questa, come tante altre cose che racconta, a noi incredibili e repugnanti, per gli inquirenti sicu-ramente verosimili e godute, son frutto della paura, del terrore e del dolore. Si era stabilita, e specialmente in quel secolo, una funesta circolaritá: antiche fantasie e leg-gende, antiche meraviglie e paure che erano cre-denze del mondo popolare, per la Chiesa catto-lica a un certo pun to si configurarono come un pericolo, come elementi di una religione del male che appunto a quella cattolica - del bene -si opponesse. E quell'antico favoleggiare si con-figuró, fu configurato, come pericolo: per l'ov-via ed eterna ragione che ogni tirannia ha biso-gno di crearsene uno, di indicarlo, di accusarlo di tutti quegli effetti che invece essa stessa produce di ingiustizia, di miseria, ďinfelicitá tra gli assoggettati. E certo quelle credenze avevano diffusione: ma a misura in cui ingiustizia, miseria e infelicitá erano dal sistema dominantě in maggiore quantitá e con accelerazione prodotte. Come a dire: provata la religione del bene, che tanti mali ci apporta, proviamo se ci va meglio quella del male. Che puó sembrare battuta ba-nale o grossolana, ma ě tutťaltro che priva di veritá: a rendere quel che accadeva a livello di, psicologia individuale, o di ristrette collettivitá. Caterina Medici, infatti, si rivolge al diavolo nei momenti di grande stanchezza e disperazione, quando non ne puó piü. Lo invoca a che la porti via, nel suo regno che irride a quell'altro cui pure lei crede ma di cui non trova un segno, una risposta, un barlume di grazia nella dolorosa sua vita. Colte nella tradizione popolare e nel farneti-care di alcuni, queste credenze venivano da dotti religiosi accuratamente catalogate e descritte, passavano ai predicatori, ritornavano al popolo autenticate, certificate: e ancor piu cosi si dif-fondevano. Una perversa e dolorosa circolaritá. Dice il Manzoni nel capitolo XXXII, met-tendo la credenza negli untori alia pari di quella nelle magie: "Citavano cenťaltri autori che hanno trattato dottrinalmente, o parlato inci-dentalmente di veleni, di malie, d'unti, di pol-veri: il Cesalpino, il Cardano, il Grevino, il Sa-lio, il Pareo, lo Schenchio, lo Zachia e, per fi-nirla, quel funesto Delrio, il quale, se la rino-manza degli autori fosse in ragione del bene e del male prodotto dalle loro opere, dovrebb'es-sere uno de' piu famosi; quel Delrio, le cui ve-glie costaron la vita a piü uomini che Pimprese di qualche conquistatore, quel Delrio le cui Di-squisizioni Magkhe (il ristretto di tutto ciö che gli uomini avevano, fino a' suoi tempi, sognato in quella materia), divenute il testo piü autore-vole, piu irrefragabile, furono, per piü di un se- 66 67 colo, norma e impulso potente di legali, orribili, non interrotte carneficine." E, a dir meglio di noi quel che stiamo tentando di dire, aggiunge: "Da' trovati del volgo, la gente istruita pren-deva cid che si poteva accomodar con le sue idee; da' trovati della gente istruita, il volgo prendeva ciö che ne poteva intendere, e come lo poteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa di pubblica follia." E sarebbe da vedere, con minuzioso con-fronto, quante cose, quante immagini, nella perversa circolaritä che si era stabilita, passarono dalle Disquisizioni Magiche del gesuita Marti no Del Rio in quel che Caterina, ad appagare gli inquisitori, confessava di se, del suo essere "strega professa". 