L'abito da ballo Ho saputo la fine della signorina Ester, la mia padro-na di pensione in via Assarotti 14. La pensione era in uno di quei palazzi non molto abitati ma enormi, costruito in Stile floreale o liberty. Non il floreale spavaldo che nella sua Fatuitä mette quasi allegria; un floreale tetro, grottesco, lunebre. E neppure di quei palazzi arcigni ma sostanziosi, auto-revoli; quello era tutto rose, rosoni, putti, donnine. Volute massicce di cemento, di un grigio pesante, con una pompa di ferri battuti contorti a nastri e svolazzi. La donna era astuta: mi beccö un mensile spropo-sitato, per il motivo che la camera si trovaya al pri-mo piano. Era un mezzanino, che io scambiai per un primo piano; e mi consolai della spesa pensando che fosse in tal modo piü agevole trovare delle lezioni. Ebbi una camera poco illuminata, un letto matrimoniale di noce massiccia che l'occupava quasi inte-ramente, un gigantesco armadio a specchiera nel quäle ero costretto a vedere la mia imtnagine ogni volta che alzavo gli occhi, fino a divcnirne ťurioso. Corridoio buio, cucina squallida; luoghi che si ve-dono soltanto quando si ě in ccrca di una pensione e Ci si sospinge di stanza in stanza col cappello in mano, l'aria rassegnata, perseguitati dalle occhiatacce dei signoři baffuti dagli ingrandimenti del salotto. parte P"™"* . baffuto, ma era dei me-roPureebbiilmj0^n0arcornice ovale, la piccola noa^iaccian.i.X ^cia.a, guardava patetica-testa a forma di pe™ vJrgo,a ,ezioSa di capelh hsci mente aJ SOiflttO. u»« ^^^.^ virgoJa dj baf^ sulla fronte a bau,^na meschina e untuosa galante-fettÍsfDPoTvrpennsare che la piccolissima anima del. Ti fosse rimasta incorniciata nella fotografia: Delia moglie, nel ritratto accanto, non si distin-guevano le fattezze: era uno di quegli ingrandimenti tratti da un'istantanea, ritagliato forse da una fotografia collettiva fatta in occasione di nozze o simile, e ingrandita eccessivamente perché facesse simme-tria con quella del marito. Una finestra a balcone dava su un cortile interno, comunicante con altri cortili interni. Case, case, spaccaii di case, scale, cortili incementati aridi, gri-gio, grigio, giallo sporco. Non ho mai visto in quei cortili, su quei balconi, un bambino, una donna gio-vane. Nello spicchio di cortile sotto la mia finestra c'era il retro duna pasticceria e in primavera vi si raduna-rono ragazze a incartocciare caramelle. Saliva un odore appiccicoso che dava la nausea: preši ľabitu-dine di masticare bucce di limone, che mi procuravo appositamente. Cera anche un albero, pero, in uno di quei cortili: ma 10 non potevo vederne che qualche ramo. soltanto quello di vivo, e pareva, li in mezzo, vivo. Troppo tenero, troppo bello. ^ Ouando contrattai la camera, non feci cas° ^ Padrona, non ricordo nemmeno ďaverla vis; • entro poi una sera in camera: un lunedi dov^ ^ re. perché mi domandô se la domenica ero a á0 sc>are con la mia fidanzata". Rideva amm cor E c'era tropP0 coi pi me era mo spiacqui. N Notai in storte: tale provocante Me la tn disse di im non le garb L'altra, la forse non ľl femmina, n pero. In quella buttarmi su facevo sul p e mi impedi caffé, e vole ché lei non < voleva; la su; Jo ho moll ste chiacchii le donne non Considers Con * suoi st 'Ve,ta' i] colic fVa Col^e ui ?e di^atte ntt'> fei -*«** e u„n Co,t ' 3 Spal'a. g, ano avo 0rd0 , Al Uvessi va, p°meri casa. Se OVa|e, la%6. 