• MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q p OS La riunione Un giorno assolato di settembre due signore si incontrano sul ponte Sisto e si ab-bracciano. E un anno che non si vedono. Scavalcano la bassa catenella arrugginita che blocca il traffico, dove gli innamorati agganciano i lucchetti agli anelli e i pedo-ni disattenti inciampano. Sono le due passate, hanno entrambe fame. Una, cresciuta vidno al ponte, ě in lutto: ha perso il padre da qualche settimana, ed ě anche addolorata per il matrimonio che sta per spegnersi. E una donna minuta con i capelli chiari e raccolti, grandi occhi verdi, e un orecchio tempestato di brillanti e piccoli anelli d'oro. L'altra, una professoressa universitaria, ha i capelli scuri, ed ě scura anche di car-nagione. E piú alta rispetto all'arnica, e in quei giorni ě anche piú felice. Ha appena compiuto gli anni al mare, ě molto abbronzata e si sente ringiovanita. Ci teneva a incontrare quelPamica in un momento difficile, nel mezzo della separazione e in lutto per il genitore. «Quando sei tornata?» chiede alia sua arnica, tenendola sotto braccio mentre camminano. «Una decina di giorni fa. Te?» «L'altro ieri.» Le due signore, entrambe con due figli piu o meno della stessa etá, avevano fatto amicizia tempo prima al parco giochi di piazza San Cosimato. Andavano spesso a mangiare in questa o quella trattoria e a fare lunghe chiacchierate. Da un paio ďanni invece la signora in lutto, ora a Roma per il funerale del padre, vive in una cittá straniera ma vicina. Ci vive con i due figli ma senza il marito, che doveva rimanere in Italia per il suo lavoro e con cui le cose, all'epoca, andavano abbastanza bene. Lei, a quarantasei anni, voleva cambiare aria; la sua malmessa cittá natale le pesava parecchio. Anche la professoressa ě rientrata di recente a Roma, non per affrontare una perdita ma per godersi un anno sabbatico con la sua famiglia. Conosce bene la ca-pitale e la ama; ci viene spesso per le sue ricerche e per conferenze, da sola o con la sua famiglia, ogni tanto per lunghi periodi, per studiare la storia antica della cittá. Oggi la signora in lutto ha prenotato in una trattoria cui ě molto affezionata, una delle poche, dice, che resistono testardamente, meravigliosamente, alio scor-rere del tempo. «Cosi ti faccio conoscere un posto nuovo. Tanto ormai la mia cittá ě anche tua.» Per andare alia trattoria passano sotto il palazzo elegante dove abitavano, durante la gran parte dell'anno, i genitori della signora in lutto. «Strano pensare che lui non ci tornerá mai piu» sospira lei, riferendosi al padre, un giornalista che parlava cinque lingue e girava il mondo, una volta. D'estate i suoi genitori si spostavano in montagna, al fresco. II padre, ormai ultranovantenne, ě morto nello stesso letto di montagna in cui era nato. La casa in cittá era sempre disabitata d'estate, ma ora, dice, ě vuota in modo diverso. La signora in lutto racconta all'amica di essere entrata in fretta poco prima a re-cuperare un paio di cose che le servivano, di essersi trovata circondata dai quadri, dai libri e da altri oggetti che appartenevano al padre e di esserne stata natural-mente turbata. «Eri con lui quando se n'e andato?» chiede la professoressa. • MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q P OS «Ero in aereo, non ho fatto in tempo.» La trattoria ě in una stradina senza marciapiede di una zona labirintica e sempre affollata. La stessa zona dove, anni fa, la professoressa aveva affittato una casa per l'estate, proprio nella strada dove ě cresciuta la signora in lutto. Alle signore ě sempre piaciuta questa coincidenza, questo luogo in comune sebbene vissuto in tempi diversi, in circostanze assai diverse. Quando arrivano alia trattoria, rischiano di superarla, tanto la facciata ha un'aria discreta, quasi anonima. Non assomiglia alle altre trattorie dei dintorni invase da turisti. Non assomiglia, per esempio, alia trattoria pochi passi piu in lä che aveva accolto con tanto calore la professoressa e la sua famiglia quasi tutte le sere quel-l'estate. Quella trattoria aveva bottiglie di vino in vetrina e fuori ombrelloni bian-chi e sbrindellati. Ci si sedeva su sedie di plastica traballanti, sulla piazza che incli-nava, accanto al muro screpolato, e a volte dopo il pasto e prima di portare il conto i due fratelli che gestivano il locale appoggiavano una grande bottiglia di Averna sul tavolo. La trattoria in cui entrano oggi ha un aspetto riservato, con due porte di vetro che appartengono a due palazzi diversi. Uno ha delle mattonelle, mentre la facciata dell'altro, liscia, ě dipinta in grandi blocchi di rosa e arancione tenue. Una delle due porte fiancheggia l'ingresso mentre l'altra funge da finestra. Entrambe sono di vetro smerigliato in modo da tenere fuori gli sguardi dei passanti. Per entrare biso-gna suonare, e siccome l'ingresso ě di sbieco rispetto alia strada si vede a malape-na uno scorcio dell'interno. Una volta entrate, la signora in lutto saluta la padrona, una donna robusta con gli occhiali sottili e i capelli bianchi e corti. Poi riconosce e saluta un signore sedu-to a un tavolo nell'angolo con un bambino di circa sei anni. Dal loro scambio calo- roso la professoressa capisce che ě un suo amico storico, cresciuto come lei a due passi dalla trattoria. «Scusa se ti do le spalle» gli dice la signora in lutto mentre si siede. «Allora mi metto qui io» propone la sua amica, quindi si scambiano i posti e ap-poggiano le loro borse sulla sedia in mezzo. La trattoria ha una forma a L. Le pareti bianche, la modanatura nera e la zocco-latura pallida di marmo richiamano alla mentě 1'aspetto spoglio e immacolato di una macelleria. La signora in lutto ě rivolta all'amico storico nell'angolo, la professoressa verso un tavolo di uomini ben vestiti che probabilmente lavorano tutti nel- 10 stesso ufficio. Impossibile vedere cosa c'ě dietro 1'angolo. Sul tavolo, un menu dentro una busta trasparente: un foglio bianco con le pie-tanze battute a macchina. Resta pero sul tavolo, le due signore neppure lo guardano. La padrona, che ě anche la cuoca e la cameriera, dice loro cosa c'ě da mangiare. Ha le braccia robuste e porta, sopra una camicia bianca di cotone a maniche corte, 11 grembiule. La signora in lutto sceglie una verdura per iniziare e poi un primo. «E cosa portiamo in tanto alla moretta?» chiede la padrona in maniera sbrigativa, senza rivolgere la parola direttamente alla professoressa. Dopo qualche secondo lei risponde: «Prendo lo stesso», awertendo una sensa-zione fastidiosa, simile a quando le gambe leggerissime ma affilate di un insetto minaccioso si appoggiano appena sulla mano. «Mi spieghi cosa si intende, esattamente, quando si dice 'la moretta'?» chiede la professoressa. «Non farci caso, qui si dice a chiunque abbia i capelli scuri» mormora la signora in lutto, avendo notáto il lieve sconforto dell'amica. La professoressa nota, ora che sono sedute, quanto la sua amica ě stremata. • MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q P OS «Riesci a dormire?» «Poco.» «Mangiare?» «Oggi si, qui si mangia sempře benissimo.» Proprio in quel momento la padrona porta dell'acqua e un češtino con solo due pezzi di pane. Poi arrivano delle verdure lesse di un verde cupo ma lucido. «Tieni, tesoro» dice alla signora in lutto. Alťaltra invece: «E lo stesso per la bella signora». II nuovo epiteto, pronunciato in modo obliquo, con un tono aspro, la urta lo stesso. «Come stanno i ragazzi in tutto questo?» chiede alPamica in lutto. Entrambe hanno un maschio e una femmina. «Ormai hanno capito. Li ho lasciati con mia mamma in montagna. Ti faccio vedere.* Anche la professoressa tira řuori dalla borsa il suo cellulare. «Tua figlia ě uguale a te» osserva la signora in lutto. «La tua invece assomiglia molto al padre» risponde la sua amica. Chiede, discre-tamente: «Sta sempře con la sua collega?» «Pare di si. Che ci dobbiamo fare?» «Come l'hai scoperto?» «Guarda, ora credo di averlo saputo giá allora, almeno intuito. Per questo, se-condo me, ho voluto andare via, perché qualcosa non andava.» «Hai fatto bene.» «All'epoca mi illudevo. Pensavo di fare come te, e di scoprire un nuovo posto con i miei figli. La mia decisione pero ha solo accelerato la fine di un matrimonio moribondo.» La signora in lutto racconta di avere giá parlato con un awocato, ma siccome ora abita in un'altra cittá con i figli la situazione ě piuttosto complicata. Si interrompe per salutare Pamico storico che ha finito di pranzare. «Hai visto come si mangia bene qui?» dice al bambino. «Pensa che venivo an-ch'io alia tua etá. Come te, a pranzo, con mio papá.» II bambino, timido, la guarda con occhi sgranati senza rispondere. A quel punto ricompare la padrona con il primo. «Parli troppo, non hai ancora finito la verdura» dice, rimproverando con tenerez-za la signora in lutto. Stavolta, nessun epiteto per la professoressa. II primo piatto ě molto caldo, blando ma buono. Mentre mangiano squilla il cellulare della signora in lutto. «Sono a pranzo con una mia amica» dice, e poi chiede alia persona con cui parla di passare dalla trattoria. Spiega all'amica che ě un vicino di casa dei suoi genitori e che deve consegnarle la posta accumulata a casa loro, compresi tanti telegrammi per la scomparsa del padre. Qualche minuto dopo arriva il vicino di casa con una busta di carta nera. Bacia la signora in lutto e stringe con veemenza la mano della professoressa. «Siediti» dice la signora in lutto. «Prendi un caffě?» «No, grazie. Ecco la posta.» Parlano del padre, e la signora in lutto sintetizza gli ultimi giorni, i suoi desideri dal capezzale, il funerale. «E stato esattamente come lui lo avrebbe voluto» dice malinconicamente, senza pero piangere. «Era un uomo eccezionale» dice il vicino di casa. «Ho sempře ammirato la sua vocazione per i viaggi, per i mondi diversi. Ci mancherá.» piů informazioni • MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q P OS Poi saluta le signore e va via. Anche gli uomini al tavolo di fronte si alzano per andarsene. Alcuni guardano la professoressa con una čerta curiositá. «E tu, contenta di essere tomata in questa cittá?» chiede all'amica la signora in lutto. «Ritrovarla per me ě ogni volta un piacere nuovo» risponde. Aggiunge: «Resta 1'unico posto in cui mi sento veramente a casa». Appena glielo dice, pero, teme di avere un rapporto sempře tenue con la cittá: di non avere, alla fine, nulla a che fare con la storia che studia, e di non poter mai sentire il sollievo di pranzare in un locale di fiducia che faceva parte della storia della sua famiglia, che custodiva bei ricordi di innumerevoli pranzi padre-figlia, uno spazio come quello che dava conforto alla sua amica perfino dopo una perdita cosi immensa. Qualcuno ha spento qualche luce, per cui 1'interno della trattoria ě diventato piú buio, come se stesse per arrivare un temporale. «Andiamo?» propone la signora in lutto. «Andiamo.» «Vado un attimo in bagno.» «Bene, poi ti seguo.» Da sola al tavolo, la professoressa studia la tovaglia, 1'insegna della trattoria, il menu trascurato. Si chiede se il posto sarebbe piaciuto alla sua famiglia. Ma poi si chiede anche se la padrona avrebbe chiamato sua figlia, che le assomiglia, «la mo-retta». Pensa in ogni caso che ě bello vivere in una cittá che, pur essendo conosciu-ta, resta piena di segreti e scoperte che si illuminano per caso, lentamente. «Qui ě come se fosse casa loro» dice la signora in lutto quando torna al tavolo, con aria divertita. La professoressa va a cercare il bagno. Girando l'angolo, si accorge che oltre alla padrona c'e un'altra donna un po' piu giovane alla cassa, con i capelli neri - sem-brano tinti -, e anche una bambina di sei o sette anni, fin li silenziosa. Le due don-ne sono forse sorelle, e la bambina la nipote di una di loro. Badano con una certa svogliatezza alla bambina, che sembra girare a vuoto in uno spazio angusto. «E qui il bagno?» la professoressa chiede, riferendosi a una porta su cui non c'e scritto nulla. La donna piu giovane risponde, secca, di si. La professoressa, nel bagno, riflette sull'osservazione della sua amica, di trovarsi in una casa altrui. Un tipico bagno da trattoria. Eppure si sente a disagio li dentro, di intralcio. All'uscita, trova la bambina seduta per terra con le gambe spalancate. Cosi non puo passare. Aspetta qualche secondo che la bambina si sposti. Invece rimane immobile. La padrona e la donna alla cassa non le dicono di levarsi, non le dicono nulla. Quindi la professoressa chiede alla bambina: «Posso?» Lei non risponde ne reagisce, comportandosi come se non avesse sentito la professoressa. A quel punto scavalca cautamente la gamba nuda della bambina per tornare al tavolo. Appena al di la della piccola barriera di came e ossa, sente la bambina bisbiglia-re qualcosa di lamentoso senza capire esattamente quello che dice. Lo capisce dalla risposta della padrona: «Sei tu che ti devi spostare per lei». Lo ha detto, pero, sempre con quel tono obliquo, trattenuto, per cui la professoressa prova di nuovo disagio. «Dobbiamo chiedere il conto» dice la signora in lutto vedendo 1'amica tornare. Lasciano il tavolo e vanno a pagare. La bambina e ancora li, con le gambe tese, spalancate. piu informazioni • MIolEbookReader Modifica & m w ^ >i > i > Q P 05 La signora in lutto invece torna dalPaltra parte del fiume, dove si mette su un'al-tra panchina all'ombra a setacciare la posta dei suoi genitori, a leggere qualche car-tolina indirizzata al padre deřunto, e a consolarsi con le condoglianze spedite dai loro caři, da vicino e da lontano. Ú MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q P 05 Le feste diP. 1 Bisogna spiegare per prima cosa che le feste di P. si svolgevano ogni anno a casa sua, un pomeriggio di sabato o di domenica durante il mite inverno che si gode so-litamente in questa cittä. A differenza della girandola impegnativa di altre feste invernali passate in fami-glia, sempre combattute, il compleanno di P., all'inizio dell'anno nuovo, era un'oc-casione lieve, distesa, mai prevedibile. Aspettavo con piacere il trambusto dentro la casa stipata di gente, le pentole di acqua in procinto di bollire, le altre mogli věstíte con cura che davano subito una mano in cucina. Aspettavo l'effetto di qual-che bicchiere di spumante prima di pranzare, gli antipasti sfiziosi da assaggiare. Cercavo la compagnia degli adulti che si radunavano nel patio per prendere il fresco, per fumare una sigaretta e commentare la partita di calcio dei ragazzi che gio-cavano senza sosta sul prato. L'atmosfera della festa era calda ma anche impersonale per via della quantitá di gente che veniva, che si conosceva troppo bene oppure per niente. Ci si trovava da-vanti a due gruppi distinti, come due correnti opposte che si incrociano nel mare, che realizzano per un attimo una nitida forma simmetrica e che poi subito si can-cellano. Da un lato quelli come me e mia moglie, amici storici di R e di suo marito ehe venivamo da sempre, e dalľaltro quelli trasversali: stranieri ehe apparivano per un paio di anni, o anche una volta sola. Arrivavano da vari paesi per lavoro o per amore, o per cambiare aria, o per moti-vi piú misteriosi. Erano una popolazione nomade ehe mi ineuriosiva - prototipi, magari, per un mio eventuale racconto, persone ehe incontravo e osservavo con calma solo da R In un breve areo temporale riuscivano a visitare quasi tutto il pae-se, ad apprezzare, nei fine settimana, i nostri borghi provinciali, a sciare le nostre montagne a febbraio e nuotare i nostri mari limpidi a luglio. Acquisivano un'infa-rinatura sufficiente della nostra lingua, si adattavano al cibo, perdonavano lo scompiglio quotidiano. Imparavano da capo, con zelo, le vicende storiche ehe noi avevamo memorizzato da piecoli e poi quasi dimenticato - la linea di successione degli imperátori, le loro imprese. Avevano con questa cittä un rapporto strategico senza mai pero starci dentro, sapendo ehe prima o poi la loro permanenza sarebbe finita e ehe un giorno loro non ci sarebbero stati piú. Erano cosi diversi dal gruppo cui appartenevo io: persone nate e eresciute a Roma, persone ehe lamentavano il degrado preoceupante della cittä senza poter mai andarsene. Gente per cui semplicemente cambiare quartiere a trenťanni - an-dare in una nuova farmácia, comprare i giornali a una nuova edicola, sedersi ai ta-volini di un nuovo bar - significava una partenza, un grande spostamento, uno strappo. R era una vecchia arnica di mia moglie. Si conoscevano da molti anni, ancora prima del nostro fidanzamento, essendo cresciute nella stessa strada fiancheggiata da bei < > piú informazioni • MIolEbookReader Modifica & m w ^ >i > i > Q P OS Non sarei stato capace di distinguere una festa dalľaltra, gli awenimenti, i parti-colari, finché un anno non mi ě capitato qualcosa di insolito, un sobbalzo alia fine banale ehe resta una cesura nella mia vita. Di quelľanno ricordo tutto in maniera molto precisa. Ricordo per esempio ehe c'era piú traffico del solito, per cui eravamo arrivati con quasi un'ora di ritardo. Non importava, da P. si mangiava sempre in piedi. Ricordo ehe mia moglie mi stáva raccontando qualcosa, ehe parlava senza sosta mentre guidavo e ehe non le davo retta. Anzi, mi infastidiva la sua voce un po' rauca e la sua tendenza a essere pro-lissa. Faceva la gallerista. Avrei preferito guidare in silenzio su quel bel tratto di strada, ma lei parlava dei clienti, di giovani pittori promettenti. Prima di scendere dalľauto mia moglie aveva cambiato le scarpe, togliendo quelle basse e comode, mettendone un altro paio piú eleganti, coi tacehi, anche per aggiungere qualche centimetro e diventare leggermente piú alta di me. Siccome P. invitava tanti amici dei suoi figli avevamo visto, prima di entrare, uno sciame di bambini e ragazzi di varie etá ehe giocavano sul prato, al sole. I loro cap-potti erano sparsi sulľerba come se fossero teli lasciati sulla spiaggia mentre tutti fanno un bagno. I bambini e i ragazzi correvano, divertendosi, sudati, un paio di cani correvano e abbaiavano dietro di loro. Avevo pensato con una fitta di nostalgia a nostro figlio, ľunico ehe io e mia moglie abbiamo messo al mondo. Qualche anno prima lo avremmo portato con noi, avrebbe giocato sul prato senza cappotto pure lui, ma adesso era giä un uomo, ave- va ventitré anni, si era laureato e da qualche mese abitava all'estero per motivi di studio. Mia moglie non ne pativa, anzi, voleva che lui diventasse sempre piú autonomo. Secondo lei il fatto che riuscisse a cavarsela piú o meno per conto suo, lontano da noi, e si fosse recentemente fidanzato, era la conclusione, lieta e meritata, della nostra lunga ed estenuante strada come genitori. Significava che avevamo fatto un buon lavoro e segnava un traguardo da festeggiare. Trovavo stupefacente la sua mancanza ďansia: lei che aveva seguito nostro figlio in modo incalzante, che si oc-cupava, alacre, di ogni pasto, ogni partita di calcio, ogni esame, ogni pagella. Ma poi ho capito che lei guardava sempre in avanti, poco indietro, per cui ora puntava giá alla sua carriera, alla sua vita sentimentale, ai suoi eventuali figli, insomma, al suo distacco definitivo da noi. Invece per me non vederlo ogni giorno, non sentire piú la sua voce in casa, né il violino che suonava mediocremente, non sapere del suo andirivieni, non dover mettere il suo succo preferito nel carrello al supermer-cato, era stato un colpo. Certo ero fiero di lui, entusiasta dei suoi progetti, eppure avevo un buco nel cuore. Avevamo suonato il campanello anche se il portone era socehiuso. Avevamo sa-lutato e baciato P. e suo marito che ci aspettavano come al solito alťingresso. P. era in grande forma, raggiante, indossava un abito a fantasia degli anni Settanta che era appartenuto a sua madre, con una cintura di pelle che accentuava la vita. Le avevamo portato qualche pensiero: una candela profumata, una crema per il corpo, un romanzo appena uscito di cui si parlava. Avevamo scambiato qualche parola, poi era suonato di nuovo il campanello, per cui ci eravamo spostati piú avanti. Ci eravamo tolti i cappotti e li avevamo mollati sul divano, sopra un mucehio di stoffa giá precario, promiscuo. Faceva caldo dentro casa ma mia moglie, solitamente piú informazioni • MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q P OS freddolosa, che indossava un vestito senza maniche, aveva deciso di tenere una sciarpa di lana grigioperla attorno alle spalle. Avevamo trovato il tavolo dove c'era da bere, avevamo preso due bicchieri di spumante. Avevamo fatto un brindisi, guardandoci un attimo negli occhi. Poi, senza rancore, per il resto del pomeriggio io e mia moglie ci eravamo infilati separata-mente nel flusso della festa, ignorandoci. Come se fosse un luogo del cuore che visitavo ogni tanto, che conoscevo giá un pochino ma mai fino in fondo, avevo iniziato a vagare per la casa, salutando una série di amici. Presi dai nostri impegni, dagli obblighi professionali e personali che ci divorano, che ci definiscono, tendevamo ormai a vederci con calma solo in quel-la casa, a quella festa. Mangiavamo, ci raccontavamo le novitá, parlavamo di chissá che cosa. Allo stesso tempo ero attentissimo all'altro gruppo: i potenziali soggetti narrati-vi, gli stranieri con cui scambiavo solo qualche parola, diciamo piú occhiate che parole. Mi interessava il loro punto di vista. Mi incantavano proprio perché, ben-ché fossimo stipati dentro la stessa casa, festeggiando la stessa amica comune, condividendo un certo rito collettivo, restavamo due specie distinte, non confondi-bili. Alla fine loro parlavano in maniera sciolta e serrata soltanto tra loro, noi sol-tanto tra noi. Mi parevano fieri della scelta di sradicarsi, di assumere, nella mezza etá, nuovi punti di riferimento. Richiamavano un mondo al di lá dei miei orizzonti, i passi azzardati che avevo evitato: il mondo che aveva portato via, forse per sempře, mio figlio. Dopo aver girato un po' nelle stanze mi ero messo nel patio. Avevo rubato una sigaretta, una delle poche che mi concedo ogni tanto fuori casa quando mi rilasso, e guardavo con gli altri i bambini e i ragazzi che giocavano ancora, che urlavano sul prato. La luce indorava gli alberi piantati qua e lá. Eravamo tutti uomini. Poi ci aveva raggiunti P. per parlare un attimo, per accertarsi che stessimo bene, che avessimo da bere, che avessimo mangiato. Trattava ognuno di noi come se ci cono-scesse da una vita, anche se non conosceva la maggiore parte dei suoi ospiti quasi per niente. «Avete un prato stupendo, sarebbe bello costruire una piscina qui» le aveva detto qualcuno. «Non ne vale la pena, andiamo al mare d'estate per due mesi» aveva replicato R «Ah si, dove?» «Un'isola piccola, sperduta, ancora selvaggia. Bisogna prendere una barca per fare la spesa.» «Non ti secca?» «Anzi, e proprio la scomodita che mi ricarica. Ci vado da quando ero bambina.» «Che meraviglia.» «Ad agosto tutta l'isola sa di rosmarino. C'e un piccolo faro, una piscina in mezzo, il mare dappertutto e basta» aveva detto P. Io non ero mai stato su quell'isola, ma l'avevo sentita nominare da mia moglie, che da ragazza ci andava per una decina di giorni in estate, invitata dalla famiglia di P. Poi un anno - mi aveva raccontato mia moglie - un uomo, un grande nuotato-re che faceva cinquanta vasche in piscina due volte al giorno, era morto proprio li, mentre faceva una gara con un amico, stroncato da un infarto davanti a tanti bambini, tanti ragazzi, anche i suoi figli. Mia moglie, traumatizzata, non aveva avuto piu voglia di ritornare. E anche se delle volte andavamo via con R e la sua famiglia, per trascorrere un fine settimana insieme in campagna, non eravamo mai andati a trovarli su quell'isola. «E poi non mi piace nuotare in piscina» aveva aggiunto R, come se avesse intuito i miei pensieri. piu informazioni 5544 • MIolEbookReader Modifica & m w & >i > 4))) 100% IB □ ABC esteso Mar 17:52 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani o o, P OS «Perche?» «In quell'acqua non c'e vita.» Parlavamo di altri mari, altre isole, del piacere di stare in barca anziche andare in spiaggia: argomenti frivoli di gente benestante. Ma mentre parlavamo ci eravamo accorti che una strana quiete era calata sul prato. Non urlavano piu i ragazzi. Era successo qualcosa. Ci eravamo awicinati. Cera in lontananza un gruppo immobile, una dozzina di persone. In mezzo, qualcuno sdraiato per terra. Awicinandoci ancora avevamo visto un bel ragazzo di circa dodici anni con i ca-pelli scompigliati, le gambe divaricate, una brutta cera. Era svenuto? Era accaduto qualcosa di piu grave? Non si capiva nulla, poi era arrivato il medico, quello che anni prima aveva salvato la vita di R Un uomo alto, dinoccolato, con i capelli neri che sfioravano le spalle, un paio di baffi pendenti, un'aria tranquilla e bonaria. Accanto al ragazzo c'era una donna pallida, spaventata. Doveva essere la madre. Non l'avevo notata, ne ci eravamo salutati pur avendo gia trascorso qualche ora nella stessa casa affollata, nelle stesse stanze, girando intorno alia stessa tavola, mangiando lo stesso cibo. Era straniera, si vedeva subito dai lineamenti. Portava un abito inadatto alia sta-gione; una collana pesante adornava un triangolo di pelle scoperta. Era poco truc-cata - con l'eccezione dello smalto color vino sulle unghie - e di una bellezza gia provata. I capelli scuri erano raccolti dietro la nuca. Aveva una decina d'anni meno di mia moglie, e aveva uno sguardo piu tagliente, una vita interiore, mi pareva, piu rovente. «Cosa gli e successo?» le aveva chiesto il medico. «Non ne ho idea. Ero dentro mentre lui giocava, poi un suo amico e venuto a dirmi che si sentiva male. Quando sono arrivata tremava, mi sembrava scosso, disorientato.» La donna parlava un amalgama particolare della sua lingua e della nostra, ma la si seguiva abbastanza bene. «E poi?» «Diceva che gli girava la testa, che per qualche secondo non era riuscito a sentire niente, che tutto era diventato silenzioso.» «Fateci un po' di spazio per favore» aveva detto il medico. II gruppo intorno si era allontanato. Rimanevano solo il ragazzo con sua madre, il medico e R con lui. Avevo fatto qualche passo indietro anch'io, ma poi mi ero fermato, paralizzato al pensiero che un episodio simile poteva accadere - perche no? - a mio figlio mentre giocava a calcio la domenica in un parco senza nessun genitore al fianco. Per qualche minuto nessuno aveva parlato. II medico aveva esa-minato il ragazzo, gli aveva alzato i piedi, toccato la fronte, tastato il polso. Dopo un po' il ragazzo si era tirato su, seduto, aveva bevuto un po' d'acqua. «Niente di grave, signora» aveva spiegato il medico. «Ma come? E un ragazzo sempre attivo, non gli e mai successa una cosa simile.» «Suo figlio ha subito uno leggero shock. Forse non aveva mangiato abbastanza a pranzo. Questi ragazzi giocano a tutto spiano senza farci caso. Puo capitare, anche per via di un'emozione forte. Ha fatto colazione stamattina, suo figlio?» «Si.» «E un ragazzo ansioso?» piu informazioni • MIolEbookReader Modifica & m w & >i > i > • MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q P OS qualche mostra. Andavo in biblioteca, e in vacanza: sempre in montagna per fe-steggiare il suo compleanno e al mare, in bassa stagione, per il mio. A Natale eravamo andati all'estero a trovare nostro figlio. Li avevamo visto il monolocale squallido che abitava in letizia, e conosciuto la sua prima fidanzata, una bella ragazza con due genitori che venivano da due continenti diversi. Si erano incontrati alFuniversitä. Ci avevano portato in un ristorante vasto e rumoroso che a loro piaceva molto. Avevo trovato mio figlio piú alto di me, irrobustito nonostan-te fosse diventato vegetariáne Preferiva la birra al vino. La foto del ragazzo goffo che appariva ogni volta che accendevo il cellulare, scattata sul gozzo l'estate precedente, non gli assomigliava piú. A causa della ragazza non parlavamo piu nella nostra lingua. Ci raccontava con grande entusiasmo del quartiere multietnico dove abitava, dove usciva con la sua ragazza ogni sera della settimana per mangiare la cucina di sette paesi diversi. Le sue risposte alle mie domande erano cortesi ma brusche. Usavamo un idioma al quale stentavo ad attingere, che mi piaceva sentire a casa di R ma che, con mio figlio, mi infastidiva e mi sembrava falso. A Pasqua, aveva detto, sarebbe andato a fare trekking con la sua ragazza fra castelli e pecore. Nel giro di un paio di giorni avevo intuito non solo il suo tacito rifiuto di Roma ma del nostro modo di vivere, di tutto lo sforzo di averlo cresciuto in un certo modo. Quella nuova cittä gli dava linfa, eppure non mi piaceva pensare a lui nell'appar-tamento squallido, nei ristoranti rumorosi, davanti al cibo strambo e costoso, con la ragazza sorridente e sottile accanto a lui. Non mi piaceva pensare a lui sulla me-tropolitana stipata di gente, o per strada da solo e un po' ubriaco alle tre del matti-no o nel parco la domenica per giocare a calcio senza fare colazione. Temevo che non fosse abbastanza maturo, che sotto sotto fosse triste, che sarebbe finito in qualche guaio. Ma quel figlio sproweduto, ancora vulnerabile, non era mio figlio: ero io. Anzi, era la versione di me che non avevo potuto realizzare, che avevo tra-scurato, bloccato, che, pur non