II libro s iamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall'inizio d'un nuovo millennio. ... II millennio che sta per chiudersi ... e stato anche il millennio del libro, in quanto ha visto l'oggetto-libro prendere la forma che ci e familiäre. Forse il segno che il millennio sta per chiudersi e la frequenza con cui ci si interroga sul-la sorte della letteratura e del libro nell'era tecnologica cosiddetta po-stindustriale. Non mi sento d'avventurarmi in questo tipo di previsio-ni. La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura puö dare coi suoi mezzi specifici. Vor-rei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualitä o specificitä della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio." Italo Calvino Italo Calvino LEZIONI AMERIČANE Sei proposte per il prossimo millennio Con uno scritto di Giorgio Manganelli MON DADORI Presentazione La prima edizione delle Lezioni americane usci postuma, nel maggio del 1988, presso Veditore Garzanti di Milano. Poiché sui temi e I'elaborazione delle Lezioni Calvino non ha lasciato né scritti né interviste (la morte lo colse mentre vi stava lavorando), riproduciamo integralmente la Nota introduttiva scritta per la prima edizione da Esther Calvino. II 6 giugno 1984 Calvino fu ufficialmente invitato dall'Universita Harvard a tenere le Charles Eliot Norton Poetry Lectures. Si tratta di un ciclo di sei conferenze che hanno luogo nel corso di un anno accademico (per Calvino sarebbe stato l'anno 1985-1986) all'Universita Harvard, Cambridge, nel Massachusetts. II termine «Poe-try» significa in questo caso ogni forma di comunicazione poetica - letteraria, musicale, figurativa - e la scelta del terna ě interamente libera. Questa liberta ě stato il primo problema che Calvino ha dovuto affrontare, convinto com'era di quanta sia importante la costrizione nel lavoro letterario. Dal momento in cui riusci a definire chiaramente il tema da trattare - alcuni valori letterari da conservare nel prossimo millennio, - dedicó quasi tutto il suo tempo alia preparazione delle conferenze. Presto diventarono un'ossessione, e un giorno mi disse di avere idee e materiali per almeno otto lezioni, e non soltanto le sei pre viste e obbligatorie. Conosco il tito-lo di quella che avrebbe potato essere l'ottava: «Sul cominciare e sul finire» (dei ro-manzi), ma fino ad oggi non ho trovato il testa. Solo appunti. Al momento di partire per gli Stati Uniti, delle sei lezioni ne aveva scritte cinque. Manca la sesta, «Consistency», e di questa solo so che si sarebbe riferito a Bar-tleby di Herman Melville. L'avrebbe scritta ad Harvard. Naturalmente queste sono le conferenze che Calvino avrebbe letto. Ci sarebbe stata certamente una nuova re-visione prima della stampa: non credo pero che avrebbe introdotto importanti cam-biamenti. Le differenze tra le prime versioni che ho letto e le ultime riguardano la struttura, non il contenuto. Questo libro riproduce il dattiloscritto come l'ho trovato. Un giorno, non so quando, ci sará una edizione critica dei quaderni manoscritti. Ho lasciato in inglese le parole da lui scritte direttamente in quella lingua, cosi come in lingua originále sono rimaste le citazioni. Arrivo adesso al punto piu difficile: il titolo. Calvino ha lasciato questo libro senza titolo italiano. Aveva dovuto pensare prima al titolo inglese, «Six memos for the next millennium* ed era il titolo definitivo. Impossibile sapere cosa sarebbe diventato in italiano. Se mi sono decisa finalmente per Lezioni americane ě perché in quell'ultima estate di Calvino, Pietro Citati veniva a trovarlo spesso al mattino e la prima domanda che faceva era: Come vanno le lezioni americane? e di lezioni americane si parlava. So che questo non basta, e che Calvino preferiva dare una čerta uniformita ai ti-toli dei suoi libri in tutte le lingue. Palomar era stato scelto precisamente per questa ragione. Penso anche che «for the next millennium* avrebbe fatto parte del titolo italiano: in tatti i suoi tentativi di trovare il titolo giusto in inglese cambiano le altre parole, ma «for the next millennium* c'ě sempře. Ed ě per quello che l'ho conservato. Aggiungero che il dattiloscritto si trovava sulla sua scrivania, in perfetto ordine, ogni singola conferenza in una cartella trasparente, l'insieme raccolto dentro una cartella rigida, pronto per essere messo nella valigia. Le Norton Lectures presero inizio nel 1926 e sono state affidate nel tempo a personalita come T.S. Eliot, Igor Stravinsky, Jorge Luis Borges, Northrop Frye, Octavio Paz. Era la prima volta che venivano proposte a uno scrittore italiano. Desidero esprimere la mia gratitudine a Luca Marighetti, dell'LIniversita di Kon-stanz, per la profonda conoscenza dell'opera e del pensiero di Calvino, e ad Angelica Koch, sempre deO'Universita di Konstanz, per l'aiuto che mi ha data. Esther Calvino < Lezioni americane Sei proposte per il prossimo millennio II těsto di Lezioni americane qui riprodotto ě quello pubblicato in Italo Calvino, Saggi 1945-1985 (a eura di Mario Barenghi), 1.1,1 Meridiani Mondadori, Milano 1995. L 1 1 Leggerezza < > Dedicherö la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrö le ragio-ni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver piü cose da dire. Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiu-to esperimenti diversi, e venuta Tora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione e stata il piü delle volte una sot-trazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi cele-sti, ora alle cittä; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. In questa conferenza cercherö di spiegare - a me stesso e a voi - perche sono statu portato a considerare la leggerezza un valore anziehe un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; come situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro. Comincerö dall'ultimo punto. Quando ho iniziato la mia attivitä, il dovere di rappresentare il nostro tempo era l'imperativo categorico d'ogni giovane scrittore. Pieno di buona volontä, cereavo d'immedesimarmi nell'energia spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cereavo di co-gliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. Presto mi sono aecorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l'agilitä scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura c'era un divario che mi costava sempre piü sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l'inerzia, l'opacitä del mondo: qualitä che s'attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle. In certi momenti mi sembrava che il mondo Stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrifieazione piü o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa. Uunico eroe capace di tagliare la testa della Medusa ě Perseo, che vola coi san-dali alati, Perseo che non rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma solo sulla sua immagine riflessa nello seudo di bronzo. Ecco che Perseo mi viene in soc-corso anche in questo momento, mentre mi sentivo giä catturare dalla morsa di pietra, come mi succede ogni volta che tento una rievoeazione storico-autobiografica. Meglio lasciare che il mio discorso si componga con le immagini della mitologia. Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciö che vi ě di piü leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su ciö che puö rivelarglisi solo in una visione indiretta, in un'immagine catturata da uno specchio. Subito sento la tentazione di trovare in questo mito un'allegoria del rapporto del poeta col mondo, una lezione del metodo da seguire scrivendo. Ma so che ogni in-terpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna aver fretta; ě meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che pos-siamo trarre da un mito sta nella letteralitä del racconto, non in ciö che vi aggiun-giamo noi dal di fuori. II rapporto tra Perseo e la Gorgone ě complesso: non finisce con la decapitazione del mostro. Dal sangue della Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso; la pesantezza della pietra puö essere rovesciata nel suo contrario; con un colpo di zoecolo sul Monte Elicona, Pegaso fa scaturire la fonte da cui bevono le Muse. In alcune versio-ni del mito, sarä Perseo a cavalcare il meraviglioso Pegaso caro alle Muse, nato dal sangue maledetto di Medusa. (Anche i sandali alati, d'altronde, provenivano dal mondo dei mostri: Perseo Ii aveva avuti dalle sorelle di Medusa, le Graie dall'unico occhio.) Quanto alla testa mozzata, Perseo non l'abbandona ma la porta con sé, na-scosta in un saeco; quando i nemici stanno per sopraffarlo, basta che egli la mostri sollevandola per la chioma di serpenti, e quella spoglia sanguinosa diventa un'ar-ma invineibile nella mano dell'eroe: un'arma che egli usa solo in casi °ct"""i ° «="1" contro chi merita il castigo di diventare la statua di se stesso. Qui cerl — dirmi qualcosa, qualcosa che ě implicito nelle immagini e che non si altrimenti. Perseo riesce a padroneggiare quel volto tremendo tenem Dedicherö la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrö le ragio-ni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver piü cose da dire. Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiu-to esperimenti diversi, e venuta Tora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione e stata il piü delle volte una sot-trazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi cele-sti, ora alle cittä; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. In questa conferenza cercherö di spiegare - a me stesso e a voi - perche sono statu portato a considerare la leggerezza un valore anziehe un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; come situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro. Comincerö dall'ultimo punto. Quando ho iniziato la mia attivitä, il dovere di rappresentare il nostro tempo era l'imperativo categorico d'ogni giovane scrittore. Pieno di buona volontä, cereavo d'immedesimarmi nell'energia spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cereavo di co-gliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. Presto mi sono aecorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l'agilitä scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura c'era un divario che mi costava sempre piü sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l'inerzia, l'opacitä del mondo: qualitä che s'attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle. In certi momenti mi sembrava che il mondo Stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrifieazione piü o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa. Uunico eroe capace di tagliare la testa della Medusa ě Perseo, che vola coi san-dali alati, Perseo che non rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma solo sulla sua immagine riflessa nello seudo di bronzo. Ecco che Perseo mi viene in soc-corso anche in questo momento, mentre mi sentivo giä catturare dalla morsa di pietra, come mi succede ogni volta che tento una rievoeazione storico-autobiografica. Meglio lasciare che il mio discorso si componga con le immagini della mitologia. Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciö che vi ě di piü leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su ciö che puö rivelarglisi solo in una visione indiretta, in un'immagine catturata da uno specchio. Subito sento la tentazione di trovare in questo mito un'allegoria del rapporto del poeta col mondo, una lezione del metodo da seguire scrivendo. Ma so che ogni in-terpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna aver fretta; ě meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che pos-siamo trarre da un mito sta nella letteralitä del racconto, non in ciö che vi aggiun-giamo noi dal di fuori. II rapporto tra Perseo e la Gorgone ě complesso: non finisce con la decapitazione del mostro. Dal sangue della Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso; la pesantezza della pietra puö essere rovesciata nel suo contrario; con un colpo di zoecolo sul Monte Elicona, Pegaso fa scaturire la fonte da cui bevono le Muse. In alcune versio-ni del mito, sarä Perseo a cavalcare il meraviglioso Pegaso caro alle Muse, nato dal sangue maledetto di Medusa. (Anche i sandali alati, d'altronde, provenivano dal mondo dei mostri: Perseo Ii aveva avuti dalle sorelle di Medusa, le Graie dall'unico occhio.) Quanto alla testa mozzata, Perseo non l'abbandona ma la porta con sé, na-scosta in un saeco; quando i nemici stanno per sopraffarlo, basta che egli la mostri sollevandola per la chioma di serpenti, e quella spoglia sanguinosa diventa un'ar-ma invineibile nella mano dell'eroe: un'arma che egli usa solo in casi estremi e solo contro chi merita il castigo di diventare la statua di se stesso. Qui certo il mito vuol dirmi qualcosa, qualcosa che ě implicito nelle immagini e che non si puö spiegare altrimenti. Perseo riesce a padroneggiare quel volto tremendo tenendolo nascosto, < come prima l'aveva vinto guardandolo nello specchio. E sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non in un rifiuto della realtä del mon-do di mostri in cui gli e toccato di vivere, una realtä che egli porta con se, che assume come proprio fardello. Sul rapporto tra Perseo e la Medusa possiamo apprendere qualcosa di piü leg-gendo Ovidio nelle Metamorfosi. Perseo ha vinto una nuova battaglia, ha massacra-to a colpi di spada un mostro marino, ha liberato Andromeda. E ora si accinge a fare quello che ognuno di noi farebbe dopo un lavoraccio del genere: va a lavarsi le mani. In questi casi il suo problema e dove posare la testa di Medusa. E qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatez-za d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri: «Perche la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita (anguiferumque caput dura ne laedat harena), egli rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sott'acqua e vi depone la testa di Medusa a faccia in giü.» Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo e l'eroe non potrebbe essere meglio rap-presentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell'essere mo-struoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile, fragile. Ma la cosa piü inaspettata e il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alia terribile testa. Anche questo incontro d'immagini, in cui la sottile grazia del corallo sfiora l'or-rore feroce della Gorgone, e cosi carico di suggestioni che non vorrei sciuparlo ten-tando commenti o interpretazioni. Quel che posso fare e avvicinare a questi versi d'Ovidio quelli d'un poeta moderno, Piccolo testamento di Eugenio Montale, in cui troviamo pure elementi sottilissimi che sono come emblemi della sua poesia («trac-cia madreperlacea di lumaca / o smeriglio di vetro calpestato») messi a confronto con uno spaventoso mostro infernale, un Lucifero dalle ali di bitume che cala sulle capitali dell'Occidente. Mai come in questa poesia scritta nel 1953, Montale ha evo-cato una visione cosi apocalittica, ma cib che i suoi versi mettono in primo piano sono quelle minime tracce luminose che egli contrappone alia buia catastrofe («Conservane la cipria nello specchietto / quando spenta ogni lampada / la sarda-na si farä infernale...»). Ma come possiamo sperare di salvarci in ciö che e piü fra- gile? Questa poesia di Montale ě una professione di fede nella persistenza di ciö che piü sembra destinato a perire, e nei valori morali investiti nelle tracce piü tenui: «il tenue bagliore strofinato / laggiü non era quello d'un fiammifero». Ecco che per riuscire a parlare della nostra epoca, ho dovuto fare un lungo giro, evocare la fragile Medusa di Ovidio e il bituminoso Lucifero di Montale. Ě difficile per un romanziere rappresentare la sua idea di leggerezza, esemplificata sui casi della vita contemporanea, se non facendone l'oggetto irraggiungibile d'una quite senza fine. Ě quanto ha fatto con evidenza e immediatezza Milan Kundera. II suo romanzo ĽInsostenibile Leggerezza dell'Essere ě in realtä un'amara constatazione del-ľlneluttabile Pesantezza del Vivere: non solo della condizione d'oppressione dispe-rata e all-pervading che ě toccata in sorte al suo sventurato paese, ma d'una condizione umana comune anche a noi, pur infinitamente piü fortunati. II peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per awolgere ogni esistenza con nodi sempre piü stretti. II suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello ehe scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivaci-tä e la mobilita dell'intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualitä con cui ě scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere. Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alia pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell'irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtä del presente e del future.. Nell'universo infinito della letteratura s'aprono sempre altre vie da esplorare, nuovissime o antichissime, stili e forme che possono cambiare la nostra immagine del mondo... Ma se la letteratura non basta ad assicurarmi ehe non sto solo inse-guendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene dissolta... Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entita sottilissime: come i messaggi del dna, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi... < Poi, l'informatica. Ě vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma ě il software che coman-da, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzio-ne del software, si evolvono in modo ďelaborare programmi sempre piú complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso. Ě legittimo estrapolare dal discorso delle scienze un'immagine del mondo che corrisponda ai miei desideri? Se l'operazione che sto tentando mi attrae, ě perché sento che essa potrebbe riannodarsi a un filo molto antico nella storia della poesia. II De rerum natura di Lucrezio ě la prima grande opera di poesia in cui la cono-scenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di cio che ě infinitamente minuto e mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtä di questa materia ě fatta di corpuscoli invisibili. Ě il poeta della concretezza fisica, vista nella sua sostanza permanente e immutabile, ma per prima cosa ci dice che il vuoto ě altrettanto concreto che i corpi solidi. La piú grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evita-re che il peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la liberta tan-to alia materia quanto agli esseri umani. La poesia dell'invisibile, la poesia delle infinite potenzialitä imprevedibili, cosi come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicitä del mondo. Questa polverizzazione della realtä s'estende anche agli aspetti visibili, ed ě lä che eccelle la qualitä poetica di Lucrezio: i granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia (II, 114-124); le minute conchiglie tutte simili e tut-te diverse che l'onda mollemente spinge sulla bibula harena, sulla sabbia che s'imbe-ve (II, 374-376); le ragnatele che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo men-tre camminiamo (III, 381-390). Ho giä citato le Metamorfosi d'Ovidio, un altro poema enciclopedico (scritto una cinquantina d'anni piu tardi di quello di Lucrezio) che parte, anziehe dalla realtä fisica, dalle favole mitologiche. Anche per Ovidio tutto puö trasformarsi in nuove forme; anche per Ovidio la conoscenza del mondo ě dissoluzione della compattezza del mondo; anche per Ovidio e'e una parita essenziale tra tutto ciö che esiste, contro ogni gerarchia di poteri e di valori. Se il mondo di Lucrezio ě fatto d'atomi inalterabili, quello d'Ovidio ě fatto di qualitä, d'attributi, di forme che definiscono la diversitä d'ogni cosa e pianta e animale e persona; ma questi non sono che tenui involucri d'una sostanza comune che - se agitata da profonda passione - pub trasformarsi in quel che vi ě di piů