna, li pě se prěnno e clavellanse al lenno; onne iontur'aprenno, tutto ľ ö sdenodato». «Et eo comenzo el corrotto; figlio, lo meo deporto, figlio, chi me tt'ä morto, figlio meo dilicato? Megho aviriano fatto ch'el cor m'avesser tratto, ch'ennella croce ě tratto, stače descüiato!». «O mamma, o' n'ei venuta? Mortal me dä' feruta, cä '1 tuo plagner me stuta, che '1 veio si afferato». «Figlio, ch'eo m' aio anvito, figlio, pat'e mmarito! Figlio, chi tt'ä firito? Figlio, chi tt'ä spogliato?». «Mamma, perché te lagni? Voglio che tu remagni, 85 90 v. 7x. li pé se prěnno: vengono presi i piedi. v. 73. vengono inchiodati al legno. n- 74"75- squarciando ogni giuntura, lo hanno tutto snodato, slogato. v. 76. «E io comincio il lamento fune-bre»: indicazione che segna 1'inizio della seconda pane della lauda, dove alla parola di Maria si intreccia solo quella di Cristo sulla croce. v. 77. lo meo deporto: il mio piacere, la mia gioia (apposizione di figlio): ě termine in uso nella Urica amorosa. v. 78. figlio, chi ti ha ucciso (strappando- ti) a me? v. 79. dilicato: deliziöse w. 80-83. Avrebbero fatto meglio se mi avessero strappato il cuore, che ě disteso (due diversi significati di tratto, ripetuto ui rima equivoca) sulla croce, e ci sta straziato. v- 84. mamma: Cristo chiama la madre con la parola affettuosa, tipica del linguaggio infantile e (amUiarc, e le chiede perche c li (o' n'ei venuta?, "dove sci venuu?"). v. 85. Una (erita mortale mi procuri. w. 86-87. dato che il tuo piangerc mi spegne, mi uccide, che lo vedo cosi an goscioso (afferato, da few). v. 88. m'aio anvito: ne ho mouvo. Ritorna in questa strofa l'anafora di finlio fgia ai w. 40-47), che trovera nuovo insistentr sviluppo piu avanti. v. 89. secondo un uso tradizionale, allu de al mistero dell'incarnazione e del rap-porxo di Maria con la Trinita: Dio c stio figho in quanto Cristo. ma e anchc padre (pat') in quanto Dio padre dclle creature e sposo in quanto Spiriro Santo, che in la ha concepito Gesti. w. 93-9$. «Vog)io che tu resti, che assista i miei compagni, quelli che ho acquistato nei mondo»: anchc sulla terra M.iru de- . „ci irioSA 1ACOPONE DA TOD1 - LAUDE EPOCA I LA OVILTA COMUNALE FINO AL 1300 „ , LA LETTERATUKA RELKil«w 95 105 che serve mei compagni, ch el mondo aio aquistato». «Figlio, questo non dire! Voglio teco morire, non me voglio partire fin che mo 'n m'esc' el fiato. C'una aiän sepultura, figlio de mamma scura, trovarse en afrantura mat'e figlio affocato!». «Mamma col core afflitto, entro 'n le man' te metto de Ioanni, meo eletto, sia to figlio appellate. Ioanni, ěsto mea mate: tollila en caritate, äginne pietate, cä '1 core si ä furato». «Figlio, Talma ťě scita, figlio de la smarrita, figlio de la sparita, figlio attossecato! ve contribuire alla continuitä della mis-sione di Cristo. v. 99. «fino a quando non esalo l'ultimo respiro»: espressione popolaresca, di forte evidenza realisüca. v. 100. Che abbiamo un'unica sepoltura (forma ortativa). v. 101. scura: infelice, sfortunata. w. 102-103. trovandosi (infinito in luogo del gerundio) in soff erenza la madre e il figlio soffocato. w. 105-106. Ti metto nelle mani, ti affido a Giovanni, il mio prediletto. v. 107. «sia riconosciuto e chiamato tuo figlio»: in questa strofa Cristo si rivolge alla madre, nella successiva a san Giovanni, suggellando il loro legame di madre e figlio, seguendo quanto raccontato nello stesso Vangelo di Giovanni, 19, 26-27; nei versi precedenti notare la rima si-ciliana -etto I -itto. V. 108. ěsto: ecco. v. 109. prendila per carita. v. 110. áginne: abbine, abbi di lei. v. m. poiché ha il cuore cosi forato, tra- fitto. v. ni. ťě scita: ti ě uscita (dal corpo); sei motto: ě il momento della morte di Cristo, che da luogo alia parte piú ampia del lamento di Maria; qui la série di versi che iniziano con figlio, giá svolta ai w. 39-46 e 88-91, viene portata all'estremo, esten-dendosi per quattro strofě (dove solo il v. 127. rultimo di questa série di strofě, non inizia con figlio); nella seconda di queste strofě (w. 116-119) figlio viene anche a specchiarsi (come accadeva nei w. 40-42! nella rima -iglto. v. 114. sparita.: disperata. v. 115. attossecato: awelenato; altro termine di forte espressívítá popolaresca. 