'ardava a P«cCo| lntuoSa ßa,' k lella melenso fla: i in0" Si disti"-■■ngrandimenti se da una fot0. nozze o simüe, racesse simme- cortile interno, ni. Case, case, ntati aridi, gri-äi visto in quei una donna gio- a finestra c era "a vi si raduna-dle. Saliva i: presi J'abitu-i mi procuravo L'abito da ballo 39 un di quei corUh> ramo. E c'e* nezzo, tropP0 feci caso ^ erJa vista- & i doveva ero andato ammicc»110 • niccoli occhi: tutta bocca, denti e gengive. Sicco-era molto bassa, la guardavo dall'alto e forse le !Lcqui. Non sapevo che dirle. Notai in seguito che aveva le gambe parecchio störte: tale difetto conferisce alle donne un che di provocante e, specie alle brutte, di impudico. Me la trovai altre volte tra i piedi; un giorno mi disse di imprestarle un romanzo. Ma la mia faccia non le garbava. Diradö le visite. L'altra, la serva, non riuscii a levarmela d'attorno e forse non l'ho mai voluto, anche. Quella era una vera femmina, mezzo furba e mezzo sciocca; non brutta, perö. In quella camera piena di mobili ero costretto a buttarmi sul letto per lavorare, e quei rivoltarmi che facevo sul piano incerto dei materassi mi infastidiva e mi impediva di concentrarmi. Entrava la Rita col caffe, e voleva sapere se era caldo abbastanza: per-che lei non era libera di tenere acceso il gas quanto voleva; la sua padrona le lesinava ogni cosa. Io ho molta pazienza con le donne. Ascoltavo que-ste chiacchiere. Si ha in genere molta pazienza con le donne non brutte. Consideravo, mentre lei si muoveva per la stanza con i suoi strofinacci, le spalle non gracili, la vita svelta, il collo rotondo e forte; osservai che si contor-ceva come un giunco sotto le mie occhiate poco piü che distratte. E che occhi aveva quella bambina? Guardavano di sotto in su: d'un grigio slavato, ma di-ntti, fermi, e mi pareva onesti. Lascoltavo dunque. Pariava inclinando la testa su spalla, guardandomi come ho detto e virava di oordo improvvisamente a mezzo il racconto, come Se io l'avessi pizzicata o punta. Al pomeriggio la padrona usciva e la Rita rimane-Va in casa. Se ne stava buona di lä, in cucina; sedeva 40 nosta Cuciva o piú spesso leggeVa tranquilla e comp ^ allevata dalle monache certi libri devon. ^ fínestra> al riflesso • Nelle beHe g*^suHe alte case di faccia. Siomo s era messa a disfare una gonna che voleva ri-voltare. Quando 1'ebbe tutta scucita, non nusciva a ricomporla. Venne da me e mi prego, divmcolandosi con quella sua civetteria un po' rustica. Io laiutai nella bisogna donnesca senza vergogna, anzi con la migliore volontá. Non era lei ció che avevo di meglio allora nella vita? Non l'ho mai toccata; ma quasi vedevo il sangue tenero scorrere nelle sue vene sotto la sua pelle di carta velina. I tremendi pomeriggi di via Assarotti incomincia-rono quando la Rita prese 1'abitudine di uscire di ca-sa per visitare le chiese, gli oratoři, o simili. In casarimaneva 1'altra, la vecchia. La famiglia si componeva ancora di un altro perná IW a T h° detto: un ^teUo della padro- ^ZSSttoc< Tb privo di baffi: Annibal,e siasi e in casa ch nn &VeVa Un ím^° ^ nchiami con lulT Che gli uccelli fanno [ loW udire anche tra 1 c ^ aCerbe ancora: e si fann° J* di cemento a\\ !e enormi brutte case, i corti-la§giú non pré^ a Pami' Ma 11 nostro alber° voci. la li entamente m'i u-gl dllagava, sonnolen^; *S t°n le ^ P^e ]?n0ttÍVa- Di la non Cera Un ^? fiS StUdÍavo' buttato sul lett; 1Stmtamente, „no strano aU^ aspra, cmutua, * na, gorgogliante lenzio punteggiai La voce giung attraverso 1'uscio fronte pure chius la quale non ero in camera. II riso duró, inl ho sfondato a cal< zato la vecchia pa II giorno appreí «Che fa in casa L «Riceve il suo fi La stranezza de quella befana? «Quando una ě sempře un fidanz; tr°vatella...» JřS °Cchi deIla 1 gUardavo la bocca i n ^Quella li di sot toccan CC6ría e ade „"g* quelle fořtu «Oh Spose^ il r "Mi dj queI]o!» e 1« g°> ^ i!' R"a- Rita E tantn u! Vo"-ebbe uono, pero ««I I conficjen nnCheVOl?i *»> •£ a aVevo di megl- 'edevo il sangue > Ia sua pelle di otti incomincia-e di uscire di ca- > simili. i. di un altro pernio della padro-i bafli: Annibale n impiego q"al' Icijasignorp tili 'anno 1° cura; e « Jtte Cü ^ V« il nostro ajD 0 :,e in magS10' voci. . nt^; va, la non c * u<>l riso. i \e& buttato L'abito da ballo 41 mante riso. Sussultai; non riconobbi subito la voce della signorina. Una risata senza gioia, anzi sinistra, scossa da sus-sulti, da strida. Io ascoltavo, dapprima con inquietu-dine e ripugnanza, poi con furore. Udivo la risata