68 Benché Caterina avesse confermato quel che aveva confessato in casa del senátore, aggiun-gendo altri particolari riguardo al malefizio ope-rato sul senátore ed esplicitamente confessando due fatti che erano, per l'accusa, due pilastri di inattaccabile soliditá - il patto col diavolo fir-mato col sangue, l'aver "negoziato" con sommo gusto col diavolo sapendo che era il diavolo - il Senato, che ne ebbe relazione dal Capitano di Giustizia, dispose che venisse torturata nei modi e nei tempi che paressero piu opportuni alia Curia: al fine di conoscere akre veritá. Ma "la tortura non ě un mezzo per iscoprire la veritá, ma ě un invito ad accusarsi reo ugualmente il reo che l'innocente; onde ě un mezzo per con-fondere la veritá, non mai per iscoprirla": e que-sto i giudici lo sapevano anche allora, si sapeva anche da prima che Pietro Verri scrivesse le sue Osservazioni sulla tortura, si ě saputo da sempre. Nella mente e nei cuore, in ogni tempo e in ogni luogo, ogni uomo che avesse mente e cuore l'ha saputo: e non pochi tentarono di comu- 69 nicarlo, di awertirne coloro che scarsa mente e poco cuore avevano. Ma il Senato e la Curia non volevano la ve-ritá, volevano creare un mostro che perfetta-mente si attagliasse al grado piú alto di consu-stanziazione diabolica, di professione del male, di cui i manuali di demonologia, classificando e descrivendo, deliravano. Si voleva, insomma, co-stringere Gaterina, coi tormenti, a uguale deli-rio. E Caterina non puó che accontentarli. Poi-ché il Senato, nella sua ordinanza, menzionava particolarmente due tipi di tortura - la corda e la tavola - non sappiamo quale le abbiano dato, o se tutte e due. Dopo di che Caterina ancora una volta si dichiara disposta a dire la veritá. E comincia col dire che la lettera trovata nella sua cassapanca era di suo fratello Ambrogio, che pero l'aveva fatta scrivere dal figlio Giovanni: e le informazioni riguardavano la salute del ma-rito di lei, quel Bernardino Pilotto "che faeeva il mestiere del Michelaccio, e io ero forzata a fare il bordello per mantenere lui" (e a questo punto non si capisce piú se il marito, a quell'ul-timo giorno dell'anno 1616, era morto, come prima aveva asserito, o ancora vivo: tan to dubi-tiamo che la tortura servisse ad acclarare anche le veritá piú irrilevanti). Passa poi a precisare che lei aveva un demonio addetto, e che le era stato assegnato da Lucifero in persona; ma si impunta a negare di essere stata al "barilotto", di conoscere una formula precisa per liberare il senátore dal mal di stomaco e che il demonio fosse stato presente al momento in cui lei met-teva le cose "groppite" nei cuscini e nel mate-rasso del senátore (ma non negava che fosse stato presente quando lei "groppiva"): al che i giudici ordinano si rimetta alia tortura - questa volta, sappiamo, della corda - contestandole che non dice la veritá e che "non ě pensabile abbia commesso soltanto i maleficii fino allora confes-sati". E poiché le era stata messa la corda al braccio destro, mentre la si stringeva disse: "Diro la veritá, fatemi dislegare." E la veritá era in tutto un elenco di nomi: il conte Alfonso Scaramuzzo, Francesco Savona, Francesco Mate-lotto, Giacomino del Rosso servo del conte, un Bartolomeo che stava a Trino, un Giovanni Ferrari cocchiere del conte della Somaglia, un Ugo servitore di Federico Roma, un Pietro Antonio Barletta che stava in casa di Squarciafigo: per-sone tutte da lei malefiziate. Confessó anche di avere una volta abortito: e da questo parte per fare altro elenco: di bambini che aveva malefi-ziato, con esito letale, a Occimiano, mentre a Milano - dice - "non ho guastato altro che due creature": una fino alia morte, l'altra salvata "perché gli rimediai". Ma non erano poi soltanto due: continua a elencare, a indicare per nome o per strada o per quartiere. E - "voglio dire tutto senza che Vostra Signoria mi faccia 70 71 dare piů tormenti" - confessa di essere stata al "barilotto" per circa dodici volte. II "barilotto". Gliene aveva gia domandato il famoso esorcista bolognese e Caterina, negando di esserci stata e molto probabilmente dicendo di non sapere cosa fosse, ne avra avuto da lui una spiegazione e descrizione die le sara tornata utile (tremenda utilita, da