Medici, irreperibili come Renzo dopo il tu-multo di San Martino. Forse avevano anche loro passato 1'Adda e si trovavano in terra di San Marco. E ci piacerebbe sapere del loro destino: e specialmente se, doppiato lo scoglio del meretri-cio e della ruffianeria, che giá duramente si pro-filava nelle loro vite, Caterinetta fosse riuscita ad accasarsi con un qualche capitano convinto di esserne innamorato, soltanto "fortemente in-namorato": come, con esatta essenzialitá, Man-zoni dice ne era - senza averne intelligenza - il capitan Vacallo (e ci awiene senza volerlo di scrivere "capitan" invece che "capitano": per un momento intravedendolo come maschera della commedia dell'arte: in comicitá, in buffoneria). E ugualmente irreperibili ě da credere siano ri-sultate tutte le altre persone (o quasi) che Cate-rina Medici nomina come vittime o chiama in correitá. A meno che non siano state, alcune, trovate e interrogate: ma accorgendosi gli inqui-renti di sostanziali discordanze tra le loro testi-monianze e le autoaccuse di Caterina, non ab-biano elxminato dal processo quei verbali d'inter-rogatori. Per semplificare. Per accelerate. Per ar-rivare dritti e spediti alia condanna di Caterina. Ě potuto accadere. E crediamo che accada. Terri-ficante ě sempře stata l'amministrazione della giustizia, e dovunque. Specialmente quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano. II "collegiato" Ludovico Melzi presentô dun-que denuncia, contro Caterina Medici "strega professa", il 26 dicembre 1616. E un po' ci intriga il fatto che si dicesse "collegiato", se - se-condo la biografia che del padre e del figlio pubblicô Felice Calvi nel 1878 - la sua ammis-sione al Collegio de' nobili giureconsulti (anche Ludovico si era, come il padre, laureato in utro-que a Pavia) awenne quasi esattamente un anno dopo, il 16 dicembre 1617. Festoso awenimento cui parteciparono vistosamente Senato, nobiltá e autorita cittadine; e vi intervenne anche il cardinal Ludovisi, che quattro anni dopo ascendera al soglio col nome di Gregorio XV. "II signor Antonio Monti" - dice il Calvi - "coglieva l'oc-casione per leggervi un'acconcia orazione con cui tesseva le lodi del novello giureconsuko e della famiglia di lui; orazione che destô l'entu-siasmo degli invitati." E se la festa si ebbe nel dicembre del 1617, c'e da immaginare non sia stato dimenticato dalľoratore, tra i meriti di Ludovico e del padre suo, quello di aver conse- 26 27 gnato alla giustizia una strega. Ma se si tratta di una svista del Calvi (o del tipografo), e che la nomina a "collegiato" sia d'un anno prima, c'e invece da immaginare qual miscuglio di tripu-dio e di angoscia ribollisse in casa Melzi tra i preparativi per la festosa cerimonia e gli interro-gatori di Caterina, le sue confessioni, le perqui-sizioni, gli esorcismi. A meno che Ludovico non fosse giä, nel 1616, "collegiato" di chi sa quäle altro Collegio: e nulla dunque ci sarebbe da immaginare. Comunque, in casa Melzi - stando a quel che Ludovico racconta - per quasi venti giorni, tra la rivelazione di Vacallo e l'arrivo di Cavagnolo, quella rivelazione era stata silenziosamente co-vata in attesa, appunto, che Cavagnolo la con-fermasse. E sarä stato, Andrea Cavagnolo, uno di quei personaggi esuberanti, comunicativi, protettivi che, occupandosi dei fatti altrui e ce-lando i propri, di solito oscuri o miserevoli, fini-scono col riscuotere la confidenza e la fiducia del vicinato e magari di un intero quartiere, di un intero paese. Figlio di un dottor Rolando non sappiamo in quäle professione addottorato, sara venuto su, come si suol dire, senza arte n6 parte, contentandosi di un magro manteni-mento o di una esile rendita, ma procacciandosi con espedienti il superfluo o l'apparenza del su-perfluo. Cavaliere lo dice Vacallo; e cosi proba-bilmente era titolato nel suo quartiere (che era, a quanto pare, quello di San Fedele): ma il