nefasto cretino a guardare dentro di sé, a capirsi, a capire? (Poiché nulla di sé e del mondo sa la generalita degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.) II capitano Vacallo: non ě detto di qual mili-zia. Capitano, e bašta. In servizio; e reduce da non sappiamo che "campo", quando il 30 no-vembre del 1616, giorno di SanťAndrea, va ad alloggiare in casa Melzi. Con biglietto come il conte ďAlmaviva o invitato del padron di casa? La considerazione di cui il casato godeva ci fa scartare 1'ipotesi del biglietto ďalloggio: ma puó darsi che, almeno nel distribuire alloggi agli uffiziali nelle case dei cittadini, ci fosse al-lora equitá. II giorno delParrivo, Vacallo apprende del mal di stomaco di cui soffre il senátore, e che nemmeno i piú illustri medici della cittá rie-scono a definirne la nátura e a porvi rimedio. Ne resta - dice - sorpreso: segno che conferma la nostra impressione che i medici andassero al-lora con piú sbrigativa sicurezza nel diagnosti-care di quanto oggi vadano: ché almeno aspet-tano, oggi, il risultato di non poche analisi. Ma Pindomani sera, al momento di andarsene a letto, Vacallo vede andar per casa Caterina Medici, "la quale vedendomi si mise a ridere, et mi dimandó se era un pezzo che ero venuto dal Campo". Vacallo non le rispose: scontroso a una simile familiaritá e folgorato da una cer-tezza, piú che da un sospetto. Come a far quat-tro da due e due, immediatamente collegó il male del senátore alla presenza di Caterina Me-Hiri in quella casa. Subito cercó Gerolamo Melzi (altro figlio del senátore: e sará vescovo di Pavia) e gli annun-ció di aver scoperto da che venisse il male del padre suo: che si tenevano in casa una famosis-sima strěga. Non sappiamo come, sul momento, Gerolamo reagi alla rivelazione: forse non con la preoccupazione e il fervore che Vacallo si aspettava, se Pindomani mattina Vacallo si sente in dovere di parlarne al senátore in per-sona: che non subito e non interamente presta fede alla rivelazione, parendogli che la sua cri-stianissima vita, la sua costante professione di pieta, avessero dovuto impedirgli di inciampare in simili cose, e specialmente con una fantesca che era "ritratto della stessa bruttezza". E qui ě il senátore che dawero inciampa, che tocca un tasto stonato. A meno che il discorso tra lui e Vacallo non si sia svolto in tutťaltro modo, piú confidente e spregiudicato, il riferimento alla bruttezza della fantesca suona incongruente e contraddittorio. La bruttezza ě stata sempře at-tributo delle streghe: e il fatto che Caterina fosse "ritratto della bruttezza" era elemento che I 14 15 conferiva verosimiglianza alla rivelazione" di Va-callo. E se il discorso si fosse invece svolto sulla piú o meno velata insinuazione di Vacallo di un rapporto sessuale tra il senátore e la fantesca in quanto presupposto o effetto dei maneggi stre-goneschi di lei? E un sospetto che ci verrá con-fermato da altri luoghi dalFincartamento pro-cessuale; ma intanto fermiamoci a immaginare il colloquio sulla insinuazione di Vacallo e sul negare del senátore: che la sua cristianissima vita e la bruttezza della donna potevano addursi a prova dell'inesistenza di un legame che fosse diverso di quello tra serva e padrone. In questi termini, la reazione del senátore appare meno incongruente e contraddittoria. Comunque, il senátore un poco resistette ad accettare la rivelazione: ma lo inclinó a convin-cersene, col crescere dei dolori (e si capisce che, da un colloquio del genere, i dolori, che proba-bilmente erano di nátura nervosa, crescessero), il dire di Vacallo che della fama di strega della fantesca si poteva avere indubitabile conferma da un certo cavalier Cavagnolo. II senátore lo mando subito a chiamare; ma Cavagnolo in quei giorni a Milano non si trovava. Vacallo, che ai