Leonardo Sciascia La strega e il capitano uar n. Tho -n Comune di Firenze Wdfo) Biblioteche c. c. s. N.......95380 Bompiani I sp ra a L 8 Car tu n'avais eu qu'a paraitre, qu'a. Jeter un regard sur moi, pour t'emparer de tout mon etre, oh ma Carmen! Et j'etais une chose a toil Carmen, je t'aime! Meilhac e Halevy, Carmen t "J- . 5" - ivuiano / promessi sposi, capitolo XXXI: "II protofi-sico Lodovico Settala, allora poco men che ot-tuagenario, stato professore di medicína alľuni-versitá di Pávia, poi di filosofia morale a Miláno, autore di molte opere ríputatissime allora, chiaro per inviti a cattedre ďaitre universita, Ingolstadt, Pisa, Bologna, Padova, e per il rifiuto di tutti questi inviti, era certamente uno degli uomini piú autorevoli del suo tempo. Alla ripu-tazione delia scienza s'aggiungeva quella della vita, e alľammirazione la benevolenza, per la sua gran caritá nel curare e nel beneficare i poverí. E, una cosa che in noi turba e contrista il sentimento di stima ispirato da questi meriti, ma che allora doveva renderlo piú generále e piú forte, il pover'uomo partecipava de' pregiu-dizi piú comuni e piú funesti de' suoi contem-poranei: era piú avanti di loro, ma senza allon-tanarsi dalla schiera, che ě quello che attira i guai, e fa molte volte perdere 1'autoritá acqui-stata in akre maniere. Eppure quella grandis-sima che godeva, non solo non bastô a vincere, spa ra2 caf. x: Li gl li« st P C a r I in questo caso, l'opinion di quello che i poeti chiamavan volgo profano, e i capocomici, ri-spettabile pubblico; ma non pote salvarlo dall'a-nimosita e dagl'insulti di quella parte di esso, che corre piu facilmente da' giudizi alle dimo-strazioni e ai fatti. "Un giorno che andava in bussola a visitare i suoi ammalati, principid a radunarglisi intorno gente, gridando esser lui il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la citta, con quel suo cipi-glio, con quella sua barbaccia: tutto per dar da fare ai medici. La folia e il furore andavan crescendo: i portantini, vedendo la mala parata, ri-coverarono il padrone in una casa d'amici, che per sorte era vicina. Questo gli tocco per aver veduto chiaro, detto cio che era, e voluto salvar dalla peste molte migliaia di persone: quando, con un suo deplorabile consulto, cooperd a far torturare, tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata, perche il suo padrone pativa dolori strani di stomaco, e un altro padrone di prima era stato fortemente innamo-rato di lei, allora ne avra avuta presso il pubblico nuova lode di sapiente e, cio che e intolle-rabile a pensare, nuovo titolo di benemerito." Per questo fatto, da cui il Settala avrebbe do-vuto riscuotere biasimo invece che lode (non ri-cordato nelle prime due stesure del romanzo), Manzoni rimanda, in nota, alia Storia di Milano del conte Pietro Verri che a Milano, per cura di Pietro Custodi, era stata pubblicata nel 1825: e precisamente alia pagina 155 del quarto tomo. Ma, per l'esattezza, ě alle pagine 151-152 che il Verri lo ricorda: quando, a proposito del malgo-verno di don Pietro di Toledo, dice che il Se-nato milanese, "quasi d'accordo col dispotismo del Governatore a far inselvatichire piú presto la Nazione, occupavasi del processo d'una strega, e mosso a compassione per la frequenza & sortilegi ed altre arti infernali che infestavano la Citta e I'intiera Provincia, sentenziava che fosse bruciata". A questo accenno, segue una lunga nota: che comincia alia pagina 152 e si dislaga fino alia 157, fittamente e quasi interamente oc-cupando dunque ben sei pagine. Evidentemente scritta dal Custodi riassumendo il fatto per come il Verri lo raccontava negli Annali; e si puó presumere il Verri ne avesse scritto con le carte processuali sotto gli occhi: e copiando o riassumendo fedelmente certi passi, sorvolando senz'attenzione su altri Proprio da questa nota, il Custodi muove l'ultimo e risolutivo colpo polemico contro il canonico Frisi: primo editore della Storia del Verri, ma colpevole di interpolazioni, tagli. e fraintendimenti. "Ancora un esempio," - dice il Custodi - "e daró fine. Negli Annali riportó il Verri, sotto l'anno 1617, il racconto di una mi-sera cameriera, stata bruciata come strega per 8 9 ra ca X L 8 li avere ammaliato il Senátore Melzi. II Frisi ľo-mise nel manoscritto del suo terzo Tomo, e la-sciô negli Annali del conte Verri ľannotazione di averlo fatto awertitamente perché molie principáli persone vi fanno poca buona figura e la noti-zia delia strega non interessa la Storia. Interessava meno la Storia la nomenclatura de' ballerini e de' balli del secolo XVI; eppure per non omet-terla le diede un posto fuor di luogo, anticipan-dola di cinquant'anni. II vero ě che quella nomenclatura faceva conoscere i costumi piacevoli de' nostri maggiori, e il racconto delia strega mostrava per il contrario ľignoranza e i costumi barbari di essi, anche nelle classi piú