essendo mai esistita, mi aveva sconfitto. Con que-sto pensiero in testa ero andato in giro nella nuova cittá di mio figlio, paziente-mente ammirando ponti, giardini e monumenti sotto il cielo basso e spento. Sull'aereo, prima del decollo, guardando mia moglie mentre controllava la posta sul cellulare, mi ero reso conto che di nuovo eravamo una coppia e nient'altro, senza perö la voglia di fare un figlio, senza il grande progetto di vita che ci aveva legati fino a Ii. Cosa leggeva? Chi le scriveva? Avrebbe continuato a ricevere centi-naia di messaggi ogni giorno, da mittenti misteriosi. Un mondo fitto, movimenta-to, tutto suo. Ma a un certo punto lei aveva alzato la testa ricordandomi la data della festa successiva di P. Soltanto in macchina, lungo la strada, mi era tornata in mente quella madre scon-volta, quella confidenza inaspettata nel patio. L'avevo dimenticata per quasi un anno, non ci avevo pensato piu. Avevo lasciato la mia curiosita per lei da P., come fosse un ombrello, o la sciarpa che mia moglie mi aveva chiesto di recuperare: qualcosa la cui mancanza si sente per qualche tempo e poi si puo tranquillamente trascurare. Ma ora che stavo per tornare in quella casa avevo di nuovo la sensazio-ne di essere gia legato segretamente a lei. Per strada scalpitavo, ero distratto. Avevo saltato la svolta a destra, ne avevo pre-so una sbagliata, avevo dovuto fare marcia indietro mentre mia moglie si spazien-tiva. Avevo pensato: avrei dovuto mettere un'altra camicia, quella che ho non mi sta cosi bene. II sussulto provocato dallo scambio repentino nel patio mi agitava di piů informazioni < > Ú MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q p 05 nuovo. Mi era stato di colpo nitido il suo vestito carino ma inadeguato, la collana complicata, il colore dello smalto sulle unghie. Come se quelľanno passato fosse niente, e niente il passare del tempo. Non c'era stata nemmeno una stretta di mano, solo quelľintesa inaspettata. Perché mi sentivo leggermente in colpa? Mi era tornato in mente un episodio preistorico e sciocco, poco príma di cono-scere mia moglie. In quei giorni andavo in una palestra con una piscina dove in-contravo, a bordo vasca, una volta alla settimana, una ragazza ehe mi salutava e mi sorrideva. Nuotava fino alle dieci nella corsia in cui io sarei entrato subito dopo. Per un po' di tempo, tutta la settimana aveva girato attorno a quel saluto a bordo vasca, tanto che correvo verso lo spogliatoio per vederla. Non avevamo mai parlato di nulla. Diceva semplicemente buona nuotata, cose del genere. Ma ogni volta che mi guardava e parlava mi sentivo al centro delia sua vita. Ci eravamo inerociati per un paio di mesi, poi la ragazza aveva smesso di comparire. In seguito avevo cono-sciuto mia moglie, ma alľinizio, a letto, ricordavo lo sguardo e il sorriso di quel-ľaltra, eeco. Posteggiando la macehina avevo pensato: forse la donna in crisi non ci sarä, for-se stavolta non ě stata invitata, o forse avrä un altro impegno. Non era mica sieura, la sua presenza. Invece, appena entrato, dopo aver salutato P. e suo marito, mentre mia moglie conversava giä per conto suo nella stanza di fianco, ľavevo vista. Era seduta in sala da pranzo, sotto una finestra, su una delle sedie messe in fila attorno alla stanza contro il muro per far circolare gli ospiti. Era accanto al marito, un uomo alto e bello con i capelli bianchi e lustri, un volto giovane e abbronzato perfino a gennaio. Doveva essere il marito perché stavano condividendo lo stesso piatto appoggiato sulle ginocehia di lui, con due forchette, cosi ognuno poteva te-nere nelľaltra mano un biechiere di vino. Lei non parlava con lui, si rivolgeva inve- ce ad altre due donne sedute alla sua destra, ma c'era troppo fracasso, non riuscivo nemmeno a sentire bene la sua voce. Era molto cambiata. Rideva, raccontava un aneddoto divertente di cui lei era la protagonista, mentre il marito la ascoltava e reggeva il piatto. Lui sembrava un tipo attento, simpatico ma un po' teso. Lei parlava in maniera sciolta, ironica. Non mi pareva per niente una donna in crisi. Era vestita di nero come quasi tutte le altre donne alla festa. Nessuna collana, solo quel triangolo di pelle seoperta. Un paio di pantaloni aderenti adatti alla sta-gione, degli stivali di cuoio martellato. Tra i capelli, piú lunghi, c'era qualche filo bianco di cui evidentemente non le importava. Era dimagrita, ancora piú bella, quella bellezza provata ehe le donava. Come mio figlio anche lei, nel giro di un anno, era piú a suo agio, piú solare. Abitavamo nella stessa grande cittá, per čerti versi anche un villaggio, eppure non ci eravamo mai inerociati, mai in un ristoran-te, mai in farmácia, mai per strada o in palestra. Ci eravamo ritrovati solo in que-sta casa, solo alla festa di R «Ehi, siamo nel patio, si sta bene fuori» mi aveva detto un vecehio amico, vedendomi. «Arrivo.» Giravo intorno al tavolo lentamente, scegliendo il formaggio, le verdure erude, gli affettati. Cercavo di comunicarle la mia presenza. Non sentivo lei, sentivo invece la voce un po' rauca di mia moglie ehe dava fastidio anche in mezzo a tutta quella gente. Quando il marito si era alzato per cercare un češtino e buttare via il loro piatto ľavevo fissata, in attesa ehe lei ricambiasse. Mi aspettavo, ehe so, un sorriso simile alla ragazza delia piscina. Ma era sempre assorta in quell'aneddoto ehe raccontava. piú informazioni 0®a • MlolEbookReader Modifica & m w ^ >i > Q p OS Continuavo a fissarla, e lei continuava a parlare. II marito non c'era, mia moglie restava nella stanza accanto. Piu la guardavo piú mi evitava, composta. Ma poi di colpo aveva alzato lo sguardo, solo per un attimo, e mi aveva fatto vedere i suoi oc-chi pieni (pensavo) di furia e di esasperazione, occhi accecanti che brillavano (spe-ravo) per me. L'ipotesi mi piaceva: un rapporto lacunoso, un appuntamento fisso e solo nostra in mezzo alia festa. Mi pareva un'infedelta accettabile, del tutto perdonabile, un po' come quando pensavo alia ragazza della piscina mentre ero gia con mia moglie. In realta non volevo awenturarmi in nulla, bastava quel legame pregno di possibility. Sarebbe stato un incontro sfolgorante di qualche ora sempre arginato da un anno di separazione. Non avevo mai tradito mia moglie, nemmeno in questa citta dove tutti tradisco-no tutti. A parte la piccola sbandata per la ragazza della piscina ero sempre stato un uomo fedele, abituato, anche prima di conoscere mia moglie, a essere lasciato, anche tradito, e non viceversa. Non era la mia indole, mi mancava la spinta. Accet-tavo le attivita, gli impegni di mia moglie - i messaggi continui sul cellulare, le cene senza di me, i viaggi da sola per lavoro all'estero, i brevi salti in un'altra citta - riflettendo anche sulle probabili conseguenze: forse una notte subito dimenticata con questo, oppure un pranzo e poi una passeggiata nell'orto botanico con quelle Ma siccome non avevo una natura gelosa, le mie ipotesi non prendevano mai il so-prawento. Subentra il non detto per salvare l'affetto stagionato di ogni coppia. Cosi avevamo superato ventitré anni insieme senza perturbazioni gravi, senza terremoti. Ripeto, mi sarebbe bastato quel divertimento puerile, indolente. Invece no, solo un paio di mesi dopo, mia moglie mi aveva accennato a un'altra festa da R «Cosi in anticipo? Come mai?» «Dice che il figlio grande sta imparando a ballare, e che mentre gli insegnava a ballare ě stata presa dalla gran voglia di organizzare un altro tipo di festa. Sara una cosa diversa, di notte, senza bambini.» «Abbiamo mai insegnato a nostra figlio a ballare?» «Boh.» «Sai chi viene?» «Un sacco di persone come al solito, immagino.» 8 Quella sera faceva brutto tempo. Per tutto il giorno avevo avuto la nausea. Non riuscivo a mangiare, seduto alia mia scrivania non riuscivo a concentrarmi. «E stata una lunga settimana, ho mai di testa e non mi passa» avevo detto a mia moglie. «E quindi?» «Che dici di stare a casa?» Sapevo giá che la mia proposta era inutile. Lei si stava vestendo con cura, aveva scelto un abito corto che non indossava da molto tempo. «Stasera si balla e ci si dimentica di tutto, su.» piu informazioni • MlolEbookReader Modifica « & W ^ j| > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:53 Q. O ís • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. p QS Sembrava, al buio, una nuova destinazione, ancora piú sperduta, estranea. La guida era faticosa, la bella strada sdrucciolevole. II clima primaverile mi pareva sbagliato. Mi ero perso, non riuscivo a riconoscere nulla. «Lo sai che hanno avuto un furto in casa di recente?» aveva detto mia moglie mentre posteggiavo la macchina dietro una lunga coda di auto. «Chi?» «La famiglia di P. Sono stati fuori tre giorni, hanno preso tutti i gioielli.» «Non li tenevano in cassaforte?» «Purtroppo no, lei ě sempře stata un po' disorganizzata.» Anche la casa era quasi buia, aliena. Avevano spostato i mobili per creare spazio. La figlia di P. ci aveva accolti all'ingresso e aveva portato via le nostre giacche chis-sá dove. Ero rimasto accanto a mia moglie. Eravamo andati insieme a prendere il primo bicchiere di spumante, a riempire i piattini di plastica con fettine di pane, scaglie di formaggio, miele, attaccati come se fossimo una coppia timida, che si frequentava da poco. Avevo visto tutte le persone conosciute e sconosciute che trovavo sempře da R A parte la configurazione delle stanze sgombre, era una scéna piú o meno invariata, eppure non riuscivo a incunearmi come prima, mentre cercavo quella donna ero troppo scombinato. Era accanto al marito dall'altra parte della stanza. E questa volta non mi respingeva. Mi guardava attraverso la folia, registrando la mia presen-za senza sorridere, senza agitarsi, senza comunicare nulla. Dopo cena avevamo iniziato a ballare. II primogenito di R sceglieva la musica, un elenco di bráni insulsi della nostra gioventú. Io ballavo con mia moglie, lei con il marito. Gli altri figli di R ballavano tra di noi, ballavano con R e suo marito. R ballava con mia moglie, anche con me. Era un po' ubriaca, scalza, affettuosa, senza un gioiello ma scintillante. Vi voglio un gran bene, diceva a me e a mia moglie, mentre ballavamo in tre. Leffetto di quella musica era liberatorio, anche struggente. Ci levava magica-mente dal presente sempře stretto e spigoloso, e ci restituiva uno spiraglio di spe-ranza. Ricordavamo, ognuno per proprio conto, le nostre vite di prima: vite ancora da realizzare, vite ridicole, arrangiate, splendide. Osservavo le donne che non face-vano le signore, che si mantenevano bene. Eppure non eravamo piú giovani, eravamo pieni ormai di crepe, intoppi di salute, delusioni. Le canzoni ci portavano in-dietro, richiamando i nostri primi baci, i primi rapporti, emozioni storiche, i primi colpi al cuore, dolori minori, sepolti, mai risolti, che ci avevano segnato per sempře. Io e lei ballavamo insieme, separatamente. Era stato un tormento, anche un trionfo. Ci guardavamo per qualche secondo, ogni tanto sfioravo una parte del suo corpo, le spalle, le anche. Restavamo inchiodati alle nostre rispettive vite, ma sotto sotto mi piaceva la sensazione che fossimo anche sfrontati, complici. Fuori pioveva ancora ma dentro faceva caldo, un caldo oppressivo. Ero coperto di sudore. Avevo detto a mia moglie che mi serviva un po' ďacqua. Ero andato in bagno, avevo risciacquato il viso. Poi mi ero spostato in cucina a cercare un bicchiere. Li avevo notáto un sistema complesso montato alle pareti per sorvegliare i punti ďingresso della casa. Cerano vari schermi piccoli, ognuno con uno scorcio diverso: il cancello, il prato, il patio. Tutte le immagini mi parevano, di notte, sotto la pioggia intensa, una sorta di ecografia funesta, ricca di significato ma del tutto indecifrabile. Quando ero tornato, avevo visto che le luci erano accese. Lo spazio spoglio, ap-pena abbandonato, mi ricordava per čerti versi il monolocale di mio figlio. Non piú informazioni • MlolEbookReader Modifica « & W & j| > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:53 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. p OS ballava piú nessuno, la musica si era fermata. Una volta sarebbe stata solo una pausa, ma ci eravamo giá stancati. Mia moglie era davanti alla tavola. Mangiava un dolcetto. E parlava con lei. Non si erano accorte di me. Mia moglie aveva detto: «Stavo ammirando la tua collana mentre ballavamo, ě stupenda, dove l'hai comprata?» «In un negozio molto carino, a due passi da dove abitiamo.» «Da quanto abitate a Roma?» «Da tre anni.» «Siete qui per lavoro?» «Mio marito si. A lui piacerebbe vivere qui per sempře.» «E a te?» Aveva fatto spallucce. «Per sempře ě una parola grossa.» Erano andate a prendere le loro borse, avevano tirato fuori i cellulari. Li per li si erano scambiate i numeri di telefono e si erano date un appuntamento. E cosi questa mia storia aveva preso una piega imprevista. La sconosciuta con cui avevo avuto una sola conversazione, un dialogo fulminante e frammentario, e alia quale mi sentivo da allora inspiegabilmente legato senza addirittura conoscere il suo nome, era diventata un'amica di mia moglie. Andavano a pranzo una volta al mese, poi a comprare vestiti e scarpe insieme. Restava per mia moglie un'amica secondaria, occasionale. Non da invitare a casa, non da aggiungere alla nostra vita comune, ma da vedere di tanto in tanto in modo privato, a modo suo. Tramite la loro amicizia avevo imparato un paio di cose: il suo nome - L. - e il quartiere - San Giovanni - dove abitava. Un giorno aveva menzionato i frequenti viaggi del marito, il su e giú tra questa cittá e un'altra capitale. Avevano un figlio, quello che si era sentito male sul prato, che frequentava, come aveva gia intuito mia moglie, la stessa scuola di uno dei figli di P. Una volta anche L. lavorava, nella redazione di una rivista, ma qui studiava diligentemente la nostra lingua e appar-teneva a un gruppo di donne straniere che visitavano gli innumerevoli monumenti, attrazioni e scavi della cittá. A parte questi dettagli mia moglie non mi parlava del-la sua nuova amicizia. Sapevo che era normale, anche giusto, coltivare amicizie del genere al di lä del matrimonio. Non c'era mica di mezzo il sesso. Eppure ne soffrivo. Scrivevo male, non rispettavo le scadenze dei miei progetti, invidiavo mia moglie. Invidiavo mia moglie ma alio stesso tempo le ero grato. Impossibile che L. non pensasse a me durante quei pranzi, quando andavano insieme a spasso o a una mostra. Impossibile che mia moglie non le parlasse di me, del nostra lungo matrimonio pieno di prevedibili alti e bassi, delle sue storie probabili con altri uomini, del rapporto conflittuale con nostro figlio. Impossibile che io, in qualche modo, non c'entrassi. Sapevo, dopo piú di vent'anni di matrimonio, come parlavano le donne tra loro, gli argomenti archiviati che si scioglievano in quel vapore amiche-vole, che uscivano mentre compravano scarpe, mangiavano insalate, ammiravano quadri. Ma in che cosa speravo? Una vera storia con L.? Un appuntamento, qualche ora in un albergo, a letto insieme? Non credo. Perfino dopo il ballo non pensavo al suo corpo, alle sue mani, invece ero fissato sul dialogo nel patio, quando lei era in sub-buglio, in pensiero per il figlio, e si era confidata con me. Quel momento mi pare-va quasi piú trasgressivo di un atto erotico. Cosa avevamo condiviso? Uno scam- • MlolEbookReader Modifica « ® W & j| > <3" 4))) 99% Qabc esteso Mar 17:53 q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. p OS bio intimo, inspiegabilmente fecondo. E ora, altrettanto inspiegabilmente, condivi-devamo mia moglie. Cosi era passata la primavera, una stagione intera. Restavo passivo, sornione, in attesa di qualche novitá: una cena insieme, una proposta di andare a teatro anche con L. e il marito. Ma piú che altro aspettavo con pazienza che arrivassero l'inver-no e la prossima festa di P., anche se - ormai lo sapevo - quell'occasione leggera, quel balsamo a cui tenevo, erano giá stati intaccati. 10 Ma in estate inoltrata P., di nuovo, airimprowiso, aveva cambiato rotta. Mia moglie e io eravamo rientrati dalle vacanze, avevamo giá accantonato nel ripostiglio i costumi, i teli, le ciabattine da mare. Per parte mia ero giá in attesa della luce tena-ce e consolatoria dell'autunno, delle puntarelle nelle trattorie e degli storni che guizzano nel cielo, che compaiono e scompaiono come tornadi o girini giganti di cenere, quando P. ci aveva invitati all'ultimo momento nell'isola dove lei e la sua famiglia trascorrevano ogni anno due mesi abbondanti. Aveva a disposizione una casetta con vista mare - i soliti inquilini avevano cambiato i loro programmi - ed era sicura che sarebbe stata ideale per scrivere, visto che, come le aveva detto mia moglie, ero bloccato da un bel po' di tempo. «Infatti, anch'io avrei voglia di tornarci, e di sbarazzarmi dello spavento della mia infanzia» aveva annunciato mia moglie, riferendosi a quel pověro signore che aveva visto, decenni prima, morire in piscina. E siccome quell'anno l'estate era particolarmente torrida, siccome in realtá io e mia moglie giravamo a vuoto in casa, avevamo fatto un'altra volta le valigie, aveva- mo guidato fino al porto e ci eravamo imbarcati sul traghetto. L'isola era uno sco-glio in mezzo al nulla, un po' come la casa di R Per una serie di giorni non avevamo fatto altro che goderci bagni rilassanti in tarda mattinata, pranzi leggeri e rinfrescanti, una passeggiata al faro verso il tra-monto. II mare era trasparente, pieno di ricci scuri. II sentiero lungo l'isola era bel-lo, ma in certi tratti bisognava stare attenti per via delle fenditure, una volta una donna che faceva una fotografia al marito era caduta e morta, ci aveva raccontato R Giravamo intorno all'isola sul gommone e mangiavamo pesce al forno la sera sul terrazzo con zampironi e candele di citronella per cacciare via le zanzare. P. e mia moglie prendevano la barca ogni giorno, prima o dopo pranzo, per andare a fare la spesa. Mettevano vestiti svasati di lino, tornavano con qualche acquisto in piu, un braccialetto ingegnoso fatto di sughero, un profumo che sapeva di sale, oggetti di silicone colorato per la cucina. Cucinavano insieme, ricordando gli anni in cui abitavano felicemente nello stesso appartamento prima di sposarsi e avere figli. II marito di P. veniva il weekend ma poi ripartiva per lavorare, i figli giocavano tutto il giorno a ping pong o in spiaggia, facevano tuffi spericolati dal trampolíno, erano spesso tra di loro in qualche nascondiglio. La nostra casetta era molto carina, suggestiva, un po' buia ma fresca. Era appar-tenuta a uno zio di R, anche lui scrittore, e li avevo scoperto tanti libri vecchi, amati, annotati a matita. Era uno spazio raccolto, di taglio maschile, in realtá una camera sola, senza cucina, con una finestra quadrata che dava sul mare e che si apriva come l'anta di un armadio. Gli arredamenti mai cambiati, poltrone morbide e sbiadite, legno scuro e lucido, un odore di stantio, tutto sospeso nel tempo. Appena entrato mi ero sentito bene; era un ambiente rinfrancante, aveva su di me quasi lo stesso effetto della casa di P., solo che qui non c'era nessuna festa, anzi, era un rifugio per isolarmi, concentrarmi. Pensavo, un po' infastidito: sarebbe piu informazioni < > • MIolEbookReader Modifica « ® W ^ i > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:53 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, p OS AI tramonto eravamo scesi al porto ad accoglierli. Era una bella barca a motore. Stáváno abbassando i parabordi. II marito era al timone, il figlio stendeva le cose bagnate, L. girava per la barca. Si muoveva rapidamente, chiedendo al marito cosa fare prima di ormeggiare. Portava un paio di guanti speciali per maneggiare la cima. Com'era brava ad annodarla e snodarla. Avevo notato la comunicazione effi-cace, essenziale, tra marito e moglie. Concluso il compito e spento il motore, ci avevano salutati. L. era abbronzata, il marito pure, il figlio aveva superato in altezza entrambi i genitori. Avevo visto le gambe scure, muscolose, di L., una cicatrice sulla coscia. Era scalza, sudata, i ca-pelli scompigliati a causa del vento. Si era infilata velocemente un copricostume trasparente, un paio di sandali eleganti ma consunti. Di punto in bianco volevo interrompere la scena, volevo scendere in cabina, in quella barca, con lei. Come se fossi spinto dal maestrale, come le onde che si muo-vevano senza pausa in una direzione sola, un impulso acuito anche dalla versione fintamente realizzata della nostra storia, smaniavo di baciare quella bocca, di sen-tire quella pelle salata, di saldare formalmente la nostra connessione senza doverla condividere con nessuno. Invece, quando erano scesi dalla barca, ci eravamo salutati con una stretta di mano, e lei mi aveva detto semplicemente: «Ciao». Ci eravamo sistemati sul terrazzo di R Eravamo in cinque, il marito di P. sarebbe tomato il giorno dopo, e il figlio di L. era andato subito a raggiungere il suo amico nella piazzetta. Usavamo la nostra lingua, ormai L. e suo marito, dopo averla stu-diata con scrupolo, la parlavano in modo piú o meno fluente. La tempesta di vento aveva spazzato via le zanzare. L'aria era pulita, gradevole. A tavola ero seduto ac-canto a L., facevo io il capotavola. R e mia moglie da un lato, L. e il marito di fronte a loro. Si beveva parecchio quella sera, ma L. meno di noi, soffriva di mal di terra. II marito commentava le elezioni recenti e raccontava le loro awenture in barca, de-scriveva le loro isole e calette preferite. Al mare si vive con poco ma di tutto, diceva. Avevamo mangiato un'insalata di riso, poi del pesce e qualche fetta di anguria. L. mi allungava la frutta, la bottiglia di mirto. E mentre si mangiava e parlava, mentre si guardavano le stelle e sentivano le onde, mentre sbirciavo di tanto in tanto quel triangolo sempře esposto e leggermente abbassato, straordinario, creato dalle clavicole e dalle spalle, avevo capito una cosa: che L. e il marito, durante la crociera, avevano preso una decisione. II mese dopo sarebbero rientrati nel loro paese, la permanenza in Italia era finita. I motivi erano pratici: il marito si era stu-fato di viaggiare continuamente, il figlio stava per cominciare il primo anno al li-ceo, e a L., alia fine, mancava la sua vita lavorativa che, vivendo qui, aveva dovuto sacrificare. Erano dispiaciuti di andare via, parlavano giä con nostalgia di certe cose, ma si vedeva che la decisione di riprendere la vita di prima aveva risanato il loro equilibrio familiäre, che il precipizio dentro il quale sarebbero potuti cadere non li minacciava piú. «Magari torniamo verso capodanno, ci piacerebbe goderci un po' il bel sole in-vernale, il panettone e il pandoro, pranzare fuori a gennaio.» «Benissimo, cosi verrete alia mia festa, mi raccomando» aveva detto R Li avevamo riaccompagnati al porto, ci eravamo salutati sul molo. Ciao, mi aveva detto di nuovo L. - nient'altro -, e in quel momento di confusione l'avevo bacia-ta, prima sulle guance, ma poi la bocca era scivolata giu verso la pelle salata della clavicola, piantandosi in quel triangolo infossato. Le ero rimasto attaccato per qualche secondo, poi avevo alzato la testa, mortificato, e avevo mormorato: «Perdonami». piú informazioni 0®a Ú MlolEbookReader Modifica « & W ^ j| > <3" 4))) 99% Q ABC esteso Mar 17:53 q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS Si era subito spostata, forse mi aveva guardato con quello sguardo di una volta, pieno di fúria e di esasperazione, ma era troppo buio per capire. E dopo aver salutato e ringraziato gli altri, dopo aver abbracciato mia moglie e R, se ne era andata con la sua famiglia a pernottare in barca, davanti a una grotta appartata, in una cabina angusta accanto al marito. Mia moglie, invece, ehe aveva intravisto quel bacio errante, una volta rientrata nella nostra casetta mi aveva in-sultato fino alľalba. «C'é qualcosa fra voi due?» «Niente, la conosco a malapena.» «Sei scemo, era una mia amica.» «E lo é ancora.» «Ne dubito. Sono venuta qui apposta per liberarmi di un fardello, ma grazie a te ne ho un altro.» «Mi dispiace.» Mia moglie si rifiutava di calmarsi, aveva continuato ad attaccarmi, poi a piange-re, trasformando quel mio santuario ereativo in un inferno. 12 II giorno dopo, in fretta e prima del previsto, anche noi avevamo lasciato ľisola, in maniera sbrigativa. Non c'era bisogno di spiegare la nostra partenza a R, visto ehe avevo baciato L. anche davanti a lei e ai suoi figli. Erano testimoni tutti quanti e in piú, nonostante il sibilo del vento e ľimpeto delle onde, avevano probabilmente sentito quella lite fino alľalba. Per giorni mi ero dato del eretino, ero in imbarazzo, ma siecome mia moglie, una volta rientrata in cittä, non aveva piú parlato delľepi-sodio, la sensazione sgradevole era passata. Avevamo ripreso le nostre abitudini, ma io ero rimasto a lungo allo sbando. Avevo abbandonato il racconto; mi ero reso conto che quel testo su cui lavoravo era un precipizio. La vicenda tra me e L. non era stata altro ehe una premessa scialba, non avrebbe mai funzionato. Eppure la trama sulla quale avevo giä ricamato si era fusa per un momento, sulľisola, con la realtá: mi aveva spinto a ferire e awilire mia moglie, cosa ehe lei, comportandosi diversamente, diseretamente, non mi aveva mai fatto subire nel prolungato tempo del nostro matrimonio. Avevo giá deciso, prima di Natale, di non andare quelľinverno alla festa di P. Nel caso L. fosse in visita con la sua famiglia, avevo giä in mente una seusa. Solo che prima di Natale R si era ammalata di nuovo. La situazione era precipitata veloce-mente, fino a quando il bravo medico ehe le aveva salvato la vita aveva detto ehe non c'era piú niente da fare. Qualche mese dopo mi ero ritrovato al funerale, e poi nella casa dove avevamo festeggiato R varie volte. Di nuovo in una giornata invernale assolata e mite. Un sabato pomeriggio, qualche settimana prima del suo compleanno, con gli invitati delle feste precedenti, tutti gli amici piú cari. Mia moglie era devastata, aveva perso quasi una sorella. Ci eravamo tenuti per mano prima di entrare in casa. Tutte le donne erano veštite di nero, intontite. I figli di P. che in estate, sulľisola, si erano divertiti, pazzi di gioia, erano in piedi, in fila, immobili in una delle stanze. La bambina era scoppiata a piangere quando mia moglie ľaveva abbracciata. «Era importante per lei questa festa» mi aveva detto il marito. «Ogni anno non vedeva l'ora.» «Anch'io» gli avevo risposto. piú informazioni • MIolEbookReader Modifica « & W ^ i > ) 99% □ abc -esteso mar 17:53 Q. e := • O • MlolEbookReader - Racconti románi O 1 ■ Q p I OS n Casa luminosa ľacqua calda era pronta né i piagnucolii o i capricci dei bambini - tre maschietti, il Una casa luminosa ti cambia la vita. Dopo il trasferimento in primavera con i nostri cinque bambini di due, quattro, sei, sette e nove anni, mia moglie si agitava meno per le scale mobili che mangiano le gambe, le scosse all'alba che fanno spalancare le ante dell'armadio, gli ombrello-ni poco stabili che si ribaltano a due metri di distanza mentre scegli con calma i pomodori al banco in piazza, gli alberi malati o trascurati con le radici marce o re-cise che si schiantano in mezzo alia strada e cadono sopra le macchine e sopra le persone. Un giorno, mentre stava spingendo uno dei nostri figli nel passeggino, aveva as-sistito alia morte di un poveraccio ucciso da un pino: seduto nella sua auto, forse in attesa di qualcuno, annoiato, mentre controllava i messaggi sul cellulare. Mia moglie aveva aspettato impietrita piu di un'ora, come fosse un suo caro, che arri-vassero i carabinieri e i vigili del fuoco a estrarre e portare via il cadavere. Mi aveva raccontato dell'auto che sembrava una bottiglia di plastica accartocciata tra le mani prima di riciclarla, per risparmiare spazio nel cassonetto. Si era rintanata in casa per settimane, era sconvolta e non se la sentiva di portare i piccoli a spasso da nes-suna parte. In quella casa, invece, a est della citta, lei non si spaventava piu per i pericoli sem-pre in agguato, per le sciagure raccontate sui giornali che alia fine potevano capita-re a chiunque. Non la infastidiva neanche la lagna stridula del bollitore quando primogenito mite e macilento, il secondo un po' ciccione, il terzo che portava giä gli occhiali, e tra di loro due femminucce vispe, entrambe con le labbra e le soprac-ciglia sottili e perfettamente curve della madre - che scombussolavano le stanze. L'appartamento, al primo piano, era solo di cinquanta metri quadri, ma per la prima volta avevamo una nostra piccolissima camera da letto dove batteva il sole mattutino, dove ci svegliava l'urto della luce insieme agli uccellini che si scambia-vano messaggi segreti e incomprensibili nel nostro mondo. Ci piacevano le lenzuo-la morbide e c'era una luce bianca che bagnava ľanima se, quando i piccoli faceva-no un pisolino, riuscivamo a chiudere la porta e fare ľamore. Scherzavamo addirit-tura sulľidea di fare un sesto figlio. L'aria attorno a quella casa non era mai ferma, cosa che ci aveva salvato in quella primavera precocemente calda. Dentro sembrava quasi di stare in spiaggia, si sentiva perfino qualche gabbiano, una vera spiag-gia, ci dicevamo