giorni del mese non dá numeri, ma santi, dice che costui si presentó a casa Melzi la vigilia di San Tommaso: e cioě il 20 dicembre. Ma in quei venti giorni, tra la rivelazione di Vacallo e 1'arrivo di Cavagnolo, tra il senátore che andava 16 peggiorando "che si vedeva mancar la carne ad-dosso" e quell'ospite pieno di zelo a liberarlo dal malefizio, la famiglia Melzi stette in amba-scia e sospetto. Una cosa pero appare certa: che non prestava intera fede a Vacallo. Ma quando le sorelle monache - quelle del monastero di San Bernardino: che ce n'erano sei sparse nei monasteri della citta - mandarono a dire a Lu-dovico che badasse il padre non fosse stato ma-lefiziato e gli chiesero di mandar loro i cuscini su cui l'augusto genitore posava il capo, a Ludo-vico il sospetto e la richiesta saranno parse, piu che una coincidenza, un segno celeste, un as-senso divino: se, come lascia credere, le pie sorelle nulla sapevano delle rivelazioni di Vacallo. Periziati a dovere dalle monache, i cuscini confermarono i loro sospetti e le affermazioni di Vacallo: nascondevano tre cuori fatti con nodi I di filo di refe; e i nodi, di artificio diabolico, in-volgevano capelli di donna, legnetti, carboni e altre minute cose. E furono portati al curato di San Giovanni Laterano, esorcista, che gia Cavagnolo era arrivato e ad abbondanza aveva con-fermato le affermazioni di Vacallo. II curato non dubito un istante che quelle cose fossero strumenti del malefizio. Stento a disgropparle, poi le butto nel fuoco: e una fiam-meggio a forma di fiore e voleva saltar fuori, sicche bisogno tenerla con uno spiedo e farla consumare dal fuoco. Nel frattempo, i dolori di 17 \ stomaco del senátore furono piú del solito lanci-nanti: ma appena finito di bruciare i cuori, e dopo la benedizione delPesorcista, cessarono. II cavaliere Andrea Cavagnolo punto per punto confermd la storia di Vacallo. Che era, appunto, storia di Vacallo: anni prima - nel 1613 precisamente - da lui vissuta con innega-bile sofferenza, e che ancora l'agitava. E qui finalmente, sulle carte del processo fi-nora rimaste nell'archivio Melzi, possiamo dis-solvere Pequivoco in cui e caduto Pietro Verri e tutti che dopo di lui si sono occupati del caso, Manzoni incluso, come abbiamo visto: le donne di nome Caterina erano due. Una giovanissima e, presumibilmente, bella; l'altra quarantenne e, a dire del senatore Melzi, brutta quanto il ri-tratto della bruttezza. La Caterina giovane, che Vacallo chiama Ca-terinetta (e cosi da ora la chiameremo), per co-gnome o per luogo di provenienza detta da Va-rese, viveva gia in casa del capitano Vacallo quando l'altra Caterina vi entro come fantesca, e a quanto pare insieme alia madre, di nome Isa-betta. La Caterina imputata di stregoneria dice che nei primi suoi giorni di servizio in quella casa credette Caterinetta fosse moglie di Vacallo, poiche dormiva con lui; seppe poi che era "sua femina". L'apprendere che non era moglie, 18 ma "femina", forse la porto a familiarizzare con lei e a darle dei consigli a far si che da "femina" si promuovesse a moglie: fatto sta che il capitano, che tranquillamente fino a quel punto si era goduto Caterinetta, dall'arrivo di Caterina in poi aveva avuto, da parte di Caterinetta e della madre, il tribolo e 1'assillo della richiesta di giu-ste e riparatrici nozze. Caterinetta si era fatta certamente piú spinosa, meno arrendevole, meno docile ai suoi desideri; e la madre piú pe-tulante e riottosa. A quel punto, un uomo della condizione di Vacallo avrebbe buttato fuori di casa madre e figlia: poiché al sentimento e alle regole dell'onore, in quel secolo di estensione e complessitá quasi sterminate, la proposta di un consimile matrimonio si poteva considerare un grave attentato. Ma - e qui stava "el busilis" -Vacallo era innamorato