diverso. Ě nel seguire la continuitä del passaggio da una forma a un'altra che Ovidio di-spiega le sue ineguagliabili doti: quando racconta come una donna s'accorge che sta trasformandosi in giuggiolo: i piedi le rimangono inchiodati per terra, una cor-teccia tenera sale a poco a poco e le serra le inguini; fa per strapparsi i capelli e ri-trova la mano piena di foglie. O quando racconta delle dita di Aracne, agilissime nell'agglomerare e sfilacciare la lana, nel far girare il fuso, nel muovere l'ago da ri-camo, e che a un tratto vediamo allungarsi in esili zampe di ragno e mettersi a tes-sere ragnatele. Tanto in Lucrezio quanto in Ovidio la leggerezza ě un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza: le dottrine di Epicuro per Lucrezio, le dottrine di Pitagora per Ovidio (un Pitagora che, come Ovidio ce lo presenta, somi-glia molto a Budda). Ma in entrambi i casi la leggerezza ě qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire. Da quanto ho detto fin qui mi pare che il concetto di leggerezza cominci a preci-sarsi; spero innanzitutto d'aver dimostrato che esiste una leggerezza della pensosi-tä, cosi come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa puö far apparire la frivolezza come pesante e opaca. Non potrei illustrare meglio questa idea che con una novella del Decameron (VI, 9) dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Boccaccio ci presenta Caval-canti come un austero filosofo che passeggia meditando tra i sepolcri di marmo da-vanti a una chiesa. La jeunesse dorée fiorentina cavalcava per la cittä in brigate che passavano da una festa all'altra, sempre cercando occasioni d'ampliare il loro giro di scambievoli inviti. Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ric- < ■o co ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata ďempietá: Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito ďOrto San Miche-le e venutosene per lo Corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, e egli essendo tralle colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a ca-val venendo su per la piazza di Santa Reparata, vedendo Guido lá tra quelle sepolture, dissero: «Andiamo a dargli briga»; e spronati i cavalli, a guisa ďuno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: «Guido, tu rifiuti ďesser di no-stra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?» A' quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: «Signo-ri, voi mi potete dire a casa vostra ció che vi piace»; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, si come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dafťaltra parte, e sviluppatosi da loro se n'andó. Cio che qui ci interessa non ě tanto la battuta attribuita a Cavalcanti (che si puó interpretare considerando che il preteso «epicureismo» del poeta era in realtá aver-roismo, per cui 1'anima individuale fa parte deH'intelletto universale: le tombe sono casa vostra e non mia in quanto la mořte corporea ě vinta da chi s'innalza alla con-templazione universale attraverso la speculazione deH'intelletto). Cio che ci colpi-sce ě 1'immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera ďun salto «si come colui che leggerissimo era». Se volessi scegliere un simbolo augurale per 1'affacciarsi al nuovo millennio, sce-glierei questo: 1'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesan-tezza del mondo, dimostrando che la sua gravitá contiene il segreto della leggerez-za, mentre quella che molti credono essere la vitalita dei tempi, rumorosa, aggressi- va, scalpitante e rombante, appartiene al regno della mořte, come un cimitero ďau-tomobili arrugginite. Vorrei che conservaste quesťimmagine nella mentě, ora che vi parleró di Cavalcanti poeta della leggerezza. Nelle sue poesie Ie «dramatis personae» piú che per-sonaggi umani sono sospiri, raggi luminosi, immagini ottiche, e soprattutto quegli impulsi o messaggi immateriali che egli chiama «spiriti». Un terna niente affatto leggero come la sofferenza ďamore, viene dissolto da Cavalcanti in entita impalpa-bili che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva, tra cuore e mentě, tra occhi e voce. Insomma, si tratta sempře di qualcosa che ě contraddistinto da tre ca-ratteristiche: 1) ě leggerissimo; 2) ě in movimento; 3) ě un vettore ďinformazione. In alcune poesie questo messaggio-messaggero ě lo stesso těsto poetico: nella piú famosa di tutte, il poeta esiliato si rivolge alla ballata che sta scrivendo e dice: «Va tu, leggera e piana / dritťa la donna mia». In un'altra sono gli strumenti della scrit-tura - penne e arnesi per far la punta alle perme - che prendono la parola: «Noi sián le triste penne isbigottite, / le cesoiuzze e'l coltellin dolente...» In un sonetto la parola «spirito» o «spiritello» compare in ogni verso: in un'evidente autoparodia, Cavalcanti porta alle ultime conseguenze la sua predilezione per quella parola-chiave, concentrando nei 14 versi un complicato racconto astratto in cui interven-gono 14 «spiriti» ognuno con una diversa funzione. In un altro sonetto, il corpo viene smembrato dalla sofferenza amorosa, ma continua a camminare come un auto-ma «fatto di rame o di pietra o di legno». Giá in un sonetto di Guinizelli la pena amorosa trasformava il poeta in una statua ďottone: un'immagine molto concreta, che ha la forza proprio nel senso di peso che comunica. In Cavalcanti, il peso della materia si dissolve per il fatto che i materiali del simulacro umano possono essere tanti, intercambiabili; la metafora non impone un oggetto solido, e neanche la parola «pietra» arriva ad appesantire il verso. Ritroviamo quella parita di tutto ció che esiste di cui ho parlato a proposito di Lucrezio e di Ovidio. Un maestro della critica stilistica italiana, Gianfranco Contini, la definisce «parificazione cavalcantiana dei reali». Uesempio piú felice di «parificazione dei reali», Cavalcanti lo dá in un sonetto che s'apre con una enumerazione d'immagini di bellezza, tutte destinate a essere superate dalla bellezza della donna amata: < ■o Biltá di donna e di saccente core e cavalieri armati che sien genti; cantar ďaugelli e ragionar ďamore; adorni legni 'n mar forte correnti; aria serena quanďapar 1'albore e bianca neve scender senza venti; rivera ďacqua e prato ďogni fiore; oro, argento, azzuro 'n ornamenti [...] II verso «e bianca neve scender senza venti» ě stato ripreso con poche varianti da Dante nelYInferno (xiv, 30): «come di neve in alpe sanza vento». I due versi sono quasi identici, eppure esprimono due concezioni completamente diverse. In en-trambi la neve senza vento evoca un movimento lieve e silenzioso. Ma qui si ferma la