ancor piu awicinarla al supplizio) nella descrizione che ora ne fa ai giudici. E non che si voglia credere che dawero Caterina non sapesse che cosa era il "barilotto", allora al vertice di tutti i deliri, popolari e dotti, sulle streghe. Forse la prima volta la si trova, questa parola, in una lettera di Giovanni da Beccaria a Ludovico il Moro (24 ottobre 1496, da Sondrio): la dove dice di aver consultato "uno striono de quelli che vanno nel Berloto, secondo il vocabolo loro", uno stregone di quelli che vanno al "barilotto": che era la periodica riunione di streghe, stregoni e diavoli: bac-canale, orgia, tregenda fatta di blasfemi insulti alia Croce, di smisurate mangiate e bevute, di mostruosi accoppiamenti. E presiedeva, in trono e regalmente vestito, Satana: adorato come dio. Per coloro che ci credevano, ed erano tanti, al "barilotto" di Lombardia accadeva, ne piu ne meno, quel che si diceva accadesse sotto il noce 72 di Benevento. E del noce di Benevento, della sua leggenda, Caterina indubbiamente si ricorda quando dice che i "barilotti" cui lei aveva parte-cipato si svolgevano sotto un noce. Chi vuol saperne di piu, sul "barilotto", sul noce di Benevento, pu6 anche fermarsi alia Cac-cia die streghe di Giuseppe Bonomo e al Paese di cuccagna di Giuseppe Cocchiara. E faremo a meno di darne la descrizione che Caterina ne fa minuziosamente ai giudici, poiche quel godi-mento che certo ai giudici diede noi non siamo minimamente capaci di sentire. Ci interessa, in-vece, la parola; e di come dai dizionari della lingua italiana sia in quel significato scomparsa, ammesso che qualche volta, da qualcuno, sia stata presa in considerazione. Ma e da dire che se e scomparsa, o non c mai entrata nei dizionari, nell'uso c continuata a vivere lontana-mente adombrando quel significato. Barilotto o barilozzo, dice il dizionario del Battaglia, e il centro del bersaglio: cerchietto di piccolo dia-metro: per il tiro con armi portatili. Ma, pos-siamo aggiungere, barilotto e anche, per esten-sione, la baracca in cui, nelle fiere, si fa il gioco del tiro al bersaglio. E ricordo che negli anni della mia infanzia, nei giorni della festa patro-nale in cui i girovaghi piantavano giostre, ba-racche in cui si facevano lotterie e giochi di forza e di abilita, e anche quello del tiro al bersaglio, di chi frequentava questo si parlava 73 quasi come di un debosciato. "II tale va al bari-lotto": come andasse a un luogo di perdizione. E me lo spiego oggi, che cosa si intendeva dire: improwisamente rivedendo nel ricordo quei ba-racconi del tiro al bersaglio, dove invitanti al gioco, pronte a ricaricare la carabina, a porgerla con sorridente civetteria al tiratore, a commence scherzosamente il tiro, erano sempre delle procaci donnine, da di segno e colore di Maccari. E dunque l'andare al barilotto era un andarci per loro, un accendersi al peccato della loro effi-mera compagnia. Per la veritä che vogliono i giudici, a farla apparire "verosimile" ("Terribile parola: per in-tender Pimportanza della quale, son necessarie alcune osservazioni generali, che pur troppo non potranno esser brevissime, sulla pratica di que' tempi, ne' giudizi criminali": dice il Man-zoni nella Storia della colonna infame, alia quale mai ci stancheremo di rimandare il lettore, e per tante ragioni: che sono poi quelle per cui scri-viamo e per come scriviamo; e ora, anche, per apprendervi il senso che aveva allora questa "terribile parola"); a farla, dunque, apparire "verosimile", Caterina adotta febbrilmente, con delirante lucidita, un si sterna: che c un modo definitivo di perdersi, di precludersi ogni possi-bilita. di tornare indietro: tan to la paura e il do-lore la stringevano. II si sterna di dare morti o malati per suo malefizio bambini e adulti della cui morte o malattia in quel momento si ri-corda: di modo