farsi aspra, chioccia, affiochirsi tremolando, rinascere pie-na, gorgogliante, cessare improwisamente in un si-lenzio punteggiato di squilli come singhiozzi. La voce giungeva non dalla camera a parete, ma attraverso l'uscio della mia stanza chiuso e l'uscio di fronte pure chiuso, della sala o che fosse; stanza nel-la quäle non ero mai stato perche consumavo i pasti in camera. Ii riso durö, interrotto da pause, forse un'ora. Non ho sfondato a calci tutt'e due gli usci e non ho stroz-zato la vecchia pazza. II giorno appresso interpellai la Rita: «Che fa in casa la tua padrona, quando tu vai fuori?» «Riceve il suo fidanzato.» La stranezza della cosa mi distrasse: un fidanzato, quella befana? «Quando una e ricca,» sentenzio la Rita «trova sempre un fidanzato. Io invece... non sono che una trovatella.. .» Gli occhi della Rita parevano tristi dawero; io le guardavo la bocca e lei arrossi. «Quella Ii di sotto,» e mi indicava dal balcone il cortiletto della pasticceria «era una trovatella, come me. Lei e riuscita a farsi sposare dal signor Fürst della pasticceria e adesso e padrona e ricca. A me non toccano quelle fortune.» «Te ti sposerä il ragioniere.» «Oh, quello!» e la Rita ricominciö a divincolarsi. «Mi dice: Rita, Rita... e vuole toccarmi, ma io scap-Po, sa. Lui vorrebbe sempre metter le mani addosso. £ tanto buono, perö. Quando la signorina mi sgrida t*****»-"..... 42 • a,re alloramiaccarezzaicapelli, eluimivedeP'ange^ngere. poi mi aCcarezza il Col. mi dicc« Rita» l0( e allora io scapP?ei ritratto come se fosse stato lui. Guardai 1 omin ^ Rha se n>andö via per ^ II P°merif;i0'04ricominciö. Scappare, dovevo. Ma andarci'allora'per ce*e ^ Affrontai il riso, decisi anzi di dominarlo: lo ascol-tai con intenzione, lo centellinai. Ma non nuscivo, mi sfuggiva. Mi ricordai a un tratto del fidanzato e respirai, per un attimo: quei due, pensai. Inutile. II riso dilagava inesorabile, non prendeva terra, non acquistava umanitä. Del resto l'uomo in questione non solo non lo vidi mai, ma non l'ho mai udito entrare ne uscire, ne l'in-tesi salutare, parlare, muoversi comunque. Rientrava si verso sera con fracasso e strascicando i piedi, il ragioniere; poi la Rita con passo svelto. Io sfinito, inferocito, guardavo lei qualche volta: mi piaceva col suo berretto di lana nera, da beghina, le labbra rosee, fresche. noNetTn° trer?endi erano 1 sile™ che precedeva-tenderl80Ur°^ °Fa che mi sorprendevo ad * deüe^sensir 6 qUaSi aff^inato come accade Primeoredelhnn? VfanU ma straordinarie. E le let*o alle otto io!, qUeIla casa tutti andavano a me im ™----' . ' nella stanza assienata rli mnbili c la me un mag&77i„„T" Stanza assiepata di mobili co ca^era si tr0v^' du[avo fetica a respirare. Sotto la una sala da biüardn n*h annesso alla pasticceria. n„, . -««uuo. GH stolidi tonfi martellav^0 vknr i°paco di Prione, anzi di rifugi° P MK Ur°'ed esau"vano i miei nervi. „ dellommo languido, quello il suo let«>- * ttava sotto, mi scottav sQ che sp! fi- che fare t> Uando tornö il v ei^en'andai d; *^d*i? 00,11 se^rvadet Sil!11 tuo Post dettoÄal° altr Piovesse fossestatoi ^ d-ev0P^ per certe larlo: *° ascol. non riusciv0 le* fidanzato e isai. Inutile, il Jva terra, non :>lo non lo vidi uscire, ne I'in-que. e strascicando sso svelto. ijualche volta: a, da beghina, he precedeva--endevo ad at-comeae** rdinane. & Ui andavanoa .rare SoH°l* marlc PV i rifug«f p L-i nervi- j, la era s» suo 43 scottava sotto, mi sentivo spiritare. Un riso, ecco, da spiriti. Io so che gli spiriti si possono prendere a schiatfi: che fare tuttavia nel mio caso? Quando non l'udii piu, seppi dalla Rita che la si-gnorina era ammalata. La Rita assumeva un'aria mi-steriosa a proposito di questa malattia, voleva inso-spettirmi. Ma io assaporavo il silenzio sostanzioso e onesto dei pomeriggi liberati; mi ci rotolavo, ci spa-ziavo. Io sono sano e le malattie non mi hanno mai inte-ressato. Che lei fosse li, nella camera attigua, non mi