110 115 130 135 Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio, figlio, e a ccui m'apiglio? Figlio, pur m'ai lassato! Figho bianco e biondo, figlio volto iocondo, figlio, perché ťá el mondo, figho, cusi sprezzato? Figlio dolc'e placentě, figho de la dolente, figho ate la gente malamente trattato. Ioanni, figlio novello, morto s'e '1 tuo fratello. Ora sento '1 coltello che fo profitizzato. Che moga figho e mate d'una morte afferrate, trovarse abraccecate mat'e figlio impiccato!». v. 116. bianco e vermiglio: riecheggia il Cantico dei cantici, 5, 10 «Dilectus meus candidus et rubicundus», "Il mio diletto ěcandido e rubicondo". v. 117. senza simiglio: senza uguali. v. 118. a ccui iríappiglio: a chi mi aggrap- po, mi affido. v. 119. pur: del tutto, completamente. v. 113. sprezzato: disprezzato. v. 126. ate:tiha. w. 128-131. nel rivolgersi a Giovanni, suo nuovo figlio, Maria non riprende le indi-cazioni sulla sua missione di guida agli apostoli, ma insiste sulla sua disperazione di madre, si concentra su queUa lacerantc visione di morte, sentendosi trafiggere da quel coltello iudicata dalla pmíezia del sacerdote Simeone («et ruam ipsius ani mam pertransiet gJadius», "e una spadá ti trapasserá lanima", Luca, 2,35). v. 132. moga: muokao (per questa forma cfr. Oi dolze amore, v. 12, p. 213). w. 133-135. presi da una sola mořte, tro vandosi (infinito in luogo del gerundio, come al v. 102) abbracciati la madrec il figlio appeso alla croce. Que farau Pier da Morrone? Questo componimento si riferisce ^éezione al soglio ponďicio di Cele i"no V (Pietro Angeleri da Isernia, eremita del Morrone, monte v.cno Julmona), eletto il 5 lugho 1294 c costretto poi a rinuncare alla icembre dello stesso anno, aprendo la strada all elezione dei grancc a letteratura religiosa 1.1.1. La vita religiosa nel secolo xiii. ii cristianesimo costituisce nel secolo xiii un punto di riferimento es senziale per esperienze che hanno luogo in tutti gli strati della societä Forse mai come in questo secolo la societä medievale europea (e quel la italiana in particolare) ha voluto ricavare dal messaggio di Cristo una sollecitazione a rigenerarsi, forse mai si e tanto impegnata a cercare uno stretto e concreto legame tra la fede cristiana e le condizioni dell'esisten zaterrena. Ricchissima e la letteratura legata alle istituzioni ufficiali della Chiesa; in essa si distingue per il suo rigorismo il trattato in tre libri Dc mheria bumanae conditionis ("La miseria della condizione umana"), scritto alia fine del secolo xii da lotario dei conti di Segni (poi papa INNOCENZO III). La maggiore sicurezza della vita quotidiana a partire dal secolo xu (pur sempre limitatissima, se la si confronta con quella a cui siamo oggi abituati) fa si che il messaggio di Cristo venga compreso e vissuto in tut-ta la sua rilevanza anche al di fuori della cerchia dei monaci e del clero, nei vari strati della societä urbana; e tra la fine del secolo XII e l'inizio del secolo XIII si diffonde in vari ambienti la convinzione che il mondo, do-minato dalla violenza, dalla prepotenza e dalla corruzione, possa trasfor-marsi e divenire realmente e totalmente cristiano. Questa convinzione si scontra perö con i valori prevalenti di chi detiene il potere e con le strut-ture ufficiali della Chiesa, ed e costretta a esprimersi soprattutto nelle forme dell'erew'tf e deü'escatologismo (dal greco eschatos, "ultimo, finale" e logos, "parola", si riferisce a tutto cid che riguarda la fine dell'uomo e del raondo) o millenarhmo (l'attesa di un nuovo «millennio», di una nuova storia governata da Dio). Non ě possibile accennare qui alla varieta di forme ehe ľeresia e ľesca-'ologismo (spesso intrecciati) assumono tra la fine del secolo XII e ľinizio del XIII. Ricordiamo soltanto ehe ľeresia nasce spesso negli strati piú umili della societä ehe affermano ľideale della povertä cristíana: in polemica contro il «professionismo» e la corruzione del clero, si sostiene il diritto, anche per i imci, a un rapporto diretto con la parola di Dio. Molti di questi movimenti ion sorgono con espíicite intenzioni ereticali, ma evolvono in eresie solo in l Cútari epocai la CrVILTÁ comunalf. hno ai. 1wo , , ,j, uttoatuka REUGKXA "7 icauilo alla condanna della Chiesa (cosi accade per i valdesi). In dclibcrata oppou/jonc ai dogmi dclla Chiesa di Roma si svolge 1'eresia dei catart (cioě