di Caterinetta. "Forte-mente innamorato", dice Manzoni. Per cui, non rendendosi conto di come, dentro di sé, tra Pan-dare a letto con Caterinetta e Ponore che spo-sandola avrebbe perduto, potesse restare smar-rito ed incerto, non decidendosi a cacciarla fuori e, pur repugnante, forse rimandando al mo-mento piú estremo e disperato la decisione di tenersela per matrimonio, nella sua mentě co-minció a prender luogo la credenza che una forza esterna e superiore lo legasse alla donna: una magia, un malefizio. E tento di toglierselo offrendo del denaro alla madre e, poiché stava 19 per andare in Spagna, promettendo che al ri-torno avrebbe sposato Caterinetta: "la menai ad un mio scrittoio, nel quale c'erano circa cento doppie di Spagna, per uso del viaggio, e le dissi: Madonna Isabetta, io sono malefiziato per la vo-stra figliola e vi prego che mi aiutate affinche possa andare in Spagna, dov'e la mia Ventura; e tomato, vi prometto di sposare la vostra figliola; e pigliatevi intanto che denari volete. Ma questo dicevo per ingannarla, perche mi libe-rasse del malefizio. E lei mi rispose che sarei an-dato in Spagna, che vi avrei negoziato felice-mente e che, tomato, avrei dovuto sposare sua figlia. E forse avrebbe aggiunto e confessato al-tro, se non fosse sopraggiunta gente a distur-barci, sieche restai awiluppato da queste male donne, che se bene desideravo levarmele di torno, non potevo". Perche non riprendesse con madonna Isabetta un colloquio cosi promettente, non lo dice. Forse non era cosi promettente come vuol credere, o lasciar credere; e che la donna altro non avrebbe ripetuto che il suo augurio - da Vacallo preso come vaticinio - per il viaggio in Spagna e ribadito il dovere, che lui aveva, di sposare Caterinetta. Per quanto di poca perspi-cacia, anche se si illudeva di strappare alia donna una qualche confessione sulla magaria di cui lui era oggetto, o almeno un qualche indi-zio, Vacallo si era reso probabilmente conto che nemmeno le doppie di Spagna sarebbero valse a far desistere quella madre dalla pratica dell'in-cantesimo; che era incantesimo anche per lei, il vagheggiare le nozze della figlia col capitano. Del resto, lui era certo che il malefizio e'era e che come veleno gli correva dentro: che Isabetta lo negasse o, alle strette, ne rivelasse qualche in-dizio o l'intera macchinazione, non faceva diffe-renza. II problema era che desistesse. Ma come era possibile, di fronte al sogno del matrimonio altolocato? E come si poteva esser sicuri che al malefizio quelle "male donne" mettessero fine? Non si euro dunque di riprendere il colloquio. Cercö altro soccorso, tenendosi le doppie per il viaggio. Lo trovö in padre Scipione Carera, in padre Albertino e nel signor Gerolamo Homati, cui e probabile lo avesse indirizzato il cavalier Cava-gnolo, su cui Vacallo riversava la confidenza delle sue pene d'amore. Ma quei tre adottarono una troppo decisa e crudele misura: "mi leva-rono di casa la detta Caterinetta, e la menarono nel refugio". Evidentemente, poiche non e'era quella specie di convalescenziario per streghe e stregoni - da ricoverarveli dopo scontata la pri-gione - che il cardinale Federico Borromeo aveva concepito nel 1597 e alia cui realizzazione la curia rinuncerä nel 1620, ma incamerando nel Banco di Sant'Ambrogio (possiamo dire nel Banco Ambrosiano?) la non irrisoria somma di 20 21 lire imperiali 3252 che alio scopo era stata rac-colta; e poiché un tale istituto non c'era e non ci sarebbe mai stato (ma resta come un luogo di grottesca fantasia, anche se alia nostra "manca possa" a vederlo nelle sue regole e nella sua quotidianita), ě owio pensare che Caterinetta fosse stata condotta in una di quelle case dove trovavano letto e minestra le vecchie prostitute e le pentite: delle "repentite", come si diceva a