preoccupava, poiche taceva. Un giorno, passando nel corridoio lanciai un'oc-chiata distratta attraverso l'uscio socchiuso - fu Tunica volta, credo - della sua camera. Era seduta di proii-lo contro la finestra. Cuciva, mi pare. Vidi la fronte a baule, di famiglia, e piu sotto, il ventre rotondo, gon-fio. Non eccessivamente, ma decisamente segnato sotto la veste tesa. Il suo aspetto del resto non aveva nulla di ripugnante, anzi cio dava alia sua figura di so-lito informe, una consistenza, un carattere. Io non sono medico, non so nulla delle malattie. «Che malanno ha la tua padrona?» «Le s'e gonfiata la pancia.» Parti per un posto di cura. Ci stette forse un mese. Quando torno il ventre era scomparso. Sera a luglio, e io me n'andai da quella casa. La Rita mi confido, salutandomi, che aveva voluto sapere dal dottore che male avesse la sua padrona; e colui le aveva detto: tu sei una brava ragazza. Tieni sempre il tuo posto e vedrai che non ti capitera nulla. Si ammald altre volte, poi, la disgraziata. Me l'ha detto la Rita laltra sera, quando l'ho incontrata dopo tanti anni passando per caso da via Assarotti. Pioveva. Sul marciapiede i passanti ci urtavano. 0n che piovesse gran che, ma era piovuto tutta la 44 Parte prima. Awenture manche I rnnta e i tram sventagliavano l'acquaccia raccolta Kzze lungo le rotaie. Ci dovevamo scansare 0gni VOlld m'eparsa sempre bellina, forse un po' sfiorita. Vedevo la sua faccia nell'aria piovosa, scura, e al * flesso dei fari che la illuminavano or si e or no di lu. ce bianca e violenta. «E morta, la signorina. Io mi ci sono tanto spaven-tata; mi ha fatto male, sa. Non sto piü bene da allora. Sono in cura dal dottore. Lo spavento mi ha fermato il sangue addosso.» Ho giä detto che non sono medico, e certe cose mi fanno impressione. Tacevo. «E non sa come e morta la povera signorina?» Ecco dunque la fine della signorina Ester. «La signorina stava tanto male. Io dico al ragio niere: bisogna awertire il fidanzato. II ragioniere ha detto che ci pensava lui, ma non e venuto, il fidanzato. Povera signorina.» «E poi,» la Rita prese un'aria come se Stesse per dire il peggio «il ragioniere ha voluto vestirla lui. Ha voluto vestirla con l'abito da ballo. Pensi, che vergo-gna. Io lo dico al ragioniere: non sta bene, povera signorina, lasciare che si presenti davanti al Signore cosi. Lui diceva: e bianco. Un vestito di seta, bianco, all^T0.'.80011^0- Non era un vestito nuovo, era So ™ Vami anni fa' Usava™ cosi corti. Ma a Puma E Do §ambe' ma^e, nnagre, e le ginocch* s*- Si vedevanJTT maniche: un vestito da ballo, s troppo granie ^ nude' ™&e. La scollatur* cava»ola peHe f',1111'^^^' le ossa' ^ le :ev* Pena. Mail r P Ürata sulle ossa' gialla' L messo ^ mann n §10niere ha voluto cosi. Io le h° Cosi si Dr" a COr°na.» P SemÖ all'Eterno la povera donna. O* a si b&nCC Un >st,t't oinzoch( Pentose gambe sp frhavolutasp toccol.nav Ora non mi fa P sentopiuridere.E «E la Rita?» Le guardo come per questo cosi bell; selvatico, sorride; u Che cosa fa, che che, dopo tutto, il n mabile sulla sua fac 1932 Labi to da hallo 45 >aven. illora, -iTnato >se mi ragio- iere ha anza- sse Per lui- »a > verg0' ,'veras1' Sig< quel vestito bianco, con quel rosario nero. E le brac-cine Spolpate. Una di quelle bamboline dei poveri che si vendevano una volta nelle Here: di cartapesta e vestite di garza. La Rita pin/.ochera l'avrebbe vestita col camice ina-midato delle Figiie di Maria, e avrebbecelato li sotto le spaventose gambe arcuate. Ma l'omino funebre e pi-tocco l'ha voluta spedire cosi: in abito da sera. Ora non mi fa piu paura, la povera diavola, non la sento piu ridere. 6 in pace. «E la Rita?» Le guardo come una volta la bocca un po' pallida e per questo cosi bella. La Rita si divincola col suo fare selvatico, sorride; una gioia le fa forza, ride. Che cosa fa, che cosa nasconde, anche lei? Pensai che, dopo tut to, il mistero del vivere non pareva ina-mabile sulla sua faccia. 1932