eminenti." Non si rende conto il Custodi, o non vuole, ehe anche nelľomissione il Frisi faceva que-stione di nomenclatura (ma non risuona da qualche parte, ai giorni nostri, questa parola?), che riguardo alla nomenclatura si faceva preoc-cupazione e serupolo. A parte il rispetto ehe si eredeva dovuto alle istituzioni, e ehe f u remora alle Osservazioni sulla tortura dello stesso Verri (seritte nel 1777, pubblicate nel 1804: poiché si eredette, dice ľeditore, "ehe ľestimazione del senato potesse restar macehiata dalľantica infa-mia"; e Manzoni, alle ultime righe delia Co-lonna Infame, si rammarica delľulteriore ritardo delia veritä a venir fuori, ma trova giusto il "riguardo": "II padre delľillustre scrittore.era presidente del senato"), non era opportuno mancar di "riguardo" alla famiglia Melzi, allora - epoca napoleonica - alľapice, facendo cadere biasimo su due antenati, sia pure lontani. E c'é da credere ehe un uguale "riguardo", ma non insor-gente per opportunismo o timore, per piú o meno consapevole solidarietá di classe piutto-sto, abbia trattenuto il Manzoni non solo dal fare il nome del senatore Luigi Melzi (e conse-guentemente del capitano Vacallo) nel passo del romanzo in cui, a riprovazione del Settala, ricorda questo processo per stregoneria, ma anche dal concedersi (é il caso di dire) una nomenclatura quando nel romanzo entrano la famiglia Leyva, il vicario di prowisione e altri minori personaggi di ben piú ehe "ako affare" (semplicemente di "alto affare" erano don Fer-rante e moglie): inibizione ehe trova una felice e suggestiva impennata in quel far nome delľas-senza di un nome: ľlnnominato. L'uomo di cui il Manzoni tace il nome e ehe "pativa dolori stráni di stomaco" era dunque il senatore Luigi Melzi. Nato nel 1554, aveva stu-diato legge a Padova e Bologna e si era laureato in utroque a Pávia nel 1577. Giureconsulto. Conte palatino. Tra i sette vicari generali dello Stato di Miláno dal 1582. Dal 1586 vicario di prowisione delia cittá (carica ehe quaranťanni 10 11 dopo sarä del figlio). Consultore della Santa In-quisizione dal 1600. Questore del magistrato or-dinario nel 1605, a sostiruire Alessandro Serbel-loni. E cosi via, in cariche ď autorita e in incari-chi di prestigio: finché nel 1616, a sessantadue anni, lo troviamo afflitto da un mal di stomaco grave e continuo di cui i medici non riescono a diagnosticare la causa. Nell'esposto al Capitano di Giustizia, presentato il 26 dicembre 1616, il figlio Ludovico (secondogenito di tredici: e per la morte del primo ne raccoglierá poi il diritto, conseguendone quell'ascesa nelle cariche pub-bliche che lo portera a cjuella, travagliata in vita dal tumulto di San Martino, in morte dall'atten-zione di Alessandro Manzoni, di vicario di prov-visione) scrive: "De doi mesi et mezzo in qua in circa il signor Senátore mio Padre ě ridotto a infirmitá straordinaria, e tale, che non puö man-giare, et del continuo ha dolore di stomaco grave accompagnato da continua malinconia, et per quanti remedij li siano stati dati, niente li ha giovato, sendo infirmitá senza accidenti di febbre, non conosciuti dalli medici, perö..." A questo "perö", che ě la ragione per cui Ludovico Melzi si rivolge al Capitano di Giustizia, ě appeso - fosco grappolo di atroce sofferenza, di feroce stupidita - il caso della "povera infelice sventurata" Caterina Medici (e si noti come queste tre parole del Manzoni, aggiungendosi una alPaltra in crescendo, ne riassumono la 12 vita). "... pero mediante l'aggiuto divino" -continua Ludovico - "si ě scoperto essere male causato da fassinationi et arte del Demonio fat-togli da una serva di casa chiamata Caterina, la quale si ě scoperto essere strega et che da qua-.tordeci anni ě in commercio carnale con il Dia-rvolo, et ě strega professa. Ii modo con il quale fu scoperto delitto si grave fu...". Ecco: appunto il modo come il "delitto" fu scoperto rende questo processo per stregoneria meno ripetitivo e banale (c'e una banalita del-ľatroce, della crudeltä, della sofferenza; c'e sempře stata, mai pero cosi invadente e saturante come ai giorni nostri; e insomma, come ě stato giá detto: la banalita del male) di altri che co-nosciamo. Uguale a tanti altri nelľatrocitá del procedimento e delľesito, ma di verso - come vedremo - in quel che Ludovico Melzi pro-clama aiuto divino ed ě invece, semplicemente, l'aiuto di un cretino ehe non riconosce in sé il divino. II divino delľamore. II divino della pas-sione amorosa. E viene da invocare (come Bran-cati, per un personaggio ehe non sapeva preci-sare e definire l'aspirazione alia liberta, invocava i poeti che la liberta avevano cantato): perché il canto quinto ácWlnferno di Dante o quello della pazzia di Orlando dell'Ariosto, un sonetto del Petrarca, un carme di Catullo, il dialogo di Romeo e Giulietta (proprio in quell'anno Shakespeare moriva) non volarono ad aiutare un tal 13