si riposasse libera nella tranquillitä delia pace; questo ě quel segno al quale massime debbe risguardare ľimperadore della ter-ra, principe romano, acciocché in questa abitazione mortale in pace si viva. E perché la disposizione di questo mondo séguita la disposizione delle celesti sfere, ě necessario a questo, affinché gli universali ammaestramenti della pacifica liberta comodamente a' luoghi ed a' tempi s'adattino, che questo terreno imperadore sia da Colui spirato il quale presenzialmente vede tutta la disposizione de' cieli. Questi ě solo colui che ordinô questa disposizione, acciocché egli, per mezzo di essa provedendo, tutte le cose a' suoi ordini collegasse. E se egli ě cosi, solo Iddio elegge, solo Iddio conferma, non avendo egli superiore. Onde ancora vedere si puč>, che né questi che ora si dicono, né altri che mai si sieno detti elettori, cosi si debbono chiamare, ma piuttosto denunzia-tori della Prowidenza divina. Di qui awiene che spesso insieme si discordano quelli a' quali ě data una tale facoltá di denunziare: o perché tutti loro, o perché alcuni di loro, ottenebrati dalla neb-bia della cupiditä, non discernono la faccia della disposizione divina. Cosi adunque apparisce che ľautoritä della temporale monarchia senza mezzo alcuno in esso monarca discende dal fonte della universale autorita: il quale fonte, nella sommitá della semplicita sua unito, in varii rivi spartisce liquore della bontá sua abbondante. E giä mi pare assai avere tocco il proposto termine. Impercioc-ché ě dichiarata la veritá di quella quistione per la quale si cer-cava se al bene essere del mondo fosse 1'officio del monarca necessario; ed ancora di quella che cercava se il popolo romano per ragione s'attribui ľimperio, non meno che delľultima nella quale si domandava se ľautoritä del monarca senza mezzo da Dio owero da altri dipendesse. Ma la veritä di quesťultima quistione non si deve cosi strettamente intendere, che il principe romano non sia al pontefice in alcuna cosa soggetto: conciossia-ché questa mortale felicitä alla felicitä immortale sia ordinata. Cesare adunque quella reverenza usi a Pietro, la quale il primo-genito figliuolo usare verso il padre riebbe, acciocché egli, illu-strato dalla luce della paterna grazia, con piú virtú il circolo della terra illumini: al quale circolo ě da Colui solo proposto il quale ě di tutte le cose spirituali e temporali governatore. [Versione di Marsilio Ficino] DALLE «EPISTOLE» leggere la traduzione italiana Delle tredici lettere, tutte latine, che di Dante si conservano, talora in un solo testimone, predominano nell'interesse generale quelle politiche, e in particolare le scritte per la discesa di Arrigo VII: quella (V), qua sotto riprodotta, ai signoři e popoli ďltalia, composta non molto dopo 1'enciclica (26 luglio 1309) con cui il papa avignonese demente V per allora accettava di incoronare in Roma il conte di Lussemburgo, giá designato imperatore dagli elettori di Francoforte e anzi incoronato ad Aquisgrana; quella inviata dal Casentino agli «scelestissimis Florentinis intrinsecis» (31 marzo 1311), ehe si preparavano a opporsi al nuovo imperatore; quella, di poco posteriore (17 aprile), ehe non senza energia invita Arrigo stesso a non perder tempo in Lombardia e a schiacciare il nemico principále, appunto Firenze. Anche di argo-mento politico sono la veemente epištola ai cardinali italiani per il conclave che doveva eleggere un successore a demente V (morto nel 1314); e ľaltra (XII), pure qui riprodotta, a un reli-gioso fiorentino che lo esortava ad approfittare, a condizioni che Dante riteneva ignominiose, di un'amnistia (quella concessa il 19 maggio 1315 dal podesta Ranieri di Zaccaria d'Orvieto: 1'esi-lio durava allora da circa tre lustri, come Dante dice, poiché, con-dannato una prima volta il 27 gennaio 1302, egli aveva pero lasciato Firenze, quale ambasciatore della Signoria a Bonifacio VIII, giá nel precedente ottobre). Quesťultima ě stata traman-data nel solo Zibaldone Laurenziano autografe del Boccaccio, ciö che non