Citation  Rossi, A. (2021). “Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale”. Venezia Arti, n.s., 30, 41-58. DOI 10.30687/VA/2385-2720/2021/07/003 41 e-ISSN 2385-2720 Venezia Arti Nuova serie 3 – Vol. 30 – Dicembre 2021 Peer review Submitted 2021-07-06 Accepted 2021-10-08 Published 2021-12-21 Open access © 2021  |  cb Creative Commons Attribution 4.0 International Public License Edizioni Ca’Foscari Edizioni Ca’Foscari Au vu et à l’insu de tous. (Didi-Huberman 2018, 302) Quando un celebre pittore copia un dipinto di un altrettanto celebre artista il risultato che ne consegue è la ‘copia d’autore’. Quando un maestro come Rubens copia un maestro come Tiziano, porre la questione storico-artistica sul piano del mero paragone qualitativo può risultare esercizio ozioso. Può invece risultare più utile, soprattutto nel caso qui esaminato, concentrare l’attenzione su quale possa effettivamente essere il discrimine sottile fra originale e copia. Questo può rintracciarsi nell’avvertire e nel riconoscere nella copia una mancanza. L’assenza di quella tensione che la ruminatio creativa comporta e che spesso induce il pittore, inventore di una nuova composizione, a inserire nel dipinto dei dettagli, che, nella loro apparente marginalità, compiono un’operazione fondamentale per l’efficacia comunicativa dell’opera. Contribuendo alla perfetta adesione fra forma e contenuto questi dettagli sono in grado, come si argomenterà, di produrre nell’osservatore una sorta di empatia con l’opera e più precisamente con i sentimenti espressi dai protagonisti raffigurati sulla scena. Empatia che la copia priva di tali dettagli semiofori difficilmente può creare. L’originale in questione è il dipinto Diana e Callisto [fig. 1], realizzato da Tiziano Vecellio fra il 1556 Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Italia Abstract  A careful examination of Diana and Callisto, painted by Titian (London, National Gallery and Edinburgh, National Galleries of Scotland), its copy by Rubens (Knowsley Hall, Earl of Derby) and the version by Titian’s workshop in Vienna (Kunsthistorisches Museum) reveals details hitherto unrecognised by scholars. Although marginal, these take on extraordinary iconographic and communicative value, and it is precisely through these details that Titian evokes the mutations of the nymph Callisto narrated by Ovid in the Metamorphoses (2.401-530). The way in which the details are depicted and coordinated within the composition allows the beholder to experience the ‘graduality of discovery’. This is useful not only for lending the fixed image a temporality similar to that of literary narration (consisting of a ‘before’ and an ‘after’) but above all to induce, within the process of visual-perceptual discovery and its subsequent iconographic comprehension, the sequence of ‘desire-surprise-reward’ theorised by Daniel Arasse with regard to the revelatory power of detail, here applied to the polarity punctum/studium. Keywords  Titian. Rubens. Diana and Callisto. Ovid’s Metamorphoses. Details. Copy/original. Punctum/studium. Theory of art. Visual semiotics. Daniel Arasse. 42 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 1  Tiziano Vecellio, Diana e Callisto. 1556-59. Olio su tela, 187 × 204,5 cm. London, The National Gallery and Edinburgh, The National Galleries of Scotland. © The National Gallery, London / The National Galleries of Scotland Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 43 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 2  Peter Paul Rubens, Diana e Callisto. 