somiglianza e comincia la diversitá. In Dante il verso ě dominato dalla specifica-zione del luogo («in alpe»), che evoca uno scenario montagnoso. Invece in Caval-canti 1'aggettivo «bianca», che potrebbe sembrare pleonastico, unito al verbo «scen-dere», anch'esso del tutto prevedibile, cancellano il paesaggio in un'atmosféra di sospesa astrazione. Ma ě soprattutto la prima parola a determinare il diverso signi-ficato dei due versi. In Cavalcanti la congiunzione «e» mette la neve sullo stesso piano delle altre visioni che la precedono e la seguono: una fuga di immagini, che ě come un campionario delle bellezze del mondo. In Dante 1'awerbio «come» rin-chiude tutta la scéna nella cornice ďuna metafora, ma all'interno di questa cornice essa ha una sua realtá concreta, cosi come una realtá non meno concreta e dramma-tica ha il paesaggio dell'Inferno sotto una pioggia di fuoco, per illustrare il quale viene introdotta la similitudine con la neve. In Cavalcanti tutto si muove cosi rapi-damente che non possiamo renderci conto della sua consistenza ma solo dei suoi effetti; in Dante, tutto acquista consistenza e stabilita: il peso delle cose ě stabilito con esattezza. Anche quando parla di cose lievi, Dante sembra voler rendere il peso esatto di questa leggerezza: «come di neve in alpe sanza vento». Cosi come in un altro verso molto simile, la pesantezza ďun corpo che affonda nell'acqua e scom-pare ě come trattenuta e attutita: «come per acqua cupa cosa grave» (Paradiso III, 123). A questo punto dobbiamo ricordarci che 1'idea del mondo come costituito d'ato-mi senza peso ci colpisce perche abbiamo esperienza del peso delle cose; cosi come non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di peso. Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratu-ra attraverso i secoli: l'una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio anco-ra come un campo d'impulsi magnetici; l'altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni. Alle origini della letteratura italiana - e europea - queste due vie sono aperte da Cavalcanti e da Dante. L'opposizione vale naturalmente nelle sue linee generali, ma richiederebbe innumerevoli specificazioni, data l'enorme ricchezza di risorse di Dante e la sua straordinaria versatilita. Non e un caso che il sonetto di Dante ispira-to alia piu felice leggerezza («Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io») sia dedicato a Cavalcanti. Nella Vita nuova, Dante tratta la stessa materia del suo maestro e amico, e vi sono parole, motivi e concetti che si trovano in entrambi i poeti; quando Dante vuole esprimere leggerezza, anche nella Divina Commedia, nessuno sa farlo meglio di lui; ma la sua genialita si manifesta nel senso opposto, nell'estrarre dalla lingua tutte le possibilita sonore ed emozionali e d'evocazione di sensazioni, nel catturare nel verso il mondo in tutta la varieta dei suoi livelli e delle sue forme e dei suoi at-tributi, nel trasmettere il senso che il mondo e organizzato in un sistema, in un or-dine, in una gerarchia dove tutto trova il suo posto. Forzando un po' la contrappo-sizione potrei dire che Dante da solidita corporea anche alia piu astratta specula-zione intellettuale, mentre Cavalcanti dissolve la concretezza deU'esperienza tangi-bile in versi dal ritmo scandito, sillabato, come se il pensiero si staccasse dall'oscu-rita in rapide scariche elettriche. L'essermi soffermato su Cavalcanti m'e servito a chiarire meglio (almeno a me stesso) cosa intendo per «leggerezza». La leggerezza per me si associa con la preci-sione e la determinazione, non con la vaghezza e l'abbandono al caso. Paul Valery ha detto: «11 faut etre leger comme l'oiseau, et non comme la plume». Mi sono servito di Cavalcanti per esemplificare la leggerezza in almeno tre acce-zioni diverse: < ■0 1) un alleggerimento del linguaggio per cui i significati vengono convogliati su un tessuto verbale come senza peso, fino ad assumere la stessa rarefatta consistenza. Lascio a voi trovare altri esempi in questa direzione. Per esempio Emily Dickinson puo fornircene quanti vogliamo: A sepal, petal, and a thorn Upon a common summer's morn -A flask of Dew - a Bee or two -A Breeze - a caper in the trees -And I'm a Rose! [Un sepalo ed un petalo e una spina In un comune mattino d'estate, Un fiasco di rugiada, un'ape o due, Una brezza, Un frullo in mezzo agli alberi -Ed io sono una rosa!] 2) la narrazione d'un ragionamento o d'un processo psicologico in cui agiscono elementi sottili e impercettibili, o qualunque descrizione che comporti un alto gra-do d'astrazione. E qui per cercare un esempio piu moderno possiamo provare con Henry James, anche aprendo un suo libro a caso: It was as if these depths, constantly bridged over by a structure that was firm enough in spite of its lightness and of its occasional oscillation in the somewhat vertiginous air, invited on occasion, in the interest of their nerves, a dropping of the plummet and a measurement of the abyss. A difference had been made moreover, once for all, by the fact that she had, all the while, not appeared to feel the need of rebutting his charge of an idea within her that she didn't dare to express, uttered just before one of the fullest of their later discussions ended (The Beast in the Jungle, cap. ill). [Queste profonditä, costantemente unite da un ponte abbastanza soli-do malgrado la sua levitä e le sue occasionali oscillazioni nell'aria al-quanto vertiginosa, richiedevano ogni tanto, nell'interesse dei loro nervi, la calata dello scandaglio e la misurazione dell'abisso. Una differenza, inoltre, era stata creata una volta per sempre dal fatto che May, durante tutto il tempo, non parve sentire la necessitä di respingere I'accusa di ce-lare un'idea, che non osava esprimere, accusa che Marcher le mosse proprio alia fine di una delle loro ultime discussioni.] 