Palermo; che non vuol dire di quelle che si ri-pentivano, in questo paese che di pentiti e ri-pentiti ha avuto sempre abbondanza, ma delle ree pentite, di quelle per qualche reítá giá con-dannate e, scontata la prigione, libere di morir di fame o di accettare quel rifugio. Vacallo si senti impazzire. Passó la notte sen-tendosi morire "di spavento, di tremori e di pas-sione di cuore; e gridavo che pareva avessi stre-gato il cuore; e cosi penai tutta la notte". Ap-pena giorno, andó dal curato di San Giovanni Laterano, gli raccontó tutta la storia e Pinfernale notte che aveva passato. II curato gli disse che era "malamente malefiziato". E aveva ragione: malefizi di piú blandi effetti potevano essercene, ma quando si era innamorati come Vacallo era di Caterinetta, difficile da estirpare e violento si faceva il male. Non ebbero infatti effetto le cose che il curato lesse in un suo libro, né l'esorciz-zarlo; per cui voile far sopralluogo in casa di Vacallo, e scoprire i possibili, e anzi senz'altro certi, corpi di reato. E li trovó, si capisce, nel letto: e tra akre "porcherie", un filo, esatta-mente pari alia circonferenza della testa di Vacallo, con "tre nodi distinti: uno stretto, l'altro meno e il terzo piu vano; e mi disse detto curato che se il terzo nodo si stringeva piú, sarei stato sforzato a sposarmi con la detta Caterinetta o morire". E perché quelle "male donne" non abbiano stretto il terzo nodo, non si capisce: a meno che non avessero avuto il timore che tra il matrimonio e la morte Vacallo non scegliesse la morte, mandando in fumo il loro progetto. Ma Vacallo confessa che era arrivato a tal punto "che se avessi avuto tutto il mondo da una parte, e dall'altra la detta Caterinetta, avrei pigliato lei, e avrei lasciato tutto il mondo". Non ci voleva, dunque, che una stretta al terzo nodo: a dissolvere quel che ancora di "tutto il mondo" soprawiveva in Vacallo e sorreggeva il suo negarsi alle nozze: e cioe il senso dell'onore. "Lo stesso giorno che il detto curato scoperse il detto malefizio, mi risolsi di mandar via la detta Caterina fantesca, che andó a stare per un anno in casa del conte Alberigo; ma sospettavo che quando ero fuori di casa veniva a rinno-varmi i malefizi, poiché andava sovente in casa di detta Isabetta, con la quale non aveva a fare cosa alcuna, tranne che il trattar cosa di mio danno; e Isabetta, sotto pretesto di mandare uova alia sua figliuola, al refugio in cui si tro- 22 23 vava, mandava a dire che Stesse salda, che per forza sarebbe bisognato che io la pigliassi in moglie...". E ancora confessa: "e a dire a Vostra Signoria il vero, mentre andavo a Genova per il viaggio in Spagna, mi pareva che io fossi me-nato alla forca, e mi venne la tentazione di get-tarmi nel mare, e mi venivano certe passioni di cuore come fossi stato per morire". E di questo suo stato aveva certo notizia, tramite la strega, Caterinetta, se fino a quando lui tornö dalla Spagna si diceva certa che l'avrebbe sposata. Dove Caterinetta e sua madre fossero finite quando, nel dicembre del 1616, comincia - gra-zie a Vacallo - il calvario di Caterina Medici, non lo sappiamo. Non lo sapeva nemmeno Caterina Medici che, ad un certo punto, gli strazi che le somministravano convinsero a chiamarle, insieme a tanti altri, in correita: per come si de-siderava e per come polizie e giudici invariabil-mente desiderano. Ne lo seppe il Capitano di Giustizia, che certo non mancö a diligenti inda-gini per ritrovarle e cosi, affoltendo il numero delle vittime, rendere piü festoso lo spettacolo dei supplizi e delle esecuzioni. Don Pietro di Toledo e il senato milanese erano proprio decisi a estirpare, con l'alacre aiuto delPInquisizione, la malapianta della stregoneria: che per diffu- sione ed effetti bisogna ammettere che doveva essere piuttosto