stupiti, come fossimo in vacanza, al mare, senza il fastidio della sabbia e delle meduse, ma sempre con quella luce che penetra le ossa e ti permet-te, se chiudi gli occhi, di vedere quel rosso fosforescente dietro le palpebre. In periféria si vedeva tanto cielo, un cielo dawero infinito; a volte nonostante i cantieri e il tanto cemento pareva quasi piu di essere in campagna che in cittä. C'e-rano alberi, anche se pochi; invece lungo le strade un groviglio impressionante di giunchi alti e taglienti inclinati nella stessa direzione, come lance pronte a essere scagliate da un vasto esercito in un mondo dove si lottava ancora corpo a corpo. Un po' di spaccio sotto casa ma pazienza, questo succede pure in centra, nelle piazze benestanti frequentate dai turisti. Eravamo molto felici di quel trasloco e non avevamo dato retta alia vicina, una vedova anziana un po' ingobbita che, mentre eravamo alle prese con gli scatoloni, ci aveva gentilmente offerto caffe e ciambellone serviti con le mani tremanti e ve- • MlolEbookReader Modifica « & W & j| > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:53 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. p OS nate di rametti verde scuro. Aveva ammirato il velo che incorniciava il volto di mia moglie, dicendo che la faceva somigliare alle donne nobili di altri tempi che si tro-vano nei quadri sbiaditi o scuri di chiese e musei. Ci aveva messi in guardia sulla zona, c'era un po' di malavita e noi invece, secondo lei, eravamo una buona famiglia. Ma perfino quando hai tutto quello che hai sognato desideri di piú, e una volta si-stemati nelPappartamento con i vestiti dentro l'armadio, le forchette dentro il cas-setto e una piccola pianta sul davanzale della cucina, pensavamo a quanto sarebbe stato bello avere anche noi un balconcino come quelli del palazzo accanto, uno piccolo, giusto per mettere qualche altra pianta. Sul balcone che si vedeva dalla nostra camera da letto mia moglie mi aveva fatto notare un rametto di ibiscus fucsia che si sporgeva nel vuoto come fosse una splendida canna da pesca che dondolava da-vanti al cielo. Diceva che le sarebbe piaciuto essere quel rametto in fiore che oscil-lava in santa pace, libero, vivace, cullato e sostenuto dall'aria e nient'altro. La mat-tina arrivavano dei piccioni con altri rametti in bocca a sistemare la loro abitazione accanto alia manovella per srotolare e arrotolare la tenda. C'era un tavolo di metal-lo bianco sotto la tenda, ma non si vedeva mai nessuno sedersi a mangiare o a chiacchierare al tramonto. Solo una volta una signora in pantofole che con il mani-co della scopa, e una certa soddisfazione, aveva smantellato il nido. Dentro quella casa per la prima volta anch'io mi sentivo protetto dalla cittá e dal quartiere pieno di abitanti e negozianti che tolleravano la nostra presenza senza esagerare. II macellaio, per esempio, che tagliava la came senza mai chiedere a mia moglie, con il suo abito lungo fino ai piedi e la testa riparata dal velo - solo cosi si sentiva a suo agio se andava in giro -, come avrebbe preparato il polio o il fegato, cosa che invece chiedeva amichevolmente alle altre signore. Per il resto ci sembra- va un quartiere senza chiasso, murato da quei giunchi alti e densi. Da un lato c'era un grande ospedale e dalPaltra parte la ferrovia. L'ospedale occupava molto spazio, la gente entrava da una strada sempře trafficata mentre lungo la strada parallela, piú appartata, c'era la camera mortuaria. In mezzo c'erano i vari padiglioni, sentie-ri, cespugli e aiuole come fosse una piccola cittä. C'erano dei cancelli alti, ma face-vano passare tutti, cosi un paio di volte eravamo entrati con i bimbi a fare una pas-seggiata come se fossimo i parenti di un ricoverato. Ci eravamo anche seduti su una panchina ad ammirare gli oleandri accesi, le magnolie profumate, e io avevo fumato una sigaretta mentre i bambini giocavano a nascondino. Certo, c'era qualche scritta a respingerci qua e lá sui palazzi della zona e sui muri che circondavano Pospedale, ma queste cose, ahimě, si trovano dappertutto. Steso sul letto mi piaceva osservare il bordo della tenda sciupata sul balcone del palazzo accanto al nostro, lo stesso con il nido e con il ramo di ibiscus che piaceva tanto a mia moglie. A causa del vento, il bordo tremava quasi in continuazione, la stoffa era tutta stinta e čerti fili pendevano giú come fossero capelli o ciuffi ďerba. Era un bordo smerlato, originariamente con una série di onde della stessa misura, uguali. Adesso ogni onda era diversa, alcune spaccate in due creavano una separa-zione e parevano una specie di sipario, o un papiro sacro mangiato dal tempo, come quelli venduti dal tizio al mercatino dell'antiquariato e delPusato dove lavo-ravo la domenica. Qua e lá Porlo della tenda si era staccato dal bordo e aveva fermato una sorta di occhio vuoto che conteneva il cielo, e ogni tanto, scombussolato dal vento, anche quel nulla si sollevava. Se guardavo quella tenda sbrindellata e smaniosa non pensavo alla guerra o ai soldáti che avevano ucciso i miei nonni, né al successivo viaggio con i miei genitori verso questo paese, con le farfalle bianche che svolazzavano sulla superficie del Ú MlolEbookReader Modifica « & W ^ j| > <3" 4))) 99% Q ABC esteso Mar 17:53 Q. Q :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p 05 mare, uno sciame frenetico ma allegro ehe ci accompagnava, quasi quasi sembrava ehe ci facesse strada. Ci eravamo sistemati in un campo, poi in una roulotte o dove capitava. Cosi ero eresciuto in luoghi diversi delia cittä, ognuno da dimenticare, insieme ai miei geni-tori, ai miei ŕratelli e agli altri parenti ehe arrivavano ogni tanto, uno dopo ľaltro. II sabato aiutavo mio padre al mercatino ad aggiustare orologi, a sostituire le bat-terie o il cinturino o ľintero meceanismo. Passava un sacco di gente a buttare soldi acquistando oggetti soprattutto inutili. Ero ancora giovane quando mio padre era mancato. Purtroppo non avevo impa-rato bene come funzionavano gli orologi, quindi mi ero messo a vendere abbiglia-mento: calzini, mutande, camicie da notte. Durante la settimana facevo consegne per varie ditte, mobili, scatoloni ed elettrodomestici, ma la domenica avevo inizia-to anche a dare una mano al tizio ehe vendeva i libri usati. Si era rovinato la schie-na raceogliendo tabacco in passato, perciô mi chiedeva di scaricare la macehina, di sistemare il tendone e di smontare la bancarella a fine giornata. C'era chi pagava una cifra pazzesca per uno dei suoi libri, e non importava se un insetto schiacciato tra le pagine aveva lasciato una macehia ehe scintillava ancora. A venťanni avevo sposato una ragazza ehe proveniva dal mio paese, si era allonta-nata da tutto quello ehe conosceva per staré alľaltro capo del mondo con me. Era sbarcata in una giornata rigida di primavera e, mentre aspettavamo il treno alľae-roporto per andare a casa, era stordita dal viaggio e non smetteva di tremare. Purtroppo non avevo nessun cappotto da offrirle. Mia madre aveva insistito per ad-dobbare la soglia e le scale del nostro palazzo con dei fíori in una serie di vaši, per accoglierla secondo i nostri riti nonostante le proteste degli inquilini ehe avevano interpretato quel gesto fausto e di buon auspicio come un fastidio addirittura pericoloso. La portavo in giro per farle conoscere la cittä, andavamo spesso a fare una pas-seggiata in un parco vicino a casa pieno di alberi e qualche statua. Una volta lei aveva toccato il ramo di un ulivo per strappare qualche foglia ďargento e le era sal-tata addosso una cicala orripilante con le ali trasparenti, aggrappandosi alla sua mano e terrorizzandola, chissä ehe la sua paura degli alberi non sia nata in quel momento. Un mese dopo il matrimonio mia moglie era rimasta incinta e in inverno era nato il nostro primo figlio. Quelľanno pero era stato duro perché avevo perso mia madre ehe se n'era andata in tre giorni dopo ehe il dentista le aveva tolto un dente malato. Purtroppo, mancata lei, avevo litigato con i miei fratelli, loro avevano deci-so di spostarsi in altre cittä o addirittura di cambiare paese, e da solo non ce la facevo a pagare ľaffitto. Di nuovo mi ero ritrovato in un campo in mezzo a tanta gente sempře in attesa ehe un po' di fortuna arrivasse. Dopo il terzo bambino avevamo fatto richiesta per una casa popolare. Io pensavo ehe fosse necessario avere la cittadinanza, ma mia moglie aveva fatto delle ricerche - nonostante le sue ansie ě una donna ingegnosa - cosi avevamo capito ehe davano quelle case anche a persone come noi, bastava avere čerti documenti e fare doman-da al comune. Non mi aspettavo, mentre compilavamo tutti quei moduli, ehe sa-rebbe andata a buon fine, invece qualche stella sopra di noi doveva essersi spostata e ci avevano assegnato una casa tutta nostra invasa di luce. La fortuna era durata finché aveva potuto. Alcuni abitanti avevano iniziato a parla-re tra di loro nel cortile, avevano formato un gruppo e ci lanciavano commenti sgradevoli quando uscivamo di casa. Una volta il nostro figlio maggiore era stato pedinato dopo la scuola da un paio di ragazzi ehe lo avevano preso in giro dicendo-gli ehe noi eravamo ladri ed eravamo troppi. A me, quando ero sceso a cercare quei ragazzi, i loro genitori avevano detto cose ancora piú antipatiche. Credo frequen- • MIolEbookReader Modifica « ® W ^ i > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:54 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. p OS come ganci. II barista spazzava il pavimento dentro il locale, con una sigaretta stretta fra le labbra. A un certo punto era arrivato un signore vecchiotto di statura bassa con una ca-micia azzurra, a maniche corte. Stentava un po' a camminare. «Sta chiudendo» ave-vo detto quando era quasi arrivato al bar. Non mi aveva risposto, forse non mi ave-va sentito. Aveva scavalcato il češtino che il barista aveva messo davanti all'ingres-so per impedire che altri clienti entrassero. «Sono chiuso» gli aveva detto il barista. «Ho sete.» «Cosa vuole?» «Un chinotto.» II barista aveva preso un bicchiere e la bottiglietta, aveva versato il chinotto, e il signore l'aveva bevuto tutto con i gomiti sul banco, senza mai appoggiare il bicchiere. Poi si era seduto su una sedia accanto alla mia. Devo dire che ero un po' stupito e anche forse un po' invidioso di uno che si sentiva cosi a casa in quel locale, che se ne fregava delle barriere, che non aveva paura di rompere le scatole. Os-servandolo avevo capito quanto mi ero sentito, in tutta la mia vita, o un intruso o di passaggio. Dopo tanto tempo mi mancava ancora un posto mio, adesso mi man-cava anche la mia famiglia. E davanti alle donne-corvo, cosa avevo fatto? Proprio in quel momento, giuro, mi era sembrato che mia moglie Stesse cammi-nando verso il bar lungo il marciapiede. Era velata e vestita con un lungo abito di cotone il cui orlo ondeggiava allegramente attorno ai piedi. Spingeva un passeggi-no dentro il quäle c'era una bambina con un fiocco grande da un lato della testa. E davanti al passeggino camminava un bambino di sei o sette anni che guardava il cellulare tutto il tempo. Avevo pensato che dawero fosse lei, poi che fosse un mi-raggio, alla fine avevo capito che era un'altra donna, un'altra madre, un'altra mo- glie. Era comunque una versione ridotta della mia famiglia. L'avevo fissata finché non aveva girato l'angolo. Anche l'altro signore la guardava con interesse, poi aveva detto qualche cosa fra i denti. Non avevo sentito e quando l'avevo guardato un po' confuso lui aveva ripetuto: «Ho detto, con questo caldo». «Cosa?» «Quella, tutta coperta.» Avrei potuto dire che in realtä la stoffa di quei vestiti ě molto leggera, che cosi il sole non picchia, che come mia moglie anche lei assomigliava alle donne nobili che qui si trovano solo nei quadri delle chiese e nei musei, ma prima che potessi ri-spondere il signore aveva aggiunto: «Fra vent'anni saranno tutti cosi». Avevo subito lasciato il bar e quel signore antipatico - un corvo pure lui - che nella mia testa aveva insultato non solo quella donna ma anche mia moglie, e avevo riflettuto su come doveva essere stato duro per lei camminare in questa cittä quando girava nervosa con i nostri figli, e i pensieri e i sentimenti delle persone che la guardavano, una creatura cosi elegante e graziosa, mentre passava. Avevo capito perché era andata via e temevo che non sarebbe tornata mai piü. Ero rientrato all'appartamento, ma quella sera faceva talmente caldo che ero uscito a notte fonda per fare una passeggiata. Avevo attraversato il fiume e camminato fino alla zona del mercatino. Non ci andavo mai a parte le domeniche, quando era tutto bloccato per via dei banchi. Mentre passeggiavo avevo sentito un tuono e poi era iniziato a piovere a catinelle, quindi avevo aspettato che smettesse in un sotto-passaggio. C'era una cassetta di legno e mi ero seduto. Era uno spazio sereno e pulito, non c'era nessun altro. Li sotto normalmente passava una marea di macchi-ne, ma a quell'ora era deserto. Di lato c'erano due ampie strisce pedonali. Avevo appoggiato la testa contro il muro, avevo steso le gambe e in quella posizione ave- piü informazioni 0®a • MlolEbookReader Modifica « ® W ^ j| > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:54 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, p OS vo fatto un pisolino. Quando mi ero svegliato non avevo la sensazione di essere stato strappato dal sonno ma di aver dormito finalmente bene. II giorno dopo avevo preso le mie due o tre cose e mi ero procurato un materasso e una coperta. Di giorno vendevo qualche libro di scarso valore nel sottopassaggio, niente di pregiato, ma čerte volte qualcuno si fermava e mi dava qualche soldo, an-che una moneta in piú per comprarmi un panino. Arrivava un tizio che spazzava il sottopassaggio per raccogliere due monetě anche lui, e andavamo ad accodarci da-vanti alla Caritas per mangiare una cosa calda. Di nuovo mi svegliava il traffico ma, rispetto ai campi di una volta, era almeno uno spazio mio. In effetti sembrava un grande palazzo lungo e stretto con due finestre enormi sempře aperte davanti e dietro. Passavano delle macchine di fianco e anche sopra. Se pioveva i passanti si ferma-vano un attimo, aspettavano che il cielo si aprisse e nessuno mi disturbava. Prima di addormentarmi facevo finta di staré ancora nella casa luminosa, e ri-pensavo alla luce che macchiava il piede sottile di mia moglie, ai suoi capelli folti sparsi sul cuscino. Ma poi mi angosciava la foto di lei pubblicata sul giornale, con le mani come ante attorno al viso, e 1'altra foto dei figli davanti alla finestra. Di spalle non si vedeva il terrore negli occhi, ma io me lo ricordavo. Mi ero reso conto che quelle foto potevano essere sui cellulari di tutte le persone che attraversavano il sottopassaggio a piedi e di tutti quelli che guidavano le macchine e le moto sopra e sotto, di tutti i negozianti attorno allo slargo e di tutta la gente che aspettava gli autobus. Tutti portavano quelle immagini in giro e questo pensiero smorzava un po' il dolore nel petto. Poi un giorno un tizio, un turista, si era fermato a scat-tare qualche foto anche a me, forse aveva pensato che dormissi ma ero sveglio. Cosa voleva fare con quel mio ritratto? Mi ero alzato arrabbiato e l'avevo seguito per un po', poi avevo lasciato perdere. Inutile aggredirlo. Cosa gli avrei detto? Mi ero fermato un attimo davanti alla ve-trina di un negozio. Ero molto magro, avevo la barba scompigliata, un'aria persa. Volevo comprarmi un pettine, farmi una doccia. Non mi sentivo di tornare al buio del sottopassaggio. Non volevo neppure tornare nelťappartamento con altre sette persone e per la cantina bisognava sempře aspettare. Con le monetě che avevo in tasca ero salito alťimprowiso sulla metro ed ero tor-nato in periferia. Avevo tanta nostalgia e voglia di rivedere il palazzo dove abitavo una volta con la mia famiglia, anche da fuori, di sbirciare la tenda sbrindellata, il rametto di ibiscus che sporgeva dal balconcino e dondolava da solo. Mi mancavano i giunchi taglienti, la luce che scaldava la pelle, il rombo di qualche aeroplano in decollo, il verso stridulo dei gabbiani. Mi chiedevo chi abitasse in quella casa ora. Magari una donna-corvo infastidita dalle nostre tracce? Avevamo lasciato qualco-sa? Ne dubitavo. Avevano fatto caso ai segni quasi invisibili, a matita, dietro una porta, tracciati sulla parete per misurare con discrezione le altezze dei ragazzi quella primavera? Avevo ritrovato 1'ospedale, ma quando ero entrato a fare una passeggiata tra i cespugli e le aiuole, mi era tornato con prepotenza alla mentě il piacere di cammi-nare accanto a mia moglie mentre i bambini si divertivano tutťattorno. Pensavo di sedermi su una panchina, ma erano quasi tutte occupate, ce n'era una sola libera, pero mancavano le stecche per sedersi, erano rimaste solo quelle dello schienale. Quindi avevo continuato a passeggiare per le stradě attorno all'ospedale, avevo raggiunto e superato la camera mortuaria e notáto una cosa mai notáta in tutti gli anni passati in questa cittá, cioě una presenza di falene che svolazzavano, scure e innervosite. Si muovevano senza cercare una meta, ma non mi piacevano, non erano come le farfalline bianche di quella volta sopra il mare. piú informazioni 0928 • MlolEbookReader Modifica « ® W ^ j| > <3~ 40) 99% Qabc esteso Mar 17:54 Q. O ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. p OS Ero stanco e mi sono fermato sotto un albero che dava un po' ďombra, perché la giornata era diventata calda. Guardavo dal basso i suoi rami, il muschio che scendeva qua e la formando delle cascate e mi sono addormentato mentre le falene guizzavano davanti agli occhi dandomi un po' fastidio. Le foglie sopra di me non tremavano molto e c'era un pulviscolo che mi bruciava gli occhi. Intravedevo il cie-lo, che non era piú quello vasto che ci salutava ogni mattina dalla casa, questo era tutto mangiato dalle chiome degli alberi e prendeva formě piccole e frastagliate ognuna diversa dalFaltra. Mentre contemplavo quegli scorci di cielo mi sono tornati in mentě i libri che vendevo al mercato, alcuni molto costosi, protetti da bustine di plastica trasparen-te anche se dentro avevano quasi sempře delle pagine sciupate. Avevo gli occhi chiusi ma attraverso le palpebre il mondo non era né buio né fermo, c'era sempře movimento, un bersaglio intorno al quale giravano altri cerchi, e a un certo punto ho intravisto mia moglie, i suoi occhi e gli zigomi, le sopracciglia notevolmente curve, perfino un sorriso pacato. Era un volto sereno, direi piú una maschera che un vero volto, eppure le assomigliava in quelPapparizione, in quel miraggio tutto mio. Pensavo a mia moglie e alla sua paura degli alberi massicci che cadono di punto in bianco ammazzando le persone. Volevo dirle che questo albero mi proteg-geva e bašta, senza cicale arrabbiate che potevano sbucare dalle foglie e aggrappar-si alla mano, con delle radiči robuste esposte come una vallata cupa intravista in lontananza. Quando mi sono svegliato mi sono chiesto dove andare. Le falene mi hanno fat-to strada fino alla ferrovia. In attesa del třeno che si awicinava pensavo solo alle cose belle e ai papaveri rossi e gialli che spuntavano attorno ai piedi fra i binari. 02 45285^24 Ú MlolEbookReader Modifica « & W ^ j| > <3" 4))) 99% Q ABC esteso Mar 17:54 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS II • MIolEbookReader Modifica « ® W ^ i > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:54 q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ p OS parco e dal dentista. La femmina ha cinque anni, il maschio ne ha sette. Gli vuole bene. Anche suo figlio aveva sette anni quando suo marito, che faceva avanti e indie-tro due volte all'anno, le ha chiesto di raggiungerlo a Roma per aiutarlo nel bar che gestisce da molto tempo dietro al Colosseo. All'epoca non erano in grado di cre-scere un figlio in un altro paese, e tutt'ora non sarebbe agevole. In ogni caso, or-mai sono passati anni e sarebbe complicato farlo venire interrompendo gli studi. Mentre i bambini sono a scuola lei fa la spesa, presenta la lista al macellaio al quale dice quanta came serve e come tagliarla. Oggi dal macellaio compra della came anche per casa sua, per festeggiare, pur da lontano, il compleanno del figlio. Fa le commissioni e si chiede: come stará mio figlio adesso, proprio in questo momento? Cosa avrä fatto oggi a scuola, in divisa, seduto in aula o in mensa? Come avrá risposto alle domande dell'insegnante? Cosa stará dicendo sottovoce a un suo compagno di classe? Perché riderä? A casa della famiglia, ai fornelli sempre puliti, prepara da mangiare. Sa cucinare bene ormai le polpette e gli involtini. Nel pomeriggio portera i bambini a un parco dove correranno fra i busti di marmo di uomini celebri. Raggiungerá quel faro che a lei pare molto curioso visto che sotto non si trova il mare ma solo altri palazzi, alberi, rovině e monumenti. La madre vive in un appartamento abbastanza piccolo con il marito e alcuni con-nazionali che lavorano fino a tardi e tornano a casa stremati. Fanno consegne in bici o in motorino, sbucciano e tagliano chili di verdure, friggono fette di melanza-ne nelle cucine dei ristoranti. Tocca a lei, quando rientra, mettere su il riso e le lenticchie rosse e lo stufato di capra e patate per il gruppo, preparare il tavolo per sette, poi sparecchiare e lavare i piatti. II padre dei due bambini torna verso sera, la loro madre e all'estero in questi giorni. Lei gli fa vedere gli scontrini della spesa e indica il polio, le patate e le verdure nel tegame ancora tiepide. Si toglie il grembiule, poi va alia scalinata per rag-giungere il viale sul quale si ferma l'autobus che la porta a casa. La scalinata, ormai, non e piu sua. Vede, prima di scendere, due ragazze molto truccate, con vestiti neri e stivali aggressivi, che posano per un fotografo. Ci sono persone sedute qua e la, che evidentemente non hanno nulla da fare e possono re-stare a godersi la veduta fino al tramonto. Se c'e una troupe cinematografica al la-voro con i cavi e le luci e il dolly e il ciak in mezzo ai gradini deve fermarsi e aspet-tare fino a quando non dicono che puo passare. Una volta ha visto un attore famo-so, basso e spiritoso, che litigava fintamente con un altro uomo davanti alia mac-china da presa. La madre contempla nuovamente il cielo e si sente in qualche modo vicina a suo figlio. Pensa: ovunque si vada gli elementi del firmamento - luna, sole, stelle, ven-to, pioggia - restano invariabili. Anche quel suo figlio lontano riesce a vederli. Stranamente, sebbene sia piu faticoso, preferisce salire che scendere la scalinata. Non le piace la discesa, teme di perdere l'equilibrio. Si accorge di un gruppetto di ragazzi che avranno la stessa eta di suo figlio e che guardano un cellulare insieme. Hanno mollato i loro zaini neri e pesanti sui gradini e stanno cantando una canzone seduti tutti appiccicati. Le gira la testa; si siede un attimo e appoggia a terra la busta della spesa. Anni fa, la domenica, prima che iniziasse a lavorare per la famiglia, quando la citta si svuotava, nella stagione in cui sembra che ci siano piu cicale che persone, quando il rumore degli insetti fa si che tutto il mondo e persino l'aria paiano fre-mere, lei e suo marito pranzavano all'aperto seduti sui gradini verso mezzogiorno. Mangiavano con le dita, secondo l'abitudine del loro paese, senza fare caso ai pas- • MIolEbookReader Modifica > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:54 q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani o p OS santi che Ii guardavano forse di traverso. Erano ancora una coppia giovane e lei pensava che prima o poi Ii avrebbe raggiunti il loro figlio, sperava prima o poi di farne un altro. Si mette in piedi e procede. C'e una coppia sulla scalinata, sono turisti smarriti, accaldati ma eleganti. La moglie porta un lungo prendisole di cotone a righe e un cappello nero di paglia. II marito ha una camicia a maniche corte, a scacchi bianchi e viola, e in mano una carta della cittä, color salmone. Chiede: «Dove si trova il parco?» «Lassü» risponde la madre, indicando con il dito la cima della scalinata. La madre scende qualche gradino con passo incerto, di nuovo le gira la testa, e quando il marito con la mappa se ne accorge le offre automaticamente, cortese-mente, il braccio perche si appoggi. Marito e moglie accompagnano la madre, che accetta l'aiuto spontaneo di uno sconosciuto e la sensazione sorprendentemente fresca della sua pelle sotto la mano di quell'uomo con un misto di gratitudine e di imbarazzo, fino ai piedi della scalinata, dove le macchine sono parcheggiate a spina di pesce. Per qualche secondo guarda la coppia che sale felice verso il parco prima di continuare a camminare verso il tramvia e gli autobus. Sente la presenza di qualcuno che sta correndo dietro di lei, che esclama, affer-rando la stoffa della sua gonna: «Ahö signora!» Si gira e vede uno dei ragazzi del gruppo che ascoltava la musica. Ha in mano la busta della spesa. La fronte e piena di brufoli. Dice: «'Sta roba e sua», poi torna subito dai suoi amici seduti sulla scalinata. La madre pensa che, pur essendo fatta di pietra, la scalinata di questa cittä e un po* come il mare la cui risacca restituisce tutto prima o poi. Quando apre la busta, sente l'odore acre della carne da cucinare la sera. 2. La vedova La vedova che scende la scalinata in tarda mattinata ha paura del vetro frantumato dappertutto e stenta a posizionare i piedi. Ha fra l'altro i piedi parzialmente espo-sti per via dei sandali che le piace indossare nei mesi estivi. E se una piccola scheg-gia di vetro, agitata dai suoi passi, saltasse e si infilasse sotto il piede come la ghia-ia a volte su certi tratti della strada? O si incastrasse temporaneamente in una nic-chia della suola di gomma, poi si staccasse dentro casa, sul pavimento? Se la feris-se, se la facesse sanguinare mentre cammina a piedi scalzi? Con questo caldo le piace molto togliersi le ciabatte e sentire il freddo del marmo sotto i piedi. O se fe-risse la zampa del suo cagnolino? Se, ancora peggio, finisse nella bocca delPanimale? Una volta la vedova amava 1'arrivo delPestate e l'abitudine di comprare un nuovo paio di sandali per la bella stagione, nello stesso negozio di scarpe in centro -d'angolo con una chiesa color senape - che espone tutti i modelli in vetrina e ha solo due sedie dentro, per i clienti, in una specie di bugigattolo, con tutte le scato-le esposte sino al soffitto. Ma ora, pensa la vedova, perfino quel piacere potrebbe risultare pericoloso. Tutto questo vetro viene frantumato allegramente dai ragazzi che si attaccano alla scalinata come le mosche alle fette di melone fino alle due, alle tre di notte. Qualche scheggia viene pestata e crea una specie di polvere scintillante, ma ei sono anche pezzi abbastanza grandi che mantengono la forma curva e severa delle botti-glie. Pezzettini verdi o di un marrone giallastro, oppure, meno comune, di un in-tenso blu cobalto. Alcune bottiglie sono ancora intatte, lasciate sui gradini qua e lä come sentinelle. Le schegge sparse sulla scalinata non sono belle e morbide come i vetrini che la vedova raccoglieva un tempo al mare con sua madre, ognuno le sem- • MlolEbookReader Modifica > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:54 q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ p OS brava un gioiello da custodire, prima in mano, poi in una scatolina coperta di vel-luto e foderata di seta che sapeva di spiaggia anche d'inverno. Queste schegge asciutte, lontane dal mare, sono solo taglienti e antipatiche. Tutto ciö suscita in lei una grande amarezza. Di tanto in tanto qualche altra signora del suo palazzo si mette i guanti e cerca di pulire un po' di gradini dalla sozzeria notturna insieme alle foglie arrugginite dalla stagione precedente e mai spazzate via. Quando non se ne pud piü qualcuno fa circolare una petizione (invano) contro lo schiamazzo. A causa dei ragazzi la vedova non dorme piü bene. Una volta la sua camera da letto dava sulla scalinata e ci arrivava una bellissima arietta tutta la notte che tene-va a bada anche le zanzare. Ora dorme nella sala da pranzo, per cui ha dovuto chia-mare due persone per spostare certi mobili. La vedova abita da sola e non sarebbe stata in grado di spostare gli armadi, il tavolo, il letto di noce ereditato dai suoi an-tenati. Quel piccolo trasloco da una stanza alPaltra la lascia ancora un po' perples-sa. Si chiede se uno di quei traslocatori abbia preso una spilla antica che purtroppo non riesce piü a ritrovare e che stava in una scatolina nel cassetto della sua specchiera. Tutte le mattine la vedova si sente aggredita dalla scia di bottiglie rotte, dai pac-chetti di sigarette, con le loro minacce ai consumatori, schiacciati baldanzosamen-te dai giovani e poi ignorati. Spesso c'e un gradino appiccicoso a causa della birra versata. Si sente inoltre aggredita da tutto quello che scrivono con le bombolette sui muri che fiancheggiano i gradini. Cosa vuol dire quel linguaggio strambo, gon-fio, criptico, tutto sommato mostruoso? Riesce a individuare qualche carattere - a dire il vero alcuni paiono piü numeri che caratteri - ma mai una parola. Si sente insultata anche se non riesce a decifrare nulla. Un