mancô un tempo di suscitare dubbi sulla sua genuinitä. Ma di grandissima importanza anche quella (XIII), di cui ě riprodotto un capitale paragrafe, con cui ě mandato a Cangrande della Scala il principio del Paradiso. Su questa lettera, ehe non puč> scendere sotto il 1317 secondo ľargomentazione corrente (ma ormai Francesco Mazzoni ha dimostrato ehe é solo sotto il 1312 ehe non si puô andare), si é appuntato anche di recente il furore dei critici, intesi a vedervi un falso totale o almeno parzia-le. Le prove per ľautenticitä portate dallo stesso Mazzoni con-sentono ormai tranquillamente di aserivere al poeta questo seritto čosi rilevante sulla sua autocoscienza poetica. E per tal modo a pagine di pensiero politico e di passione etico-politica (di pensiero, perché ľepistola ai re argomenta sulľlmpero, su cui giä verteva ľultimo del Convivio, con accenti non dissonanti da quelli ehe risoneranno tra poco - almeno secondo la cronolo-gia accettata dal presente compilatore - nella Monarchia e nella Commedia) se ne aggiunge una di critica letteraria da cui risulta la precisa ragione del titolo Commedia, fondata owiamente sulľuso della lessicografia contemporanea giá riflesso nel De vulgari, ma implicante ľintenzione di denominare il capolavoro dal suo livello stilistico piú umile, visto che tutti vi sono ammessi. «Commedia» é in sostanza il sublime del popolare, col suo lieto fine. Come trattato scolastico, ľepistola a Cangrande, almeno nel nueleo ehe qui importa, é sprowista di quegli ornamenti retorici ehe connotano quasi interamente le epištole oratorie, con le loro clausole di eursus planus (manántem perdúcens, affectuóse de plp delia Scala il principio del Paradiso. Su questa lettera, ehe non puô scendere sotto il 1317 secondo l'argomentazione corrente (ma ormai Francesco Mazzoni ha dimostrato ehe é solo sotto il 1312 ehe non si puô andare), si é appuntato anche di recente il furore dei critici, intesi a vedervi un falso totale o almeno parzia-le. Le prove per ľ autenticita portate dallo stesso Mazzoni con-sentono ormai tranquillamente di ascrivere al poeta questo scritto cosi rilevante sulla sua autocoscienza poetica. E per tal modo a pagine di pensiero politico e di passione etico-politica (di pensiero, perché l'epistola ai re argomenta sull'Impero, su cui giá verteva l'ultimo del Convivio, con accenti non dissonanti da quelli che risoneranno tra poco - almeno secondo la cronolo-gia accettata dal presente compilatore - nella Monarchia e nella Commedia) se ne aggiunge una di critica letteraria da cui risulta la precisa ragione del titolo Commedia, fondata owiamente sull'uso delia lessicografia contemporanea giä riflesso nel De vulgari, ma implicante l'intenzione di denominare il capolavoro dal suo livello stilistico piu umile, visto che tutti vi sono ammessi. «Commedia» é in sostanza il sublime del popolare, col suo lieto fine. Come trattato scolastico, l'epistola a Cangrande, almeno nel nucleo che qui importa, é sprowista di quegli ornamenti retorici che connotano quasi interamente le epištole oratorie, con le loro clausole di cursus planus (manántem perdúcens, affectuóse depósco ecc), velox (régimen réserváti, tálibus cóntinébant ecc.) e tardus (profi-tétur Ecclésia, pánis defíciet ecc.)- Nella lettera ai re continua é la citazione scritturale, nella cornice del tono profetico ehe som-muove rarita lessicali e soprattutto squisitezze metaforiche. Delle due ultime lettere é aggiunta una traduzione moderna, delia prima la fiorentina trecentesca, dove si segna qualche ritoc-co, e i cui principáli errori sono rimediati in nota. Ma si é rite-nuto interessante comunicare questo tentativo di volgarizzamento ďuna politica «ghibellina». [AI SIGNOŘI E POPOLI D'lTALIA] V universis et singulis italiae regibus et senatoribus almae urbis, nec non ducibus, marchionibus, comitibus atque populis, humilis italus dantes alagherii florentinus et exul inmeritus orat pacem [1]. «Ecce nunc tempus acceptabile*1, quo signa surgunt conso-lationis et pacis. Nam dies nova splendescit ab