1630-35. Olio su tela, 186 × 198 cm. Knowsley (Lancashire), collezione Conte di Derby. © PubHist 44 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 e il 1559 per il re di Spagna Filippo II insieme alla sua tela compagna Diana e Atteone.1 La copia in questione è quella realizzata fra il 1630 e il 1635 da Peter Paul Rubens [fig. 2].2 Per andare subito al punto focale della questione originale/copia non resta che osservare entrambe le opere nell’ottica sopra indicata. Vi è nel dipinto di Tiziano un elemento che sembrerebbe superfluo, senza un senso apparente, un elemento che in qualche modo turba perché la sua presenza non si giustifica di primo acchito né a livello puramente decorativo né a livello specificatamente iconografico. Un elemento a cui non è assegnata una particolare valenza compositiva, ma su cui il pittore riesce a indirizzare sottilmente lo sguardo dell’osservatore. Al centro geometrico della composizione il gesto deittico di Diana indica il volto sconvolto di Callisto, il cui sguardo arrossato per le lacrime si dirige proprio su tale elemento. La ninfa, che era stata ingravidata con l’inganno da Giove, punta lo sguardo in direzione di quello che si potrebbe riconoscere come il punctum della composizione, ossia un elemento marginale che assieme turba e attira l’osservatore del dipinto.3 Si tratta del velo trasparente che, come un’emanazione ectoplasmatica, sembra evaporare dalla mano stessa di Callisto [fig. 3]. Esso non è un vezzoso accessorio decorativo appartenente, come potrebbe sembrare a un primo sguardo, alla ninfa che indossa una veste rosa dalla cui ampia scollatura fuoriesce un seno e che tiene il braccio della ninfa incinta. Il potere del punctum, la sua forza perturbante, agisce proprio nell’attimo in cui si riconosce a un elemento della composizione una valenza dissimulatrice. La familiarità che si ha con questo elemento, in 1  Il pendant in questione fu congiuntamente acquistato dalla National Gallery di Londra e dalle National Galleries of Scotland di Edimburgo nel corso di tre anni (dal 2009 al 2012) con numerosi contributi pubblici e privati (cf. Wivel 2020a, Provenance, 206‑7). Come noto Tiziano realizzò per il sovrano di Spagna sette dipinti a tema mitologico, che il pittore stesso, in una lettera datata 19 giugno 1559, inviata a Filippo II, definì «poesie» (cf. Dalla Costa 2020, 197). I dipinti sono: Danae (1551-53 ca, olio su tela, 114,6 × 192,5 cm, London, Wellington Collection, Apsley House), Venere e Adone (1553-54 ca, olio su tela, 186 × 207 cm, Madrid, Museo Nacional del Prado), Perseo e Andromeda (1554-56 ca, olio su tela, 183,3 × 199,3 cm, London, Wallace Collection), il pendant Diana e Atteone e Diana e Callisto (1556-59, rispettivamente olio su tela, 184,5 × 202,2 cm e 187 × 204,5 cm, London, National Gallery e Edinburgh, National Galleries of Scotland), Ratto d’Europa (1559-62, olio su tela, 178 × 205 cm, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum), Morte di Atteone (1559-75 ca, olio su tela, 178,8 × 197,8 cm, London, National Gallery) (cf. Wivel 2020a, Provenance, 206-7). Il presente studio anticipa un lavoro molto più esteso e articolato dedicato alle ‘poesie’ di Tiziano di prossima pubblicazione da parte di chi scrive. 2  Sul dipinto di Rubens si veda Pilo 1990, 246-7. 3  È Roland Barthes a introdurre il concetto di punctum, in particolare riguardo all’immagine fotografica (Barthes 2003, 27-61). Concetto già rielaborato e applicato alla pittura veneziana della prima metà del Cinquecento da chi scrive in Rossi 2015, 22-3. 4  L’espediente figurativo velo/muso solleva la questione delle ‘immagini doppie’ già tematizzata dalla critica (cf. Janson 1961; 1973; Gamboni 2002). Dario Gamboni, in particolare, ritiene che tale tipologia di figure abbia la funzione di invitare lo spettatore a osservare più attentamente la scena in questione, offrendo livelli di lettura sempre più profondi e significanti (cf. Gamboni 2009). 5  Boschini 1966, 711-12. 6  Contini 2013, 205. 7  Sul concetto di studium rimando al già menzionato Barthes 2003, 27-61. Sulla rielaborazione e applicazione di tale concetto alla pittura antica mi permetto di rimandare ancora a Rossi 2015, 22-3. 