po' come si sente quando le capita di ascoltare le conversazioni degli stranieri in giro. Non solo i turisti che am-mirano il quartiere e fanno due spese per gioco poi vanno via, ma gli altri che lavo- rano alle bancarelle e fanno figli e parlano fra di loro. II graffito incomprensibile pare un altro atto maleducato benché silenzioso, certamente irrispettoso. Alla vedova colpisce, in generale, la mancanza di rispetto dei giovani, e rimpiange la disciplina di una volta, quando metteva la divisa per cantare inni e faceva esercizi ginni-ci nel campo della scuola. La vedova cerca ancora di mantenere una čerta disciplina. Tutte le mattine, per esempio, esce con il cagnolino nel parco, poi va da sola in edicola e quindi al bar, prende il caffe seduta a un tavolino sul marciapiede, legge il giornale e scambia due parole con certi suoi vicini di casa. Al bar stamattina tutti si lamentavano del chiasso della notte precedente. Uno ha fatto una denuncia e la mattina ha scoperto che gli specchietti delle macchine parcheggiate sulla strada a ridosso della scalinata sono stati rotti. Dopo il caffě la vedova va al suo banco di fiducia in piazza a comprare frutta e verdura. Fa sempre lo stesso giretto, senza difficoltä, non ha bisogno di qualcuno che l'accompagni anche se ě diventata anziana. Alcune sue amiche non escono piü da sole, hanno paura delle buche, delle caviglie che non reggono bene, e hanno ad-dirittura una persona che dorme in casa loro, nella stanza di un figlio ormai grande e poco presente. Non accetta la spesa consegnata da un ragazzo extracomunitario mandato dai contadini dei banchi in piazza. Vuole ancora scegliere autonomamen-te la verdura da mangiare la sera con una fetta sottile di carne. Prima di morire, suo marito le appoggiava una mano sulla spalla, con il braccio steso, e cosi lei aveva un'altra abitudine: una volta al giorno, in tarda mattinata, trainava il marito, sentendosi la barca dietro la quäle segue un gommone smarrito che sfiora appena la superficie dell'acqua. Solo che i passi del marito strisciavano a terra tutto il tempo. Tutt'ora, quasi quasi, le sembra di sentire il peso della mano del marito rimbambito sulla spalla, con le dita rigide che emanavano l'ansia di do- • MlolEbookReader Modifica > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:54 q. © ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ p 05 ver mettere un piede davanti all'altro. Lo stesso uomo che, per decenni, prima di ammalarsi, si alzava e si vestiva da solo, lavorava, guadagnava, guidava, ballava, scalava le montagne in estate per raggiungere i rifugi piú appartati e si occupava di lei. Oggi, tornando a casa con la spesa, vede dei carabinieri che indugiano davanti al cancelletto a meta della scalinata che conduce alPingresso posteriore del suo palaz-zo. Sono in tre e hanno delle magliette sulle quali c'ě scritto chiaramente in bianco «carabinieri». La vedova si allarma, ma allo stesso tempo ě sollevata di vederu, se-condo lei occorrerebbe, sulla scalinata, una loro presenza continua. Chiedono appena la vedono: «Ci apre, signora?» «E successo qualcosa?» «Bisogna perquisire il palazzo.» «Come mai?» «Pare che qualcuno abbia scavalcato il cancello.» La vedova sussulta e si affretta a tirare fuori le chiavi dalla borsa. «Sara uno dei ragazzi maleducati che stanno qui a bazzicare fino alle due, alle tre di notte» dice. «Temiamo di si, signora.» «Ho sempre paura di una cosa del genere. Una volta era tranquillo, questo no-stro angoletto. Mi chiedo chi siano i genitori.» «Ha figli, signora?» «Mio marito, che riposi in pace, e io non Ii abbiamo avuti. Abito con il mio cagnolino.» Mette la chiave nella toppa e apre il cancello. Poi apre la porta del palazzo. Dice: «Molte grazie di essere venuti». «Si figuri.» «Posso entrare in casa? C'ě pericolo?» «Le consigliamo di entrare senza parlare con nessuno e di restare dentro per il momento.» I carabinieri corrono avanti e in pochi secondi spariscono. Non uno che tenga aperta la porta per la vedova o le dia una mano con le bustě della spesa come si fa-ceva una volta. La vedova da loro si sarebbe aspettata una cortesia, ma si rende conto che c'ě una čerta urgenza. Entra in casa, mette via la spesa, dá da mangiare al cagnolino. Ha lo stomaco un po' disturbato. Mangia poco e si stende sul letto per un'oretta. Nel pomeriggio si prepara per fare la solita piccola passeggiata con il cagnolino. Preferisce evitare la scalinata e quindi esce dalPingresso principále del palazzo. Sa-luta il portiere seduto al banco che funge anche da casella postale. Ritira qualche bolletta. «Allora? Cosa hanno trovato quei carabinieri?» gli chiede. «Quali carabinieri, signora?» «Quelli che sono passati oggi. Mi hanno chiesto di aprire, volevano entrare, hanno detto che qualcuno aveva scavalcato il cancelletto dalla scalinata.» «Quanti?» «Erano in tre.» «Tutti giovanotti?» «Penso di si.» «Ha notáto per caso un'auto dei carabinieri parcheggiata ai piedi della scalinata? » «Questo non me lo ricordo.» «A che ora?» «Verso le dieci, le dieci e mezzo.» piú informazioni • MlolEbookReader Modifica > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:54 q. © ;s • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ p 05 «Guardi, a quell'ora ero qua come al solito e non ho notáto nulla di particolare.» «Non li ha visti mentre facevano il sopralluogo?» «No. E c'ě qualche cosa che non torna.» «Cioě?» «Cioě forse quelli non erano carabinieri veri.» «Non ho capito.» «Ci sono persone che si travestono da carabinieri e si fanno aprire i cancelli da chi sta rientrando a casa. Purtroppo, signora, prendono spesso di mira persone, di-ciamo, vulnerabili come lei. Si tratta di un gruppo criminale, in parole povere sono ladri. Altrimenti sarebbero passati qui per presentarsi, non crede? Visto che sono stato qui tutto il tempo...» «Accipicchia. Ma come si fa a distinguere i veri carabinieri da quelli finti?» «Questo non so dirglielo. Ma c'ě sempře malavita in giro. Ora contatto i carabinieri veri e mi informo.» La vedova sente uno spasmo di terrore nelle vene, simile alla sensazione che le attraversa l'inguine quando si awicina troppo alla ringhiera della sua terrazza e guarda giú verso quei ragazzi felici e rumorosi sui gradini. Allora non va al parco con il cagnolino, fa due passi appena fuori dal portone, poi torna immediatamente a casa. II giorno dopo quando esce con il cagnolino vede che c'ě un foglio attaccato al portone con un awiso a tutti i residenti del condominio. Parla di un gruppo criminale in giro per il quartiere, uomini travestiti da carabinieri che si fanno aprire le case. Non aprite a nessuno sconosciuto che suona il campanello senza verificare 1'identitá. La vedova non dorme bene quella notte, neanche nella sua stanza relativamente silenziosa, e la mattina dopo stenta a mantenere la solita disciplina. 3. L'espatriata L'espatriata che, all'ora di pranzo, corre svelta sulla scalinata sarä operata il giorno dopo. E quando si sará pienamente ripresa - il medico ha detto che per sei setti-mane non poträ né sollevare pesi né nuotare né fare le scale - tornerä proprio qui, per scalare quei centoventisei gradini, divisi sei volte in ventuno gradini per volta, per raggiungere la cima dove sentirä i muscoli tesi dietro le cosce, le ginocchia do-loranti e il cuore che batterá alPimpazzata. Di solito a quest'ora sulla scalinata non c'ě gente né ombra, a parte qualche macchia, lungo un lato solo, gettata dagli oleandri. In cima, insieme allo sfogo del batticuore, la aspetta il pino marittimo con il tronco sghembo e languido come fosse una scultura ossuta di Prassitele. Anche le pareti su entrambi i lati coperte di viti rigogliose hanno un aspetto languido, perfino animalesco: soprattutto il lampione in alto, completamente sepolto dal verde, assomiglia a una creatura che riposa inclinata, una specie di daino con il pelo verde, il collo lungo ed eretto, il corpo ispido. Quella crescita fuori controllo, pensa, richiama paradossalmente le forme coltivate delFarte topiaria. Oggi nota con la coda delPocchio uno stendino su un balcone sul quäle riposa un lenzuolo bianco che le sembra una barella, il che le fa pensare all'ospedale dove deve andare digiuna, la mattina presto, senza lo smalto sulle unghie. Vede un netturbino che spazza i gradini per raccogliere i rifiuti. «Grazie mille» gli dice. Lui invece si secca e le dice qualcosa di lamentoso e incomprensibile. In cima alla scalinata l'espatriata procederä lungo il marciapiede per entrare in un grande parco dove, per via del sole che batte in questo orario, ci sarä poca gente in giro. Li nonostante il caldo farä una lunga corsa per svuotare la těsta, cioě per non pensare all'intervento e interrompere il montare di pensieri irrequieti dentro • MIolEbookReader Modifica > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:54 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani o Q, p OS di lei. Come sempre il parco la accogliera tacito, maestoso. Proseguira sul sentiero, berra dell'acqua che cade notte e giorno perfettamente dritta dalla testa di un lupo in bronzo, guardera la luce che colpisce l'arco rosa e imponente all'ingresso e, piu avanti, ammirera le lunghe ombre delle palme che cadono sul prato smeraldo. Solo che oggi fara tutto cio con il presentimento gravoso di non poterlo fare mai piu. La corsa solitaria per il parco - dove supera sempre una cappella gotica che con-tiene il mausoleo di una grande famiglia, poi costeggia un lago con anatre e oche prima di attraversare un ponte trasparente e tagliare attraverso un prato meno cu-rato dove l'erba e piu lunga - e normalmente l'unico modo per stare fuori casa, al-l'aperto, senza rischiare di dover parlare con qualcuno. L'espatriata preferisce an-dare a correre da sola che fare una passeggiata in centro dove avrebbe voglia, forse, di entrare in un negozio, di valutare un oggetto per la casa o provare un vestito e cosi awenturarsi in una conversazione con una commessa o qualcun altro. Anche se vive a Roma da molti anni parla un italiano approssimativo e se la cava solo fino a un certo punto. Non come i suoi figli che la correggono e la prendono in giro, so-prattutto il secondo che frequenta una scuola pubblica, che gioca e urla e gesticola in piazza come fosse nato qui. Nei negozi in cui la riconoscono ormai, dove le fan-no anche un po' di sconto, i commercianti le parlano comunque, le raccontano vi-cende complicate che lei fa fatica a seguire. Certe volte le loro parole le fanno per-dere l'equilibrio, tanto che deve cercare discretamente un appoggio. Un giorno -era inverno, c'era coda, tutti compravano il cotechino - temeva, quando la signora dietro il banco le spiegava per filo e per segno come prepararlo, di doversi sedere per terra nella salumeria. II marito dell'espatriata lavora per un'organizzazione internazionale ed e spesso all'altro capo del mondo per le sue missioni. Usa Roma come punto di riferimento, di partenza e di ritorno. Ha spostato la sua famiglia a Roma ma in sostanza non ci vive. Anzi, e l'espatriata che in qualche modo corre dietro ai loro tre figli tutti ma-schi. Avevano pensato all'inizio di rimanere per tre anni ma poi il contratto del marito era stato rinnovato e i figli avevano fatto amicizie. E quindi hanno venduto la bella casa nel bosco fuori New York comprata e ristrutturata con l'idea di cresce-re una famiglia, e con quei soldi hanno acquistato un appartamento romano in un grande palazzo con varie scale, uno studio dentistico e un osteopata al piano terra e un cancello nero alto e severo che sembra quello di un carcere. L'espatriata non ha piu il giardino di una volta dietro casa sua, con delle rose ammirate dai vicini, nutrite dalle piogge intense in estate, ne il prato pieno di muschio dove i figli si spruzzavano se faceva troppo caldo, ne il dondolo dove le piaceva prendere il caffe la mattina e intravedere, la sera, i cervi che spuntavano schivi e silenziosi fra i ce-spugli. Qui ha solo qualche vaso sulla terrazza con delle piante che tendono a in-giallire e perdere le foglie, dal vivaista non capisce fino in fondo quanto debba in-naffiarle, e anche se sa guidare non se la sente di affrontare il traffico spaventoso lungo il fiume. Guarda sempre stupita le altre donne in motorino con tacchi alti e gonne strette per raggiungere, come se nulla fosse, le loro destinazioni. A dire il vero l'espatriata avrebbe preferito tornare nella sua citta natale, dove ha anche partorito i figli, dove si trova bene, a fare l'intervento di domani, ma sarebbe stato troppo difficile da organizzare. Perfino qui e complicato, il marito ha dovuto cancellare una missione per poter stare due settimane di fila con la famiglia, in at-tesa che lei esca e riprenda con prudenza qualche attivita. II chirurgo ha detto che forse sara necessario togliere tutto. In quel caso, niente piu figli e subito la meno-pausa. L'espatriata che ha capito piu o meno - anche se in ogni interazione rimane sempre quel nucleo di senso impenetrabile -, ha risposto, d'accordo, capisco, ma non le piace l'idea di perdere, per sempre, una parte del suo corpo, per quanto pro-blematico, in questa citta non sua. piu informazioni • MIolEbookReader Modifica > 4>)) 99%B> Qabc esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani o Q P OS Avrebbe voluto dire (ma non ne sarebbe stata capace) al chirurgo: la diagnosi non mi stupisce, mi spiego dottore, sono anni che sogno di dovermi operare. E sempre lo stesso so-gno inquietante, o meglio, incubo, ho cominciato afarlo dopo che e nato il mio terzofiglio: mi trovo a un controllo medico, mi dicono che mi dovrb operare ma senza spiegarmi perche, quan-do o dove. Ogni volta provo lo stesso sgomento di dover dire alia mia famiglia: sto male, mi devo operare, devo stare in ospedale, va tolto qualcosa dal mio corpo. Lultima volta che ho fat-to questo sogno, ho subito, nel sogno, I'intervento, e al risveglio ho saputo che la cosa che anda-va tolta era una bambina morta, completa ma in miniatura, rimasta dentro di me, come il den-te di scorta che ho sepolto nelle gengive. L'espatriata avrebbe preferito fare mille volte quel sogno premonitore e pertur-bante che essere operata il giorno dopo per dawero. E gia stanca dalla fatica di spostarsi di padiglione in padiglione per prepararsi all'intervento. Si e gia persa nella vasta struttura dell'ospedale, prima per pagare alPaccettazione, poi per aspet-tare piu di un'ora in una sala d'attesa completamente da sola. E rimasta sconvolta dall'esperienza della risonanza magnetica. Pensava, in quello spazio stretto e cur-vo, che tutto sarebbe stato silenzioso. Invece, nonostante i tappi auricolari che il tecnico di radiologia le aveva dato, tutto tremava e vibrava, come se li dentro ci fossero centinaia di palline da tennis, e il rumore le ricordava quello dell'asciuga-trice che usava per i piumoni alia fine dell'inverno. Piu di tutto ha paura, molta, dell'anestesia. Non quella parziale dal dentista o per un parto, ma la totale: la spa-rizione, per un periodo, di qualsiasi pensiero, sogno, sensazione. La paura di essere banalmente un corpo, e di non poter reagire a nulla. In cima alia scalinata vede una sua arnica, espatriata anche lei, che sta scenden-do per andare a fare una lezione di yoga. Ha nello zaino il tappetino arrotolato. La donna che stava salendo di buona lena rallenta, poi si ferma. L'amica la raggiunge e dice: «Ciao, quanto tempo! Tutto bene?» «Ciao.» «Ti vedo preoccupata, che succede?» «Sar6 operata» dice, e mette la mano sopra la pancia. «Spero nulla di grave. Che vada tutto bene.» «Sei mai stata operata?» «Un paio di volte. Tu?» «Mai.» «Stai tranquilla. Vieni a yoga con me? Cosi ti rilassi.» «Preferisco correre. Posso chiederti una cosa?» «Dimmi.» «L'anestesia, com'e?» «E bello.» «Ma non sentire nulla com'e?» «Appunto, non senti nulla.» «L'idea mi pesa.» «Non ci pensare, non devi fare niente, e una cosa che va da sola.» «Ma com'e?» «E come dormire.» «E poi?» «Poi ti risvegli.» «Sicuro?» «Certo. Ti diranno di chiudere gli occhi e di visualizzare un luogo molto bello, oppure di pensare a un ricordo confortevole. Proviamo, su, chiudi gli occhi.» L'espatriata li chiude. «Cosa vedi?» piu informazioni • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBh Q ABC esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q P OS Cerca di vedere le rose nel giardino della casa ormai venduta, il dondolo dove beveva il primo caffě guardando i figli che correvano e si spruzzavano sul prato se faceva troppo caldo e i cervi che spuntavano fra i cespugli al tramonto. Invece le viene in mente lo stendino di plastica visto poco prima con la coda delPocchio, quello che le ě parso una barella. Ma poi anche queH'immagine si dilegua e l'espa-triata sente il sole che picchia sulla schiena e il fragore assordante della cascata di bottiglie di vetro gettate dai netturbini dentro il loro piccolo camion. 4. La ragazza La ragazza che scende la scalinata alle due del pomeriggio e circondata da tante al-tre ragazze appena liberate come lei alia fine della giornata scolastica. Scendono insieme in uno sciame gorgogliante, o meglio, scivolano giii come una cascata, un flusso vitale. Nessuna delle ragazze le propone di unirsi a loro per prendere una pizza o un gelato o le chiede semplicemente se ha un accendino. A differenza delle altre, questa ragazza non si fermera su un gradino a fumare delle sigarette vere o elettroniche o ad ascoltare una canzone o a guardare un video su un cellulare. Hanno tutte piu o meno la stessa eta, gli stessi insegnanti, gli stessi compiti da fare la sera. Solo che questa ragazza non mette come le altre le minigonne che sembrano paralumi morbidi, le camicie che finiscono appena sotto i seni come le tende che coprono soltanto la parte alta della finestra, oppure i pantaloni aderenti e le fasce e le bluse e le canottiere che fanno vedere una striscia di pancia, anche se la sua e sempre abbronzata e perfettamente piatta. E quasi la fine dell'anno scolastico e sono tutte stufe di dover leggere, scrivere, recitare poesie. Preferiscono studiare, sui cellulari, sui gradini della scalinata, i co- stumi a due pezzi di moda questa stagione. Fra poco le altre ragazze andranno in vacanza con le loro famiglie, e gia fanno programmi per il mare, la campagna, le isole, quelle vulcaniche con la sabbia nera, quelle senza alberi, quelle dove in tempi diversi mandavano i prigionieri. Hanno nonni, cugini, zii, amici di famiglia che le possono ospitare. Si scambiano gli inviti - per stare insieme dieci giorni in mon-tagna, o in barca, o in una masseria. La ragazza pensa: meglio non essere invitata, visto che i suoi genitori non le permetterebbero mai di stare dieci giorni, ma nean-che due notti, nella casa di una famiglia sconosciuta che non appartenga alia loro comunita. Oggi e venerdi e la ragazza non tornera alia scalinata fino a lunedi mattina. Lei adesso andra direttamente a casa ad aiutare sua madre in cucina e badare ai fratel-lini con cui condivide la stanza, prima di andare a pregare e poi fare i compiti. Le sue compagne di classe gia scalpitano per cenare in fretta con le loro famiglie e tornare alia scalinata, a ritrovare le amiche piu strette e partecipare alia festa spontanea che si terra insieme ai ragazzi che vengono da altri quartieri. Lei, invece, non mettera nessun vestito attillato per fare lo struscio e bere una cosa prima di finire di nuovo sui gradini e riempire l'aria di risate, confidenze, intrighi, baldorie. T. ti sta cercando stasera. Cosa t'ha detto? Che ti cercava. Sulla scalinata, sotto la manciata di stelle che si vede dai gradini, si ritrovano con naturalezza, con immediatezza, si siedono fra le gambe dei fidanzati e sentono le loro mani attorno alle spalle o in fondo alia schiena. Sono piaceri possibili solo alle compagne di classe, i cui genitori ai loro tempi hanno fatto probabilmente la stessa cosa. Ai suoi genitori non piace, tendenzialmente, stare fuori: mangiare, chiacchiera-re, andare a zonzo. Preferiscono cenare a casa in una stanza chiusa, rifiutano l'idea di mangiare fra macchine posteggiate in una piazza o addirittura sui marciapiede dove accanto passano taxi, altre macchine, motorini, il tram e gli autobus. Non piu informazioni < > • MIolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBh Q ABC esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani o Q P OS hanno una seconda casa da nessuna parte. Non vanno in spiaggia e non prendono mai il sole. Anzi, essendo di pelle abbastanza scura, apprezzano la pelle chiara, perfino pallida, soprattutto per le femmine che devono diventare mogli prima o poi. II padre della ragazza lavora non troppo lontano dalla scalinata. Vende scarpe, vestiti, padelle, tovaglie. Ogni tanto porta un po' di merce a casa e la madre la mette in una grande brutta valigia che sta sotto il letto. Dice che stanno facendo pian piano il suo corredo e che un giorno le troveranno un marito per bene della loro comunitä. II pensiero di sposarsi con uno sconosciuto le gela il sangue, per cui la ragazza sogna di svuotare quella valigia a notte fonda mentre il padre russa e la madre gerne nel sogno, di mettere Ii dentro le sue cose e di scappare di casa. Ma dove andrebbe? Chi la accoglierebbe? I suoi genitori dicono che se si comporta male - se a scuola prende brutti voti, se non torna a casa ad aiutare la madre per imparare come diventare una brava moglie - la manderanno in un altro continente a vivere con i parenti che non conosce neanche, per isolarla dalle compagne di classe che hanno loro stanze private, che chiudono a chiave le porte, che dormono spesso l'una nella casa dell'altra per poter stare fuori fino a tardi ingannando i genitori e andando in giro con i maschi. A chi potrebbe raccontare la sua unica esperienza sentimentale - anche se le sembra un episodio cosi scadente - con un maschio? Un episodio legato a un con-nazionale dei suoi genitori che conosceva da piccola e che aveva sempre chiamato zio. Nel loro paese di origine studiava chimica, qui invece faceva il pizzaiolo. Quando lei era piccola, lui la aiutava con i compiti di matematica. Aveva una barba folta ma era giovanile, non particolarmente alto, gli stavano bene i jeans e le scarpe da ginnastica. Mangiava la domenica a casa loro e fumava da solo sul balconci-no. A volte le chiedeva il senso di un vocabolo in romanesco. Questo zio faceva parte del gruppo di almeno trenta persone che un giorno aveva organizzato, l'estate passata, una gita a un lago fuori cittä. Tutti preferivano il lago al mare perche Ii almeno c'era ombra. Erano andati insieme in pullman a mangiare, sulPerba sotto gli alberi, cibi fritti e speziati preparati in casa: uova sode, cotolette, ceci, patatine, accompagnati da fette di anguria. C'era poca gente al lago, forse perche era una giornata un po' coperta, e i fratellini e i cugini della ragazza erano contenti di correre all'aperto e giocare in acqua con gli altri bambini. Nonostante gli alberi, faceva molto caldo e la ragazza, l'unica adolescente, voleva entrare in acqua. Non solo fino alle caviglie come sua madre e le donne giä sposate - alcune avevano quasi la sua stessa etä - che stavano sempre fra di loro. Purtrop-po lei non sapeva nuotare. I maschi, anche quelli grandi, avevano messo i costumi da bagno mentre le femmine erano vestite, avevano soltanto arrotolato i pantaloni larghi per non bagnare l'orlo di cotone. A un certo punto lo zio pizzaiolo-chimico, che sapeva nuotare molto bene, aveva detto alla ragazza che stava in acqua fino al ginocchio: «Dai, fatti un bei bagno». Era magro e la stoffa del costume aderiva tutta sgualcita attorno alle sue cosce. Non aveva il pancione del padre e sulla sua schiena c'era una lunga piega come quella fra le pagine di un libro aperto. Siccome la madre non le dava retta e il padre era andato a passeggiare lungo la riva del lago, la ragazza aveva seguito lo zio pizzaiolo-chimico finche l'acqua le era arrivata alla vita. Dopo una breve lezione, aveva anche messo la testa sott'acqua dove aveva visto per un attimo la sabbia del fondale e i sentieri sottili che si ripetevano come una serie di serpenti. «Ora sten-diti» le aveva detto lo zio. «E chiudi gli occhi.» Le aveva messo una mano sotto la schiena. La ragazza aveva paura ma dopo qualche tentativo aveva sentito la schiena inarcarsi all'improwiso mentre le gambe si sollevavano come se non avessero nes-sun peso, come se il corpo Stesse per levitare sopra l'acqua che la spostava di qua e • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBh Q ABC esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q P OS di lä, tirandola gradevolmente in ogni direzione e spingendola alio stesso tempo in alto verso il cielo. Era uscita dall'acqua rinfrescata e meravigliata di aver galleggiato da sola, di aver visto il cielo da quella prospettiva, di aver sentito il sospiro misterioso dell'acqua nelle orecchie. Poi aveva visto lo sguardo furibondo della madre e quelli imbaraz-zati delle altre donne e si era resa conto senza doversi guardare che il suo vestito bagnato, appiccicato al corpo, era diventato quasi trasparente e drappeggiato come su certe figure di marmo nei musei, e che tutti potevano intravedere i suoi capez-zoli scuri e la curva della vita, la macchia tonda delPombelico e i contorni delle co-sce. «Copriti» aveva sibilato la madre dandole un asciugamano, ma davanti agli al-tri non aveva aggiunto nulla. Dopo quella gita al lago la ragazza non aveva piú visto lo zio pizzaiolo-chimico, lui aveva smesso di passare da loro, i genitori non lo nominavano piú, chissä che fine aveva fatto. Forse non sarebbe stato male sposarsi con lui, pensa adesso la ragazza mentre scende la scalinata: tirare fuori il corredo da sotto il letto, toccare quella piega sulla schiena e fare qualche figlio e chiacchierare con altre donne sposate. In fondo, non ě quello che vogliono le sue compagne di classe? Trovare un fidanzato, un ragazzo che guardi, tocchi e soddisfi loro e soltanto loro? Eppure il suo raccontino - anche se nessuna le chiede mai di confidare nulla del genere - alle altre ragazze sembre-rebbe cosi diverso, cosi assurdo. E in ogni caso per lei la prospettiva di sposarsi con un pizzaiolo-chimico che chiamava zio non esiste piú. Scendendo la scalinata si sente piacevolmente tirata in varie direzioni come se galleggiasse. Al posto del sospiro misterioso dell'acqua, ha nelle orecchie il mor-morio delle voci delle altre ragazze. Ogni giorno, per due minuti o tre, sentendosi sia bene in vista sia impercettibile, si fonde a loro insaputa alPorganismo collettivo - alle braccia, alle gambe lisce e scoperte, ai capelli sciolti - e immagina tempora- neamente di essere una di loro. Si nutre delle loro parolacce e dei loro scherni, delle boccate delle loro sigarette elettroniche. Sono creature cosi belle e inarrivabili, molto piú belle dei maschi tanto desiderati da tutte. Per quei pochi minuti si lascia awolgere dalla loro energia, dalla loro amicizia, da tutto il meraviglioso spazio bianco che ě il loro futuro. La sensazione dura poco: ě come quelle piogge ritrose che cadono per brevissi-mo tempo in estate, quando si sente lo scrocchio delle gocce, a una a una, sulle fo-glie o sul tetto o contro il vetro e si corre fuori un istante per sentire Pacqua sul viso. In effetti la ragazza avrebbe voglia di stare piú a lungo sulla scalinata, anzi, di stare sempre sulla scalinata, di sentirsi in discesa con le sue compagne di classe, in quel branco che la trasporta come fosse un rametto nel fiume spinto automatica-mente dalla corrente. Perció le dispiace raggiungere Pultimo gradino, staccarsi dalle altre, e procedere per conto suo. 5.1 due fratelli I due fratelli che si siedono sulla scalinata verso il tramonto per bere una birra ri-cordano che, quando si erano trasferiti a Roma con i genitori, la scalinata era anco-ra un ritrovo pacifico. I fratelli alPepoca avevano otto e dieci anni, ma ora che ne hanno cinquanta e cinquantadue i loro ricordi lontani sono o molto precisi o molto sbiaditi. Ricordano delle cose buffe, per esempio, visto che la lavatrice nel loro ap-partamento non funzionava bene, una delle prime commissioni era stata comprare dei calzini e delle mutande in un piccolo negozio gestito da una coppia anziana, con la signora che tirava fuori la měrce da una série di scatole ben impilate sugli piú informazioni < > • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBh Q ABC esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q P OS scaffali come se fossero piene di banconote, mentre il signore guardava la famiglia frastornata con un discreto sospetto, anche se in quel negozio cosi angusto non sa-rebbe stato possibile rubare o rovinare qualcosa, o perfino toccarla. II fratello maggiore si ricorda (ancora con una čerta irritazione) della volta in cui avevano preso l'autobus, dopo aver aspettato alia fermata piú di una mezz'ora, per andare a vedere la loro nuova scuola - una struttura arancione dietro un cancello alto e verde circondata da campi da tennis e da calcio - giusto per dare un'occhia-ta, perché era estate e la scuola era chiusa e non c'era un'anima. II fratello minore non si ricorda di quell'escursione inutile, ma si ricorda perfet-tamente dello scuolabus grigio che li portava alia scuola piena di studenti che veni-vano da tutto il