ortu auroram demonstrans, quae iam tenebras diuturnae calamitatis attenuat; l'altezze della umana virtude, e vedremo Iddio per gli uomini, si come per nuovi cieli, alcuna cosa avere operate Et in veritade non sempremai noi operiamo, anzi continuamente siamo fatture di Dio et umane voluntadi, a' quali ě naturalmente la libertade ancora de' sottani afFetti, i quali non nocevoli alcuna volta aope-rano, et alia non colpevole voluntade etterna spesse volte coloro ancillano sconoscentemente. [9]. E se queste cose, le quali sono siccome cominciamenti, a provare quello che si cerca non bastano, chi [non] ě constretto dottare della conceduta conclusione, per tali cose innanzi pas-sando, la pace doe per ispazio di dodici anni interamente avere abbracciato il mondo, la quale la faccia del suo silogizzatore figliuolo di Dio, siccome per opera d'Iddio, dimostra? E costui con do fosse cosa che a revelazione di Spirito, uomo facto, c'evangelizzasse in terra, la quale dividendo due regni, et a sé et a Cesare tutte le cose distribuendo, et all'uno et all'altro comandó che fusse renduto quello che a lui s'apparteneva. [10]. Ma se '1 contumace animo addimanda piu innanzi, non consentendo ancora alia veritade, le parole di Cristo examini eziandio quando egli era giá legato; al quale, con do fosse cosa che Pilato la sua signoria contrapponesse, la nostra luce (Cristo) egli di sopra essere afFermo, la quale colui si vantava che in quel luogo per vicaria auttoritá di Cesare egli teneva uficio. «Addun-que non andate si come le genti vanno in vanitade», i cui sensi sono obseurati con tenebre; ma aprite gli ocehi della vostra mentě, imperô che '1 Signore del cielo e della terra ordinô a voi re. Costui ě colui il quale Piero, ďlddio vicario, onorare ci ammoni-sce; il quale Clemente, ora successore di Piero, per luce ďapo-stolica benedizione allumina, acciô che, ove il raggio spirituále non bašta, quivi lo splendore del minore lume allumini. [Versione trecentesca di anonimo fiorentino]. [AMICO FLORENTINO] [1]. In litteris vestris, et reverentia debita1 et affectione receptis, quam repatriatio mea curae sit vobis et animo, grata mente ac diligenti animadversione concepi; et inde tanto me districtius obligastis, quanto rarius exules invenire amicos contingit. Ad illarum vero significata responsio, etsi non erit qualem forsan pusillanimitas appeteret aliquorum, ut sub examine vestri consi-lii ante iudicium ventiletur2, affectuose deposco. [2]. Ecce igitur quod per litteras vestri3 meique nepotis, nec non aliorum quamplurium amicorum, significatum est michi per ordinamentum nuper factum Florentiae super absolutione ban- Torna alia pagina 946 Pagina 809 Pagina 810 2 paglne rimanenti nel capitolo nitorum quod, si solvere vellem certam pecuniae quantitatem vellemque pati notam oblationis4, et absolvi possem et redire ad praesens. In qua quidem duo ridenda et male praeconsiliata sunt, pater; dico male praeconsiliata per illos qui talia expresse-runt, nam vestrae litterae discretius et consultius clausulatae nichil de talibus continebant. [3]. Estne ista revocatio gratiosa qua Dantes Alagherii revoca-tur ad patriam, per trilustrium fere perpessus exilium? Hocne meruit innocentia manifesta quibuslibet? hoc sudor et labor5 continuatus in studio? Absit a viro philosophiae domestico temeraria tantum cordis humilitas, ut more cuiusdam Cioli6 et aliorum infamium quasi vinctus ipse se patiatur offerri! Absit a viro praedicante iustitiam ut, perpessus iniurias, iniuriam infe-rentibus velut benemerentibus pecuniam suam solvat! [4]. Non est haec via redeundi ad patriam, pater mi; sed si alia per vos ante aut deinde per alios invenitur quae famae Dantisque honori non deroget, illam non lentis passibus7 acceptabo; quod si per nullam talem Florentia introitur, numquam Florentiam introibo. Quidni? nonne solis astrorumque specula ubique con-spiciam, nonne dulcissimas veritates potero speculari ubique sub caelo, ni prius inglorium, imo ignominiosum, populo Florenti-naeque civitati me reddam? Quippe nec panis