3) una immagine figurale di leggerezza che assuma un valore emblematico, come, nella novella di Boccaccio, Cavalcanti che volteggia con le sue smilze gambe sopra la pietra tombale. Ci sono invenzioni letterarie che s'impongono alia memoria per la loro sugge-stione verbale piü che per le parole. La scena di Don Quijote che infilza con la lan-cia una pala del mulino a vento e viene trasportato in aria occupa poche righe del romanzo di Cervantes; si puö dire che in essa l'autore non ha investito che in minima misura le risorse della sua scrittura; ciononostante essa resta uno dei luoghi piü famosi della letteratura di tutti i tempi. Penso che con queste indicazioni posso mettermi a sfogliare i libri della mia bi-blioteca in cerca d'esempi di leggerezza. In Shakespeare vado subito a cercare il punto in cui Mercutio entra in scena: «You are a lover; borrow Cupid's wings / and soar with them above a common bound» [Tu sei innamorato: fatti prestare le ali da Cupido / e levati piü alto d'un salto]. Mercutio contraddice subito Romeo che ha appena detto: «Under love's heavy burden do I sink» [Io sprofondo sotto un peso d'amore]. II modo di Mercutio di muoversi nel mondo e definito dai primi verbi che usa: to dance, to soar, to prickle [ballare, levarsi, pungere]. La sembianza umana e una maschera, a visor. E appena entrato in scena e giä sente il bisogno di spiegare la sua filosofia, non con un discorso teorico, ma raccontando un sogno: la Regina Mab. Queen Mab, the fairies' midwife [la levatrice delle fate], appare su una carrozza fatta con «an empty hazel-nut» [un guscio di nocciola]: < ■o Her waggon-spokes made of long spinners' legs; The cover, of the wings of grasshoppers; The traces, of the smallest spider's web; The collars, of the moonshine's watery beams; Her whip, of cricket's bone; the lash, of film [...] [Lunghe zampe di ragno sono i raggi delle sue ruote; d'elitre di caval-letta ě il mantice; di ragnatela della piú sottile i finimenti; roridi raggi di luna i pettorali; manico della frusta un osso di grillo; sferza, un filo senza fine] e non dimentichiamo che questa carrozza ě «drawn with a team of little atomies» [scarrozzata da un equipaggio d'atomi impalpabili]: un dettaglio decisivo, mi sem-bra, che permette al sogno della Regina Mab di fondere atomismo lucreziano, neo-platonismo rinascimentale e celtic-lore. Anche il passo danzante di Mercutio vorremmo che ci accompagnasse fin oltre la soglia del nuovo millennio. L'epoca che fa da sfondo a Romeo and Juliet ha molti aspetti non troppo dissimili da quelli dei nostri tempi: Ie cittá insanguinate da con-tese violente non meno insensate di quelle tra Capuleti e Montecchi; la liberazione sessuale predicata dalla Nurse che non riesce a diventare modello d'amore universale; gli esperimenti di Friar Laurence condotti col generoso ottimismo della sua «filosofia naturale» ma che non si ě mai sicuri se verranno usati per la vita o per la morte. II Rinascimento shakespeariano conosce gli influssi eterei che connettono macro-cosmo e microcosmo, dal firmamento neoplatonico agli spiriti dei metalli che si tra-sformano nel crogiolo degli alchimisti. Le mitologie classiche possono fornire il loro repertorio di ninfe e di driadi, ma le mitologie celtiche sono certo piú ricche nella imagerie delle piu sottili forze naturali coi loro elfi e le loro fate. Questo sfondo culturale (penso naturalmente agli affascinanti studi di Frances Yates sulla filosofia occulta del Rinascimento e sui suoi echi nella letteratura) spiega perché in Shakespeare si possa trovare I'esemplificazione piu ricca del mio terna. E non sto pensan-do solo a Puck e a tutta la fantasmagoria del Dream, o a Ariel e a tutti coloro che «are such stuff / As dreams are made on» [noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni], ma soprattutto a quella speciále modulazione lirica ed esistenziale che permette di contemplare il proprio dramma come dal di fuori e dissolverlo in malinconia e irónia. La gravitä senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell'e-poca di Cervantes e di Shakespeare: ě quella speciále connessione tra melanconia e umorismo, che ě stata studiata in Saturn and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia ě la tristezza diventata leggera, cosi lo humour ě il comico che ha perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalitä umana che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio ľio e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono. Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l'accento del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, cosi definisce la melanconia (atto iv, scena i): ... but it is a melancholy of my own, compounded of many simples, extracted from many objects, and indeed the sundry contemplation of my travels, which, by often rumination, wraps me in a most humorous sadness. [... ě la mia peculiare malinconia composta da dementi diversi, quin-tessenza di varie sostanze, e piú precisamente di tante differenti espe-rienze di viaggi durante i quali quel perpetuo ruminare mi ha sprofon-dato in una capricciosissima tristezza.] Non ě una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle mi-nutissime ďumori e sensazioni, un pulviscolo d'atomi come tutto ciô che costitui-sce l'ultima sostanza della molteplicitä delle cose. Confesso che la tentazione di costruirmi uno Shakespeare seguace dell'atomismo lucreziano ě per me molto forte, ma so che sarebbe arbitrario. II primo scrittore del mondo moderno che fa esplicita professione d'una concezione atomistica del-I'universo nella sua trasfigurazione fantastica, lo troviamo solo alcuni anni dopo, in Francia: Cyrano de Bergerac. < ■o Straordinario scrittore, Cyrano, che meriterebbe ďessere piú ricordato, e non solo come primo vero precursore della fantascienza, ma per le sue qualitá intellet-tuali e poetiche. Seguace del sensismo di Gassendi e deH'astronomia di Copernico, ma soprattutto nutrito della «filosofia naturale» del Rinascimento italiano - Carda-no, Bruno, Campanella - Cyrano ě il primo poeta dell'atomismo nelle letterature modeme. In pagine la cui ironia non fa velo a una vera commozione cosmica, Cyrano celebra 1'unitá di tutte le cose, inanimate o animate, la combinatoria di figure elementari che determina la varieta delle forme viventi, e soprattutto egli rende il senso della precarietá dei processi che le hanno create: cioě quanto poco ě mancato perché l'uomo non fosse l'uomo, e la vita la vita, e il mondo un mondo. Vous vous étonnez comme cette matiěre, brouillée péle-méle, au gré du hasard, peut avoir constitué un homme, vu qu'il y avait tant de choses nécessaires á la construction de son étre, mais vous ne savez pas que cent millions de fois cette matiěre, s'acheminant au dessein ďun homme, s'est arrétée á former tantót une pierre, tantót du plomb, tantót du corail, tantót une fleur, tantót une coměte, pour le trop ou trop peu de certaines figures qu'il fallait ou ne fallait pas á designer un homme? Si bien que ce n'est pas merveille qu'entre une infinie quantité de matiěre qui change et se remue incessamment, elle ait rencontre a faire le peu ďanimaux, de végétaux, de minéraux que nous voyons; non plus que ce n'est pas merveille qu'en cent coups de dés il arrive une rafle. Aussi bien est-il impossible que de ce remuement il ne se fasse quelque chose, et cette chose sera toujours admirée d'un étourdi qui ne