Ca-pitano di Giustizia, piü attento ed esperto in fatto di titoli, si guarda bene dal dargli quello che evidentemente non gli spettava. L'arrivo di Cavagnolo, il suo confermare e ar-ricchire la rivelazione di Vacallo, suscita in casa Melzi un'alacre e febbrile attivitä inquirente: a tal punto che si puö dire il processo fosse gia stato formalmente istruito prima che arrivasse all'autoritä cui spettava istruirlo. Nella denun-cia di Ludovico Melzi, c'e giä tutto: testimo-nianze, perizia medica, risultato di una perquisi-zione, confessione di Caterina. Confessione, sembra, facilmente ottenuta: e bastö ad otte-nerla la semplice contestazione che si sapeva lei fosse una strega e che si era certi avesse malefi-ziato il senatore. Ma influi forse, a credersi per-duta e a farle calcolare avrebbe riscosso piü cle-menza dal confessare e rimediare che dal negare e dall'ostinarsi nel malefizio, la presenza di Vacallo, di Cavagnolo, dei padri esorcisti, del me-dico. Perche questo e il punto: Caterina Medici credeva di essere una strega o, quanto meno, aveva fede nelle pratiche di stregoneria. E forse una fede meno intera di quella dei suoi accusa-tori: poiche, in fatto di stregoneria, l'inquisitore e l'inquisito, il carnefice e la vittima, partecipa-vano dell'uguale credenza; ma streghe e stre-goni, dal vedere tante loro pratiche non sortire alcun effetto, qualche dubbio dovevano pure 28 29 averlo, mentre owiamente non ne avevano co-loro che li temevano o che cli pratiche stregone-sche si credevano affetti - e ancora di piú i pa-dri inquisitori, i giudici. Tornati a casa dopo il piccolo rogo degli og-getti del malefizio, e dopo avere il parroco di San Giovanni esorcizzato a dovere il senátore, Ludovico decise di affrontare Caterina e di co-stringerla a confessare e a rimediare. Dice di averla presa in disparte: ma non si capisce in di-sparte da chi, se Cavagnolo era certamente pre-sente e, a quanto pare, altri chiamati poi a testi-moniare. Ex abrupto ľaccusa di aver fatto i ma-lefizi a suo padre, e che se non glieli disfaceva come strega sarebbe stata bruciata. Caterina tento di negare, "ma dicendole il Cavagnolo che non poteva negare di essere da lui conosciuta come strega", subito confessô di aver sottratto al senátore "una stringa e un bindello delle calze" e che nella stringa aveva fatto un nodo: a conseguire l'effetto che il senátore ľamasse. Stringa ě parola che oggi ha lo stesso significato di allora: e nel vestiario di allora - nastri, cor-doncini, lacciuoli - ce n'erano tante; ma che cosa fosse un "bindello" delle calze, possiamo sol tan to arguire che fosse un filo o una striscia. 30 31 A questa príma confessione, la lasciarono an-dare: e non si capisce perché non abbiano conti-nuato 1'interrogatorio, awantaggiati com'erano dalPčx- abrupto. A meno che non le avessero con-sigliato di trar consiglio dalla notte che, come antica saggezza vuole, lo porta sempře buono e giusto: e per Caterina, a quel punto e dopo la prima ammissione, non poteva essere che quello della piena confessione e del liberare il senátore dalle coliche. Uindomani, infatti, dalPinsonne agitazione della notte, dall'ingigantirsi dei pericoli cui an-dava incontro non confessando quel che i suoi accusatori desideravano che confessasse, e in-somma dalla paura di finire sul rogo, Caterina era in disposizione di confessare quel che aveva fatto e quel che non poteva aver fatto. Condu-ceva 1'interrogatorio Cavagnolo, e Ludovico ne era silenzioso assistente. Confessó, Caterina, di aver fatto i malefizi al senátore con l'aiuto del diavolo, col quale si era intrattenuta, ricevendone incoraggiamenti e istruzioni, la sera di San Francesco (e cioě il 4 ottobre: ma nessuno si diede la pena di verifi-care se le coliche del senátore cominciassero da quel punto), tra le due e le tre ore di notte. II diavolo le aveva dato delle piume e del refe, e glieli aveva fatti