i -imn"). ImhU »u una tcologia dualistica, che distingue nettamente dagli uommi prigiomcn del male i pochi eletti, predestinati alla beatitudinc: quc tia cresu si diffonde soprattutto in Provcnza e nell'Italia settentrionale, co-uiiumdo addinttura una sua gerarchia ecclcsiastica opposta a quella di Rt> nu, c iruvando adesioni anche ncll'aristocrazia feudale. Vi confrunti dcll'crcsia la risposta della Chiesa di Roma, dopt) un primo momcnii) di incenezza, ě decisa e spietata, arrivando persino a forme di ster mimo Ji iiusvi I.u.KU.1 all'ereticodiventaunacrudek- attivitä comincúa uunit) periodo la smistra storia del Tribunale dell'Inquisizione, fondato ncl ijIC. tulia quak- le autorita laicheoffrono picno appoggio a quelle religiöse, la coacienza comunc arriva a vedere nell'eretico il concentrato di ogni male. k> Hrumcnto di oceuhe maechinazioni (e il rogo degli eretici diventa un velo »pcltacolo per la plcbc cittadina). luitavia la Chiesa non si limita a dare risposte violente: essa awcxte in-ijtti U mioMij di mst-rirsi maggiormente nella vita sociale, di far propne in quak lu- modo 1c spintc al rinnovamento provenienti da tutta la societa, \<>titarndolr al ruhiamo dell'eresia. La nascita degli ordint mendtcanti, qucllu dttmtnudnt) (o dei predicatori) e quellofrancescano (o dei trati minou', m ttjtliuc in una miova e dinamica presenza dell'ortodossia eristia-na nclla tcaliá quotidiana. CJucsti ordini ribaltano la concezione della vita monasiita. scparaia dal mondo, chiusa nella contemplazione e nella pre-kIiicij. <• inicrvcngono in inaniera .ittiva nella vita cittadina. In poco tem po lotm-nti doinenicani c francescani sorgono in quasi tutte W pni ÍH3 portami citta italianc ed eUTOpCC. I domemcani sono piú legati alle strutture dominanti della Chiesa: spe-.uli//.in sul piano dottrinalc e teologico, concentrano i loro stoiv.i snila prrdi. a/ionc Itli i : \> c si pongono come primo stopo In kuta all'ercsia In piú sirctlo rappono con lesistenza di ogni giorno e con la religio wia ilcllc masse onerano i francescani, che contano anche sullecceziona Ir |H-ts,.i,.,|it., Jr| i,,,,, (ondatore, s.m Francesco ďAssisi. La ligura dl I tíiursiu Miipri-iidť e aflasiina ancor oggi per l'intensitä con cui rivive il tnoMggic) ,|| (.rtsto: cř!lj rithiama innumerevoli seguaci e diffonde in l!",r l!i*v' un ^"'dcio di penitenza, di umiltá, di fcdeltá alla Scn" t,K>r,rc Icrcsia. Icspcncnza francescana rispondeva alla radicalc ■ xi-.ii 11 tuimn-amcntu dclla vita tcligiosa che pertorreva tuno il secolo UO '*' ,,'tt^lc'* lurono molto caute ncllacccttarne e riconosccmc ""■^T^T"^Ü °PCI*ron" acconamcntc per renderne innocui gli idea 1 '"xxwn. Sorto c propagatosi con mcravigliosa rapiditá, 1'ordinc num T" "f""**'- *lhi monc del fondatore, ad essere lacerato da asprc J npn ii A i■"° m,cndcvano reMarc assolutamente fcdcli al messagpo i«alr Mu^auuT™" jÍ*ftwft e coloro che propugnavano una I-^'-^mriTili f quuizionc d> hcni economici e di poteri !«"■ «mint*,!,), Gli ipintuali si affidavano alla mistita attesa di un nnnovamento raduale, collcgamkwi anche all inscgiumcnio di Cíl< >A< i lil n<) da FlOW-:, chc Dante chiama «il calavrcsc abalc Ciovacchino / di spinto pinlt-lun ik>tato» (Para Jim, XII, 140 141) nato .1 1 lelico, presso 1 osenza, 111 torno al mo c mono ncl iíoz, cgli fu il fondatore di una nuova comunilá mo njslu .1 nclľcrcino dl San ( iiovanni in liore, snila Sila. In akuni Irattati latini, dallo slile immaginoso. animali da una visionana attesa di luce c di věrna. Gkxacchino espone doltrine basate su una concezione icologita dclla storia. chc vicnc disiinta in t re ctá. quella del lJadrc ďcti dellautonta, cormponden tc al Vccchio lesiaincntoi, quella del 1'iglio llctá dclla lede, successava alla ve nuta di (-nsto) e quella dcUo Spirito Santo (ľctá dclľamorc. dclla lutc c dclla liberta, prossima a venire con il nnnovamento dclla (-hiesal. 