8  Ov. Met. 2.523 (Bernardini Marzolla 1994). questo caso un velo trasparente che svolazza sulla spalla di una ninfa, viene incrinata dal prendere atto che non si tratta di un semplice indumento mosso dal vento o dal movimento concitato delle figure. Che cosa è allora questo velo? Che cosa rappresenta? Qual è la sua funzione? A mano a mano che lo si osserva emerge da esso una sagoma, un profilo, il muso di un animale direzionato in basso verso si- nistra.4 La testa, l’occhio, il naso, la bocca, l’orecchio dell’animale, seppur dissimulati nelle pieghe del velo, sembrano farsi ben distinguibili. Sembra venire realizzato in questo particolare quanto scritto da Marco Boschini nel 1674 sulla pittura di Tiziano nel passo in cui evidenzia come il Cadorino sia spesso in grado di fare comparire «in quattro pennellate la promessa d’una rara figura».5 Caratteristica stilistica del Vecellio inaugurata, secondo Roberto Contini, proprio a partire dal pendant Diana e Atteone e Diana e Callisto.6 Scatta a questo punto il momento del post-turbamento, ossia la fase della ricezione in cui, incrinata la familiarità che si ha con l’elemento in questione e preso atto della nuova forma che questo assume, si passa alla verifica e al controllo, al cosiddetto studium,7 al tentativo cioè di comprendere il significato che una tale forma può assumere all’interno dello specifico contesto in cui si trova. Si tratta, in altri termini, di sottoporre ciò che si percepisce con lo sguardo a un riscontro iconografico. Si fa quindi necessario capire perché Callisto si rivolga a un ‘velo’ che sembra essere la proiezione di un muso animale, quello che Ovidio definisce in riferimento alla prima metamorfosi della ninfa «vultusque ferinos».8 Per farlo è sufficiente – come si è appena anticipato – applicare il consueto metodo Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 45 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 di ricerca iconografico ricorrendo alla fonte letteraria che ha ispirato il pittore, ossia, nel caso specifico, la storia della ninfa Callisto narrata da Ovidio nelle Metamorfosi.9 Storia che qui si è voluto riassumere nell’efficace sinossi elaborata da Augusto Gentili sulla scorta di quella già proposta da Erwin Panofsky:10 Callisto, ninfa del seguito di Diana, è sedotta da Giove che – come in molte altre occasioni – sfrut- 9  Ov. Met. 2.401-530. Ovidio narra la storia di Callisto anche in Fasti 2.155-92. Per un primo approfondimento sulle fonti letterarie delle ‘poesie’ di Tiziano rimando al capitolo «Tiziano e Ovidio» in Panofsky 1992, 141-74, in cui viene sostenuta un’«intima affinità» fra il pittore e il poeta nonostante Tiziano non conoscesse il latino, e al saggio «Tiziano, Ovidio e i codici della figurazione erotica del Cinquecento» in Ginzburg 2000, 133-57, in cui lo storico sostiene invece lo «spregiudicato» riutilizzo da parte del Cadorino delle più o meno rudimentali illustrazioni dei volgarizzamenti cinquecenteschi del poema ovidiano per la realizzazione delle composizioni delle ‘poesie’ destinate a Filippo II. 10  Panofsky 1992, 161. ta a suo vantaggio la metamorfosi presentandosi alla fanciulla sotto le sembianze di Diana stessa ed evitandone così i sospetti. Nove mesi dopo, Diana con il suo seguito giunge a un ruscello e propone a tutte di bagnarsi. Callisto tenta di ritirarsi, ma è spogliata a forza dalle compagne: scoperta così la sua gravidanza, viene scacciata da Diana. Giunone viene a sapere la cosa, ma rinvia la vendetta fin quando la nascita di un fanciullo, Arcade, non rende manifesto l’adulterio: Figura 3  Tiziano Vecellio, Diana e Callisto, dettaglio del velo/muso d’orsa. 1556‑59. Olio su tela, 187 × 204,5 cm. London, The National Gallery and Edinburgh, The National Galleries ofScotland.