deficiet8. traduzione. Nella vostra lettera, accolta con la reverenza e l'af-fetto dovuti, ho inteso, con animo grato e attenta considerazio-ne, quanto vi occupi e vi stia a cuore il mio ritorno in patria; onde tanto piu stretto mi legaste a voi, quanto piü raro accade che gli esuli trovino amici. Anche se la risposta a quanto comu-nicatomi non sarä quale forse vorrebbe la pusillanimitä di alcuni, affettuosamente vi chiedo che, prima di giudicarla, la sottopo-niate all'esame del vostro senno. Ecco dunque che con lettera del vostro e mio nipote, nonche di altri numerosi amici, mi si comunica, in base alia Prowisione fatta di recente in Firenze circa l'assoluzione degli sbanditi, che se pagassi una determinata quantitä di denaro, e sopportassi il marchio dell'oblazione, non solo potrei essere assolto, ma subito ritornare. Nella qual proposta le due cose, o padre, sono risibili e male meditate; intendo mal meditate da quelli che le formularo-no, poiche la lettera vostra, redatta in forma piü discreta e pon-derata, nulla di simile conteneva. E questo dunque il richiamo per grazia, con cui si fa tornare in patria Dante Alighieri dopo aver patito un esilio quasi trilustre? Questo meritd l'innocenza manifesta a chiunque? Questo il sudore e la diuturna fatica negli studi? Lungi da un familiäre della Filosofia una cosi inconsulta pochezza d'animo da farsi offrire quasi in vincoli a mo' d'un qualunque Ciolo e d'altri mal-famati! Lungi da chi predica la Giustizia che, avendo patito ingiuria, paghi del suo denaro a quelli che lo offesero, come se bene avessero meritato! Non e questa la via per ritornare in patria, o padre mio; ma se prima da voi, poi da altri, altra ne e trovata che nulla tolga alia fama di Dante e al suo onore, a passi non lenti quella via prende-ro. Che se per nessuna tal via si entra in Firenze, giammai in Firenze entrero. Perche no? Forse che non potro dovunque vedere le sfere del sole e delle stelle, e non potro sotto qualun-que cielo speculare i dolcissimi veri, prima che senza gloria, anzi con ignominia, io mi renda al popolo e alia citta di Firenze? Nep-pure il pane manchera. [Traduzione inedita di Francesco Mazzoni]. DALL'EPISTOLA A CANGRANDE XIII, § 10 Libri titulus est: «Incipit Comoedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus». Ad cuius notitiam sciendum est quod1 comoedia dicitur a comos 'villa' et oda, quod est 'cantus' unde comoedia quasi 'villanus cantus'. Et est comoedia genus quoddam poěticae narrationis ab omnibus aliis differens. Differt ergo a tra-goedia in materia per hoc, quod tragoedia in principio est admi- rabilis et quieta, in fine seu exitu foetida et horribilis; et dicitur propter hoc a tragos, quod est 'hircus' et oda, quasi 'cantus hirci-nus', id est foetidus ad modum hirci: ut patet per Senecam2 in suis tragoediis. Comoedia vero inchoat asperitatem alicuius rei, sed eius materia prospere terminatur, ut patet per Terentium in suis comoediis. Et hinc consueverunt dictatores3 quidam in suis salutationibus dicere loco salutis «tragicum principium et comi-cum finem». Similiter differunt in modo loquendi: elate et sublime tragoedia; comoedia vero remisse et humiliter, sicut vult Horatius in sua Poétria4, ubi licentiat aliquando comicos ut tra-goedos loqui, et sic e converso: Interdum tamen et vocem comoedia tollit, iratusque Chremes tumido delitigat ore; et tragicus plerumque dolet sermone pedestri Telephus et Peleus, etc. Et per hoc patet quod Comoedia dicitur praesens opus. Nam, si ad materiam respiciamus, a principio horribilis et foetida est, quia Infernus, in fine prospera, desiderabilis et grata, quia Para-disus; ad modum loquendi, remissus est modus et humilis, quia locutio vulgaris in qua et mulierculae communicant. Et sic patet quare Comoedia dicitur. Sunt et alia genera narrationum poětica-rum, scilicet carmen bucolicum, elégia, satira et sent Torna alia pagina 946 Pagina 813 Pagina 814 71 paglne rimanenti nel capltolo votiva5, ut etiam per Horatium patere potest in sua6 Poětria; sed de istis ad praesens nichil