1.1.2. San Francesco d'Assisi c il Caniico difrate Sole. ()ltre ehe 1'assoluto protagonista della vita religiosa del secolo xiii, Fran-1 l si <) d'Asmsi (nato ncl 1182 ca., mono ncl \ub) fu anche ľautorc del pri mo těsto volgaic cli altu valore poetici), il Cjintiat dl fratť St de. Francesco possedeva una profonda cultura religiosa, chc si accompa gnava a una singolare aticnzione per la lettcratura romanzesca francesc, icstimoniata - fra 1'altro - dai termini «cortesi» con cui egli vuolc indica-rc il proprio rappono con la povená (dcscrítta come «amantc»), dal ca raitcrc avvcnttiroso tli certe suc iniziativc (come il viaggio in ( )nentc coni pitito tra il 1219 c il 1220) c dalla sua consuctudinc di indicarc se e i propri frati come «ioculatores Doinini», "giullari tlel Signore": nei giullari egli ve dcinfaiti realizzarsi un com port amen to chc rovescia i valori costituiii della societa c distruggc le convenienze mondanc. II Caniico di /rate Sole U hi.ini.it t > anche Ixtudei creaturarunt o Canttco delle creature) hi composto prnbabilmcntc un annt) prima dclla moric, quantlo il santo soffriva tli una malattia agli ocehi: č una preghiera a Dio in volgare umbro, in 33 versi non legati a un metro prcciso. ma ntmati se condo schcmi stilistico-retorici della prosa latina medievale c tlclla (Hicsia hihlica (in primo luogo il Cantko det Canttci). Dopo un'iniziale kule tklla (H)tenza divina e ľaffermazione dclľinilegniiá tlclľuomo dl Ironte alla grandczza tli Dio, il cantico invita a lodare il Signore c Ic suc ereature, tlal soli- .u ii asin. .11 quattro elemctiti lana, atqua. luoco, ten.ľ. e tli queste 1 rcatinv sottohnea tutta la Ix-lle/za. la bontá, la positivita. Dt>po questa tli chiarazitme di amore a Dio attraverso Ic cose, tluc altre «lodi» chiamano direiiainenie in causa ľuomo: una in nome tlel perdono c tlclla solŕcrcn ta, ľaltra in nome dclla morte. ĽesaJtazionc dclla vila dcl ereato si chiudc cosi con il riconoscimenio della necessitä tlclla morte c con una impassi-bile thsnii/ionc tra la morte ncl peceato (ehe porta alla dannazionc cicmal e quella in grazia di Dio. Un'ultima kxlc coralc al Crcaiorc riassumc luitt) il cantico solto il segno dclla parola umtlitade. In questo testo il volgare risuona per la prima volta con estrema nm dezza, incarnandosi in parole brevi ma capaci di riassumcrc unespenen za assoluta: al cantico ne deriva una straordinaria suggcslione. il íascino di qualcosa di originario c di incontaminalo. II riimo lenco c npctiiŕvo insc- II ' «an MfrtHt W> Iii EPOCAI LACrVlLrÄCOMUNALEFIN0AiI50(| La pmüiuic-ne litiliw :n. jru itrumenü i |>rrdu«|ori (-AWtrriitKhr lingimiit he risce perfettamente la preghiera nella dimensione di un rito iniziale e mat tutino, in cui la gioia per lo splendore delia luce si intreccia alla serena at-tesa delia morte. 1.2.3. La letteratura degli ordini mendicanti. La letteratura ehe si ispira alla grande personalita di san Francesco é tutta volta a rievocarne la vita e le opere, a conservarne la memoria e a di-vulgárne il valore esemplare: essa viene elaborata alľinterno dellordine Irancescano ed esprime spesso atteggiamenti di pieta ingenuamente po-polare, o rispecehia i conflitti ehe si svolgono alľinterno dellordine e le diverse interpretazioni delia regola del santo. Un aspetto fundamentale delia letteratura francescana e di gran parte delia letteratura religiosa del Duecento ě il misticismo: ľesperienza di Francesco viene spesso presenta-ta come modello di percorso ascetico ehe mira alla visione di Dio, all'i-dentificazione con Cristo e all'annullamento di sé nella luce totale delľa-more divino. Strumento essenziale degli ordini mendicanti, la predieazione ebbe nd secolo XIII una storia molto complessa, condizionata anche dalľostiľitä ehe spesso le iniziative dei nuovi ordini incontravano presso il clero secolare delle cittä, ehe dal loro dinamismo sentiva minacciate le proprie prerogative. In primo piano, nell'elaborazione di sottili ed efficaci tecniche oratorie, lurono i domenicani, dotati di grandi capacitä di persuasione, verí e propri «manipolatori» degli umorí delle masse. La predieazione si svolgeva naturalmente in volgare, dal pulpito delle chiese, e si affidava anzitutto alle spontanee doti ďeloquio del predicatore; ma queste doti potevano essere coltivate e migliorate attraverso ľuso dei pn-mi manuáli di an praedicandi (cfr. 0.1.7) e di vari reperrori latini, in cui era-no nponati diversi modelli di sermones, destinati a diverse occasioni. Momente fondamentale di ogni predka era ľexemplum (cfr. o.r.io e 1.4-i), ™-ra/.ione di stone sorprendenti, spesso riferite alľaldila, capaci di catturare attenzione degli ascoltatori piú ingenui. Gli exempla venivano attinü da Pätici prontuan ma anche da piú vaste antologie di racconti leggendari e vite dei "ľn j fortunati^ima Legend* aurea (raccolta di episodi delle de, sant.) del domenicano Iacopo da Vakazze (1230 ca,iz98). 