mondo, e delle bandiere nel cortile, e del preside - un signore basso ed enigmatico che si vestiva in maniera distinta ma strampalata, con le scarpe colorate e gli occhiali grandi dalle montature capricciose - sempre seduto su una panchina appena fuori dell'ingresso per dare il benvenuto a tutti ogni mattina, e di alcune madri che con le borsette e i gioielli e i tacchi alti (a differenza della loro madre, con i suoi capelli corti, le scarpe basse, il viso poco truccato e i vestiti spor-tivi e dimenticabili) sembravano pronte per andare in discoteca alle otto del matti-no. Si ricordano di qualche insegnante, quello di scienze che era anche l'allenatore della squadra di calcio e li faceva giocare pure sotto la pioggia, e quella di storia, una donna severa con il rossetto color fucsia sulle labbra strette che li aveva porta-ti a Ostia e a Tarquinia. Entrambi i fratelli si ricordano della stanza che condividevano in un palazzo gial-lo ai piedi della scalinata, nell'appartamento al primo piano che sembrava congela-to nel tempo, pieno di mobili scuri e scomodi, con una vasca profonda nel bagno tutto bianco e le zanzare anche d'inverno. Se la sera pioveva non si potevano sten-dere i panni sul tetto piatto. L'asciugatrice era messa ancora peggio della lavatrice, ma una volta la madre, disperata, l'aveva accesa e le luci erano saltate. Avevano do-vuto chiamare la proprietaria dell'appartamento, che viveva all'estero, per capire che il quadro elettrico era nascosto dietro una brutta natura morta nel corridoio. Si ricordano certo della ragazza che abitava all'ultimo piano, studiava canto e scendeva per fare la babysitter, e parlava con loro in italiano quando ancora non lo capivano quasi per niente. Con lei giocavano a carte e disegnavano creature assur-de, piegando foglietti e nascondendo la parte specifica del corpo - testa, tronco, gambe fino ai ginocchi - appena disegnata da qualcun altro. II fratello minore si ricorda di aver custodito tutti quei disegni divertenti finché non si erano persi. Si ricordano di aver festeggiato, un anno, il Giorno del ringraziamento da un'al-tra famiglia americana che si era trasferita dall'Africa, in una casa gelida piena di scatoloni come se fosse stata un magazzino, dove la loro madre, sempre freddolo-sa, non aveva voluto togliersi il cappotto a tavola. II fratello piccolo si ricorda che la madre aveva organizzato, per il suo primo compleanno a Roma, un pranzo in una trattoria del centro, in una piazza con un grande fico su un lato. La madre aveva invitato i suoi compagni di classe insieme ai loro genitori e, anche se si aspettava che quasi nessuno venisse, erano comparsi quasi tutti, entusiasti, con grandi regali, alcuni costosi. I genitori avevano mangia-to e bevuto ai tavoli lunghi, i ragazzi nella sala accanto, solo che loro erano usciti per giocare a pallone sotto il fico senza mangiare quasi niente, per cui la madre era uscita preoccupata e aveva proposto che tornassero dentro per la torta. II fratello maggiore si ricorda appena di quella festa un po' caotica, ma si ricorda bene di una lite quando il padre aveva prenotato in un'altra trattoria molto carina che secondo la madre era un posto per turisti e dopo la cena la madre si era fermata a piangere su una panchina in una piazza piena di gente e il padre e loro due non sapevano cosa fare. piú informazioni • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBh Q ABC esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q P OS Passano al ricordo delle domeniche, quando salivano la scalinata per andare con il padre al parco a giocare a baseball o a pallone, e verso il tramonto si trovavano dentro un nuvolone di piccoli insetti che svolazzavano da tutte le parti. Se veniva anche la madre, faceva una passeggiata da sola lungo i sentieri di ghiaia mentre loro giocavano con il padre. In quei giorni, pero, era presa da un libro che stava scrivendo, quindi spesso si rinchiudeva in casa a lavorare e loro due andavano in giro con il padre (che aveva qualche impegno lavorativo che riusciva a fare da casa senza stressarsi) per visitare chiese e musei e monumenti. In generále, visto che la madre andava sovente a conferenze a Venezia o a Firenze o altrove, era il padre che faceva la spesa e preparava da mangiare. Paradossalmente, pensano ora, la madre, che voleva tanto vivere a Roma per fare ricerche e scrivere il suo libro, pareva il piú delle volte triste o nervosa, mentre il padre era molto allegro. Non si vergognava di dire cose sbagliate in italiano nei negozi e nei ristoranti, mentre la madre si mortificava. Ma ora la memoria casca in un altro antro e il fratello maggiore insiste che l'uomo con la barba bionda, che li accompagnava quando facevano certe gite in campagna, guidasse la macchina quando erano andati verso Rieti. Anche lui era un padre, di due gemelle che frequentavano la stessa scuola internazionale, ma erano piu piccole, per cui i fratelli non avevano nessun contatto con loro. Quel giorno erano in quattro in macchina, le gemelle dell'altro padre non c'erano. I fratelli ri-cordano bene i particolari di quella gita: i cavalli nei campi che si awicinavano dolci fino alio steccato per farsi accarezzare, e un anfiteatro in mezzo al nulla, e un campanile con scritte in latino, i caratteri messi verticalmente e di lato o sottoso-pra, e le file precise degli ulivi sulle colline. AlPanfiteatro l'altro padre li aveva gui-dati spiegando come ogni mattone fosse fatto a mano, per esempio. All'epoca, in-formazioni del genere non interessavano ai fratelli, che correvano invece sotto il palcoscenico e saltavano spavaldamente da un'altezza notevole verso una specie di pianerottolo roccioso. Pensavano, mentre si divertivano da matti, che i due padri fossero sempre li a decifrare qualche iscrizione latina, ma quando i fratelli erano risaliti per raggiungerli non li avevano trovati. Li avevano visti sbucare da dietro un muro dopo una decina di minuti. II fratello maggiore sostiene che era stato il loro padre ad aver affittato un'auto e guidato fino a Rieti, ma il fratello minore e convinto che fossero nella macchina scassata dell'altro. Quell'anno era volato. A giugno i fratelli avevano dovuto salutare i maestri e il preside della scuola, anche se appena finite le lezioni erano stati mandati in un campeggio per due settimane a stare ancora un po' con i loro nuovi amici da cui stavano gia per separarsi. I genitori erano andati ad accompagnarli e li avevano la-sciati in cima a una montagna. Prati di mucche, tornanti pericolosi. La madre gui-dava all'andata, delle volte non ce la faceva a scalare in tempo le marce sulle strade ripide e il motore si spegneva. Anche li, non riuscendo a far partire la macchina in salita, si era messa a piangere. Due settimane dopo i genitori erano tornati a prenderli. La madre aveva un'aria molto stanca e quando li aveva baciati e abbracciati uno dei fratelli si ricorda che il suo corpo era teso e che non emanava il solito profumo di erba e limone. Erano ri-partiti per la citta, ma a un certo punto si erano fermati, giusto il tempo di fare una sosta e mangiare un panino, pero dopo il panino erano rimasti ancora un po' all'aperto davanti a un bel panorama e li il padre aveva detto che voleva molto bene all'altro padre. Non solo da amico ma come voleva bene alia loro madre, e che quel sentimento per lei si era trasformato con gli anni in un altro tipo di affet-to. Aveva spiegato che sarebbe rimasto a Roma e che ogni estate i fratelli sarebbe-ro tornati per stare insieme a lui e fare delle belle vacanze. La madre quasi non reagiva, guardava l'orizzonte e la vallata in lontananza mentre il padre parlava. Di Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBľ Q ABC esteso Mar 17:55 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ P OS tanto in tanto un treno tagliava il passaggio, un fruscio veloce e temporaneo che rendeva ancora piu intenso il silenzio che seguiva. Cosi era stato. I ragazzi erano rientrati con la madre tradita e avevano ripreso la vita di prima nella cittadina universitaria dove la madre teneva i suoi corsi, mentre il padre era restato indietro, follemente innamorato. II padre e l'altro padre, chia-mato E, avevano fatto scalpore nella scuola arancione dietro il cancello verde e avevano dominato per un po' i pettegolezzi delle madri. Da allora i fratelli avevano avuto una madre in un posto e due padri in un altro, tornavano a Roma tutte le estati e facevano delle belle vacanze in giro per varie isole, un paio di volte in barca a vela, sempre con E, certe volte anche con le sue gemelle, che con gli anni erano diventate due ragazze belle con i capelli lunghi fino al sedere e non davano mai retta ai fratelli. Col tempo il padre e E avevano deciso di comprare un pezzo di terra in campa-gna e avevano fatto costruire una casa non lontano da quell'anfiteatro, prima per passare li i fine settimana e una bella fetta d'estate, poi tutti i mesi, perche voleva-no raccogliere le olive e vendemmiare e fare lunghe passeggiate in mezzo al nulla. Era una bella casa in una vallata dove il vento si alzava sempre dopo le due del po-meriggio e l'aria era pervasa dal profumo della lavanda. Oltre l'uliveto avevano messo una piscina, che bisognava pulire spesso con il retino perche ci cascavano dentro api, farfalle bianche e nere, lucertole nere con le pance bianche e piccole macchie gialle. I fratelli si erano affezionati a quel luogo e man mano avevano por-tato le loro fidanzate, le loro mogli, i loro figli. Un pomeriggio, mentre tirava il vento che si alzava dopo le due, il padre si era seduto su una panchina sotto un ulivo per ammirare la vallata e se n'era andato senza soffrire. E, che era uscito a fare qualche spesa in paese, l'aveva trovato steso sulPerba con gli occhi aperti verso il cielo e i capelli bianchi agitati dal vento. Ě stato sepolto nel cimitero di quel paese, li accanto c'era giä lo spazio per F. I fratelli sono tornati per il funerale con le loro mogli, le loro famiglie. Hanno nuo-tato nella piscina sempre piena di creature o giä morte o in una specie di agonia, pulendola spesso con il retino, il gioco preferito dei loro figli. Ecco la ragione per cui, mentre le mogli e i figli sono in giro per altre cittä, i due fratelli, dopo aver sistemato delle cose e passato qualche giorno con F. dopo il funerale, sono scesi a Roma da soli per fare visita al vecchio quartiere e sedersi sulla scalinata da dove si vede ancora il palazzo giallo, ora di un tono piu acceso, in cui avevano vissuto per un anno con i genitori quando erano ancora marito e moglie. Ricostruiscono con attenzione la domenica in cui erano saliti per giocare al par-co con il padre (ancora cosi giovane, piu giovane dei fratelli adesso, spilungone) mentre un altro padre della loro scuola scendeva per andare a correre lungo il flume. I due padri si erano incrociati e riconosciuti, si erano parlati e dati appunta-mento per un caffe, mentre i fratelli scalpitavano per raggiungere il parco. «E stato il momento piu folgorante della mia vita» ha detto F. dopo il funerale. In quel breve scambio sulla scalinata i due uomini avevano capito con una chiarezza lancinan-te tutto quello che sarebbe accaduto senza sapere ancora come o quando. E i fratelli, che vogliono molto bene alle loro mogli e ai loro figli, confessano l'uno all'al-tro di non avere mai sperimentato con la stessa certezza una passione del genere. 6. Lo sceneggiatore Lo sceneggiatore che abita in un palazzo a ridosso della scalinata e che rimane a casa quasi tutto il giorno si sente, in questa settimana di calura, una specie di Dra-cula. Stamattina ha di nuovo dormito fino alle dieci passate per via del caldo. E < > piu informazioni Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBľ Q ABC esteso Mar 17:55 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ P OS mentre dormiva, male, sentiva il ticchettare del ventilátore ehe girava sopra di lui -un rumore ora frenetico, ora lento - per cui eredeva nel sogno di essere ancora gio-vane, ranniechiato scomodamente davanti alia macehina da serivere di una volta, con i tentacoli di metallo ehe colpivano a turno il foglio bianco. Appena sveglio chiude le persiane e ritira le stecehe ehe ha lasciato aperte di notte per far entrare nella stanza un filo ďaria. Giä troppo tardi per fare una pas-seggiata al fresco. Normalmente la mattina ama camminare da solo nel suo quar-tiere per sgranchire le gambe e raceogliere i pensieri prima di sedersi e concentrar-si alla serivania. Durante il giorno vede un cielo piú bianco ehe azzurro. Sente nelľaria odore di bruciato, sarä ľodore di un rogo di sterpaglie scoppiato chissä dove nel verde sempře piú traseurato delia cittä. Alľora di pranzo esce brevemente, attraversa la strada per mangiare un toast pallido al bar, poi torna in casa. Essendo alle prese con un nuovo progetto, lo sceneggiatore ě costretto questa settimana a stare a Roma. Lavóra insieme a un altro sceneggiatore: di solito va a casa sua o ľaltro viene da lui e serivono nella sala da pranzo, ma oggi fa troppo caldo e in piú c'e uno sciopero dei taxi, quindi hanno deciso di evitare gli sposta-menti e di lavorare separatamente. Ieri c'e stata una lunga riunione in casa del re-gista. Fanno un film ambientato nella Roma dell'Ottocento, nel periodo in cui un ragazzo sedicenne, un tamburino garibaldino troppo basso per combattere, fu ucci-so in cima alia scalinata sotto la quale lo sceneggiatore normalmente posteggia la sua macehina. II film paria di altro, ma il regista ci tiene a girare una scéna rierean-do il momento in cui il ragazzo - gridando «Viva Roma!» - venne colpito da un sol-dato francese nel mezzo delia fronte. Dopo pranzo sente la moglie - la seconda - ehe ha ventidue anni meno di lui e ehe ha preso la macehina per stare al mare con i loro due figli. La seconda moglie non sopporta Roma in estate. A fine giugno, tutti gli anni, si trasferisce allo stesso mare, la stessa spiaggia dove ha trascorso tutte le estati della sua vita. Lo stesso stabilimento, le stesse amiche sotto 1'ombrellone, lo stesso tratto di sabbia. La casa (ereditata dai suoceri, una coppia che, anni fa, faceva vagamente parte del giro sociále dello sceneggiatore) si trova in un villaggio condominiale con un cancello che si chiude al mondo e un sottopassaggio privato che porta i residenti al mare. La moglie passa la giornata a chiacehierare con gli amici della sua infanzia, forse a salutare qualche ex fidanzato al baretto, e se torna a casa un attimo lascia il telo e le creme tranquillamente sulla sabbia. La porta della loro casa ě sempře aperta, con i ragazzi che formano le loro bandě secondo le etá e si spostano in continua-zione per giocare a guardie e ladri. Bouganvillea, sabbia appiccicosa, lucertole sot-tilissime che saltano ai piedi. Un paradiso dove il sole sfrigola sull'acqua al tra-monto, un posto in cui lo sceneggiatore riesce a combinare pochissimo. Negli ultimi giomi lo sceneggiatore esce sempře di casa la sera per cenare fuori, da solo o con un amico, e poi per studiare i volti dei giovani, per ricordarsi dell'a-spetto fisico di un sedicenne, anche la postura, 1'attitudine, il modo di comportar-si. Alcuni sono giá uomini, altri ancora quasi bambini. Sono tutti beati, anche sfi-gati, intrappolati in una cittá bollente a differenza dei suoi figli piccoli che fanno bei bagni nell'amato mare della madre e dei nonni e dei bisnonni e giocano sfrena-ti fino a mezzanotte dietro il cancello chiuso al mondo. I figli che ha avuto con la seconda moglie sono ancora lontani dalla puberta: la femmina, magrissima, mette solo le mutande per fare il bagno, mentre il maschietto non vuole avere nulla a che fare con le femmine. Ma prima o poi cambieranno e diventeranno come gli altri due figli dello sceneggiatore, avuti dal matrimonio precedente, che sono ormai giá adulti e hanno figli propri. piú informazioni • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBh Q ABC esteso Mar 17:55 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, P OS Di notte la scalinata pare una specie di anfiteatro antico con gli adolescenti in gruppi seduti all'aperto per assistere a qualche tragedia, solo che lo spettacolo sono loro: il dramma notturno consiste negli scambi urgenti, oppure svogliati, pri-vati pur essendo in pubblico. Non badano a nulla a parte i loro nuclei separati. Che cosa sapranno del povero tamburino sacrificato in cima ai tempi di Garibaldi? Una volta, guardandoli, alio sceneggiatore era venuta in mente un'idea: come sa-rebbe girare questa scéna, questo rituále notturno? Fare un film, magari una specie di documentario che segua le vite dei ragazzi inquadrando questo ritrovo? Come sarebbe intervistarli, capire meglio il loro stato d'animo oscuro, inafferrabi-le? Ma dopo la scintilla iniziale aveva scartato Pidea, non gli va di occuparsi della loro presenza, alia fine, urtante. La sera stacca dal lavoro e chiude il computer accaldato e ronzante. Si fa la doc-cia, si rade e si pettina. Mette una camicia fresca di lino e Porologio al polso (rega-lato dalla seconda moglie a una festa a sorpresa quando lui ha compiuto sessan-t'anni) per capire quanto avrá camminato. Prepara la valigia (piccola) per andare al mare il giorno dopo. L'amico con cui doveva prendere uno spritz sul tetto di un al-bergo lo chiama all'ultimo per dirgli che ha un contrattempo. Cosi lo sceneggiatore rimane a casa, beve un succo di pompelmo e guarda qualche programma in televisione. Verso le nove va da solo a cena in una trattoria del quartiere, in fondo a una strada che sbocca davanti a una grande chiesa color pesca posizionata di sbieco ri-spetto alia prospettiva. L'odore di bruciato nell'aria si é attenuato, ma lo sente an-cora, appena appena. Saluta i padroni - una madre e un figlio - e si siede a un ta-volo all'aperto, su una sedia che gli permette di ammirare la facciata della chiesa di fronte al cielo, a quest'ora intensamente cobalto. II solito cameriere gli porta un primo, un secondo, del vino bianco. Mangia, poi accetta l'amaro in un bicchierino piacevolmente gelato. Guarda, tutto il tempo, la bella chiesa color pesca chiusa e vuota. Solo che ormai assume la sfumatura rossa e accesa dell'anguria. Mentre beve l'amaro lo visita una vespa che assaggia un attimo il cantuccio ri-masto sul piattino. Di solito, pensa lo sceneggiatore, le vespe molestano di piu a pranzo. Sara Paria ancora ferma. I pensieri scivolano verso una vacanza di decenni prima, quando stava con la prima moglie e i figli erano piccoli e lui e la moglie an-davano ancora d'accordo. Erano su un'isola greca dove si faceva, tutte le mattine, colazione all'aperto a un grande tavolo che dava sul mare, sotto un tendone tumi-do di cotone bianco, un tavolo unico condiviso con gli altri ospiti dell'albergo. Una colazione lunga e abbondante con pane e biscottini al sesamo appena sfornati e yogurt denso e delizioso e miele e la frutta fresca dell'isola. Non c'era mai un filo d'aria e purtroppo arrivavano le vespe che davano molto fastidio. Zigzagavano e si awicinavano pericolosamente, sfioravano quasi le braccia, le guance, le spalle nude dei figli, terrorizzandoli. II maschio si irrigidiva, la femmina aveva gli occhi sgrana-ti pieni di lacrime. Era impossibile cacciarle via. Invece lo sceneggiatore utilizzava i bicchieri vuoti, girandoli sottosopra sul tavolo per intrappolarle prontamente, era diventato esper-to, adoperando due bicchieri alio stesso tempo, uno a destra e uno a sinistra. Una volta confinate, le vespe piacevano ai figli, che le studiavano rapiti. Alia fine della colazione c'erano sempře almeno sei o sette bicchieri rovesciati con le vespe che si muovevano dentro le loro prigioni cilindriche di vetro. Camminavano velocemente su e giu, cercando una via di scampo, con le loro ali sottili a V. Alcuni insetti cade-vano verso il tavolo ma non soffocavano, non smettevano mai di muoversi, non erano mai a riposo. Anzi, erano sempre febbrili, determinati, antipatici. Notava che se intrappolava una vespa, ne arrivavano altre per sostituirla, forse a causa del-le comunicazioni chimiche all'interno delle loro colonic Prima di lasciare il tavolo Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBľ Q ABC esteso Mar 17:55 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ Q, P OS per andare in piscina o al mare lo sceneggiatore le liberava tutte, e appena levava il bicchiere le creature si sprigionavano dalla loro clausura e sfrecciavano via, ancora piú determinate, verso le nuvole. Lo sceneggiatore dubita ehe i suoi figli ormai adulti abbiano qualche ricordo di quelľestate, e delle vespe intrappolate dentro i biechieri da un padre alľepoca eroico. Prende un bicchiere, butta via ľacqua e cerca di contenere questa vespa qua, ma non ce la fa. Dopo cena inizia a camminare per le strade dissestate. Evita il Lungotevere, le piazze piene di gente. Sentendosi ancora una specie di Dracula ehe circola solo di notte, si nutre dello splendore, pur essendo assediato e sempre piú degradato, delia sua cittä. A differenza delia moglie, ama e perdona Roma in ogni stagione. Pas-seggia accanito in cerca di un filo ďaria. Legge delle targhe commemorative su qualche edificio negli angoli deserti e i nomi ebrei sotto i portoni incisi in oro fra i sampietrini. Si ferma davanti a una fontána ehe sfugge, a quesťora, ai turisti. Fi-nalmente, verso le undici, si sta bene. Ľodore di bruciato nelľaria ě completamen-te sparito. Cammina per oltre un'ora nella cittä sempre piú spopolata guardando ľorologio di tanto in tanto. Pensa ehe dormirä bene stasera. Soddisfatto, torna verso casa sua. Domani mattina prenderä il treno per raggiungere la seconda famiglia. La moglie verrä a prenderlo alia stazione in macehina e sarä una gioia vederla, lei ehe a quarantadue anni sembra ancora una ragazza degna delia scalinata di sera. Faranno una passeggiata sulla battigia verso una torre sul promontorio e saluteranno i vari amici (e forse qualche ex fidanzato delia moglie) sulla spiaggia. E lui penserä con una čerta malinconia, quando vedrá ľacqua risalire la battigia, ehe ogni sforzo, an-che ogni piacere delia vita, ogni traguardo raggiunto o realizzato, ogni ricordo, dura solo per un istante, cosi come ľacqua ehe si getta sulla spiaggia, lasciando una maechia spontanea i cui contorni altalenanti, come la linea tracciata dai battiti cardiaci, non si ripetono mai. Lo sceneggiatore, a due passi dal suo palazzo, gira 1'angolo aspettandosi il solito anfiteatro chiassoso. Invece vede che la scalinata ě vuota; stasera, chissá per quale motivo, i ragazzi del quartiere hanno deciso di fare baldoria da qualche altra parte. Nota i punti bianchi dei lampioni accesi che formano, attorno alla scalinata, una specie di costellazione simmetrica, come una grande ampia lettera M, e i sei piloni protettivi in cima. Si chiede se una maechina lassú sia mai schizzata fuori strada, se sia precipitata. Procede per la sua via silenziosa e tendenzialmente buia, camminando fra le maechine parcheggiate a spina di pesce. Controlla la sua. Bisogna mettere la benzi-na. E quasi arrivato al portone quando decide, all'ultimo momento, di salire tutta la scalinata, tutti i centoventisei gradini, giusto per farlo, perché stasera ě tutta sua, perché gli va di fare un ultimo sforzo prima di buttarsi sul letto sotto il tic-chettare del ventilátore. Dopo il primo blocco di gradini si accorge di qualche presenza attorno a lui. Piú di una persona, almeno due ma forse tre. Poi sente un oggetto alla nuca, una cosa tagliente, piú spessa di un coltello e non abbastanza lunga per esserlo. Arriva la voce di un ragazzo ancora giovane che ha bevuto. «Vögliamo tutti i soldi. L'orologio pure.» Ora capisce che l'oggetto alla nuca, freddo e delicato, ě quasi certamente un coc-cio di vetro, uno dei tanti che stanno ai suoi piedi, e capisce anche che a quesťora, in una situazione del genere, non ha altra scelta che ubbidire. Tira fuori il portafo-glio, consegna i soldi; appena stende un braccio il ragazzo gli strappa via 1'orologio regalato dalla moglie alla festa a sorpresa. Prima di girarsi mette la mano sulla nuca per vedere se c'ě sangue. Sulle dita non c'ě niente, sente solo pizzicare, e con Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4») 98% iBľ Q ABC esteso Mar 17:55 Q. Q :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ Q, P 05 gli occhi segue, finché puô, tre giovani visti di spalle ehe - come le vespe ehe una volta intrappolava e poi liberava, abilmente, per proteggere i suoi figli - sfrecciano via e svaniscono. Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 98% iBľ Q ABC esteso Mar 17:56 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ Q, p OS III V MlolEbookReader Modifica Si W ^ C $ ^ 97% QABC-esteso Mar 17:56 Q, © != MlolEbookReader - Racconti romani ■ I AlPinizio non li volevo, perché i vestiti mi arrivano al ginocchio e sono abituata a coprirmi di piú. Ma la signora ha insistito: «Basta con quegli abiti che ti nascon-dono dalla těsta ai piedi, fa caldissimo, hai belle gambe, qui nessuno ti dice niente, devi staré piu comoda». Un giorno mi chiede di portarle la posta che ho messo da parte e prende atto delPawiso di giacenza. «Non so cosa sia, forse qualche libro, oppure puó darsi che uno dei ragazzi mi abbia spedito qualche cosa, vai in posta a ritirarlo.» Poi firma 1'awiso, delegandomi la responsabilitá. Fa molto caldo, non me la sento di attraversare il ponte a quelPora a piedi, picchia troppo il sole. Prendo 1'autobus per andare alla posta. Ma 1'autobus ě fastidioso, vibra rumorosamente come un trapano che sta per spaccare il marciapiede. Neanche staré seduta mi piace, i sedili sono scomodi, troppo alti, per cui con le scarpe tocco appena terra. In piedi, in quella folia tanto intima quanto ostile, sto male. Mi piace pero la gonna a pois della signora, con delle pieghe morbide e due ta-sche comode per le mani. La stoffa ě biu scuro e le palline sono piccole, bianche. Sono anni che non mi metto una cosa del genere. AlFufficio postale c'ě tanta gente. Prenoto un numero e comincio ad aspettare. Le sedie di legno sono attaccate a una sbarra fissata al pavimento di marmo. Guardo lo sportello mentre i numeri rossi delle prenotazioni cambiano, segnala-ti da uno squillo mentre lampeggiano sul tabellone. Dietro lo sportello stanno gli impiegati, tutte signore che chiacchierano tra di loro come le zie a un matrimonio. Noi invece siamo seduti silenziosi come un piccolo pubblico davanti a uno spettacolo. Q P OS Al piano di sopra c'ě perfino una sorta di balcone, curvo, di vetro. Tutto sommato c'ě di peggio, ě un luogo caotico ma anche fresco. Uno accanto a me legge il giornale. E con la coda dell'occhio vedo una foto scat-tata dalle mie parti, dove ďestate piove molto. Qui invece quesťestate non piove mai e dicono che chiuderanno 1'acqua dei na-soni che scorre lungo i marciapiedi giorno e notte. Nella foto c'ě una fila di corpi, tutti bambini. Sono affogati nella traversata del fiume al confine. Due madri coprono i cadaveri con un telo immenso, come per te-nerli al caldo mentre dormono. I bambini hanno i visi tondi rivolti al cielo. Uno pero, piccolino, ha la těsta girata a sinistra, con gli occhi chiusi, come se riposasse. Dopo circa mezz'ora appare il numero della mia prenotazione. Raggiungo lo sportello ma devo ancora aspettare perché la ragazza davanti a me, che sembrava aver finito, sta sempře li a parlare con la signora della posta. Chiede qualche infor-mazione in piú. Porta un vestito trasparente, che rivela il reggiseno nero e quasi tutta la lunghezza delle gambe. Ha le spalle nude e i sandali piatti. Ma come dice la signora, qui nessuno ti dice niente. Una spallina sottilissima del vestito ě scivo-lata giú ma la ragazza la ignora, non la mette a posto. Continua a parlare con la signora dietro lo sportello. Parlano cosi tanto che si direbbero amiche. II sorriso con cui 1'impiegata parla alla ragazza sparisce quando mi presento io. Tiro fuori 1'awiso firmato dalla signora e il mio documento. Ma l'impiegata mi dice, sbrigativa: «Non c'ě piú nulla qui, il pacco ě stato giá rispedito». Poi mi fa vedere bene, con il bordo delPunghia, dove c'ě scritto che il pacco sa-rebbe stato disponibile solo per sette giorni lavorativi dalla data di rilascio delPawiso. «Ma dov'ě stato rispedito?» piú informazioni 210 V MIolEbookReader Modifica ^ ö $ ^ 4») 97% (■)> QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MIolEbookReader - Racconti romani © «Non so dirti.» «Chi l'ha spedito?» «Non ne ho idea.» «E quindi?» «Quindi niente, arrivederci.» Sono dispiaciuta e spero che la signora non si arrabbi troppo. Fuori soffia un po' di vento e decido di tornare a casa a piedi. Piacevole, mentre attraverso il ponte, sentire la gonna awolgermi come una nuvola. Mi fermo un attimo a guardare il fiume che scorre piu veloce di quanto mi aspetti. Verde il fiume, verdi le piante, anche le foglie ingrandite dei platani che crescono fitti lungo la riva. Mi colpisce, sul muro del parapetto, accanto al mio go-mito, una massa sparsa ma unita di formiche che portano via una mosca morta, grande e pesante rispetto a loro. Sono commossa dalla loro tenacia. Come al solito c'e una coppia di giovani che si baciano lentamente, spensierati, incastonati in un loro altrove: lui in piedi, lei seduta tranquilla, spericolata, sul