annodare insieme, facendole durante quelPoperazione recitare Padrenostro e Avemaria, ma mettendole la pelosa mano sulla bocca quando stava per pronunciare il nome di Gesú e 1'amen, ché a quelle parole la possibilitá del malefizio sarebbe svanita. Le piume e il refe cosi "groppiti", il diavolo le disse di metterli in capo al letto del senátore, recitando, stando in piedi, Pater ed Ave sempře senza Gesú e amen, e aspettandone 1'infallibile esito: del senátore che sarebbe venuto al suo letto. II che, come Caterina dice in altro luogo, puntualmente si verificó; e con piena soddisfazione di lei, forse perché mai il suo corpo era stato oggetto di tanta delicatezza quanto quella che il senátore quella notte usó. Comportamento sessuale da classe alta, vorremmo malignamente definirlo. Ma Caterina, giustamente paventando di accre-scere Tira e il desiderio di vendetta della fami-glia Melzi e dei giudici, si guardó bene dal mo-strar di credere che il senátore fosse quella notte entrato nel suo letto. Non il senátore, ma il diavolo che aveva preso le sembianze del senátore. "Una notte tra le cinque e le sei ore, che pure dormivo, venne detto Demonio in camera, e ti-randomi la coperta ďaddosso, mi si accostó nel letto dalla banda dritta senza parlare, ed era in persona di detto signor Senátore, che pareva la sua faccia, ed era vestito come lui..." Ma si cor-regge: "Era in camicia, e mi si accostó appresso; e sentii che era caldo, perché io sempře dormo nuda, e mi pose la mano dritta sullo stomaco; e sentii che la sua mano era tanto delicata, che 32 33 non si poteva sentir la piú dolce cosa; e sentii tanto gusto, mcntre mi toccava le tette, che da me stessa mi corruppi; e stette con me il tempo di dire un miserere, e non mi fece altra cosa che mettermi la mano al petto senza mai parlare; ma quando si levö dal letto per andar via, sentii che aveva il fiato grandemente grave, e mentre andava fuori della camera guardai e vidi che non pareva piú il signor Senátore, ma una cosa negra e brutta; e smarrita dissi 'Jesus Maria', ed esso Demonio ando giů per la scala facendo un gran rumore che pareva di trenta paia di Dia-voli, e giü in cucina parve che tutti i piatti di peltro fossero gettati a terra (ma la mattina quando fui abbasso non trovai alcun peltro a terra); e partito il Demonio, poco dopo mi ad-dormentai e dormii sino a giorno." Ha detto nettamente che il diavolo, nella sembianza del senátore, altro non fece che carezzarla (e questo pure al senátore bašto per "corrompersi"); ma air inquisitore piace indugiare sull'argomento, insiste per sapere se non la "negoziö", se a lei non si congiunse. Ma su questo dettaglio, che sembra il solo vero e preciso in un contesto fa-voleggiante - di cose sentite raccontare e richia-mate alla memoria per compiacere gli accusatori - Caterina non cede: "Signore no, che non tni negoziö; e non si meravigli Vostra Signoria se mi corruppi cosi presto, perché sono tanto calda di natura che non posso mai aspettare 1'uomo." Ed ě anche questo un tratto di veritá, poiché taňte delle sventure che travolsero la sua vita si puô intravedere le venissero dalľessere "tanto calda di natura": il che con alquanta difficoltá si accetta oggi possa essere una donna, e figuria-moci nel XVII secolo, e nella condizione di Caterina. In quanto ad aver avuto "negozio" col diavolo, e nella consapevolezza che fosse il diavolo, e piú di una volta, Caterina particolareggiata-mente se ne confessô. Ma teniamoci intanto al racconto di Ludovico. Dopo ľinterrogatorio condotto da Cavagno-lo, la stessa mattina, Caterina ne subisce altro, e questa volta da un esperto: "il signor Giovan Pietro Soresina, Cancelliere deľ Santo Officio". Caterina ripete la confessione, riconferma che era stato il diavolo in persona a darle refe e penne e a insegnarle a "groppirli", suggerisce che quel groppo, ehe lei stessa con mano sicura estrasse dal