'M' U poesia didattica volgare delľltalia settentrionale. v» di RrľndNanri !ÍUe *?" urbane> 21 suo tono medio e dimesso, pri diffusa soprattuuô in i """k ideali'51 lega u™ P°esia di tipo didattico, du/ione m v,ľ CUm Centri delľTtali, --=---^—- j-ít n 5'anc'e di prar,^- - j i ' *uu Luno mecuo e aime^u, f" J** «'Prattutto in alcuni • 5 Ú lega una Poesia di tipo didattico, dtmone in versi riveste DU"'Centn .^'Mia settentrionale. Questa pro-íľnľT dÍ comu"icazione diŕľ mtereSSe P^valentemente linguistico: • njo d, adattarvi alcuni „íľ ' PerdÔ fa USO dei ^ú localÍ' Cef" dalla ,rad,z'°ne latina U"ure n«>vate daJle letterature romanze e I.l LA LETTERATURA RELIGIOSA Tale poesia non avrä seguito nei secoli successivi, in quanto verrä spaz-zata via dai modelli toscani. I suoi contenuti e le sue forme rivelano carat-teri estremamente schematici e ingenui. Talvolta vi appare un candido gusto del favoloso e del meraviglioso, ehe si limita a dilatare, trasformandola nelľimmaginario, la realtä consueta del mondo cittadino: numerose sono le «visioni» delľoltretomba, costituite dalla combinazione di pochi parti-colari spaventosi o soavi, attinti a un mondo di immagini giä note al pub-blico. Ľomogeneitä di questa poesia deriva dalla sua materia, dal suo tipo di pubblico, dalľarea geografica di diffusione (tra Lombardia e Veneto) e dalle forme metriche, ehe generano un ritmo lento e monotono per il prevalcre di versi lunghi, soprattutto Valessandrino (cfr. GENERI e tecniche, tav. 15). Cremonese ě GlRARDO PäTECCHIO, operante probabilmente all'inizio del secolo, autore di uno Splanamento de li Proverbii de Salamone e di una tenzo-ne in versi con un tal UGO Dl Perso, indtolata Noie (elenchi di cose fasti-diose, sul modello di un vero e proprio genere delia poesia provenzale, ľe-nueg). E forse cremonese ě Uguccione DA Lodi (anch'egli artivo all'inizio del secolo), autore del Libro, monotona deserizione delle pene infernali che si conclude con una lunga invocazione a Dio. II frate francescano Giacomi-NO DA verona ě invece autore di due rozzi poemetti escatologici, il De le-rusalem celesti ("Sulle delizie del Paradiso") e il De Eabilonia civitate infernali ("Sugli orrori dell'Inferno"). La tradizione della poesia didattica dell'Italia del Nord venne nobilita-ta da un autore piú colto e, a suo modo, raffinato, il milanese Bonvesin DA LA RlVA, vissuto nella seconda metá del Duecento e morto tra il 1313 e il 1315: maestro privato di grammatica a Miláno, rappresenta molto bene gli atteggiamenti delle classi médie. Egli ě fedele all'antico modello comunale e contrario alla prepotenza della grande nobiltá, che alia fine del secolo tra-sforma il Comune di Milano in una vera e propria Signoria: assai limitata ě la sua ottica municipale, che si concentra in una ingenua esaltazione della bellezza, della grandezza e della giustizia della cittä, come mostra il suo trattato in latino De magnalibus urbis Mediolani ("Le meraviglie di Miláno", iz88). La sua cultura ě di tipo retorico, scolastico, moralistico, ben in-serita nella tradizione medievale; la sua religiosity ě intensa e autentica, con solide radiči popolari. Olrre a varie opere in latino, egli scrisse una ventina di poemetti in quar-tine di alessandrini, in un volgare milanese sottoposto a un accurato ma spesso schematico lavoro retorico. Molteplici sono i modi in cui Bonvesin orga-nizza in quesu poemetti il suo discorso didattico. Abbiamo l'insegnamento diretto, come nel catalogo dei comportamenti da usare a tavola, De quin-quaginta curialitatibus admensam ("Cinquanta 'cortesie da desco'"); abbiamo poi le narrazioni di exempla, semplici e ricche di energia, come il celebre Libro delle Tre Scritture, dove si descrivono le pene dell'Inferno (De scriptu-ra nigra), la passione di Cristo (De scriptura rubra) e le glorie del paradiso (De scriptura aurea). Inline abbiamo i contrasti, in cui l'autore adatta al suo mo-ralismo pacato e limitato, ma rigoroso, il metodo della disputatio, genere am-piamente diffuso nella cultura medievale. 