parapetto. Basterebbe una spinta leggera, perfino una raffica di vento, per farla cade-re all'indietro. Dopo il ponte passo sotto un arco diroccato da cui spuntano le erbacce. Poi supero una serie di negozi che vendono biciclette. AlPimprowiso mi viene voglia di montarne una, tornare al fiume e pedalare sulla pista ciclabile. Non riesco a ricordare l'ultima volta che sono andata in bici. Avrö perso l'equili-brio? Avevo imparato da ragazza grazie a mio fratello con cui esploravo strade im-polverate. E mi ricordo ancora la sensazione meravigliosa dell'aria contro il viso. Invece continuo a camminare verso la casa della signora stando all'ombra, mi pare verde anche quella, su una strada senza traffico, fresca e solitaria. Q P Penso, che peccato per il pacco, dovevo andare subito a ritirarlo. Sono assorta in vari altri pensieri quando sento il rumore di un motorino dietro di me. E molto vicino, sembra rallentare, di colpo una voce grida: «Vatti a lavare quelle gambe». Mi giro e Ii vedo per un attimo. Sono due ragazzi in motorino, portano caschi e occhiali da sole con la montatura sottile. Poi sento un dolore forte alla spalla, e vedo il cielo sopra di me. Abbiamo deciso di tornare nella stessa spiaggia libera dove siamo stati l'ultima volta. Magari al bar incontriamo di nuovo le ragazze. Quella con lo smalto blu, con i tatuaggi sul braccio, mi e piaciuta. Abbiamo parlato qualche minuto. Magari le becchiamo di nuovo. Per lasciare la cittä prendiamo una lunga strada murata, un nastro snello di sali-scendi continui. Poi procediamo in mezzo alla campagna, e bella, con il mare steso a sinistra. II terreno e piatto e si vede tanto cielo, con le nuvole bianche, gigante-sche, che sembrano spuntare dal basso. L'autostrada e scura e liscia, l'asfalto sembra appena rifatto, come se noi fossimo i primi a percorrerlo. A un certo punto superiamo una cittä, in cima a un colle, e mi viene in mente una cosa che mi aveva detto mio nonno quando ero piccolo e facevamo questa stessa strada in macchina: che in altri tempi, il mare era a ridosso della cittä, prima che la strada esistesse. Arriviamo alla spiaggia alle quattro passate. Fa sempre caldo, la campagna intor-no e brulla, sono piü di cento giorni di fila che non piove. II parcheggio e polveroso e si sentono gli insetti che brulicano nel fieno. Mentre il mio amico sistema il motorino vedo un ragazzo che spinge una sedia a rotelle dove e seduto un altro ragazzo, forse suo fratello. Hanno voll r piü informazioni V MlolEbookReader Modifica Si W ^ C $ ^ 97% QABC-esteso Mar 17:56 Q, © != MlolEbookReader - Racconti romani ■ QABC-esteso Mar 17:56 Q, O \= MlolEbookReader - Racconti románi ■ QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MIolEbookReader - Racconti romani © H5> La processione 1 Lei non soffre il fuso orario. Anzi, la lama di luce acuta che entrava ieri dal fine-strino poco prima delPatterraggio, trasformando di scatto il viaggio notturno in alba, l'ha scossa come fosse corrente elettrica. Gia sul treno dall'aeroporto (ciascu-no di loro due aveva una valigia sola, uno zaino solo, come se fossero una giovane coppia in giro per il mondo) ha subito riconosciuto il cielo, i campi, i giunchi, qualche cupola sperduta. Palazzi gialli in lontananza, balconi carichi di piante. Dal tram ha ritrovato i platani lungo il viale con i tronchi spessi la cui corteccia richia-ma le macchie del camuffamento militare. Stamattina si e svegliata presto per fare colazione da sola e poi due spese nella piazza piu vicina. Lui, ancora rintronato, ha dormito fino a mezzogiorno. Non e mai stato a Roma anche se ha visitato altre capitali europee. Sono qui per festeggiare i cinquant'anni della moglie, in realta compiuti qualche mese fa, mentre entrambi erano alle prese con l'universita dove insegnano insieme. Lui Giurisprudenza, lei Biologia. Lui sa che Roma fa parte della vita di lei: che lei, prima che si conoscessero, a diciannove anni, aveva studiato li per un anno e si era innamorata per la prima volta di un ra-gazzo romano. L'appartamento che hanno preso in affitto e arredato in maniera contrastante: il divanetto in pelle nera e le lampade in acciaio sono di taglio moderno, come il ta- Q P volino trasparente, ma ci sono anche grandi specchi con cornici dorate, una vetrina d'angolo con tre gambe tozze e una consolle a mezzaluna munita di una gamba sola frontale che scende come la coda di una creatura selvaggia. Sul tavolino, un vaso di girasoli che hanno appena iniziato a penzolare. Lungo una delle pareti, un pianoforte con tasti ingialliti e scheggiati, sopra il quale e'e una serie di quadri pic-coli con paesaggi scuri. Nella sala accanto e'e una credenza massiccia e un tavolo rotondo impreziosito ai lati da mascheroni e ricoperto di vari oggetti sparpagliati: libri, quaderni, riviste, bottiglie d'acqua, dispositivi elettronici, cavi, pacchettini di cracker, una macchina fotografica, occhiali da sole, tubetti di pomate, uno spray antizanzare e boccette di pillole. Sopra il tavolo, un lampadario pencolante di cristallo, con qualche candela mancante e la rosetta parzialmente staccata dal soffitto. Lui, seduto sul divano, si sta allacciando un paio di scarpe da tennis. E appena uscito dalla doccia e ha i capelli ancora bagnati. Lei, gia pronta per uscire, ha una borsa a tracolla e un lungo vestito di lino. Ha raccolto i capelli argentati sulla nuca, con la riga in mezzo. Mentre aspetta il marito davanti al pianoforte, fruga in una ciotola piena di chiavi. «Non riesco ad aprirla.» «Cosa?» «La stanza in fondo al corridoio, e chiusa a chiave.» «Pensavo fosse un armadio.» «No, l'ho vista da fuori stamattina quando sono scesa. E la stanza che fa angolo. Secondo me riceve la luce piu bella a quest'ora.» «Fa caldo?» «Un po', ma non e'e umidita. Hai mangiato?» «Ho trovato del pane in cucina.» piu informazioni V MlolEbookReader Modifies Si W ^ O $ ^ 97% QABC-esteso Mar 17:56 Q, © != MlolEbookReader - Racconti romani O ■ I «Ti ho portato un cornetto, non 1'hai trovato?» Lei va in cucina e torna con un sacehettino bianco. «Tieni.» Solleva la seduta della panca davanti al pianoforte e tira fuori un libro di metodo. Si siede sulla panca, poi dice: «C'ě un punto fantastico nel corridoio, 1'hai notáto?, in cui passa sempře una brezza magica, che sa quasi di mare». Lui risponde, dopo aver inghiottito: «Qui sa tutto di mare anche per via dei gab-biani. Non me 1'aspettavo. A proposito della brezza, conviene mettere qualche peso davanti alia portafinestra in cucina, tende a sbattere». «Hai visto che c'ě una lavatrice sul balconcino?» «Anche una vecehia lavastoviglie.» «Chissá cosa c'ě li dentro.» «Nella lavastoviglie?» «No, nella stanza chiusa.» «Direi la roba dei padroni di casa. Le cose preziose che mettono via per evitare che qualche ospite distrugga l'appartamento.» Lei přeme casualmente un tasto del pianoforte, che non emette nessun suono. «Era questo l'appartamento in cui non potevi stare coi bambini?» «No, quello era 1'attico costoso che dava sul Tevere.» «Sarebbe stato bello utilizzare la stanza chiusa come studio.» «Possiamo lavorare tranquillamente al tavolo, ě grande.» Lei guarda in su. «Vedi com'e staccato? Non pensi che il lampadario potrebbe cadere in qualsiasi momento?» «Quel pezzo ě solo decorative» «A me sembra che sia attaccato al nulla. Com'era il tuo cornetto?» Q P OS «Buono. Che gusto ě?» «Visciola.» «Che cos'ě?» «Pare una specie di ciliegia ma non lo ě.» «Hai mangiato la stessa cosa?» «Si, mi sono seduta a un tavolino al bar e ho cercato di leggere qualche titolo del giornale.» «Domani andiamo insieme.» «Domani ě domenica e il bar sará chiuso.» «Ah.» «Allora, siamo pronti? Andiamo, sennó perdiamo la processione.» Lui inclina la testa sullo schienale del divano e chiude gli ocehi. «E se rimanessimo qui per evitare il caldo e goderci la brezza magica della casa?» «Su, ě una cosa da vedere.» «Spiegami di nuovo di cosa si tratta.» «Passa la Vergine.» «Sei mica credente.» «Non e'entra, vorrei solo rivederla dopo tutto questo tempo. E la ragione per cui ho cercato una casa da affittare in questa zona.» «Dawero?» «Ho ancora un ricordo cosi preciso di lei.» «Chi?» «Della Vergine.» «Com'ě?» «Bellissima, scolpita in legno, awolta in un abito di seta, con gioielli preziosi. Sará portata in spalla da uomini vestiti di bianco. Prima c'ě la banda musicale, poi Š MlolEbookReader Modifies <ŠŠ J? ^ $ ^ *») 97% (■)> QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MlolEbookReader - Racconti románi ■ QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MlolEbookReader - Racconti románi ■ QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MIolEbookReader - Racconti romani O 4* I piono la piazza. Hanno capelli e orli che sembrano vivi, che si muovono dalle loro teste e dai loro corpi come tentacoli. Lui osserva: «Quanto parlano». «E sempre con una tale urgenza.» «Cosa dicono l'una alPaltra? Riesci a capire?» «Solo qualche parola.» «Sembra che tutti si conoscano.» «Sono tutte stupende.» «Anche tu sei una donna stupenda.» «Non come queste.» «Che differenza c'e?» «Quando le osservo mi sento, non so, troppo proporzionata.» «Non e mica un difetto.» «Invece vorrei esagerare. Vorrei pesare cinque chili di meno, anche di piü, e por-tarli come Ii portano loro. Mi piacciono le loro rughe, i trucchi pesanti, i fisici enfa-tici, i sandali sciupati.» «Perche?» «Perche cosi sono al di lä della perfezione. Perche non se ne preoccupano, cosa che le rende ancora piü belle. Perche si vede che sono segnate dalla vita, attaccate alla vita.» «E noi no?» Tutt'attorno, mentre parlano, la piazza si riempie sempre piü di gente, di risate, di saluti affettuosi. Lei ritira la mano e leva una serie di fermagli in modo da sciogliere i capelli. Dice: «Con una di queste donne avresti vissuto diversamente, avresti avuto un'al-tra famiglia». Q P OS «Certo. E anche tu, con il tuo fidanzato romano.» Davanti alia coppia si e formato un gruppo, una famiglia composta da varie ge-nerazioni. La nonna e ancora giovane, cicciona. Ha i capelli corti e scuri, un rosset-to scuro sulle labbra. Tiene la sua nipotina per le dita e la aiuta a salire e scendere dal marciapiede. E totalmente assorta in questo gioco. La bambina traballa, piena di eccitazione e di titubanza. A un certo punto si stacca dalla nonna e riesce a cam-minare da sola, goffa. La madre della bambina, una donna alta e statuaria con un prendisole, vistosa-mente incinta, sta parlando con altre persone senza guardare la bambina. La coppia osserva la scena ma ne nonna ne bambina si aecorgono della loro attenzione. La moglie apre e chiude un paio di volte la cerniera della borsa. «Ti ricordi quel momento?» chiede lui. Lei sposta gli occhi sulla madre della bambina e dice: «Sono anni che non mi metto un bei prendisole del genere. Ne avevo tanti, chissä che fine avranno fatto». «Eravamo nella eucina della vecchia casa.» «In effetti mi valorizza poco questo vestito.» «Preparavamo da mangiare insieme.» Ora lei lancia lo sguardo verso il parco giochi. «Non era una domenica mattina? Non eravamo al parco?» «No, eravamo a casa, era sera. Quando ho alzato lo sguardo lui stava tagliando velocemente la lunghezza della sala da pranzo, tutto spigliato, spinto da una forza misteriosa.» Ormai nella piazza c'e molto fracasso. Si sente la musica della banda in lonta-nanza. Ogni panchina e occupata, ogni bar al completo, e parecchie persone si af-facciano dalle finestre. «Non me lo ricordo cosi. Nella mia testa eravamo al parco, c'era il sole.» Š MlolEbookReader Modifies <ŠS J? ^ $ ^ *») 97% (■)> QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MlolEbookReader - Racconti románi ■ QABC-esteso Mar 17:56 Q, © ;= MlolEbookReader - Racconti romani ■ «Si possono sempre cancellare i programmi.» «E bella, e comoda, c'e la brezza che l'attraversa. Dicevi quanto ti piace perfino la saponetta.» «Preferisco dormire in albergo insieme ad altri turisti. Qui non ci posso piu stare.» Di scatto lei lancia a terra la ciotola piena di chiavi. Tutti i mazzi si spargono sul pavimento attorno ai loro piedi. Domanda al marito, mormorando: «Perche quella stanza non si apre?» Lui non le risponde. Inizia, a quattro zampe, a raccogliere le chiavi sparpagliate per terra. Appoggia la ciotola sul pianoforte e dice: «Non c'e niente che ti aspetta in quella stanza. Niente a parte il solito dolore giä dentro di te». Lei si siede sulla panca e guarda il metodo sul leggio. Studia le note, assorta, senza perö capire niente della musica. Alza le mani come se Stesse per suonare, poi chiude due pugni che piombano lievemente sui tasti producendo un suono ca-cofonico. Chiude il coperchio della tastiera. Quando e'e di nuovo silenzio si alza e cerca il cellulare. Lo trova sul tavolo. Si siede e digita un numero, aspetta lo squil-lo, poi dice, lentamente, in italiano: «Si, buonasera. Ci sarebbe per caso una camera doppia disponibile stasera?» Attende una risposta e quando ricomincia a parlare sopraggiunge un rumore as-sordante nella casa, in un'altra stanza: un fracasso intenso e travolgente. Lui va subito a controllare tutte le stanze, ma lei rimane seduta, immobile, al tavolo, sotto il lampadario. A un certo punto termina la chiamata e appoggia il cellulare accanto al piatto vuoto. «Che e successo?» chiede al marito quando torna. «E sbattuta una delle ante della portafinestra in eucina.» Q P OS «E?» «Si e spaccata, una porzione si e frantumata.» Lui raggiunge la moglie, mettendosi al tavolo accanto a lei. «Ora cosa facciamo?» «Bisogna chiamare qualcuno per aggiustarla. E informare i padroni di casa.» «Capiranno?» «Pu6 capitare, tirava vento.» «E chi potrebbe aggiustarla?» «Non so, dobbiamo chiedere in ferramenta. C'e vetro dappertutto?» «Purtroppo si. I frammenti ancora attaccati al telaio sono pericolosi.» «Vado a vedere. C'e una scopa sul balconcino, dietro la lavatrice.» «Stai attenta. Occorrerebbe un paio di guanti.» Lei si alza. Prima di andare in cucina tocca la spalla del marito e gli dice: «Mi displace aver perso la processione». «Non importa.» «Ci tenevo a portarti.» «Avrai sempre quel ricordo.» «Ma tu no.» «Fra un anno avra vissuto tanto quanto il tempo che e mancato.» «Lo so.» Lei accende il lampadario. Ha una luce molto forte e brutta che trasforma lo spa-zio tenebroso in una specie di sala operatoria sgargiante nella quale un sabato po-meriggio undici anni prima i medici avevano fatto tutto il possibile. «Restiamo qui?» chiede lui. «Si, perdonami.» «Tranquilla.» piü informazioni • MIolEbookReader Modifica £ Q. P J bigliettini Nella cittá dove l'acqua macchiava tutto quello che toccava, vedevo quando lavavo i piatti come il rubinetto e il lavello e perfino i bicchieri appena puliti e asciugati fossero chiazzati e appannati da una specie di muffa, cosa che mi dava fastidio. Mio marito mi aveva spiegato che era il calcare a lasciare quelle pallide tracce e quindi bisognava pulire bene con Taceto oppure tagliare un limone a metá e pas-sarlo sulla superficie per farla tornare briliante. Lui conosceva quel trucchetto per-ché uno dei suoi lavori, prima di trovare posto alia macelleria, era stato nella cuci-na di una trattoria dove aveva imparato a preparare una serie di piatti locali, a sco-lare la pasta al momento giusto e a far saltare la cicoria in padella. Alia fine della serata, quando il padrone, che faceva anche il cuoco, si sedeva sfinito a tavola con un bicchiere di mirto per scambiare due parole con qualche cliente abituale, mio marito doveva sistemare la cucina, lasciandola pulitissima per la madre del padrone che abitava sopra il locale e sarebbe scesa la mattina per preparare in santa pace le crostate. Capivo le esigenze di quella signora anche se non l'avevo mai conosciuta. An-ch'io ci tengo a una casa ordinata con ogni cosa al suo posto. Giá da piccola con una smania forse eccessiva aiutavo mia madre (che era un po' scombinata) a orga-nizzare i barattoli nella cucina, le scarpe e i sandali tolti alPingresso, i quaderni e i libri sempře ammucchiati sul tavolo di ferro sgangherato dove facevo i compiti con i miei fratelli. Una tazzina vuota abbandonata su uno sgabello oppure una matita lasciata un attimo sul davanzale mi mettevano quasi in ansia; insistevo sulla collo-cazione giusta di tutti gli oggetti sparpagliati per le stanze, sennó non riuscivo a rilassarmi veramente. Quando la notte chiudevo gli occhi per dormire mi veniva in mentě 1'attaccapanni sul quale fra i capi scompigliati dei miei fratelli giaceva la mia divisa scolastica, una abbastanza pulita e 1'altra di scorta, da stendere meglio, oppure pensavo a quanto sarebbe stato soddisfacente grattare con 1'unghia lo strato di sapone sciolto che foderava qua e lá il portasapone e cancellare il superfluo. Nella cittá delPacqua che sporca ho cresciuto due gemelli disordinatissimi. Li ho partoriti in un ospedale che spuntava anche quello dalPacqua, sembrava quasi una grande nave sempře ormeggiata in mezzo al fiume, che mi pareva del colore del tě con qualche cucchiaino di latte. In un attimo i gemelli si erano fatti grandi, dinoc-colati, si radevano la mattina e la sera uscivano da soli per staré ore chissá dove con gli amici, per chiacchierare e rimorchiare, anche se nessuno dei due mi ha mai fatto conoscere una ragazza. Si sentivano a proprio agio con i loro coetanei, si ve-stivano e parlavano e ridevano come gli altri, pur essendo diversi. Avevano quindi-ci anni quando sono diventata vedova. Era una domenica e io stavo lavorando dalPaltra parte della cittá nella sartoria che rimane aperta sette giorni su sette. Facevo orli e sistemavo lampo e purtroppo sono stati i gemelli a scoprire il padre nella nostra camera da letto, giá morto per un arresto cardiaco. Pensavano che facesse una lunga pennichella, invece se n'ě an-dato senza dire niente a nessuno. Mi hanno riferito che mio marito si era fatto la doccia prima di stendersi, per cui aveva i capelli ancora bagnati. Credo che per questo motivo i gemelli siano diven-tati soccorritori sulle ambulanze. Quanto sono fíera di loro, sempře pronti a pre-stare aiuto davanti a ogni tipo di incidente. Mi raccontano al telefono di essere stati nei luoghi di un terremoto oppure in autostrada dove tutti corrono come matti. • MIolEbookReader Modifica £ Q P OS trovato un bigliettino infilato nella mia borsa. Stavolta c'era scritto: «Non voglia-mo che tu resti qui». Ero molto turbata, qualcuno aveva sieuramente aperto la mia borsa. Li dentro pero c'era tutto, le chiavi, il portafoglio con i miei soldi, il rosset-to, gli ocehiali. Non mi avevano rubato un centesimo. Anche quel giorno non ho parlato con nessuno di quei messaggi. Ho deciso di tenere la borsa addosso, a tracolla, ma la donna che lavorava in amministrazione se n'e aecorta subito e mi ha detto ehe non potevo lavorare senza il corpo e le mani completamente liberi, anche se passavo quasi tutto il tempo in piedi a guar-dare i bambini che saltavano e correvano attorno. Prima mi piaceva andare a scuola tutte le mattine ma ora ero spaventata, sempre a disagio, tanto ehe non vedevo ľora di chiudere con quel lavoro. In quel periodo mi ha telefonato uno dei gemelli e quando gli ho raccontato quello ehe era succes-so lui si ě infuriato. Diceva ehe avrei dovuto parlare con il preside, che si poteva fare perfino una denuncia. Tornerô in quella scuola di merda e gliene dirô quattro, diceva. Ma né lui né ľaltro sono venuti per affrontare qualcuno. II giorno dopo ho cercato ľinsegnante ehe mi aveva offerto il lavoro e le ho fatto vedere i quattro bi-gliettini ehe avevo conservato in una busta. Era un po' perplessa, forse un po' in imbarazzo, ma cercava di rassieurarmi. «Mi pare un gioco tra bambini» mi ha detto. «Percha finiscono nelle mie tasche?» ho chiesto. Questo non lo sapeva spiegare. «Buttali tutti, lascia perdere» mi ha detto, «sei qui per poco tempo, che te ne importa?» Cosi la vicenda ě finita, insieme al lavoro. Ľultimo giorno la donna delľammini-strazione mi ha pagato e mi ha salutato cordialmente, la collega ehe avevo sostitui-to si era ripresa dalla sua operazione e sarebbe tornata il giorno dopo. Cosa fare di quei quattro bigliettini? Avevo ancora la busta, come fosse una let-tera da spedire, ma a chi? Non volevo ehe nessuno la aprisse o la seoprisse. En-trambi i gemelli - ormai mi aveva chiamata anche ľaltro - mi avevano detto di conservare tutto. La busta alia fine conteneva quattro strisce bianche, piene di pie-ghe, ciaseuna con una riga di quel tipo. Ma non mi andava di fare nessuna denuncia. E in ogni cassetto, su ogni mensola delia casa, infilata tra le pagine di un libro, sotto il cuscino del divano, perfino nel soppalco con il cambio di stagione, la pre-senza di quella busta strideva e mi tormentava. Ho aumentato le ore dalla sarta, almeno li ero lontana dai bigliettini e mi pesa-vano un po' meno. Ma poi un giorno é successa una cosa inquietante anche li, mentre ero sola perché la sarta era uscita per prendere un caffé: mi sono alzata un attimo per scegliere il bottone giusto fra le bottigliette sullo scaffale quando una sottile lampadina al neon, montata sopra la mia macehina da cucire, di solito acce-sa ma in quel momento per qualche motivo spenta, si e staccata dal soffitto e si ě frantumata con un fragore impressionante, ricoprendo la mia postazione di scheg-ge taglienti e terrificanti e sparpagliando una polvere bianca sopra le Stoffe, sul pa-vimento e sulla mia sedia. Se non mi fossi allontanata proprio in quel momento, mi avrebbe preša in pieno. Sentendomi molto scossa ho chiamato entrambi i gemelli e sono riuscita a rag-giungerne uno. Lui si ě subito allarmato, ha detto ehe quella sostanza bianca conteneva del mereurio ehe, una volta rotta la lampadina, diventava un vapore ehe si poteva disperdere nelľambiente. Mi ha detto ehe dovevo rimuovere molto attenta-mente ogni traccia, consigliandomi di mettere dei guanti e di coprire la bocca raa-gari con una sciarpa, comunque di non toccare nulla, di raccogliere le schegge con le mani senza spazzare attorno e di aprire le finestre. Ma una finestra in quella cantina non c'era e la porta della sartoria al piano di sopra era troppo lontana dalla Ú MlolEbookReader Modifica S <š» W & ^ $ *») 97% lBl< Q ABC esteso Mar 17:57 q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ Q P OS mia postazione per fare circolare ľaria, per cui temevo di non poter cacciare via quel vapore velenoso. Un minuto dopo mi ha chiamata ľaltro gemello, anche lui molto preoccupato. «Di' alla sarta di far controllare ľimpianto elettrico, cose del genere possono causare un incendio. Mi raccomando, mamma, copriti la bocca» mi ha detto prima di riattaccare. Ho fatto quello ehe ho potuto, ma sempre con la paura di sbagliare, piú passavo un panno bagnato sul pavimento piú incontravo pezzettini minuscoli di vetro e mi scivolava continuamente la sciarpa dalla bocca. La polvere era di un bianco quasi accecante. Quando la sarta é tornata dalla pausa caffe avevo giä chiuso il sacco delia spazza-tura ed ero esausta. «La luce era accesa?» mi ha chiesto. «Era spenta.» «Ti sei fatta male?» «Non eredo. Ma puoi chiamare un elettricista, per favore?» «Per ora spostati da quella parte. Le altre lampadine funzionano benissimo» ha detto. Sono tornata a casa molto turbata e il giorno dopo ho chiamato la sarta dicendo-le ehe avevo un forte mal di testa. In realtä sentivo un nodo tremendo in gola in-sieme a un sapore un po' aere legato, secondo me, ai vapori velenosi. Pensavo di rimanere a casa e di sistemare un paio di cose per tranquillizzarmi un po'. Ma mi tornava il terrore per la lampadina misteriosamente esplosa e, dietro quel disagio, la vicenda altrettanto inspiegabile dei bigliettini. Era arrivato di colpo il caldo. Non ero in vena, non avevo voglia di mettere in fila le calze, buttare le pomate seadute o trovare nuove disposizioni per le pentole. Dopo la fatica del giorno prima ero sfibrata. Mi sono seduta al tavolo davanti al ventilátore acceso. E li ho aperto la busta e ho tirato fuori le strisce, ľavevo nascosta in una scatola, infilata nelľarmadio del terrazzo, fra le seope. Siccome le seritte erano a matita ho cercato di cancellarle il piú possibile con la gomma, lasciando solo una traccia pallida. Poi le ho strappate con le dita in tanti piecoli pezzi. Alľinizio lo facevo lentamente ma con sempre maggior piacere, godendomi la sfida. Io ehe so infilare il filo negli aghi piú stretti sono abbastanza abile. Avevo davanti a me un piecolo mucehio bianco. I pezzettini di carta sembravano quasi i granelli di zucehero ehe si mettono sopra il panettone e la colomba o su aleuni tipi di biscotti, e ehe a volte compravo per decorare la torta di compleanno dei gemelli. Per via del ventilátore si muovevano un poco, aleuni tremavano o addirittura saltavano. Pensavo di sistemarli in una bottiglietta delľac-qua come i bottoni dalla sarta. Ma poi un pezzettino si é proprio sollevato e mi é finito in bocca, come un insetto ehe svolazza la sera nel parco. E prima di poterlo sputare si é sciolto sulla lingua, come se fosse veramente un granello di zucehero. Ecco cosa dovevo fare: ho infilato in bocca quei pezzettini di carta uno dopo ľaltro. Si scioglievano subito, lasciando un sapore perfino piacevole sulla lingua. Ci ho messo poco, non piú di dieci minuti, e čosi quei messaggi sono spariti insieme al sapore aere nella gola. piú informazioni • MlolEbookReader Modifica £ <Š» W S£ ^ t ^ *») 97% m Q ABC esteso Mar 17:57 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q P OS Dante Alighieri l A diciassette anni non avevo baciato nessuno. La mia piu cara arnica sin dall'infan-zia si: dopo anni di cotte smaniose e futili da parte sua, le cui vicissitudini analiz-zavamo insieme per filo e per segno, si era messa insieme con S., un ragazzo vispo e ironico che aveva due anni piu di noi e che studiava gia all'universita nel piccolo paese verde dove sono nata e cresciuta, con estati umide e inverni nevosi, a due passi dal furioso oceano Atlantico. Quando S. frequentava il nostro liceo ci ignora-va, essendo a quei tempi innamorato di un'altra ragazza piu grande di noi con cui sembrava avere una storia gia eterna, un fidanzamento precoce e serio. Ma poi ha rotto con quella e un giorno a fine estate S. e la mia arnica si erano incontrati per caso sul lungomare, si erano scambiati due parole, e qualche giorno dopo lui le aveva telefonato invitandola al cinema. La mia arnica, sia insicura sia sbarazzina, amava stare sul palco. In realta una sera S. era tomato al nostro liceo per vedere lo spettacolo di fine anno in cui il suo fratellino suonava per l'orchestra e la mia arnica aveva un ruolo importante, e li, mentre fingeva, truccata e in costume, sotto le luci forti, di essere una donna tor-mentata di trent'anni, lui si era innamorato di lei. Naturalmente la mia arnica mi raccontava i particolari delle ore trascorse con S., che studiava Lettere e scriveva poesie ed era appassionato di Charlie Chaplin, in maniera colorita e dettagliata - di solito la sera al telefono quando dovevamo fare i compiti. Mi aveva detto quindi del loro primo bacio: dopo il secondo film visto insieme, erano tornati alia spiaggia dove si erano incontrati la prima volta per fare una passeggiata notturna, e si erano arrampicati su una torretta del bagnino ancora da levare, che era giä fuori stagione, stringendosi su quello spoglio trono di legno da dove solitamente uno guarda at-tentamente per individuare richieste di aiuto o possibili pericoli. Invece li la mia arnica aveva sentito le labbra di S. sulle sue, e l'impatto sconcertante del viso di lui che le sfregava la pelle qua e la come fosse di carta vetrata. Intanto sentiva le sue dita attorno alia schiena e il fragore delle onde in sottofondo mentre i capelli di entrambi svolazzavano da tutte le parti. Assorbivo le sue confidenze con un sussulto impossibile da ignorare. Da un lato mi sentivo esclusa, lasciata indietro, ma alio stesso tempo sapevo quanto la mia arnica ci tenesse a confessare tutto a me e a nessun'altra persona. Usciva con S. per due ore, poi mi chiamava e me ne parlava per quattro, per cui riuscivo a imme-desimarmi nella loro dinamica di coppia e a sentirmi ancora piü vicina a lei. Pensa-vo di avere un ruolo importante, perfino di fare parte (invisibilmente) del loro rap-porto, solo che lei era frizzante, fidanzata, giä al di lä della soglia sentimentale, os-sia la preoccupazione di non essere mai in coppia con nessuno che incombe alme-no un pochino su ogni adolescenza, mentre io, sempre in ascolto, aspettavo il mio turno. Purtroppo - anche se sbaglio a iniziare con questo awerbio - circa un anno dopo, alia festa di compleanno della mia arnica, in un ristorante cinese con un paio di altri amici attorno, S., allora il suo fidanzato vero e proprio, si accorse di essere inequivocabilmente innamorato di me. Quella sera non mi guardava nemmeno in faccia per cui non sospettavo nulla, sembrava attento e devoto come al solito alia mia arnica, col braccio sempre appoggiato sulla sua sedia e la mano che scompi- Ú MlolEbookReader Modifica S <Š» W & Ü $ *») 97% lBl< Q ABC esteso Mar 17:57 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ Q P OS gliava ogni tanto i capelli delia sua ragazza. Ma qualche giorno dopo - era un saba-to - mio padre, uscito per ritirare il quotidiano consegnato a casa, scopri una lette-ra