saura pas combien peu s'en est fallu qu'elle n'ait pas été faite (Voyage dans la lune). [Vi meravigliate come questa materia mescolata alia rinfusa, in balia del caso, pub aver costituito un uomo, visto che c'erano tante cose neces-sarie alia costruzione del suo essere, ma non sapete che cento milioni di volte questa materia, mentre era sul punto di produrre un uomo, si ě fermata a formare ora una pietra, ora del piombo, ora del corallo, ora un fiore, ora una cometa, per le troppe o troppo poche figure che occorreva-no o non occorrevano per progettare un uomo. Come non fa meraviglia che tra un'infinita quantitá di materia che cambia e si muove incessante-mente, sia capitato di fare i pochi animali, vegetali, minerali che vedia-mo, cosi come non fa meraviglia che su cento colpi di dadi esca una pa-riglia. Ě pertanto impossibile che da questo lieve movimento non si fac-cia qualcosa, e questa cosa sará sempře fonte di stupore per uno sventa-to che non pensa quanto poco ě mancato perché non fosse fatta.] Per questa via Cyrano arriva a proclamare la fraternita degli uomini con i cavoli, e cosi immagina la protesta d'un cavolo che sta per essere tagliato: «Homme, mon cher frěre, que t'ai-je fait qui mérite la mort? (...) Je me lěve de terre, je m'epanouis, je te tends les bras, je t'offre mes enfants en graine, et pour recompense de ma courtoisie, tu me fais trancher la téte!» [«Mio caro fratello uomo, che cosa ho fatto per meritare la morte? (...) Mi sollevo da terra, mi schiudo, stendo le braccia, ti offro i miei figli in seme e, per ricompensa della mia cortesia, tu mi fai tagliare la testa!»] Se pensiamo che questa perorazione per una vera fraternita universale ě stata scritta quasi centocinquant'anni prima della Rivoluzione francese, vediamo come la lentezza della coscienza umana a uscire dal suo parochialism antropocentrico pub essere annullata in un istante dall'invenzione poetica. Tutto questo nel contesto d'un viaggio sulla luna, dove Cyrano de Bergerac supera per immaginazione i suoi piú illustri predecessori, Luciano di Samosata e Ludovico Ariosto. Nella mia tratta-zione sulla leggerezza, Cyrano figura soprattutto per il modo in cui, prima di Newton, egli ha sentito il problema della gravitazione universale; o meglio, ě il proble-ma di sottrarsi alia forza di gravitá che stimola talmente la sua fantasia da fargli inventáře tutta una serie di sistemi per salire sulla luna, uno piú ingegnoso dell'altro: con fiale piene di rugiada che evaporano al sole; ungendosi di midollo di bue che viene abitualmente succhiato dalla luna; con una palla calamitata lanciata in aria verticalmente ripetute volte da una navicella. Quanto al sistema della calamita, sará sviluppato e perfezionato da Jonathan Swift per sostenere in aria l'isola volante di Laputa. Ě un momento, quello dell'ap- < ■o parizione di Laputa in volo, in cui le due ossessioni di Swift sembra si annullino in un magico equilibrio: dico l'astrazione incorporea del razionalismo contro il quale egli dirige la sua satira, e il peso materiále della corporeitá. ... and I could see the sides of it, encompassed with several gradations of Galleries and Stairs, at certain intervals, to descend from one to the other. In the lowest Gallery I beheld some People fishing with long Angling Rods, and others looking on. [... ond'io potei vedeme i fianchi cinti di parecchie serie di corridoi e scalinate, a certi dati intervalli, per poter discendere da uno in altro cor-ridoio. Nella piú bassa di queste gallerie, vidi alcuni uomini che pesca-vano con certe lunghe canne, ed altri che stavano a guardare.] Swift ě contemporaneo e avversario di Newton. Voltaire ě un ammiratore di Newton, e immagina un gigante, Micromégas, che all'opposto di quelli di Swift, ě definito non dalla sua corporeitá ma da dimensioni espresse in cifre, da proprieta spaziali e temporali enunciate nei termini rigorosi e impassibili dei trattati scientifi-ci. In virtu di questa logica e di questo stile, Micromégas riesce a viaggiare nello spazio da Sirio a Saturno alia Terra. Si direbbe che nelle teorie di Newton ció che colpisce l'immaginazione letteraria non sia il condizionamento ďogni cosa e persona alia fatalita del proprio peso, bensi 1'equilibrio delle forze che permette ai corpi celesti di librarsi nello spazio. L'immaginazione del secolo XVIII ě ricca di figure sospese per aria. Non per nulla agli inizi del secolo la traduzione francese delle Mille e una Notte di Antoine Gal-land aveva aperto alia fantasia occidentale gli orizzonti del meraviglioso orientale: tappeti volanti, cavalli volanti, geni che escono da lampade. Di questa spinta dell'immaginazione a superare ogni limite, il secolo XVIII cono-scerá il culmine col volo del Barone di Munchausen su una palla di cannone, im-magine che nella nostra memoria si ě identificata definitivamente con l'illustrazio-ne che ě il capolavoro di Gustave Doré. Le avventure di Munchausen, che come le Mille e una Notte non si sa se abbiano avuto un autore, molti autoři o nessuno, sono una continua sfida alia legge della gravitazione: il Barone ě portato in volo dalle anatre, solleva se stesso e il cavallo tirandosi su per la coda della parrucca, scende dalla luna tenendosi a una corda piú volte tagliata e riannodata durante la discesa. Queste immagini della letteratura popolare, insieme a quelle che abbiamo visto della letteratura colta, accompagnano la fortuna letteraria delle teorie di Newton. Giacomo Leopardi a quindici anni scrive una storia delľastronómia di straordina-ria erudizione, in cui tra 1'altro compendia le teorie newtoniane. La contemplazione del cielo notturno che ispirerá a Leopardi i suoi versi piú belli non era solo un mo-tivo lirico; quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava. Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sulľinsostenibile peso del vivere, dá alla felicitá irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femmi-nile che canta da una finestra, la trasparenza delľaria, e soprattutto la luna. La luna, appena s'affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempře il potere di comu-nicare una sensazione di levita, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. In un primo momento volevo dedicare questa conferenza tutta alla luna: seguire le apparizioni della luna nelle letterature ďogni tempo e paese. Poi ho deciso che la luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi ě stato di to-gliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. Le numero-se apparizioni della luna nelle sue poesie occupano pochi versi ma bastano a illu-minare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi 1'ombra della sua assenza. Dolce e chiara ě la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna. O graziosa luna, io mi rammento che, or volge ľanno, sovra questo colle io venia pien d'angoscia a rimirarti: e tu pendevi allor su quella selva siccome or fai, che tutta la rischiari. O cara luna, al cui tranquillo raggio < ■o danzan le lepri nelle selve... Giá tutta 1'aria imbruna, torna azzurro il sereno, e tornan 1'ombre giú da' colli e da' tetti, al biancheggiar della recente luna. Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Molti fili si sono intrecciati nel mio discorso? Quale filo devo tirare per trovarmi tra le mani la conclusione? C'ě il filo che collega la luna, Leopardi, Newton, la gra-vitazione e la levitazione... C'ě il filo di Lucrezio, l'atomismo, la filosofia dell'amo-re di Cavalcanti, la magia rinascimentale, Cyrano... Poi c'ě il filo della scrittura come metafora della sostanza pulviscolare del mondo: giá per Lucrezio le lettere erano atomi in continuo movimento che con le loro permutazioni creavano le parole e i suoni piú diversi; idea che fu ripresa da una lunga tradizione di pensatori per cui i segreti del mondo erano contenuti nella combinatoria dei segni della scrittura: YArs Magna di Ramón Llull, la Kabbala dei rabbini spagnoli e quella di Pico della Mirandola... Anche Galileo vedra nell'alfabeto il modello ďogni combinatoria ďunitá minime... Poi Leibniz... Devo imboccare questa strada? Ma la conclusione che mi attende non suonerá troppo scontata? La scrittura modello ďogni processo della realtá... anzi, unica realtá conoscibile... anzi, unica realtá tout-court... No, non mi mettero su questo bi-nario obbligato che mi porta troppo lontano dall'uso della parola come io la inten-do, come inseguimento perpetuo delle cose, adeguamento alla loro varieta infinita. Resta ancora un filo, quello che avevo cominciato a svolgere all'inizio: la lettera-tura come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere. Forse anche Lucrezio, anche Ovidio erano mossi da questo bisogno: Lucrezio che cercava - o credeva di cercare - 1'impassibilitá epicurea; Ovidio che cer-cava - o credeva di cercare - la resurrezione in altre vite secondo Pitagora. Abituato come sono a considerare la letteratura come ricerca di conoscenza, per muovermi sul terreno esistenziale ho bisogno di considerarlo esteso alľantropológia, alľetnologia, alla mitologia. Alla precarietá delľesistenza della tribú, - siccitá, malattie, influssi maligni - lo sciamano rispondeva annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione, dove poteva trovare le forze per modificare la realtá. In secoli e civiltá piú vicini a noi, nei villaggi dove la donna sopportava il peso piú grave ďuna vita di costrizioni, le streghe volavano di notte sui maníci delle scope e anche su veicoli piú leggeri come spighe o fili di paglia. Prima di essere codificate dagli inquisitori queste visioni hanno fatto parte delľim-maginario popolare, o diciamo pure del vissuto. Credo che sia una costante antro-pologica questo nesso tra levitazione desiderata e privazione sofferta. Ě questo di-spositivo antropologico che la letteratura perpetua. Prima, la letteratura orale: nelle fiabe il volo in un altro mondo ě una situazione che si ripete molto spesso. Tra le «funzioni» catalogate da Propp nella Morfológia della fiaba esso ě uno dei modi del «trasferimento delľeroe» cosi definito: «Di solito ľoggetto delle ricerche si trova in un altro "diverso" reame, che puô essere situato molto lontano in linea orizzontale o a grande altezza o profonditá in senso vertica-le». Propp passa in seguito a elencare vari esempi del caso «L'eroe vola attraverso l'aria»: «a dorso di cavallo o ďuccello, in sembianza ďuccello, su una nave volante, su un tappeto volante, sulle spalle ďun gigante o ďuno spirito, nella carrozza del diavolo, ecc.». Non mi pare una forzatura connettere questa funzione sciamanica e stregonesca documentata dalľetnologia e dal folklore con 1'immaginario letterario; al contrario penso che la razionalitá piú profonda implicita in ogni operazione letteraria vada cercata nelle necessitá antropologiche a cui essa corrisponde. Vorrei chiudere questa conferenza ricordando un racconto di Kafka, Der Kubel-reiter (II cavaliere del secchio). Ě un breve racconto in prima persona, scritto nel 1917 e il suo punto di partenza ě evidentemente una situazione ben reále in quelľinverno di guerra, il piú terribile per ľimpero austriaco: la mancanza di carbone. II narrato-re esce col secchio vuoto in cerca di carbone per la stufa. Per la strada il secchio gli < fa da cavallo, anzi lo solleva alľaltezza dei primi piani e lo trasporta ondeggiando come sulla groppa d'un cammello. La bottega del carbonaio ě sotterranea e il cavaliere del secchio ě troppo in alto; stenta a farsi intendere dall'uomo che sarebbe pronto ad accontentarlo, mentre la moglie non lo vuole sentire. Lui li supplica di dargli una palata del carbone piu scadente, anche se non puö pagare subito. La moglie del carbonaio si slega il grem-biule e scaccia l'intruso come caccerebbe una mosca. II secchio ě cosi leggero che vola via col suo cavaliere, fino a perdersi oltre le Montagne di Ghiaccio. Molti dei racconti brevi di Kafka sono misteriosi e questo lo ě particolarmente. Forse Kafka voleva solo raccontarci che uscire alia ricerca d'un po' di carbone, in una fredda notte del tempo di guerra, si trasforma in quite di cavaliere errante, tra-versata di carovaná nel deserto, volo magico, al semplice dondolio del secchio vuo-to. Ma I'idea di questo secchio vuoto che ti solleva al di sopra del livello dove si trova ľaiuto e anche l'egoismo degli altri, il secchio vuoto segno di privazione e de-siderio e ricerca, che ti eleva al punto che la tua umile preghiera non poträ piů esse-re esaudita, - apre la via a riflessioni senza fine. Avevo parlato dello sciamano e delľeroe delle fiabe, della privazione sofferta che si trasforma in leggerezza e permette di volare nel regno in cui ogni mancanza sarä magicamente risarcita. Avevo parlato delle streghe che volavano su umili ar-nesi domestici come puö essere un secchio. Ma l'eroe di questo racconto di Kafka non sembra dotato di poteri sciamanici né stregoneschi; né il regno al di la delle Montagne di Ghiaccio sembra quello in cui il secchio vuoto troverä di che riempir-si. Tanto piu che se fosse pieno non permetterebbe di volare. Cosi, a cavallo del nostra secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di piu di quello che saremo capaci di portarvi. La leggerezza, per esempio, le cui virtu questa conferenza ha cercato d'illustrare.