129 II gusto del racravisdioso Alcuni escmpi di poesia didartica Bonvesin da la Riva e le classi medic cirudint Le sne opere in volgare milanese epocai la CrVTLTÄ comunale fino al ijqo 1.1 LA LETTERATURA REUGIOSA H •u:*r ml» lomiitin I I 1 ; k.J. egli soggiornö a lungo a Parigi, dove insegno tra il 56 e il 59 e poi tra il '69 e il '72. Tra le sue numerosissime opere si distinguono le due gigantesche trattazioni sistematiche, la Summa contra Gentiles (1261-1264) e Tincom-piuta Summa theologica. Tommaso polemizza con le interpretazioni del pensiero aristotelico che si nchiamano ai commenti di Averroe (cfr. 0.1.8), molto diffuse nelle scuole parigine e tendenü a mostrare la non coincidenza tra fede cristiana e fonda-mcnti del sistema aristotelico (questo orientamento averroistico, che in fu-turo favorirä la nascita di forme di pensiero «materiahsrico», ha una fortis-sima presenza in tutta la filosofia della seconda metä del secolo Xffl). Per Tommaso ě invece possibile uno stretto accordo tra cristianesimo e filosofia aristotelica: la naturalis ratio, "ragione naturale", che nel mondo antico ha avuto la massima valorizzazione in Aristotele, ě strumento essenziale per la conoscenza dell'universo e di Dio, anche se la sua giustificazione finale de-riva sempre dalla fede e dalla rivelazione cristiana, che essa non contraddi-ce in nessun modo. Su tale base egli elabora un sistema complesso e artico-lato che, per la sua perfezione architettonica e per la sterminata ricchezza dei suoi dementi, si suole paragonare a un'immensa cattedrale gotica. La filosofia tomistica sarä per secoli il piú sicuro sostegno teorico del-l'ortodossia cattolica, la filosofia ufficiale della Chiesa di Roma: essa offre una visione unitaria e strutturata del sapere e deU'universo, e insieme por-ge grande attcnzione alle realtä particolari, alla natura e agli individui. La sua capacitä di assorbire e di far propri filosofie e motivi culturali anche molto diversi e di collocare ogni elemento in una ferrea gerarchia, offre alla Chiesa uno strumento di eccezionale potenza. 1.2.7. Iacopone daTodi. La poesia religiosa in latino produce nel secolo xiii alcuni ritmi che so-no rimasti celebri (come il Dies trae di Tommaso da celano, il Fange Im-tfta di lommaso d Aquino e lo Stahat Mater attribuito a Iacopone da To-1 «entre in volgaresi sviluppa una nuova forma, la lauda (cfr. generi tm.NK.HE, tav. 35), legata alle pratiche di numerose confraternite (cfr. v„luNel!a IT* tradizione della lauda si inserisce la voce vigorosa e scon-u iKcnie d, Iacopone da Todi, e alcune sue laude circolano e si diffon- rüTo In "T" Tdari> anche se in esse non sono destinate í 1 "so da )iine (1, conr f • ________e ___ no di «,„,,. c -"-"«ic, ma sono scntte per essere cantate au lntei-dcll'au^ m 1 T nCeSCani' in stretto nferimento all'esperienza ascetica l ZZTsi S , Cem0 E nel Qua»rocento i manoscntti delle Laude di noEÍ5"0 m Van° raod°. soprattutto neU'ambiente francesca-SÜ nch490 3 St3mpa USd 3 Firenze> a cura di Francesco BonaC- cav!ttdaiaC,r!ÜÜChe S' hanno suUa "ta di Iacopone sono quasi tutte ri- Bcnedetn eobl'T'31 ,T/ T°dl tra U n3° e * Wdalla ™bile fami*lia * solida formazione culturale ed esercitö la professione giuridica, partecipando alia vita mondana della sua citta, dalla quale si al-lontano nell'inverno del '68, per una subitanea conversionc; sccondo la leg-genda, questa conversione avrebbe avuto Iuogo in seguito a una sciagura - U crollo di un pavimento - awenuta durante una festa da ballo: sotto le vesti della moglie, morta nel disastro, Iacopone avrebbe trovato un cilicio, ruvido abito di penitenza. Egli trascorse allora dieci anni in penitenza, umiliandosi e vagando come mendicante; nel 1278 entro nellordine francescano come frate laico e si awi-cino agli spiriruali, svolgendo una dura polemica contro la corruzione della Chiesa e recandosi spesso a Roma. Dopo le speranze suscitate dal papato di Celestino V (che nella lauda Que farai, Pier da Morrone egli mise in guardia contro i pericoli di eventuali compromessi), si trovo coinvolto nella violenta contesa tra Bonifacio VIII e gli spirituali. Con un gruppo di questi ultimi, per-vm.111 dal papa, si uni ai cardinah Iacopo e Pietro Colonna, sottoscrivendo il manifesto di Lunghezza (10 maggio 1297), in cui si negava la validita dell'ele-zione di Bonifacio. Ne seguirono la