senza francobollo lasciata chissä quando nella cassetta delia posta sotto un bas-so acero rosso. La busta, a penna con inchiostro biu, era indirizzata a me e neľl'an-golo in alto, al posto del nome e delľindirizzo del mittente, c'era scritto in stampa-tello DANTE ALIGHIERI. E mio padre, ehe insegnava Economia alľuniversitä, ehe proveniva dalľaltro capo del mondo e ehe non sapeva minimamente chi fosse il vero Dante Alighieri, mi allungô la lettera senza battere ciglio. Ero andata in camera mia concitata per studiare bene la calligrafia, sedendomi sul bordo del letto prima di aprire la busta. Conteneva qualche foglio scritto a mano. Non ricordo il contenuto preciso delia lettera. C'era il riferimento enigmati-co a una canzone piuttosto famosa in cui, secondo S., si sentiva il mio nome in filigrána ripetuto un'infinitä di volte. Da settimane ascoltava la canzone per sentirmi vicina. Mi torna ancora in mente ľimpatto di tutte quelle parole sui fogli, un im-patto sieuramente piú acuto e disturbante delia sensazione delia pelle ruvida ehe avevo stentato a immaginare sul viso. La calligrafia stessa pareva una gabbia densa attorno al cuore di quel povero ragazzo. Era una lettera ďamore piena di afflizione e di adorazione frammiste a sensi di colpa. Erano in realtä un paio di mesi, aveva confessato, ehe pensava segretamente a me visto ehe, di tanto in tanto, ci incontra-vamo, a uno spettacolo delia mia amica, o perché, se la raggiungeva da qualche parte, davanti al cinema o chissä dove, spesso noi due eravamo insieme, e in quelle occasioni aspettavo ehe loro finissero di baciarsi per ristabilire subito la connessio-ne prima di salutarli, consegnargliela e andarmene. Ma nella lettera S. aveva di-chiarato ehe non voleva piú bene alla mia amica, ehe quando la baciava pensava a me, ehe dormiva male da settimane e ehe quasi non mangiava piú. Mi sognava tutte le notti e di giorno soffriva di visioni in cui ogni ragazza per strada diventava, per qualche secondo, una specie di me. Una volta, mentre mi sognava in spiaggia, ero perfino comparsa miracolosamente. Alla fine delia lettera aveva scritto di aver lasciato una seconda lettera alla mia amica per dirle ehe la loro storia era finita. Aveva aggiunto: «So che anche tu mi vuoi bene». Innanzitutto mi aveva colpito la modalita delia consegna: sapevo ehe S. non gui-dava, ehe doveva ancora prendere la patente (infatti la mia amica se ne lamentava), e aver raggiunto la casa delia mia famiglia a piedi, probabilmente al buio, magari con una torcia in mano, in un paesino in cui tutti si spostavano in macehina, ľave-va reso singolare, romantico, piuttosto eroico ai miei ocehi. Avrä camminato a chissä che ora per depositare quella busta col batticuore mentre dormivo, mi dice-vo. Si sarä trattenuto qualche minuto sotto le finestre delia casa per indovinare la mia stanza? Sarä andato príma o dopo dalla mia amica per portare la dura lettera indirizzata e lei? Sentendomi desiderata per la prima volta in vita mia, ero tutta scombussolata, e anche, non potevo negarlo, lusingata. Mi stupiva di aver provocato la sofferenza, i sogni, le nottatacce di un altro. Ma la cosa ancora piú sbalorditiva era stata la chiu-sa della lettera: so che anche tu mi vuoi bene. Appena letta quella riga, mi ero resa conto che aveva ragione, che ero innamorata di S. quanto la mia amica, e che stavo solo aspettando di essere ricambiata. Fu quella riga sfacciata, oltre allo pseudoni-mo clamoroso, a conquistarmi e allo stesso tempo a farmi sentire un verme. Non mi ricordo piú gli awenimenti - telefonáte? altre lettere? - che ci avevano condotti un sabato mattina a una panchina in mezzo a un campus deserto. Era lu-glio, ľaria era ferma e afosa, gli edifici vuoti, i libri tutti restituiti in biblioteca, in-somma quelľatmosfera di grande calma e di grande desolazione alla fine dei corsi. Ero confusa e imbranata e parlai per prima, dicendogli ehe non volevo ferire ulte-riormente la mia amica, la quale, una volta sostituita da me, era caduta in una de- • MlolEbookReader Modifica £ <Š» W S£ ^ t ^ *») 97% m Q ABC esteso Mar 17:57 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q P OS pressione allarmante. Andai a trovarla per chiederle scusa, per parlarle, nella stanza dove avevamo trascorso innumerevoli ore felici, ma i suoi genitori mi guardaro-no di traverso. La mia arnica era accasciata sul letto, mi voltava le spalle e piange-va. Quando l'ho salutata, lei ha mormorato qualche cosa. Ho visto che il volto era pallido, aveva i capelli unti, erano giorni che non usciva di casa o faceva la doccia e mi ricordo di essere stata distratta dalParia che puzzava leggermente. «Pensavo fossi la mia arnica del cuore» disse, per comunicarmi che non lo ero piú. Aggiunse: «Hai rovinato tutto». Anche S., quando ci eravamo incontrati, era pallido, a pezzi. Mentre mi aspetta-va leggeva un libro, quasi ripiegato su se stesso, e quando mi ero seduta accanto non poteva guardarmi in faccia neppure lui. Non sembrava felice di vedermi, anzi, avermi finalmente vicina e (volendo) tutta sua lo tormentava ancora di piu. Solo io, fra noi tre, ero seduta dritta, abbastanza lucida pur sentendomi combattuta. In quel senso loro erano ancora uniti, io sempre estranea pur essendo incastonata nel centro della tragedia. Avevo tergiversato a lungo sulla panchina, ma alia fine, di fronte a quei palazzi vuoti e tristi, avevo rifiutato la corte di S. in modo da poter salvare (credevo) un'amicizia, all'epoca, storica. E lui, con dignita ma anche con delusione, aveva accettato il mio ragionamento, aggiungendo che il mio sacrificio era un atto di considerevole correttezza e fedeltá, e questo non faceva che aumen-tare la sua ammirazione nei miei confronti. Aveva aperto il suo libro per citarmi una riga sottolineata: «Ogni desiderio di-venta una decisione». Era il diario di una nota scrittrice, mi aveva spiegato, poi aveva detto: «Farai qualcosa di straordinario nella tua vita», come fosse un oracolo, dopodiché mi aveva chiesto di raccontargli un particolare della mia infanzia. Tutto sommato una richiesta ragionevole, anche se sotto sotto pensavo, e forse speravo, che mi avrebbe chiesto anche un bacio, un bacio solo e straziante, che gli avevo giá concesso nella mia testa. Aspettavo un suo awicinarsi subdolo, una mano appog-giata sul ginocchio, gli occhi che si chiudevano prima di sentire l'impatto delle lab-bra e 1'odore della bocca. Desideravo, da parte sua, un gesto spregiudicato che but-tasse all'aria il mio sacrificio da fanciulla. Invece mi ascoltava mantenendo sempre uno spazio rispettabile fra noi. Cosi gli avevo raccontato un mio divertimento soli-tario da piccola, quando andavo nel bosco dietro casa dove scorreva un ruscello in cerca di vita sotto i sassi. Li ribaltavo - alcuni erano pesanti - esponendo i vermi e gli insetti che fremevano e si contorcevano sotto la luce del sole. Li guardavo con orrore e anche con fascinazione, senza mai disturbarli. Erano organismi scuri e co-razzati, alcuni con aspetto preistorico. Li studiavo, ma solo fino a un certo punto, e poi rimettevo il coperchio per lasciare in pace quel cosmo celato e smanioso. S. non aveva reagito, non mi aveva chiesto altro, aveva semplicemente ascoltato. Non gli avevo detto che, quasi da sempre, per carattere anch'io mi sentivo una di quelle creature invisibili, e che con quella lettera d'amore era stato lui a sollevare il sasso. Owiamente ora capisco che la nostra relazione, o almeno il potenziale di una nostra relazione, era l'equivalente di quella vita minuscola ma convulsa esposta per un attimo, solo per un attimo, prima di rimettere il tappo e dimenticarsene. Ma oggi che c'entra questo preambolo? Perche brulicano in testa questi ricordi ri-mossi e ancora confusi mentre sono seduta sul banco della chiesa dove si sta svol-gendo il funerale della mia suocera di un tempo? Mostraci come vivere ogni ora chefug-ge come la tua ora, come I'ultima ora, e come offrirtela con tutta la nostra anima. piu informazioni • MlolEbookReader Modifica £ <Š» W S£ ^ t ^ *») 97% m Q ABC esteso Mar 17:57 Q, O ís • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q. P Ho pranzato per anni con la signora che giace nella bara, quasi tutte le domeni-che: prima quando era lei ad aprirci la porta e a prepararci tre portate, poi quando portavamo noi da mangiare, infine quando la badante riscaldava una minestra per tutti che lei assaggiava a malapena insieme a dei cubetti di mela. Ecco la badante, e mio marito, i capelli arruffati ormai bianchi, la giacca nera che gli stringe legger-mente sulle spalle, il viso, ancora bello, teso per il lutto. Un uomo con cui ho vis-suto abbastanza felicemente per venticinque anni. Poco prima, davanti alla basilica ci siamo abbracciati e baciati. E entrato pero con una donna alta dai lunghi capelli ricci e scuri e la schiena diritta. Sono seduti uno accanto all'altra. La riconosco, abita in quel palazzo anni Trenta vicino a casa nostra, dall'altra parte della scalina-ta, e va a spasso con un cane grigio e sottile come lei. Davanti alla basilica mio marito mi ha detto che mia suocera era stata appena rivestita dalle infermiere dopo la spugnatura mattutina quando il cuore si era fermato senza nessun caro accanto. Nostra figlia, 1'unica nipote di mia suocera, non ě presente neanche al funerale. Subito dopo il liceo linguistico si ě trasferita al Nord, ě un pezzo che non la sento, attualmente ě in nave per aiutare persone che, rischiando tutto in barche inade-guate al mare aperto, cercano un approdo in questo paese. Anch'io sono appena arrivata, stamattina, dopo aver attraversato PAtlantico in aereo. Da sette anni, da quando io e mio marito abbiamo deciso di vivere separati, abito fra due continenti; si puo fare, almeno cosi mi dico, anche se la preposizione suggerisce un limbo eterno. A fine agosto mi assento dalla mia vita romana, lascio il Mediterraneo per quelPoceano tanto familiäre e furioso. A metá maggio rientro. Ma sono tomata adesso, a fine ottobre, quando ho una settimana di vacanza, e tor-nerö di nuovo per un mese pieno a Natale. Quando sono atterrata stamattina, al-l'alba, l'aeroporto era vuoto e mi sono subito infilata in un taxi. E un viaggio che faccio talmente spesso che non alzo quasi la těsta mentre il tassista corre sulla Roma-Fiumicino. Invece mi colpisce sempře, dall'alto, mentre 1'aereo scende, la striscia bianca del litorale laziale che combacia con il mare, che custodisce, sulla sabbia, nei baretti e fra le onde, una fetta della mia vita ormai conclusa da madre e da moglie. Solo da quella prospettiva si riesce a capire quanto i nostri tempi, tutte le nostre beghe alberghino in un orlo stretto e sottile di sabbia rispetto all'infinitä dell'acqua. Sul taxi controllavo i messaggi sul cellulare e cosi ho saputo, non da mio marito ma da una chat organizzata da un nostro amico in comune, che mia suocera, appena trasferita in una casa di riposo, se n'era andata il giorno prima e che il funerale si sarebbe svolto lo stesso pomeriggio. Ho pagato il tassista, ho attraversato la strada trafficata con la mia valigia e ho salutato il portiere, che mi ha dato il benvenuto insieme alle bollette che mi aspet-tavano. Sono salita nell'ascensore, ho girato la chiave tre volte a sinistra per aprire la porta, ma quasi subito sono uscita di nuovo per bere un caffe al bar sotto casa, per godermi il sole autunnale ancora intenso, per salutare qualche vicino, per com-prare il latte e il pane e per prendere un appuntamento dal parrucchiere. Ho fatto un giro veloce della piazza per risvegliare la parte di me che abitava qui, che abita tutťora parzialmente a Roma. Ogni ritorno mi fa sentire ringiovanita, anche una specie di fantasma che riprende, a tratti, una vita precedente. Sono tomata su ad aprire le finestre per far entrare un po' ďaria fresca, innaffiare le piante, tirare fuo-ri gli asciugamani. Serve sempře un piccolo esorcismo visto che quando non sto in questa casa la affitto per periodi brevi, a volte anche lunghi, a persone che non ho mai conosciuto, che vengono in vacanza da tutte le parti del mondo e lasciano il residuo tacito delle loro felicitá. Dall'armadio, che tengo chiuso a chiave quando non ci sono, ho scelto un vesti-to nero. Ho aperto un cassetto, anche quello chiuso a chiave, e ho preso un paio di Š MlolEbookReader Modifies <ŠS J? ^ $ ^ *») 97% (H> QABC-esteso Mar 17:58 Q, © ;= MlolEbookReader - Racconti románi O ■ I orecchini regalati da mia suocera dopo la nascita di mia figlia. Volevo fare una lista della spesa piü completa, quindi ho tirato fuori dallo stesso cassetto la mia penna stilografica preferita, quella con cui scrivo dall'etä di ventun anni. Me l'avevano re-galata i miei genitori quando mi ero laureáta, anche se l'avevo scelta da sola (i miei non sapevano mai cosa regalarmi, avevano sempre bisogno di indieazioni pre-cise, finché non hanno cominciato a darmi semplicemente dei soldi da spendere come mi pareva). Purtroppo oggi la penna, appena presa in mano, ě caduta; la punta del pennino ha colpito il marmo del pavimento compromettendo il flusso dell'inchiostro, perciö ogni fräse che scriverö d'ora in avanti sarä aecompagnata dalPesitazione di una linea discontinua, da un raschio fastidioso. Dal parrucchiere, giä vestita per il funerale, mi sono rilassata sotto la lampada mentre la tinta permeava la ricrescita, ho sfogliato qualche quotidiano mentre con la coda dell'occhio vedevo la basilica medievale dove la bara era giä arrivata. Mi ha fatto impressione vedere quella scena dolorosa frammista ai turisti, agli amanti, ai camerieri che cercano di acchiappare chi passa davanti a ristoranti costosi e medioeri. Ora sono le tre e mezzo e una luce gialla entra nella basilica in maniera obliqua attraverso le finestre. Colpisce quattro punti diversi lungo l'architrave dalPaltra parte della navata. Dubito che la vicina di casa coi capelli ricci seduta accanto a mio marito abbia conosciuto mia suocera. O sbaglio? Andranno a spasso insieme, la mattina, con i cani? Sicuramente si incontravano al parco dove mio marito va a correre, e un giorno la chiacchierata si sarä dilungata. Guardo in alto e seguo la luce che attraversa la navata. II soffitto in legno della chiesa mi sembra un labirin-to ordinato di stelle e ottagoni: una lastra variopinta piena di cavitä. Sopra l'altare c'ě una figura divina fissata al soffitto che ci guarda dall'alto. Ha le mani alzate, i palmi spinti verso di noi. Sarä una benedizione, ma a me pare un gesto anche di Q P OS resistenza. E se, come lei, cercassi di guardare anch'io la mia vita dall'alto? Mi ap-parirebbe qualche prospettiva? O solo il disagio? I low occhi si sono chiusi su do che ci seduce, su cib che cifa smarrire. I miei genitori erano completamente ignari del mio primo trambusto sentimentale. Ignoravano in generále i miei pensieri, problemi e preoceupazioni. Mi facevano po-chissime domande, come se la loro curiositá, una volta smossa, potesse mostrare fin troppo ľintimitä della creatura strana che avevano fatto insieme. Accettavano che avessimo gusti diversi; al supermercato, nel carrello della spesa, c'erano pro-dotti aequistati solo per me, per i miei panini da portare a scuola e per le mie me-rende. Preferivano osservarmi quasi a distanza, sempre con prudenza, il che mi fa-ceva sentire delle volte un organismo scuro e corazzato anche ai loro occhi. A cena ci raccontavamo poco; a casa ospitavamo principalmente il silenzio, come fosse un parente disereto che abitava fra di noi, che scendeva dalla sua stanza per i pasti, che ci raggiungeva solo quando eravamo insieme e verso il quale dovevamo com-portarci con un certo rispetto, una čerta attenzione. Quel silenzio mangiava una porzione da ogni piatto sul tavolo, respirava 1'aria nella sala da pranzo e si metteva su una poltrona dopo cena se per caso ci sedeva-mo tutti quanti nel soggiorno a guardare il telegiornale. Stava con noi in maechina il giorno in cui i miei mi avevano accompagnato al college, non lontano da casa, appena un'oretta di viaggio, una raccolta istituzione frequentata solo da femmine, dove mia madre forestiera, che studiava in casa prima di sposare mio padre, aveva insistito per mettere le lenzuola sul mio nuovo letto. Aveva pianto, molto, quando piú informazioni < > • MIolEbookReader Modifica > <3> 4») 96% SJ' Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani o Q p OS mi aveva salutato, come se io, cosi come lei anni prima, stessi per partire per Tal-tro capo del mondo da sola e malvolentieri. Non si fidava di quell'ambiente bucoli-co. Mio padre invece mi aveva consigliato di studiare Economia e di ottenere otti-mi voti. In realtä anch'io piangevo aü'inizio, in quel mondo nuovo, certo bucolico, ma anche alieno. Non conoscevo nessuno, tanto che mi mancava perfino il silenzio familiäre condiviso con i miei, e nei primi mesi mi ero resa conto fino in fondo di aver perso sia la mia migliore amica, che non mi parlava piü, sia l'ipotesi di met-termi con S., che sognavo e desideravo con maggiore veemenza dopo aver declina-to il suo corteggiamento. Avevo conservato la sua lettera e la leggevo tuttora ogni sera nella mia nuova stanza prima di addormentarmi, la tenevo nascosta sotto il materasso e mentre dormivo la mettevo sotto il cuscino. Attraverso quel contatto furtivo con le sue parole tradivo la mia amica ufficialmente. Sapevo di essere stata disonesta con S. e anche con me stessa: nonostante tutto covavo, nella mia testa, qualche spiraglio. Prima di andare via Tavevo intravisto per caso un'altra volta a fine estate sulla spiaggia - sempre pallido, provato, magrissimo. Camminavo con un'altra amica e lui vedendomi aveva distolto lo sguardo, come fossi troppo viva, oppure giä morta. Isolata nella mia stanzetta universitaria, angosciata, avevo scritto una lunga lettera d'amore a S., ma poi l'avevo buttata via. Sara giä passato ad altro, mi dicevo, forse sente giä il nome di un'altra ragazza in quella stessa canzone. Di sicuro quel Dante ardito e acerbo non pensa piü a me, ma io si, ogni tanto lo penso, e mi chiedo che fine avrä fatto, visto che la vita mi ha catapultato a sua insaputa non troppo lonta-no ne dal luogo di nascita ne dalla tomba del vero poeta. Mi spiego: al posto di un vero rapporto con un finto Dante, mi ero messa a Studiare le opere dello scrittore stesso, prima in traduzione e poi in lingua originale. Mi ero tuffata cioe nella storia, nei versi, nella filosofia, nella teologia e nella poli-tica tumultuosa del Tredicesimo secolo. Di tutto quel mondo medievale, nuovissi-mo per me, mi ero innamorata dawero: studiavo fino a tardi in biblioteca, prende-vo pagine di appunti durante le lezioni, imparavo a memoria le terzine. Cosi avevo capito il significato di quel nome fittizio sulla busta e che sarei stata amata solo in teoria. Quel Dante Alighieri mi avrebbe adorato solo nella sua testa, non mi avreb-be mai baciata sulla panchina, chiaro, visto che non ero nemmeno una ragazza in carne e ossa. Avevo saputo che i versi di Dante erano pieni di profezie ma che chi profetizzava - Tiresia, per esempio, anche sua figlia, la povera Manto, con il viso rivoltato tragicamente indietro - era fra i dannati che subiscono il contrappasso ne\Y Inferno. Andando avanti avevo deciso poi di dedicarmi ufficialmente al poeta e di scrive-re, durante l'ultimo anno di universitä, una tesi sulla rappresentazione di alcuni personaggi femminili della Commedia, non la esaltata Beatrice, neanche Francesca o Pia de' Tolomei o Matelda, invece mi incuriosivano le figure deformate e brutte, fra cui le Arpie e le Furie, e Aracne, o folle Aragne, che osö sfidare Minerva. Mio padre era rimasto male che non avessi seguito i suoi consigli e la sua strada e quando tornavo a casa per passare il fine settimana o le vacanze mi parlava sempre di meno. «Stai buttando via il tuo futuro» mi aveva detto un giorno. E mia madre, che non osava opporsi al marito, non mi aveva difeso. Per accogliermi compravano an-cora quello che piaceva a me e che loro di solito non mangiavano: i pompelmi rossi che tagliavo in due ogni mattina, le patatine all'aceto e sale, il gelato al caffe. Mi dispiaceva se, confondendo i poli del frutto, lo tagliavo da cima a fondo anziehe lungo l'equatore, perciö esponevo i due emisferi longitudinali al posto degli spic-chi, la spina dorsale al posto dell'ombelico. In ogni caso i miei genitori giä da tem-po non mi guidavano piü, cosi come Virgilio che scompare a un certo punto nei • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% SJ' Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, p OS Purgatorio lasciandoci orfani, scemi di sé. Un po' come Nembrotto, credo di aver sempre avuto un linguaggio mio mai capito da loro. II piccolo premio vinto per la tesi li aveva lasciati ancora piú perplessi, quindi dopo la laurea avevo preso la pen-na che mi avevano regalato, un quaderno per buttare giú le mie impressioni, e con i soldi messi da parte lavorando nella biblioteca, piu quelli del premio, ero andata con un paio di amiche a vedere il paesaggio di Dante che allora conoscevo solo tra-mite i libri, con l'idea di girovagare per qualche mese prima di procedere con i miei studi medievali. Eravamo state in pellegrinaggio prima a Firenze fulva e sobria, poi a Ravenna az-zurra e bassa, e infine a Roma. Un giorno in largo Argentina alia fermata dell'auto-bus avevo conosciuto un uomo, bello, con le sopracciglia pronunciate e i capelli lunghi che coprivano la prima metá delle orecchie. Stentavo, con le mie amiche, a decifrare le varie fermatě segnalate sul cartello e lui ci aveva aiutate, poi si era se-duto accanto a me e ci aveva portate in un locale senza turisti dove non saremmo mai andate da sole. In tre secondi aveva organizzato una cena per farci conoscere alcuni suoi amici. Lui era della cittá e non aveva mai vissuto in nessun altro posto. Era medico, si occupava dei reni, aveva un cane e una voce dolce, tanti pazienti e quasi vent'anni piu di me. E stato il mio primo fidanzato. Mi portava in giro in motorino, al mare e sulPAppia Antica dove ci baciavamo fra le rovine. Non era mai andato in America e voleva saperne tutto. Era rimasto stupito quando gli avevo recitato certi passi della Commedia a memoria, anche quando gli avevo detto di non aver avuto nessun fidanzato prima di lui. Si divertiva quando gli raccontavo alcune cose tristi, per esempio che a casa nostra c'erano tre tv diverse per i tre membri della famiglia, o che i miei genitori si assomigliavano cosi tanto - entrambi con bocche strette e oc-chi un po' sonnolenti e lo stesso ampio spazio fra il naso e le labbra - che avevo paura di essere figlia di due cugini anche se non era vero. Un giorno, mentre face-vamo una passeggiata, avevo sentito fastidio a un piede, quindi mi ero fermata da un calzolaio per sistemare la Scarpa, una Scarpa bellina a macchie di leopardo la cui suola aveva un piccolo buco. Era un bugigattolo fresco con le pareti sporche e molte paia di scarpe, sistemate dentro le caselle di uno scaffale. II calzolaio aveva preso la mia Scarpa, l'aveva guardata un attimo, poi aveva detto fissandomi bene con gli occhi tondi e chiari: «E roba da buttare». Ogni desiderio diventa una decisione. A ventidue anni non ho buttato soltanto la Scarpa condannata da quel calzolaio. Man mano ho buttato via un bel po' di altre cose. Prima di tutto, non ero tornata in America con le mie amiche, invece mi ero arrangiata a Roma, felice. Mi ero poi liberata dei sensi di colpa per non aver studia-to Economia e non aver dato retta a mia madre che aveva cercato piu volte di com-binarmi un matrimonio, con l'idea (credo) di legarmi al suo destino e di tramanda-re la sua infelicitá. Non mi dispiaceva mettere maggiore distanza fra me e quei due, che non sapevano neppure farmi un regalo. Mi ero iscritta alia stessa universita dove il mio fidanzato aveva studiato tanti anni per diventare medico, traduce-vo articoli per poter affittare una stanza e continuavo vagamente i miei studi medievali. Difficile, pero, studiare in una nuova lingua, facevo fatica a seguire i pro-fessori, in realtá preferivo andare a spasso la sera con il mio fidanzato che stare chiusa coi libri e quaderni, preferivo svegliarmi la mattina nel suo letto e scoprire sul tavolo il vassoio giá preparato da lui con le fette biscottate, la marmellata, la sua amata moka scassata. Mi compravo vestiti alle bancarelle e sentivo sulla pelle tessuti e tagli e stili diversi. II martedi, quando lui non doveva andare in studio, andavamo a Ostia a mangiare una pasta con le vongole e passeggiare, prima con la metro, poi con una Seicento che lui si era comprato, e li una sera, quando le nostre ombre erano lunghe lunghe sulla sabbia, mi aveva chiesto di sposarlo. • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% iBh Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, p OS Avevo detto di si e per stare con lui per sempre avevo compilato tanti moduli, ottenuto un codice fiscale, scelto un medico di base, e mi ero abituata ai panni da stendere che mangiavano le stanze, al profumo dei capi appena lavati, ai pavimenti di marmo in casa e a tutti gli oggetti che, se mi sfuggivano di mano senza nessun motivo chiaro, si spaccavano fragorosamente quando cadevano per terra. Avevo imparato a guidare l'auto con le marce e avevo preso una nuova patente imparan-do a memoria il senso di un numero infinito di segnali strádali. Acquistavo tutto quello che mi mancava, che serviva, mi ricordo ancora della signora gentilissima con i pantaloni di lana e una maglia morbida color tortora da cui avevo comprato un asciugacapelli (l'aveva tirato fuori dalla scatola, poi l'aveva acceso qualche se-condo per dimostrarmi come funzionava) nel negozietto che vendeva coltelli e piatti e piccoli elettrodomestici. Mentre montavo con entusiasmo la mia nuova vita non smettevo di buttare: certi capi in effetti appena comprati, per esempio, perché dopo tre giorni mi convincevo che non mi valorizzassero, perché desideravo subito un altro modello, un altro colore, perció li regalavo alle mie nuove amiche oppure li gettavo in quei cassonetti gialli in modo da dimenticarli. Ma buttavo so-prattutto con dispiacere, perché l'amore mi aveva resa scombinata e disattenta perció tendevo a rovinare le cose nuove, come un paio di stivali in camoscio mac-chiati chissá in che modo durante una grande festa alPaperto, pensavo fossero goc-ce d'acqua che sarebbero evaporate, invece no, impossibile nascondere le macchie anche con la tintura del calzolaio. Lo stesso destino valeva per tanti vestiti, tante camicie, li mettevo per una cena fuori, tornavo a casa e scoprivo un'ombra d'olio o di vino, indelebili. Uccidevo varie piante bellissime levandole bruscamente dai vasi di plastica. Quando dopo il matrimonio era stato consegnato un nuovo materasso imbacuccato nella plastica avevo fatto subito un piccolo buco con le forbici usate per toglierlo dall'involucro, che peccato. E mi chiedevo, mentre dormivo su quel buco, nella parte inferiore del materasso, o guardando la pianta decapitata, se ci fosse il contrappasso per chi rovina le cose per sbaglio, per chi insiste su una nuova vita. «Un giorno butterai anche me per un uomo piú giovane, non ě giusto che sia l'unico ad amarti» scherzava mio marito. Reagivo male se mi parlava cosi, temevo fosse un'altra profezia, e lo rassicuravo che non sarebbe mai successa una cosa del genere. Pensavo scioccamente che non era vero, che ero stata amata giä da un ra-gazzo che si chiamava Dante Alighieri, il che mi aveva consentito di mettere un tappo bello pesante sulla profezia, perció sarei stata sempre sposata con mio marito e saremmo invecchiati insieme. Volevo bene solo a lui, per lui mi ero abituata in inverno al tempo umido mattutino che cedeva verso le due quando tutti si sedeva-no fuori per prendere il sole. Per lui avevo imparato d'estate a passare ore al mare i fine settimana, a mettere un costume a due pezzi e a sopportare i sassolini e le rocce sotto i piedi prima di tuffarmi, a trascorrere pomeriggi in barca dove mi squagliavo di caldo o tremavo dal freddo, a disprezzare il condizionatore per evita-re torcicolli e colpi d'aria. Era nata una figlia, una bambina appiccicosa che mi seguiva persino in bagno. La domenica andavamo a Ostia a mangiare una pasta con le vongole e a far correre il cane e la bambina, oppure andavamo a casa dei miei suoceri, la stessa in cui mio marito era stato un bambino e poi un adolescente. La loro casa era sempre gelida eppure calorosa, ormai avevo imparato a vestirmi diversamente, a coprirmi bene. Mi piaceva frequentare il luogo che custodiva i fantasmi di mio marito e mi piace-vano quelle chiacchierate a tavola, per lui prevedibili, per me illuminanti. Apprezzavo tutto il cibo preparato nella cucina minuscola di mia suocera, il suo santuario senza la lavastoviglie ma con la lavatrice sotto il ripiano di marmo accan-to al lavello. Lei che mi spiegava come preparare le varie pietanze, le polpette, le • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% SJ' Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q p OS verdure fritte, che mi insegnava a offrire in inverno i mandaríni, il panettone e le noci da schiacciare a tavola, a portare il caffe nelle tazzine sul vassoio e poi l'amaro fatto da mio suocero quando andava in montagna a raccogliere la