letto del senátore, venisse subito bruciato: e il senátore "sarebbe risanato". Ma non era finita. Nel pomeriggio arrivö il dottor Giovan Battista Selvatico, che era un medico vecchio amico del senátore: e volle anche lui parlare con Caterina e, forse non convinto che quelle penne "groppite" nel refe bastasse bru-ciarle, impose a Caterina di disfarne i nodi: cosa che sarebbe stata di gran difficoltá per chiun-que, ma lei destramente li disfece. Dopo di che, 34 35 dalla stessa Caterina, fece bruciare refe e penne in uno scaldino. E si puó immaginare di qual letizia abbondasse il dottor Selvatico - come poi i piú autorevoli suoi colleghi Clerici e Settala -nel poter dimostrare che la scienza non era arri-vata a diagnosticare il male del senátore non per difetto di essa scienza in coloro che la professa-vano, ma per diabolico ostacolo. A due ore di notte torno il curato di San Giovanni: andó in camera del senátore a legger-gli orazioni atte a scongiurare il malefizio, poi scese da Caterina e "con grandi orazioni e devo-zioni la fece prostar a terra" mettendole i piedi sul collo e, in questa positura, le impose "che ri-nunziasse a quanto aveva promesso al diavolo e di pentirsi di tanto errore, con promessa che in quanto ella poteva" avrebbe restituito a salute il senátore. Caterina rinunció, promise. E passa-rono, gli astanti, a far perquisizione tra le sue robe, trovandovi una cartina "con dentro erba che non si ě potu to comprendere cosa si a" e an-che la stringa e il "bindello" sottratti al vestia-rio di qualche altra persona da malefiziare: ed erano giá "aggroppiti", ma adoperandosi il curato per "sgroppirli", la stringa apparve "morsi-cata con den ti, segno che quello che ha fatto tal groppo avesse rabbia di ottenere qualche suo in-tento". E Ludovico aggiunge, poiché la stringa non era di quelle adoperate dal senátore suo pa-dre, che ě possibile fosse del cocchiere di casa, "quale si e trovato ancora lui malefiziato, da al-cuni giorni in qua patendo dolori di stomaco, e nel suo letto si c trovato un osso di oca con dentro delle piume bianche, un tralcio di roveto spinoso intrecciato di piume, una rosa piccola di piume bianche groppita con refe bianco". Trovano anche, tra le cose di Caterina, una cintura di cuoio nerodorata, a circonferenza "d'uomo ben complesso", ad un capo con attac-cato del refe bianco, alPaltro un pezzo di legno legato con un "bindello" di seta morello: e chi sa quale altra anima e stomaco avrebbe impri-gionati una tal diavoleria. Trovano anche dei ca-pelli annodati - belli, rossi - e altre stringhe di filo di seta. E una lettera del 27 febbraio 1615, firmata Giovanni de Medici, in cui si davano notizie, che Caterina aveva chiesto, di un tale, innominato, che era stato ammalato per un mese e che si era levato "suso", "pero non e si-curo che vada innanzi, perche ha tanto male alle gambe che non pud andar troppo lontano". E non ci voleva di piu per attribuire a malefizio di Caterina, all'efficacia anche a di stanza di un suo malefizio, lo star male di quell'uomo e la sua prossima morte. Riguardo all'erba che nella querela Ludovico non sapeva cosa fosse, bisogna dire che quando b chiamato a testimoniare sa che si tratta di una "erba secca chiamata An-dina": e l'avra appreso dal medico Giacomo Antonio Clerici (col Selvatico e col Settala uno dei 36 37 tře che, dall'alto della loro dotta ignoranza, e con effetto deci si vo, certificarono essere Cate-rina "strega professa") che sull'"erba Andina", detta anche "yerba mate", sapeva tanto da la-sciare, manoscritto, un trattato. Giorni prima, era andato in casa Melzi "un esorcista famoso forastiero". Ludovico non ne ricorda il nome, ma vien fuori da altra testimo-nianza: Giulio Césare Tiralli, bolognese. Chia-mato dai Melzi, a quanto pare, per la fama che gli veniva dall'alloggiare in casa Langosco, moko probabilmente chiamatovi per assistere la contessa, da