scomunica e una vera guerra: la citta di Pa-lestrina, in cui si erano raccolti 1 ribelli, subi un lungo asscdio e cadde nel set-tembre 1298. Iacopone fu imprigionato nel carcere di un convento e vi resto per lunghi anni, invocando invano dal papa la revoca della scomunica; solo alia morte di Bonifacio VLU, fu liberato dal successore Benedetto XI (1303), fau-tore di una politica piu moderata verso i senori intransigenu del francescane-simo, e si ritiro nel convento di San Lorenzo di Collazzone (tra Perugia e Todi), dove man nel 1306. La religiosita di Iacopone e tutta segnata dal violento confhtto tra le ge-rarchie temporali della Chiesa e il francescanesimo «pauperistico»: in questo contesto, essa si pone come ripulsa radicale del mondo, delle sue com-promissioni, dei suoi intrecci di interesse, egoismo, vanagloria e sensua-lita. Legandosi aha piii dura tradizione ascetica medievale, Iacopone rifiu-ta il corpo e ogni esperienza umana che dia valore alle cose corruttibili e terrene; ma respinge anche tutti i comportamenti correnti della vita socia-le, tutte le debolezze e le ipocrisie su cui essi poggiano. I rapporti tra gli uomini gli appaiono privi di autentica solidarieta: l'amore e come un gio-co di inganni; la vera amicizia non viene praticata; si vuol bene alle cose e agli averi altrui, non al vero essere del prossimo («L'omo non ama mene, / ama que de me ene»), e cio fa si che ciascuno si occupi degli altri solo se ne puo ricavare guadagno («L'omo te vole amare / mentre ne po lograre»). La poesia di Iacopone afferma cosi fino in fondo la negativita del mondo, si intrattiene a descrivere tutti i segni del male, della morte, del pecca-to, ci fa balenare squarci concretissimi deha spietatezza e del vizio che im-ptontano la vita contemporanea, anche nei suoi momenti piu semphci e quotidiani: in questo essa raggiunge momenti di crudo realismo e di corro-siva forza satirica, grazie anche all'uso del dialerto umbro, al suo lessico vivo e corposo, che Iacopone assoggetta a penetranti deformazioni. La rabbiosa asocialita di Iacopone non esclude pero una forte carica comunicativa: egli manifesta il suo ripudio del mondo sempre attraverso il dialogo e il contatto, prendendo di petto l'ascoltatore, quasi a convincer-lo con una violenza fisica. Molte laude hanno la struttura del contrasto, so- I contrasti EPOCAI LA CIVILTÄ COMUNALE HNO AL Moo no cioé scontri tra voci diverse: la voce divina scuote l'anima dal suo tor pore, si altemano rimproveri e giustifkazioni e scattano dispute tra entita spintuali o tra pcrsonc. La polemica e l'uno, sempre presenti in qucsia poesia, conteriscono peso anche alle figuře piú astratte della tradizione medievale (come quelle delle virtú). L'esperienza ascetica di Iacopone non ě mai tranquilla e Serena, ma scmprc irrequieta e tormentosa: la ricerca dell'amore di Dio muove seni-prc dall'umiliazione di sé, dallo svilimento della propria persona. Di fron tc at valori su cui il mondo si regge, Iacopone sceglie (in sintonia con la tradizione iranccscana) la povcrtä, la malattia, la lollia, e riduce sestessoaog-getio di beífa e di scherno: tra le laude piú celebri ci sono quelle che ini-ziano «Senno mc par e cortesia / empazzir per lo bei Messia» c «O Scgnor, OB i ortcsia, / manname la malsania» (nella seconda egli invoca su di sé un i uimilo di disgrazic c di malattie e si augura di esscrc «scbifatow da cIn n lo lo scnta nominare). In accordo con Ii- posizioni degli spirituali, Iacopone si oppone all'uso intcllcttuali- della religione, alle speculazioni teologiche della cultura uni vcrsitaria, a cui ormai i francescani prendevano pienamentc parte. E la du tissmi.t polemua conuo la (ihiesa di Koma lne ě celebee CSempíu Ii l.iu.l.i 0 papa Bttni/azio) parte proprio dalla ncgazione di ogni sfruttamento materiále o istituzionale della religione. 