dicendum est. TRADUZIONE. Titolo del libro ě: «Incomincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino per nazione, non per costumi». A meglio intendere, ě da sapere che si dice Commedia da comos 'villaggio' e oda che significa 'canto', onde Commedia vale 'ru-stico canto'. Ed ě, la Commedia, un genere di narrazione poetica diverso da tutti gli altri. Diverge infatti dalla Tragedia quanto alia materia, poiché la Tragedia nel suo principio ě ammirabile e serena, in fine, owero conclusione, fetida e spaventevole; e per-ció vien detta da tragos, che significa 'capro', e oda, quasi 'canto di capro', doe fetido a mo' di un capro: come chiaro si desume dalle tragedie di Seneca. La Commedia invece mette in campo qualcosa di aspro, ma la sua materia termina felicemente, come appar chiaro dalle commedie di Terenzio. Di qui alcuni dettatori presero l'abitudine di iniziare o concludere le loro lettere, anzi-ché dicendo «salute», con l'espressione «tragico inizio e comica fine». Similmente divergono quanto al modo di esprimersi: pate-tico e alto quello della Tragedia, dimesso e piano quello della Commedia, come prescrive Orazio nella sua Poetica la dove concede che talora i comici parlino come i tragédi, e viceversa: Taloraper altro anche la Commedia alza la voce, eCremete infuriato, gonfie legate, litiga; e spesso in tonopedestre si duole il tragico Telefo, e Peleo etc. Da ciô appare che quesťopera ě detta Commedia. Se infatti guar-diamo l'argomento, all'inizio ě spaventevole e fetido, poich'e l'Inferno; alla fine ě favorevole, desiderabile e gradito, poich'e il Paradiso; se guardiamo al modo di esprimersi, ě dimesso e piano, poich'e la favella volgare nella quäle comunicano anche le femminette. E cosi appare perché sia detta Commedia. Vi sono poi altre specie di narrazioni poetiche, cioě a dire il Carme buco-lico, l'Elegia, la Satira, la sentenziosa espressione di precetti, come si puö ancora vedere con Orazio nella sua Poetica: ma di queste al momento nulla ě da dire. [Traduzione inedita di Francesco Mazzoni]. 1 Cioě: «tra i miei primi ricordi precisi». Ľimmagine del libro della memo-ria non ě invenzione di Dante, trovandosi anteriormente almeno in una let-tera di Pier della Vigna («in tenaci memoriae libro»); ma, sotto forma di «libro de la mente», egli ľaveva giä introdotta nella canzone (esclusa poi dalla Vita Nuova) E' m'incresce di me. Qui pero egli la svolge, sia nella materia-litä (i codici contenevano i titoli preceduti da Incipit... in formula a inchiostro rosso o «rubrica»), sia nella funzione (il libro ě «assemplato» ossia copiato). Dante vuol asseverare in forma simbolica ľautobiograficitä delle cose narrate: non naturalmente autobiografia letterale («se non tutte [le parole, ossia ricordi]»), ma il suo vero significato metafisico («sentenzia»). Torna alla pagina 946 Pagina 815 Pagina 816 69 paglne rimanenti nel capltolo 27 Altra citazione dall'epistola ai Romani. 28 Ma s'intenda: «... e ripercorriamo a nostro agio le gesta di tutte le genti fino ai trionfi di Ottaviano, constateremo che alcune di esse superarono sen-z'altro le cime piú alte raggiunte dal valore umano, e che Dio ha realizzato alcune sue opere valendosi di quegli uomini come di nuovi cieli [caelos novos ě ancora un'espressione di Isaia]. E un fatto che non siamo sempre noi ad agire; a volte, invece, non siamo che gli strumenti di Dio; e le singole volontä umane, nelle quali ě connaturata la liberta, sono di quando in quando determinate senza alcuno stimolo di passione terrena; e, soggette alia volontä di Dio, spesso la servono senza saperlo» (trad. Puccioni). 29 Syllogizans in quanto Verbo. 30 II traduttore doveva leggere erroneamente quae. 31 Allusione al famoso «Reddite... quae sunt Caesaris Caesari» di Gesú nei tre Sinottici. 32 Propriamente: «asseri che dalľalto proveniva ciô...». 33 Citazione dall'epistola paolina agli Efesi. 34 II traduttore avrä letto vobis. 