che i giudici non hanno che da chiamare i familiari dei morti, e coloro che an-cora erano afflitti da un male o ne erano appena 74 75 guariti, per avere quella che si suol dire la prova provata che Caterina e strega di inaudita e gra-tuita malvagita, un pericoio pubblico. E cosi in-fatti awiene. Ecco Andrea e Domenico Birago, rispettiva-mente nonno e padre di un bambino malefi-ziato, ma non a morte, da Caterina. Dice Andrea: "Ho conosciuto Caterina, che stava per fantesca dal mio padrone, circa due anni fa. E si, signore, che ho un nipote di tre anni; ed e vero che stette ammalato forse per un mese, nel suo primo anno, e non si conosceva di che male... Ma non lo fecimo visitare d'alcun medico, e fu mentre la detta Caterina stava in casa del mio padrone, e veniva per casa, e faceva carezze a detto figliuolo." E Domenico: "Ho un figliolo chiamato Gerolamo d'eta di tre anni; e nel primo anno ebbe un'infermita che duro piu di tre settimane. Si ammald alPimprowiso circa alia fine della vendemmia di quell'anno, e an-dava senza febbre dimagrendo, e divento fasti-dioso e malinconico, e pareva gli si storcessero gli occhi; e mentre entravo in pensiero che fosse malefiziato, e volevo consultare qiialcuno che se ne intendesse, comincio a guarire senza che gli facessimo nulla, e guari: ma non ci accorgemmo mai da dove potesse provenire detto male." E a domanda risponde: "Signore, si che quando Caterina, allora fantesca del padrone, veniva fuori, faceva grandi carezze al figliuolo." A far le cose in tutta garanzia, viene chia-mata anche la madre del bambino:; e conferma quel che il suocero e il marito hanno detto. A tutta garanzia, vogliam dire, che quel che ľim-putata aveva confessato si caricasse di un di piü di "verosimiglianza", che sulle sue nefandezze non restasse dubbio. E si passa cosi a Paolo Fer-raro, padre di un Franceschirio per malefizio di Caterina morto a quattordici mesi: "Ma quando era sano, mostrava averne piü assai, ed era grosso e grasso, e cominciava a camminare da solo; e non si conobbe mai la sua malattia... E circa un mese prima che morisse lo feci portare alia chiesa di San Martino Nossigia, dove fu esorcizzato da un frate, il quale disse che il figliuolo era maleficiato." Un vicino di casa testimonia che il bambino era "sano, bello e ben complesso"; che pati di una strana malattia; che, senza febbre, "andava mancando di giorno in giorno"; che il padre era convinto fosse stato ammazzato da un malefizio. E non ci voleva di piu. Nel suo parossismo a denunciarsi, a sprofon-darsi per il diletto dei giudici in ogni abiezione, forse per Caterina lontanamente baluginava la speranza del perdono, se - come poi gli impu-tati d'unzione - fece dei nomi, tento di associare 76 77 altri al proprio destino. II far nome di sodali, di complici, e stato sempre dai giudici inteso come un passar dalla loro parte, come un rendersi alia giustizia e farsene, anche se tardivamente, stru-mento; e insomma come il vero ed efficace pen-timento. Di cid ogni imputato si fa cosciente al suo primo incontro coi giudici, e ne fa conto. Ma nel caso di Caterina - come poi in quello dei cosidetti untori - era un conto sbagliato. Si voleva dare un'immagine della giustizia terrifi-cante per gli adepti, che si credeva ci fossero, o che comunque era utile credere che ci fossero, alia stregoneria; e soddisfacente, quasi una festa in cui non si era badato a spese, per il popolo. II supplizio cui Caterina era destinata obbediva insomma alia ragion di governo, faceva parte del malgoverno nel dar l'apparenza che il governo fosse invece buono, vigile, prowido. Comunque, Caterina non trascuro di denun-ciare altri: per lo piü donne che a lei si erano ac-compagnate nelle frequentazioni del "bari-lotto". E tra queste vengono fuori la Caterinetta di Varese e sua madre, quelle del capitano