preoccupante. Erano pratiche, quelle della stregoneria, che esercitate a benefi-cio di una clientela pagante - mogli che non sopportavano piú i loro mariti; familiari in pre-scia di avere ereditá da parenti che avevano beni al sole o nascondevano il loro gruzzolo; donne che, come Caterinetta, aspiravano a nozze alto-locate; spasimanti che volevano arrendere fan-ciulle alle loro voglie - spesso avevano come in-gredienti sostanze stupefacenti e veleni. Che di meglio dell'arsenico per liberarsi di un marito fastidioso o per abbreviare la vita di un parente ricco? Se oggi si calcola che in Italia operano al-meno ventimila professionisti dell'occulto (Cor-riete della sera del 23 giugno 1985: l'intera pa-gina 23 dedicata agli "stregoni"), c'e da imma-ginare quanti ne operassero nel meno "illumi-nato" secolo XVII. E c'e da dire che da un certo punto in poi (e potrebbe far da Crinale //processo di Frine di Scarfoglio), la diffusione di nozioni mediche e farmacologiche e l'impiego di veleni per domestico uso, ha fatto si che i venefici si compiano senza l'intervento delle fattucchiere: per cui, paradossalmente, le pratiche di fattuc-chieria sono oggi piú magiche e meno effettua-li - meno effettuali, in senso menomante o letale - che nei passati secoli. Caterinetta e sua madre sono dunque, al mo-mento in cui la "giustizia" azzanna Caterina 24 25 Medici, irreperibili come Renzo dopo il tumulte* di San Martino. Forse avevano anche loro passato PAdda e si trovavano in terra di San Marco. E ci piacerebbe sapere del loro destino: e specialmente se, doppiato lo scoglio del meretri-cio e della ruffianeria, che giá duramente si pro-filava nelle loro vite, Caterinetta fosse riuscita ad accasarsi con un qualche capitano convinto di esserne innamorato, soltanto "fortemente in-namorato": come, con esatta essenzialitá, Man-zoni dice ne era - senza averne intelligenza - il capitan Vacallo (e ci awiene senza volerlo di scrivere "capitan" invece che "capitano": per un momento intravedendolo come maschera della commedia dell'arte: in comicitá, in buffoneria). E ugualmente irreperibili ě da credere siano ri-sultate tutte le altre persone (o quasi) che Cate-rina Medici nomina come vittime o chiama in correitá. A meno che non siano state, alcune, trovate e interrogate: ma accorgendosi gli inqui-renti di sostanziali discordanze tra le loro testi-monianze e le autoaccuse di Caterina, non ab-biano eliminato dal processo quei verbali d'inter-rogatori. Per semplificare. Per accelerare. Per ar-rivare dritti e spediti alia condanna di Caterina. E potuto accadere. E crediamo che accada. Terri-ficante ě sempře stata l'amministrazione della giustizia, e dovunque. Specialmente quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano. Il "collegiato" Ludovico Melzi presentô dun-que denuncia, contro Caterina Medici "strega professa", il 26 dicembre 1616. E un po' ci intriga il fatto che si dicesse "collegiato", se - se-condo la biografia che del padre e del figlio pubblicô Felice Calvi nel 1878 - la sua ammis-sione al Collegio de' nobili giureconsulti (anche Ludovico si era, come il padre, laureato in utro-que a Pavia) awenne quasi esattamente un anno dopo, il 16 dicembre 1617. Festoso awenimento cui parteciparono vistosamente Senato, nobilta e autorita cittadine; e vi intervenne anche il cardinal Ludovisi, che quattro anni dopo ascenderä al soglio col nome di Gregorio XV. "Il signor Antonio Monti" - dice il Calvi - "coglieva l'oc-casione per leggervi un'acconcia orazione con cui tesseva le lodi del novello giureconsulto e della famiglia di lui; orazione che destô l'entu-siasmo degli invitati." E se la festa si ebbe nel dicembre del 1617, e'e da immaginare non sia stato dimenticato dall'oratore, tra i meriti di Ludovico e del padre suo, quello di aver conse- 27