35 E il tema, per metafora dalla Genesi, dei due lumi, cosi insistentemente ripreso nella Commedia e nella Monarchia; anche se qui Dante non esiti, per buona diplomazia, a considerare minore (non giá dipendente) quello imperiále rispetto a quello spirituále, conforme del resto all'interpretazione del-ľimmagine adottata, in quei primi ancora idillici tempi dei loro rapporti, tanto dal papa (citata enciclica Divinae sapientiae) quanto dallo stesso Arrigo (sermone Dafn't impérium regi suo). 1 Si riferisce á7ió xocvou a reverentia e ad affectione. 2 Termine del latino biblico e giuridico, usato anche nel De vulgari. 3 Cosi il codice unico, di mano del Boccaccio (che ha pure erat, sopra cor-retto in erit); ma il Barbi concorda col Pistelli nella correzione vestras, non essendo riuscito a ritrovare nessun nipote di Dante che avesse per zio anche un religioso (per lui il nipote sarebbe Niccoló, soprannominato il Baccelliere de' Donati, figlio di un fratello di Gemma moglie di Dante). Recentissima-mente (1969) il Piattoli, credendo di poter interpretare vestri, meique nepotis come «di voi, che siete per di piú mio nipote», ha avanzato la candidatura del frate francescano Bernardo Riccomanni, figlio della sorella (o sorellastra) di Dante, la (Gae)tana. 4 Loblatio consisteva nell'offerta degli amnistiandi al patrono della cittá, al termine d'un corteo che li portasse dalla prigione al «bel San Giovanni», di regola (ma talora si derogava) con la mitria dell'infamia in capo (ben altro «cappello», fors'anche in polemica awerso questa tetra rifiutata cerimonia autocritica, auspica il Paradiso). 5 Variazione della citazione virgiliana giá fatta nel De vulgari (II iv, cfr. n. 13 ivi). II sudore che qui interviene ě quello della Poetica oraziana, il «sudavit et alsit» di «qui studet optatam cursu contingere metam». 6 Antico nome volgare toscano, ipocorismo di un nome come Querciolo (Bratto). Un Abati? 7 I «lenti passi» (o «passi lenti») sono frequenti anche nella Commedia. 8 Ricordo d'Isaia, come il precedente inglorius (Pézard). Manca qualsiasi formula condusiva o anche iniziale, certo per l'estrazione «antologica» a opera del Boccaccio. 1 La fonte di Dante ě stata additata dal Rajna nelle Derivationes di Uguc-cione da Pisa: «Item oda, quod est 'cantus' vel 'laus', componitur cum comos, quod est 'villa', et dicitur haec comoedia, -ae, idest 'villanus cantus' vel 'villana laus', quia tractat de rebus rusticanis et affinis est cotidianae locutioni... Item oda in eodem sensu componitur cum tragos, quod est 'hircus' et dicitur haec tragoedia, -ae, idest 'hircina laus' vel 'hircinus cantus' idest foetidus; est enim de crudelissimis rebus... Et differunt tragoedia et comoedia quia comoedia privatorum hominum continet facta, tragoedia regum et magnátům. Item comoedia humili stilo describitur, tragoedia alto. Item comoedia a tristibus Torna alia pagina 810 Paglna 883 Pagina 884 1 pagina rimanente nel capitolo incipit sed cum laetis desinit, tragoedia e contrario; unde in salutatione sole-mus mittere et optare tragicum principium et comicum finem, idest bonům et laetum principium et bonům et laetum finem». 2 La citazione non implica di per sé che Dante conoscesse direttamente Seneca tragico e soprattutto Terenzio. Questa conoscenza, almeno per Seneca, ě stata peraltro piú volte autorevolmente affermata (Proto, Parodi e anche Rajna). 3 Nel significato medievale di «retori, prosatori ďarte». 4 AI solito YArs Poetka: Cremete era un personaggio comico; Telefo (figlio di Eracle) e Peleo (padre di Achille), personaggi tragici, il primo dei quali ad esempio sappiamo messo in scéna da Eschilo, Sofocle e soprattutto Euripide (solo di questo avanzano frammenti). 5 Dante abbandona qui, saviamente del resto, il tentativo di tripartizione dei generi, terzo 1'elegia, affacciato nel De vulgari per adattare ai generi il con-cetto tradizionale della tripartizione degli stili. Con la sua «sententia votiva» Dante fraintende il «voti sententia compos» (epigramma di ringraziamento per preghiera esaudita) delFArs Poetka (Curtius). 6 AI solito per eius. RIME TRECENTESCHE MINORI Torna aIla pagina 810 Pagina 885 Pagina 886