genziana. I miei suoceri erano dolci, persone colte, perdonavano tutti gli svarioni quando parlavo rapidamente in italiano. Dicevano (non era vero) che avevo studiato Dante meglio di loro, ma poi recitavano a memoria canti quasi interi con gli occhi chiusi. Torna-vamo a casa cosi pieni, e in macchina mi commuovevo a vedere il cielo con una punta di rosa ad annunciare il calo rapido della sera. Dopo le scorpacciate domeni-cali di primi e secondi saltavamo la cena, bastava una tisana, un po' di frutta e an-davamo a letto, io con una combinazione di leggerezza e soddisfazione mai provata né prima né dopo, anche se, sotto sotto a casa loro, a tavola, awolta da quel godi-mento pacato, mi emozionavo talmente tanto che temevo di essere sull'orlo della vita, cioě della mořte. Tutto questo mi sembrava la prova piú chiara e appagante di aver scelto la strada giusta, di aver fatto bene a non rimettere il tappo su questo futuro inaspettato, di aver esposto finalmente alia luce la mia esistenza, invece, raggiungendo una specie di paradiso. Una volta all'anno andavo con la mia nuova famiglia a trovare i miei genitori ol-treoceano. Abitavano sempre nella stessa casa di legno misto a un po' di plastica dove Dante Alighieri aveva consegnato la sua lettera, con lo stesso silenzio e la stessa infelicitä. Mia madre preparava il letto matrimoniale nella camera degli ospiti e mio padre guardava i suoi programmi in televisione. Trovavo pompelmi da tagliare in due ogni mattina. I miei pensavano che vivere in un paese lontano per via del matrimonio fosse un sacrificio che mi era toccato in sorte anziehe una libe-razione. Avevo smesso di studiare Dante ed ero diventata una casalinga forestiera come mia madre, ma neanche questa coincidenza ci legava di piú. Non si meravi-gliavano che mi muovessi con una certa facilitä in un altro mondo, che parlassi bene una nuova lingua (non mi confondeva piú, per esempio, la differenza fra uno scrocchio e uno scricciolo, un diletto e un delitto, la tracolla e il tracollo). Parlava-no invece con mio marito di qualche acciacco che dava fastidio all'uno o all'altra, oppure chiedevano dati sulla disoccupazione in Italia o sul funzionamento delle tasse. A mia figlia regalavano vestiti troppo grandi (puntavano sempre al futuro, quasi mai al presente) e bambole morbide che sapevano di vaniglia. Dicevano, ogni volta, che quell'anno sarebbero venuti a trovarci. Ma poi, per un motivo o per l'altro, il viaggio saltava, e né a me né a loro dispiaceva tanto. Con i miei mi sentivo fuori luogo come sempre: figlia unica di due persone che non ave-vano mai affrontato fino in fondo la persona che ero. Temevo di averli traditi, cosi come temevo un tempo di aver tradito la mia piú cara arnica; ogni volta che torna-vo da loro mi veniva in mente quel giorno sul bordo del suo letto, io giá condanna-ta nella stanza con l'aria fetida, i genitori che mi avevano guardato di traverso e lei che aveva dichiarato: hai rovinato tutto. Portavo la mia nuova famiglia a camminare nel bosco dietro casa, fra gli alberi senza foglie, circondati da una nátura grigia e severa. L'atmosfera era diversa, avevano coperto il vecchio sentiero lungo il ruscello con l'asfalto e e'erano delle pan-chine qua e la. La terra era coperta di mucchi di foglie stiňte e arancioni. Nostra figlia correva davanti a noi sul sentiero con i codini che si agitavano mentre io e mio marito notavamo come, riflessi nel ruscello, gli alberi apparissero sottosopra, per cui le chiome, spoglie in quella stagione, sembravano radici che si stendevano nel fondo nero dell'acqua. Erano come la mia vita: tutta capovolta. A trent'anni ero convinta di aver ribaltato le radici vere, quelle originarie che sembravano ormai un simulacro. In quel bosco, tanti anni prima, mi perdevo felicemente alia ricerca della vita fervida e nascosta, nella terra scura e fresca. Ma una volta spostata e allon-tanata da quel mondo non avevo piú disturbato nessun sasso. Sapevo da allora che • MIolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% ■) Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani © Q p OS anche Dante, nel Purgatorio, deve guardare sotto i massi. Maguardafiso lä, e disvitic-chia/col viso quel che vien sotto a quei sassi. Sapevo che siamo noi i vermi. Fai una certa fetta di strada, desideri e prendi delle decisioni, e si creano ricordi sia scintillanti sia disturbanti che preferisci non destare. Ma oggi nella basilica domina la memoria, quella occultata. Ti aspetta sotto la roccia, sono pezzi di te stesso sempre vivi e irrequieti che sussultano quando Ii esponi. Come quello, per esempio, che sta attraversando la mia testa proprio in questo momento - mentre ci alziamo e ci sediamo, mentre preghiamo e ascoltiamo il sa-cerdote che recita le omelie funebri. Vogliamo essere pronti. Non sappiamo quando verrai a cercarci. II ricordo, dunque, seppellito di una estate in quella fase del matrimonio quando tutto sembra filare, in vacanza con altre due famiglie, dieci giorni, una casa sulla spiaggia affittata insieme, pergola, sentiero nel bosco, saliscendi sabbioso per raggiungere la riva, pineta suggestiva, limoncelli dopo cena, partite a carte, stelle cadenti e lunghe chiacchiere fino a tardi generate da quell'intimitä forzata di grup-po. Conoscevamo poco la prima famiglia, la seconda per niente. Ma nostra figlia era molto amica con la figlia della prima, la quäle andava sempre in vacanza con la seconda. La spiaggia libera era sterminata e tutte le mattine ci radunavamo i nostri om-brelloni in mezzo a molti altri. A pranzo ci stringevamo a un tavolo di legno sghembo riparato nella pineta, stanchi e affamati e cotti dal sole. Gomiti e ginocchi che si sfioravano. II marito della seconda coppia aveva studiato per qualche anno alPestero. Aveva una madre americana, occhi verdi, nonni che abitavano non lonta- no dai miei. Aveva presente quindi alcuni particolari del mio passato, della mia in-fanzia. Conosceva una specie di granita al limone che si comprava dai furgoni par-cheggiati lungo la strada d'estate, le lunghe code per mangiare l'aragosta bollita con burro fuso. Era antropologo, alle prese con un libro sulle superstizioni popola-ri: le civette di sinistro presagio e le galline vive portate a mano quando una donna appena sposata passava dalla casa paterna a quella del marito insieme a ciambelle e uova in numero dispari. Una mattina sotto gli ombrelloni eravamo rimasti io e lui a conversare di Dante e altro, era bello cosi abbronzato con la barba compatta, i capelli scuri e bagnati che brillavano, e mi parlava di tutti i suoi progetti con un'energia contagiosa. Mi distraeva perö come appoggiava il mento nella cunetta stretta che formava con la mano, e come le dita vagavano quasi tutto il tempo come lettere diverse di una lin-gua privata dei segni: come toccavano ora la gola, ora la bocca, e come finivano ogni tanto dietro una lente degli occhiali. Io da parte mia gli avevo raccontato cose (perche mi aveva chiesto) che non avevo mai detto a mio marito, niente di segreto, ma certe mie impressioni su com'era stato stabilirmi e costruire una nuova vita qui, anche delle cose sciocche, per esempio, com'era stato abituarmi alle tre ore che impiegava la lavatrice, e com'era abbandonarmi, dopo aver lasciato mia figlia a scuola, alle lunghe mattine in piazza solo per prendere il sole e chiacchierare con le altre madri, anziehe correre al prossimo impegno, stupidaggini che ascoltava senza guardarmi ma con una concentrazione notevole, sempre con il volto parzial-mente celato dalla mano, e mi ricordo che quando ci aveva raggiunto dopo una lunga nuotata mio marito mi era parso un po' spento rispetto all'altro, ancora un bell'uomo ma con poco da dire, con gli occhi arrossati e i capelli bagnati giä grigi e sfoltiti. 22854991 Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% iBľ Q ABC esteso Mar 17:58 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS II giorno dopo quelľepisodio mia figlia si stáva spazzolando i capelli sul letto quando mi disse ehe c'era qualcosa di minuscolo ehe si muoveva sul cuscino. Mio marito non c'era, aveva preso la macehina per andare a visitare una cantina, e quindi era stato ľantropologo ad accompagnarmi alla farmácia piú vicina. Solo noi due in macehina, in un orario molto caldo. Campi pieni di angurie. Una gita di venti minuti, il mare e le spiagge intravisti dalla strada. Mi raccontava cosa prean-nunciavano le comete (disgrazie, sempře) o ľaurora boreale. Avevamo giä notato la farmácia la sera prima, dopo cena, in giro per il paese tutti quanti in macehine separáte: festeggiavano ľapertura delia farmácia. C'era gente nel parcheggio, c'era-no palloncini, bottiglie di spumante. Comprai il pettine e lo shampoo per uccidere i pidocchi e quel pomeriggio, tornati al mare, mentre gli altri nuotavano ero rima-sta con mia figlia a lavarle e pettinarle ripetutamente i capelli. Ci eravamo sistema-te al sole e i pidocchi uscivano o vivi o morti dai suoi capelli lisci, scivolando dalla eute cosi bianca, un pallore ehe richiamava i pesci ehe si trascinano sul fondale delľoceano, anzi, gli organismi sotterranei. Mia figlia era inorridita, io invece sape-vo ehe era un altro segnale profetico. A settembre, dopo il rientro a scuola dei nostri figli insieme a tutti i bambini e gli adolescenti delia cittä, io e ľantropologo avevamo iniziato a pranzare nel cortile di un albergo non lontano da questa chiesa, un albergo con un'aria perduta perché un tempo era stato un monastero. C'ě una piecola universita li vicino, dove lui in-segnava una volta alla settimana. Per raggiungere il cortile delľalbergo superavi una cappella, poi attraversavi un lungo corridoio con pochi quadri alle pareti e un pavimento a scaechi in bianco e nero. Mangiavamo cibo dimentieabile fra i turisti smagati. A due passi dalľalbergo c'era un museo sempre vuoto, e dopo pranzo ci andavamo a passeggiare sotto il soffitto altissimo e affrescato in quel silenzio in-differente, a guardare una serie di quadri di cibo, mucehi di frutta, pesci sventrati e bicchieri di vino forse perche avevamo ancora fame. Dopo salivamo per le scale di pietra strette e storte. Anche se all'inizio eravamo quasi sempre all'aperto, stare con lui era come trovarsi nella stanza in piu, di colpo disponibile, che compare solo nei sogni, che rende casa propria sorprendentemente piü spaziosa. La scoper-ta di quella stanza mi riportava a un pezzo lontano della mia vita, quando temevo di amare ma anche di non essere mai desiderata da nessuno. Finche mi ero sentita, dopo la lettera di Dante Alighieri, subito in torto e tormentata da una scelta im-possibile. Di nuovo tentazione ed esitazione sulla panchina: alla fine delle passeg-giate ci sedevamo e ci baciavamo, si, e affrontavamo la tristezza immensa del tra-monto, l'istante in cui la cittä arde e le montagne si uniscono al cielo e le chiome dei pini marittimi sbucano fra i palazzi come un fumo vulcanico e quasi tutto quel-lo che ci circonda giorno dopo giorno, ogni particolare e ogni anima, imbrunisce e imbruttisce e in un secondo solo finisce. Gli incontri sulla panchina e in seguito i pomeriggi in una stanza di quell'albergo con il pavimento a scacchi erano durati un paio di mesi. Non abbiamo mai passato una notte insieme, ma se ci appisolavamo dopo il sesso sentivo sotto la mano il ce-spuglietto di peli in fondo alia sua schiena, il braccio ehe mi rinchiudeva, e se apri-vo gli occhi vedevo con il cervello confuso e stanco il suo polso quasi sparire e di-ventare l'osso di uno scheletro. Ma poi abbiamo smesso, mio suocero si ě ammala-to, si aggravava velocemente, e tutto stava per diventare molto complicato. Non era il caso in quel periodo di confessare una scappatella a mio marito (anni dopo si, ma solo a qualche arnica, le donne sono tombe). Volevo sempre bene a mio ma- po informazioni < > • MIolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% SJ' Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MIolEbookReader - Racconti romani © Q p OS rito e mi sentivo in colpa, grandissima colpa, anzi, un verme, ma anche, bisogna ammetterlo, liberata della falsa virtu che mi aveva ostacolato nel passato. Avevo paura, forse, di morire senza mai sgarrare. Tuttavia ogni sera a tavola con mio ma-rito e ogni notte a letto mentre russava sapevo di aver danneggiato, forse rovinato per sempre i buoni rapporti fra di noi, come quando piegavo con violenza il gambo di un fiore freschissimo mentre aggiustavo un mazzo appena scelto dal fioraio. Se mi avesse interpellate gli avrei detto tutto, magari avrebbe salvato quel gambo piegato. Invece non mi ha mai chiesto nulla e dopo la scomparsa di mio suoce-ro la vita e andata avanti. Se parlavamo di quella vacanza al mare, di quelle perso-ne con cui avevamo pranzato per due settimane nella pineta, era con serenita e nient'altro. Ma io ero nervosa, bruciavo troppe volte la caffettiera, una domenica mattina avevo perfino causato un piccolo incendio nella cucina per via di una pre-sina lasciata accanto al fornello. E sospetto che mio marito - mentre gli chiedevo scusa, mentre piangevo tra le sue braccia, mentre noi due eravamo in pigiama cir-condati da quel fumo acre che ti lacera la gola - avesse gia intuito tutto. Venimmo poi in sul lito diserto. Quando avevo quarant'anni, mia figlia ne aveva se-dici, mio marito quasi sessanta - insomma, tre eta separate e importanti - ho ri-preso a studiare. Volevo voltare pagina, non volevo finire per essere una casalinga forestiera come mia madre. Nostra figlia, che da piccola stava sempre appiccicata a me, spariva sofferente in camera sua, usciva tutte le sere, chissa con chi andava in giro. Al posto dei codini aveva i capelli quasi rasati. Mio marito era diventato il di-rettore sanitario di una clinica importante ed era molto impegnato. Mi ero iscritta a un'universita fuori Roma e facevo avanti e indietro piu volte alia settimana. Di nuovo quaderni, lezioni, compiti. Avevo fatto un master grazie al quale avevo im-parato come insegnare la lingua e la cultura di Dante al resto del mondo, dopodi-che avevo iniziato a lavorare per una societa in centro che porta il suo nome. Davo lezioni ai turisti o ad altri forestieri come me che volevano leggere un po' la Corn-media in lingua originale, o affittare una villa con piscina in qualche bel posto. Di nuovo il poeta, quello vero, quello morto, mi faceva strada e mi pungolava. Un giorno avevo ricevuto una telefonata da mio padre: mia madre aveva un'oc-clusione all'intestino. Ero tornata in America d'urgenza per l'operazione, mio marito mi aveva spiegato che era una cosa seria, e due settimane dopo, provata dal-l'intervento, lei se n'era andata in ospedale con la pancia tutta gonfia come fosse incinta. Alia fine credo che mia suocera mi conoscesse meglio, oppure conosceva il meglio di me, ma sapevo che nel fare il mio letto finche aveva potuto e nel manda-re per posta un vestito troppo grande ogni anno a mia figlia a Roma anche mia madre a modo suo mi aveva amata. Ero rimasta per un mese con mio padre per aiu-tarlo; stava per andare in pensione, voleva vendere la casa, donare i mobili e altri oggetti, e trasferirsi in un piccolo condominio. Mentre svuotavamo la casa aveva tirato fuori tutte le mie pagelle da quando avevo otto anni insieme a certificati e temi vari, perfino la mia tesi sulla Commedia; aveva conservato tutto in una scatola speciale. Avevo cercato, nella mia stanza, fra le mie cose mai buttate via, la lettera d'amore consegnata da Dante Alighieri. Era sparita. Cosi era cominciata una nuova fase della mia vita con molti avanti e indietro: ogni due o tre mesi andavo a trovare mio padre vedovo e pensionato. Avendo per-so un genitore, non volevo buttare via il tempo che rimaneva con l'altro. Quei viaggi, pur essendo sempre una sfacchinata, mi tranquillizzavano, non mi dispiace-va stare due settimane con lui, riempire il frigo e il freezer di cibo. Notavo che quando faceva buio in casa lui spesso non accendeva le luci della stanza, ma resta-va seduto assorto nella sua poltrona senza farci caso. Lo portavo fuori a fare due passi, perfino silenziosi, nel bosco lungo il ruscello in cui le chiome degli alberi sembrano le radici. Non mi chiedeva di passare quel tempo in sua compagnia, non • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% SJ' Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q p OS apprezzava mai a voce alta quel gesto, ma ogni volta che tornavo trovavo nella sua nuova piccola cucina i pompelmi rossi (che tagliavo tuttora, a volte, da cima a fon-do) fra le sue banáne macchiate nel cesto di frutta, le patatine alPaceto e sale, il ge-lato al caffě. AU'aeroporto una volta, all'imbarco, appena prima di un volo, avevo conosciuto un giovane italianista in gamba, era seduto accanto a me e aveva una borsa con il nome della stessa istituzione dove mi ero laureáta. Insegnava li e diceva che cerca-vano una persona che tenesse per un anno qualche corso di lingua. Avevo presen-tato la domanda e cosi mi era stato offerto il posto. Mio marito mi aveva portato all'aeroporto, ei eravamo detti che ci saremmo visti a Natale. Mi ero sistemata in una dependance giä arredata dietro l'abitazione enorme di un professore importante. Era uno spazio accogliente con pavimenti di legno ros-sastro, un Camino vero che accendevo la sera, e una serie di piccole finestre nella mansarda. Una chiave sola, un po' storta, apriva la porta. Di nuovo ero circondata da prati verdi e alberi altissimi, con il rumore delle macchine per tagliare Perba e spazzare via le foglie, la neve da spalare la mattina, lo scricchiolio della casa durante le bufere di vento, i marciapiedi solo per passeggiare, mai per raggiungere una vera meta, e ghiacciati dopo le nevicate. Faceva effetto ritrovarmi nella vita di prima, fra gli stessi edifici, le Stesse statue sul prato del campus, la stessa biblioteca dove guadagnavo due soldi da studentessa, dove mi aspettava la stessa poltrona nella mia nicchia preferita. L'insegnamento mi piaceva, le studentesse erano brave e mi facevano tante do-mande, alcuni colleghi mi erano simpatici e mi invitavano a cena. II secondo semestre avevo assistito perfino alio stesso corso su Dante che avevo frequentato de-cenni prima, solo che ora aiutavo il professore - quello giovane conosciuto all'aeroporto - a correggere gli elaborati degli esami. La dependance mi metteva alle- gria, prima di me c'era stato un artista che aveva dipinto disegni deliziosi sulle porte e sopra il camino. La domenica andavo a trovare mio padre e passeggiavamo in silenzio nel bosco lungo il ruscello. Gli facevo sempre una ciambella che piaceva a lui, con la ricetta di mia suocera. Sentivo mio marito al telefono ogni tre o quat-tro giorni. Mi raccontava di Roma, del sole e della pioggia, dei nostri amici e pa-renti e dei suoi impegni. A volte, quando mi chiamava la domenica da Fregene o da Anzio dove faceva lunghe passeggiate con il cane, mi chiedevo con chi stava. Alia fine dell'anno il college mi aveva offerto un contratto rinnovabile per tre anni. Potevo tornare a Roma in estate e in inverno. Mio marito ě venuto a trovarmi, una volta, nella dependance, una breve visita malinconica a Pasqua quando le foglie degli alberi, di un verde tenue, dovevano sbocciare e le sagome dei rami gettavano ombre nitide e spoglie sull'erba. Poco piú okre, sette alberi d'oro/falsava nel parere il lungo tratto/del mezzo ch'era ancor tra noi e loro. Lui ě rimasto nella nostra casa e io ne ho trovata una piú piccola, sempre in zona. Ho un terrazzino, delle piante grasse, una stanza in piú per gli ospiti, nel caso, per mia figlia. Fra gli alti e bassi io e lui siamo ancora sposati, e siamo rima-sti amici, e quindi se ci capita, quando sono di ritorno a Roma, andiamo ancora a pranzo insieme. Pesano certe storie, certe cose vissute o osservate o sbagliate o esplorate con scru-polo. Trasmettono un'energia che supera quella della vita quotidiana usa e getta. I ricordi profondi sono come le radici infinite riflesse nel ruscello, un simulacro senza fine. Eppure, ogni racconto, come ogni vita, dura solo fino a un certo punto. < > piú informazioni • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% SJ' Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, p OS Mia suocera, per esempio, se n'e andata ieri con i capelli appena sciolti in attesa che l'infermiera li raccogliesse sulla nuca, in attesa di assaggiare qualche cucchiaio della minestra preparata per lei. Ma ora, Signore, hanno trovato la pace, la pace che doni loro e che rimane, una serenitá che nulla pud turbare, una calma imperturbabile. AI funerale c'ě poca gente e faccio parte dello zoccolo duro. Vedo qualche parente di mio marito, qualche suo collega. Vedo le amiche che incontro regolarmente per fare due chiacchiere al bar, alcune separate come me, o giá vedove, un paio ancora sposate. Siamo quasi tutte sui cinquanta, vuol dire che i sessanta si awicinano. Uniamo due o tre tavolini e parliamo un po': di malattie e progetti e ormoni e figli, del sentirsi orfani a mezza etá, delle lunghe serate che passiamo in sordina, del-l'imbarazzo nelPinterrompere tuo figlio quando sta messaggiando con un amico e ti senti un'intrusa. Quando sono a Roma usciamo insieme, andiamo al cinema o a teatro, prendiamo un aperitivo sul lungofiume, oppure passeggiamo in mezzo alia folia, ambiente che custodisce e occulta qualsiasi trasgressione al mondo. Organiz-ziamo cene e vacanze, trekking, per una settimana all'anno affittiamo una bella casa che dá sul mare da qualche parte. Cerchiamo le case online, le commentiamo sulla nostra chat, ci chiediamo chi siano i proprietari. Queste donne nel mezzo del cammin sono la terza famiglia della mia vita. Ma anche noi ci siamo create un grande tappo collettivo da mettere sopra le ferite, le delusioni, le ambasce. Altrimenti perché mi sveglio quasi ogni mattina verso le tre in due capi diversi del mondo convinta che qualcuno stia girando per casa, perché penso che sia mia figlia ancora piccola che sta correndo per le stanze o bussando alia porta se mi faccio la doccia? Oppure che mio marito mattiniero sia ancora in cucina a mettere su il primo caffě e tirare fuori le marmellate? Le distanze sono utili, anche cambiare regolarmente la prospettiva, cosi pesa meno la conclusione di un lungo matrimonio, cosi un'infanzia mesta, un'adolescenza sotto il tappo, il ti-more di aver rovinato quasi tutto non incombono sempre. Fra una settimana saró di nuovo in taxi sulla Roma- Fiumicino per raggiungere l'altra sponda. Volo diurno di nove ore. Forse 1'affanno mi fa bene. Torneró lá per chiudere il semestre e passare tante ore in quella biblioteca in cui so dove appog-giare il cappotto in modo da farlo riscaldare sopra il termosifone. Le orecchie si ge-lano appena metti piede fuori per rientrare a casa. Le foglie colorate ancora attac-cate agli alberi si contano a una a una. II fruscio secco quando cadono e colpiscono il vetro delle finestre pare pioggia. AlPimbrunire ogni tanto vedo un coniglio sedu-to sull'erba, il corpo tondo e compatto e quell'occhio di marmo nero che fissa nulla, oppure tutto. L'animale comunica il terrore, oppure rispecchia semplicemente il mio, e mi chiedo come sarebbe stato vivere senza spostarmi cosi spesso, senza l'anima migrabonda che mi tocca in sorte. C'erano, ai tempi di Dante, persone condannate ad avere piú di una vita, ossia, mai una intera? E cosa dura aprire la porta della dépendance con quella chiave storta quando giá alle cinque e mezzo del pomeriggio fa un buio clamoroso, e sa-pere che nessuno ti aspetta dentro. Ogni volta che mi infilo fra la porta principále e quella di vetro e metallo che blocca il gelo mi sento un peso tremendo alle spalle, ě scomodo cercare la chiave mentre la prima porta quasi ti schiaccia, e mi chiedo se il sospiro stanco che quella porta emette prima di chiudersi venga dagli infissi testardi o da me. Chiamerei la mia sponda accademica della vita bifronte una specie di purgatorio. Roma oscilla tuttora fra paradiso e inferno. E ormai piena di cose rotte, sbagliate, piu informazioni < > • MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% iBh Q ABC esteso Mar 17:58 Q. O := • O • MlolEbookReader - Racconti romani O ■ Q, p OS piagate, buttate, defunte, ma non ce la faccio a recidere i fili. Difficile governare le piante grasse in terrazza, non perdonano il mio viavai. Sara troppa l'acqua o non abbastanza? Perche cadono le foglie dell'albero di giada appena le tocco? La pelle si e assottigliata oppure il sangue ha cominciato a scorrere diversamente visto che negli ultimi anni se sbatto la mano contro qualche cosa di duro, un palo per strada o un pezzo di legno, perfino se sbatto un dito contro una pentola mentre lavo i piatti, mi viene un piccolo ematoma che mi fa malissimo e mi sento la solita tonta che guastava e rompeva goffamente le cose, che macchiava gli stivali nuovi, le blu-se costose appena comprate. Che peccato la penna stilografica, il pennino storto come un naso a uncino. Sara questa la vita straordinaria pronosticata dal primo Dante Alighieri? La luce non entra piu nella basilica, il sole si e spostato. Il cielo non e cosi lontano, malgrado la nostra impressione di distanza infinita. Guardo di nuovo in alto alia figura divina attaccata al soffitto. Sembra sospesa, in procinto di cadere, di dare una gran-de panciata. Ma lei non cede. Cedono solo le parole scritte e consegnate a mano, le amicizie, le cellule, le scarpe a macchia di leopardo e i pranzi domenicali di una volta, le passioni sia adolescenziali che adulte, i negozi che vendono coltelli e pic-coli elettrodomestici, l'ansia dei genitori, le voci dei bambini, i gusci delle vongole al bordo del piatto. Rimane qualche rimpianto. Resto in attesa di essere perdonata da mio marito e di dire a diciassette anni, a un ragazzo angosciato e spavaldo, di volergli bene anch'io. Solo oggi mi rendo conto di non aver mai raccontato la vicenda di Dante Alighieri a nessuno. Fino a oggi si annidava in quella parte dei libro de la mia memoria. Lo sogno ancora: e venuto a piedi con la torcia in mano, mi aspetta oltre la porta di vetro e metallo, e passato a trovarmi. Ci alziamo. Vedo un signore seduto da solo che scrive rapito, come se la chiesa fosse uno studio tutto suo. Mi accorgo, dietro di lui, di altri turisti in fondo. Anche loro hanno assistito al congedo di mia suocera. Anni fa, prima che conoscessi mio marito a una fermata dell'autobus, sarei stata fra loro, ancora in attesa della mia vita nuova. Sono piú vicini a noi quelli che ci hanno lasciati per un mondo migliore. Strano sentirsi in fin dei conti sposata a un luogo piú che a una persona. Spero di morire qui e non dall'altra parte dei mondo. Portano via la bara, ci accodiamo e usciamo anche noi dalla chiesa. Piango mia madre che mi conosceva troppo poco mentre infilano mia suocera nel carro fune-bre. Ora sarä sepolta accanto a suo marito, sotto terra con gli insetti che cercavo una volta sollevando le rocce. L'unico tappo per sempre. La gente che per Ii sepolcri giace/potrebbesi veder? giä son levati/tutt'i coperchi, e nessun guardia face. Abbraccio varie persone, mio marito per ultimo. Gli dico che sono stanca, che non ho dormito in aereo, che non ce la faccio ad andare fino al cimitero. Mi ringrazia di essere venuta. «Ci mancherä.» Lui risponde, dolcemente: «Ti voleva molto bene». Ú MlolEbookReader Modifica > <3> 4))) 96% iBľ Q ABC esteso Mar 17:59 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS Ě invecchiato ma non con me. Mi saluta e mi bacia due volte prima di cammina-re verso la sua macchina con la nostra vicina di casa. Quanto bisogna vivere per imparare a soprawivere? Quante volte incipit vita nova? Mi organizzo per cena con le mie amiche. Sopra la piazza si stende un cielo terso. «Che cittá di merda» dice una di noi, spezzando il silenzio. «Ma quanťě bella.» Ú MlolEbookReader Modifica S SS w s > <3> 4))) 96% iBľ Q ABC esteso Mar 17:59 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS Alcuni di questi racconti sono giä apparsi in forma leggermente diversa in altre raccolte: «11 confine» Granta Italia. Vol. 7: Geografia, Rizzoli, Miláno, 2015 «La riunione» (con il titolo «Pranzo avariato») la Lettura - Corriere delia Sera, 23 settembre 2018 «Le feste di R» (con il titolo «La festa di P.») Nuovi Argomenti 1, maggio-agosto 2019 «Casa luminosa» Nuovo Decameron, HarperCollins Italia, Miláno, 2021 «11 ritiro» Nuovi Argomenti 5, settembre-dicembre 2020 «1 bigliettini» Le ferite: quattordici grandi racconti per i cinquanťanni di Medici Senza Frontiere, Einaudi, Torino, 2021 piů informazioni Ú MlolEbookReader Modifica > 4))) 95% iBľ Q ABC esteso Mar 17:59 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS Indice Presentazione Frontespizio Pagina di Copyright I Jž confine 1 2 3 4 5 6 7 8 9 La riunione LefestediP. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Casa L......osa H La scalinata 1. La madre 2. La vedova 3. Ľespatriata 4. La ragazza 5.1 due fratelli 6. Lo sceneggiatore m II ritiro Laprocessione 1 2 3 I bigliettini Dante Alighieri < > piů informazioni Ú MlolEbookReader Modifica > 4))) 95% iBľ Q ABC esteso Mar 17:59 Q. e :S • O • MlolEbookReader - Racconti románi O ■ p OS 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Seguici su ilLibraio piú informazioni