11 punto d'arrivo di tutti questi atteggiamenti e l'esperienza mistica: la poesia di Iacopone vuole iniatti definire la natura deH'amore divino, che č gioia c tormento, pace totale e guerra interminabile. Esso ě paradossa-lc, come l'amorc cantato nella poesia cortese, ma in modo molto piú vio-lento c tiimultuoso; intatti non č mai quieto, ma assedia e aggredisce l'anima, la urta c la provoca senza tregua. Esso ě suprema «esmesuranza» (parola frequentissima nel lessico di Iacopone), negazione di ogni limite, immensita che annulla ogni realtä, ogni consistenza del mondo e della persona che nc č posseduta. Esso č perciö anche un assoluto nulla, «aha Dil hilitadc». lucc che coincide con la tenebra. La parola non puö vera-■Ott csprimcrlo, ma solo darne un'immagine pallida e allusiva: forsc sa-reblxr addirittura meglio non tentare di tradurlo nei vocaboli della poc sia; ma d'ahra parte esso contiene una «abundanza in voler dire», che I" l.i (sploiicit- al di liiori, ■•en canto che ě sibilare». I.c laude- piu mtensamente mistiche si reggnno sullo KOQtTO tÜ quettt oppoMc IriiMiiiii: da una pane l'ineffabililä deH'esporienza cstaiua, dal 1 .ihr.. laiicicsMta, [>u> ad abhassarsi alla pověra vita terrena, alla «viltä» della crocc i monc per »morc dcU'uomo, per donargli la salvezza e la grazia. E molare la sofferenza di Cristo il disprezzo di Iacopone per la ma •r il corpo parc quasi attenuarsi; la sua poesia raggiunge momen-tuosa trepidazionc. di austera delicatezza, di commozione essen aale, pnva dl qualsiasi sdolcinatura: cosi nella lauda piú famosa. il cosid-iJetto Pianlo della Madonna [Donna de Paradtso). in cui si costruisee un so 1.1 la uttuatvra reliciosa vero e lineare movimento drammatico e diverse voci si intrecciano a qucl-la principále di Marta ehe assiste alla passione del liglio Gesú. II linguaggio dclle ÍMude ci viene incontro con la violcnza dirompenie dclľarcaico ilialetto umbro, ehe giá di per sé si presenta come una scelta di poveria e di umiliazionc, ma ehe spesso si arrícchisce di laiinismi ti.un dal rcpcrtoľio ecclesiastico c di vere e propne invenzioni lessicali La tulium poetica e religiosa di lacoinine č, ďaltra pane, moho ampia. nuiríia di una protonda conoscenza del linguaggio btblico c delia tonieni|xiranea poesia volgare. Su queslo materiále linguisiico egli immeiie una ritca serie di elemenii rcalistici, sempre con ľintento di ereare lacerazioni, turba-menti. stridori; la sua sintassi, fortementc paratattica, ě rieta di fratturc, pronta in ogni momento a turbare i normáli nessi tra le proposizioni, per niet terc in rilicvo la torza d'urto della parola. LAUDA f. un ťomponimento di caratterc rcligioso. che ha una grande liontura nel se coln Xtll r soprawive a lungo nci seioli successm lisso sorge c u sviluppa nclla pratica dl varie confraternitc (cfr. i.i.t) fin dalla fasc inizialc tlel scrolo XIII IWn zialc per la sua stoná fu Panno 1160, quando, sulla scia dclla profezia di Gioac-chino da Fiorc, si diffuse dappcnutio l'aitcsa delicti dcllo Spirito Santo, dclla li nc dci tcmpi. del guidi/io divino: in gran parte dcll'Italia ccnlroscttcntnonale u pRMfÖallora il movimentodci Disciplinati o Magcllanti (nato a Perugia per azío nc del Iralc Ranicri Fasani), che percorrevano Ic siradc in grandi gruppi, halten diwi in segno di penilenza e cantando lodi al Signore c alla Vcrginc. 1 Magcllanti, dopo la prima fulminca allcrmazionc spontanca. si organizzarono in lonřraicmi tc t- mmarono a raicoglicrc i propri tanu, trasmessi in un primo momcnio solo oralmcntc, in ap|h>siti LuJari, molu do quali sono giunli fino a noi (qtmti testi pci In pm apparlciigono al sccoli XIV c XV). II laudano piu aniku, qucllo dl (á>r tona, c prohahilmcntc precedente al 1170. II nomc di questo componimento osedla tra la forma lauda c la forma laude c si riferiuc alle lauJex. "lodi", che M rivolgcvann alla diviniu c vcnivann 1 aniair 111 sequenze riimichc (tali sono anchc 1c l^iudet ircalutarum di san Francesco ďAs-sisi. cfr. 1.1.2). 11- prime forme volgari chhero Rrutturc molto vane. che si andarono dclincn du gra/ic j| lar^o iiso 1 hc di qucsti lanu si Ijir\.i nclla wta dcllc confratemfec Ú impmc la forma dclla ballala lefr (.INI Kl I 111 \l< III. tav |ř>), in cul u altcmava nu la vixr di un «ilista Ulic iantava lc singolc slan/cl c quclla ilcl coro ik-l fcilcli (che caniavano la ripresa). II rappono dl voci costitutivo dclla lauda stimolo lo »volgcm dl lorme dl Úpo drammatico. con contrasti o discorsi articolati di diversi pcrw>naggi tappane 11 in generc alla storia saera): si ebbero cos) Ic laude drammatuhe (tmo det p cscmpi i il Pianlo della Madonna di Iacopone) che si svilupparono sopránům Trccenio c cootnbuirono alla nasáta della lacra rappreteniaz*me (cfr i.fcNl nxíiHMt. uv. »)