tempo předa di un malefizio, don Giulio Césare dapprima s'intrattenne col senátore, passó poi a interrogare Caterina. Evidente-mente aveva degli indizi che, riguardo al male della contessa Langosco, lo portavano a Caterina: e infatti Caterina gli confessó di avervi avuto parte. Don Giulio Césare la sapeva dawero lunga, in fatto di stregoneria. Domandó carta, penna e inchiostro: ché di quanto Caterina avrebbe detto "voleva dar parte al signor Cardinale"; poi la fece inginocchiare ai suoi piedi, esortandola a fare piena confessione, e specialmente di quel che sapeva sul malefizio della contessa. Caterina raccontó di essere stata presente alla prepara-zione di un unguento che doveva servire a un-gere la contessa; e mandante del malefizio era un cavaliere, di cui non sapeva il nome ma che era in grado di descrivere, che si era innamorato della contessa: e l'unguento aveva il potere o che la contessa si innamorasse del cavaliere o che per consunzione si spegnesse. La strega che sapeva preparare quell'unguento - di difficile composizione, essendone base certe parti del corpo di un uomo morto per impiccagione - si chiamava Margherita, e stava in Casal Monfer-rato. Da lei Caterina aveva appreso l'arte della stregoneria. E ancora raccontd che, preparato l'unguento, Margherita la invito ad andar con lei alia villa della contessa, per somministrar-glielo. Ma la lascio ad aspettare fuori: e quando, dopo un poco, torno, aveva "forma di gatto". Ma "ritornö in suo stato" subito dopo, raccon-tando a Caterina quel che aveva fatto alia contessa e poi facendo materializzare nell'aria un cavallo, su cui entrambe montarono. Ma ad un certo punto scappo a Caterina di dire "Gesu, com'e lungo questo viaggio", sieche si trovö a terra, tra le spine: e il cavallo e Margherita erano scomparsi nella notte. A don Giulio Cesare sembrarono soddisfa-centi le rivelazioni di Caterina, confermando quel che lui sospettava ci fosse nei mali della contessa. E torno da Caterina il giorno di Natale, a beneficarla di un sermone sulla Passione di Nostro Signore e sulla protezione che la Madonna accordava anche ai peccatori pentiti. E di questo lei non doveva dubitare, anche se aveva 38 39 dato l'anima al diavolo. "E mentre ció diceva, essa donna si commosse in maniera tale che si mise a piangere, dimandando perdono a Dio e alla Vergine Santissima dei suoi peccati; ed esso monsignore le disse se si accontentava di far una disciplina per amore della Madonna, e lei disse che si, e cosi si mise a disciplinarsi con una disciplina che le diede il detto monsignore, e mentre io e il detto monsignore dicevamo il Miserere, essa Caterina si disciplino in tal modo che quasi si fece uscir sangue dalla schiena." Chi parla ě un certo Paolo, servitore di casa Langosco: e la sua testimonianza sta in luogo di cjuella che don Giulio Césare non poteva tendere, essendosene forse tornato a Bologna. II 27 dicembre Caterina fu consegnata al Ca-pitano di Giustizia. II 30, cjuando cominciano a interrogarla, tutte le testimonianze a suo carico sono state raccolte: e consistono, quasi tutte, nelFavere assistito al rinvenimento dei groppi diabolici e nelFaver sentito Caterina confessare di essere una strega. C'ě chi, dei racconti che lei andava facendo delle proprie e delle altrui ope-razioni di stregoneria, ricorda dei dettagli che altri dimentica o trascura: ma tutti sostanzial-mente concordano nel riferire il visto e il sentito. Ma son da considerare a sé le testimonianze dei medici, dei "fisici" come allora erano chia-mati: Ludovico Settala, Giacomo Antonio Cle-rici, Giovan Battista Selvatico. Viene prima sentito - come il piú illustre, il piú carico ďanni e ďesperienza - il Settala. Dice (e continuiamo a render piú chi ar a quella che Manzoni chiamava "la dicitura", a scio-glierne le frasi - sarebbe il caso di dire - piú "groppite", a dare piú ordinato ritmo alla pun- 40 41