Va-callo: che in fatto di "barilotto" erano giä esperte. E appunto da loro - dice Caterina: in confusione e contraddizione - che fu iniziata al "barilotto". E si direbbe per gradi. Dapprima e una innocente passeggiata fuori porta, accompagnate da un servo di Vacallo. L'indomani all'alba, non piü scortate dal servo, una piú lunga passeggiata fino a un prato grande, vicino a una chiesa di frati, dove tro-vano un ballo giá iniziato che due diavoli diri-gono. I diavoli, "in forma di uomini giovani, sbarbati, vestiti di nero", hanno i nomi di Vento e di Scirocco. Satana era giá andato via. Le tre donne - arrivate in ritardo - entrano si-lenziosamente ("ché al Barilotto non si puó parlare") nel ballo; e Hnito il ballo Caterinetta si fa "negoziare" da un giovane vestito ďaz-zurro, la madre da un uomo barbuto; e lei, Caterina, non fu "negoziata ďalcuno, perché non v'era chi mi piacesse". A questa prima espe-rienza ne segui altra, Tindomani: "e la Caterinetta fu negoziata da quel medesimo giovane, e io da un Antonio di Varese vecchio che mi ne-gozió solamente due volte; ma Caterinetta, per quanto mi disse, fu negoziata sette volte". E cosi via, da un "barilotto" aH'altro: e incon-trando altre Caterine, altre Margherite. 78 79 La Curia pone e bandisce un termine a che qualcuno si presenti ad assumere la difesa di Ca-terina. Nessuno si presenta: anche perche - ne siamo sicuri dalla lettura di process: consimili di quegli anni, e di cronache - il termine sara stato di ore, e non di giorni. E poi, non vogliamo credere che in tutta Milano non ci fosse un solo giureconsulto sufficientemente folle da accor-rere a quella difesa. Sufficientemente folle, di-ciamo, per dire umano, generoso, illuminato dall'idea del diritto; e partecipe di quella universale ragione che non nel secolo successivo sara inventata (anche se in quel secolo conclamata e acclamata), ma perennemente e corsa, vena piu o meno affiorante, anche nel tempo piu distante e oscuro. Di pochi, d'accordo: ma viva. Non presentandosi alcuno a difenderla, il processo poteva esser chiuso. La Curia (non ec-clesiastica: s'intende Corte di Giustizia, Corte Criminale) si ritird in camera di consiglio per deliberare la sen ten za, che fu di morte per rogo. Ma occorreva la convalidazione del Senato, cui 81 1 il Capitano ne riferí. II Senato, poiché molte delle confessioni di Caterina avrebbero interes-sato la Santa Inquisizione, ordinô venisse conse-gnata al reverendo padre Inquisitore che, dopo averla esaminata, l'avrebbe restituita al Capitano di Giustizia per l'esecuzione della sentenza. In quanto alia sentenza, al Senato parve al-quanto mite: e "preso da disgusto e vivamente preoccupato per queste scelleratezze e per le arti infernali che dappertutto si propagavano, nella cittá come nella provincia, stabili che fosse con-forme a giustizia, quale esempio e terrore per mostri di tal genere, che a questa sacrilega e de-testabile donna fossero adeguati i tormenti". E dunque: "Sia condotta sopra un carro al luogo del pubblico patibolo, ponendole sulla testa una mitra con la dicitura del reato e figure diaboli-che, e percorrendo le vie e i quartieri principáli della cittá col tormentarla nel corpo con tena-glie roventi, per poi essere bruciata dalle fiamme..." Trascritta ľordinanza del Senato, il giudice Giovan Battista Sacco firmô il fascicolo proces-suale, vi appose il sigillo. Ma si accorse di aver dimenticato una cosa che poteva essere impor-tante. O forse non ľaveva dimenticata e voleva, cosi isolata, darle risalto. E aggiunse: "In uno degli interrogatori, Caterina Medici ha detto di aver sempre sentito dire che tutte le streghe hanno il popolo dell'occhio piú basso e piú pro- fondo delle altre donne." Si legge inequivocabil-mente cosi: "popolo". La pupilla, indubbia-mente: corruzione della parola latina e richiamo