©TheNationalGalleryLondon / The National Galleries of Scotland 46 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 allora, dopo aver picchiato Callisto, la tramuta in orsa. Dopo molti anni Arcade, ormai giovinetto, durante la caccia sta per uccidere quell’orsa che, avendolo riconosciuto, tentava di avvicinarlo: interviene questa volta Giove, che tramuta madre e figlio in stelle e li pone vicini nel cielo.11 Il profilo animale nel dipinto di Tiziano è allora da riconoscersi nel muso dell’orsa in cui Callisto verrà trasformata da Giunone,12 mentre il carattere aereo in cui si manifesta alluderebbe alla seconda trasmutazione, quella da orsa a costellazione (Ursa Major). Si legge infatti in Ovidio, a proposito della trasformazione di Callisto e Arcade in stelle per evitare che il giovane cacciatore uccidesse la madre/orsa: [Giove] li bloccò entrambi, e insieme bloccò il delitto, e sollevatili in aria con un vento veloce li collocò nel cielo facendone due costellazioni vicine.13 Il pittore avrebbe reso quel sollevamento «in aria con un vento veloce» di cui scrive il poeta, attraverso la raffigurazione del morbido rigonfiarsi di un velo sospeso, fissandolo, proprio in quel suo volatile movimento, nella forma riconoscibile di un muso d’orsa di profilo. Il punctum individuato allude così, attraverso una densità pittorico-concettuale, a una doppia prolessi riguardo alle mutazioni della ninfa: quella della metamorfosi in orsa prima e quella della metamorfosi in costellazione dopo. Nel dipinto di Tiziano Callisto, mentre sta venendo spogliata dalle compagne e nel momento in cui viene bandita senza pietà da Diana, vede/avverte la sua doppia trasformazione, infertale da Giunone prima e da Giove poi, in un drappo trasparente apparso come un 11  Gentili 1988, 194. 12  La morfologia del muso d’orsa che si struttura fra le pieghe del velo è assimilabile alle raffigurazioni cinquecentesche e seicentesche delle orse rappresentate nelle mappe celesti con le costellazioni figurate. Si vedano, a titolo di esempio, la celebre incisione di Albrecht Dürer Imagines coeli Septentrionales cum duodecim imaginibus zodiaci (Norimberga, 1515), la volta affrescata della Sala dello Zodiaco realizzata da Lorenzo Costa il Giovane nel 1579 a Palazzo Ducale a Mantova e la tavola con l’emisfero boreale dell’opera Prodromus Astronomia di Johannes Hevelius, pubblicata nel 1690 a Danzica (Ursa Major). Anche in alcune versioni illustrate delle Metamorfosi ovidiane compare la stessa tipologia di orsa. Si vedano in proposito: il doppio episodio Svelamento di Callisto / Arcade a caccia sta per uccidere inconsapevolmente la madre inciso da Giovanni Antonio Rusconi per il volume curato e tradotto da Ludovico Dolce (Venezia, 1553), l’episodio Giunone punisce Callisto presente ne La Metamorphose d’Ovide figurée di Bernard Salomon, stampato a Lione nel 1557, e l’episodio Arcade adulto sta per uccidere Callisto, inciso da Virgil Solis per l’adattamento delle Metamorfosi stampate nel 1563 ad opera di Johannes Spreng. Un profilo simile a quello che prende forma nelle pieghe del velo ricorre inoltre in uno dei primi dipinti realizzati da Tiziano per Filippo II, Venere e Adone (Madrid, Museo del Prado, 1553-54). Se si osserva il cane bianco, anche se questo è inclinato verso l’alto e verso destra, i tratti somatici base del muso (occhio, naso, bocca, orecchio) sono pressoché sovrapponibili. A differenziarli è la lunghezza del muso, naturalmente più lungo nel cane da caccia che nell’orsa, almeno per come viene raffigurato nelle illustrazioni dell’epoca. Ovidio stesso nelle Metamorfosi (2.481) nel descrivere il volto mutato di Callisto lo definisce «largo ceffo» (deformia rictu, letteralmente ‘mascelle deformi’) alludendo al muso tozzo e robusto dell’orsa. Particolarmente significativa in tal senso è l’illustrazione dell’Ursa Major presente in un testo astrologico degli inizi del XVI secolo conservato alla Charles Walker Collection. 13  Ov. Met. 2.505-7; corsivo aggiunto. «Callisto è trasformata nella costellazione dell’Ursa Maior, l’Orsa Maggiore; Arcade nella costellazione Bootes o Arctophylax (il ‘custode dell’orsa’)», come ricorda Panofsky (1992, 161). 