a "quella -popceu - del dialetto milanese. Ed ecco un segno di riconoscimento da tener ben pre-sente, e specie da parte dei reverendi padri In-quisitori che quella materia studiavano e catalo-gavano. E ci chiediamo se quella rivelazione Caterina la facesse per aggiungere un contrassegno al suo confessarsi Strega o, non avendo quell'oc-chio, quello sguardo, per discolparsene. II 4 febbraio 1617 si era concluso il processo. Esattamente un mese dopo la sentenza fu ese-guita. Dal registro della Compagnia che assisteva i condannati a mořte, apprendiamo che Caterina fu strangolata e poi data al fuoco. Per accre-scerle un tormento o per risparmiarglielo? "1617.4 marzo. Giustizia fatta su la Větra, fu abbruggiata una Caterina de Medici per strega, la quale aveva maleficiato il Senátore Melzi; fu fatta una Baltresca sopra la Casotta; fu strangolata su detta Baltresca alPalto, che ognuno poteva vedere; ma prima fu menata sopra di un carro e tenagliata. Era sotto 1'ufficio del signor Capitano, fu sepolta a Santo Giovanni; questa fu la prima volta che si facesse Baltresca." 82 83 Ci sono degli amid, dá conoscenti, dei semplici lettori dei miei libri che, pensando possano suscitare il mio interesse e invogliarmi a riscriverle estraendo-ne un qualche "essemplo", una qualche veritä, mi mandano antiche, vecchie o attuali e personali carte che dicono di fatti in cui l'ingiustizia, l'intolleran-za, il fanatismo (e la menzogna di cui queste cose si coprono) hanno parte evidente o, quel che e peggio, nascosta. E una cosa che mi lusinga molto, eforse la sola cui - dopo piů di trenťanni passati a metter nero su bianco - sono ancora sensibile. Ma st ha una sola vita, e da taňte altre cose insi-diata e distratta: sieche amici, conoscenti e lettori sono costretto a deluderli in gran parte, spesso non riu-scendo nemmeno a leggere interamente i documenti che tanto premurosamente mi mandano. Peraltro, non sono un gran lavoratore. Non lo sono per nulla, anzi: lontanissima da me 1'idea - o il sospetto: poi-chéil solo sospetto basterebbe a disgustarmene - che lo serivere sia un lavorare. Lavoro e il fare le cose che non piace fare: e ci sono stato dentro per circa ven-ťanni, appunto trovando nello serivere controparte 87 di riposo, di gioia. "Non faccio nulla senza gioia," diceva Montaigne: e i suoi essais sono ilpiú gioioso libro che rnai sia stato scritto. E per quanto amare, dolorose, angoscianti siano le cose di cui si scrive, lo scrivere e sempre gioia, sempre "stato digrazia". 0 si e cattivi scrittori. E non solo Dio sa se ce ne sono, e quanti: lo sanno anche i lettori. Ecco, dunque: le carte delprocesso a Caterina Medici, in fotocopia e trascritte, per circa due anni sono rimaste, insieme a dei libri che piú o meno da vicino si riferivano al caso, su un angolo della scrivania, nella mia casa di campagna. Processo e libri mi era-no stati dati dall'amico Franco SciardelU, siciliano che vive a Milano con grande affezione alia citta, e viva passione per la sua storia. E seguendo il fib del caso, di cui sommariamente mi ero reso conto e che mi interessava, altri libri io ero riuscito a radunare. Ma documenti e libri sarebbero rimasti li, finché una improvvida (sempre improvvida) mano non li avesse tolti per mettere ordine nel mio disordine, se rileggendo I promessi sposi, al capitolo XXXI, I'attenzione non mi si fosse fermata, ossessivamente come la puntina nel disco che gira sullo stesso solco, alia frase con cui Manzoni, a vituperio del Settala, ricorda I'atroce caso. E scattato allora un rinnovato interesse al fatto, piú fervido, quasi smanioso: e nel giro di tre settimane ne e venuto fuori questo raccon-to. Come un sommesso omaggio ad Alessandro Manzoni, nell'anno in cui clamorosamente si celebra il se-condo centenario della sua nascita. 88 Comune di Firenze Biblioteche