14  Warren Tresidder, diversamente dalla maggior parte della critica, ritiene che il teschio di cervo sul pilastro così come le pelli appese agli alberi attorno alla figura di Diana rappresentino dei semplici trofei di caccia della Dea (Tresidder 1988, con bibliografia precedente). fantasma sulla spalla di una sua compagna, dissimulandosi in un orpello, un fronzolo, un surplus decorativo che in realtà è massimamente significativo in termini di prolessi iconografica. Si tratta di una prolessi più sottile e sofisticata, perché dinamica e colta in fieri, rispetto all’elemento prolettico della metamorfosi e morte di Atteone palesemente inscritto nella composizione della tela compagna, Diana e Atteone, attraverso l’introduzione del cranio di cervo sulla colonna abbracciata da una ninfa in secondo piano a cui corrisponde sullo sfondo l’inseguimento di un cervo da parte di Diana cacciatrice o di una sua ninfa [fig. 4].14 Il punctum velo/orsa/costellazione innesca così un sottile lavorio fra la mente/sguardo dell’osservatore e l’espediente pittorico dell’artista, permettendo a un oggetto quotidiano, il velo trasparente, di trascendere il suo stato materiale per divenire ‘visione’. Visione che, avuta da una figura all’interno della rappresentazione stessa (la ninfa Callisto), si fa plastica e visibile proprio attraverso il velo trasparente, facendosi riconoscere quale punctum dall’osservatore. Osservatore che assiste alla visione e la recepisce quale profilo animale, condividendola nella sua valenza prolettica simbolica con la stessa protagonista dell’episodio. Visione metamorfica che è stata concessa all’occhio dell’osservatore a mezzo del turbamento prima e dello studio dopo. In un certo senso si potrebbe dire che l’osservatore, nel momento in cui vede trasformarsi nella sua mente/occhio un velo trasparente nel muso di un animale, partecipa per un’istante alla stessa inquietudine di Callisto, che nel dipinto di Tiziano ‘pre-vede’ le sue mutazioni successive. Il modo o, se si vuole, la soluzione pittoricamente più efficace per fare intuire all’osservatore lo stupore fantastico Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 47 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 4  Tiziano Vecellio, Diana e Atteone, dettaglio del cranio di cervo. 1556-59. Olio su tela, 184,5 × 202,2 cm. London, The National Gallery and Edinburgh, The National Galleries of Scotland. © The National Gallery London / The National Galleries of Scotland 48 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 5  Bottega di Tiziano Vecellio (o copia con varianti da Tiziano), Diana e Callisto. 1566 ca. Olio su tela, 183 × 200 cm. Wien, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. © Kunsthistorisches Museum Wien Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 49 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 6  Juan Bautista Martínez del Mazo, Diana e Callisto. 1650 ca. Olio su tela, 98 × 107 cm. Madrid, Museo Nacional del Prado. © Museo Nacional del Prado, Madrid 50 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 di una mutazione in fieri è fargliela vivere in prima persona, inducendo il suo sguardo e la sua mente a compiere una metamorfosi dell’atto percettivo.15 Solamente dopo avere vissuto tale mutazione percettiva l’osservatore sarà in grado di ‘esorcizzare’ il turbamento, che per un attimo lo ha colto, inquadrandolo all’interno della narrazione ovidiana, adempiendo così alla sua missione ermeneutica in senso iconologico.16 Questo sottile dispositivo psicologico attuato dall’opera nei confronti del suo osservatore viene a cadere nella copia (o versione di bottega) del dipinto conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna [fig. 5], in cui il velo trasparente non viene riprodotto.17 Nel confrontare il gruppo delle ninfe attorno a Callisto dell’originale con quello della copia, la mancanza del velo è certamente la differenza meno evidente, eppure è quella che più si avverte. Se infatti le pose, le espressioni e le vesti di alcune ninfe differiscono notevolmente fra l’originale e la copia, queste varianti non influiscono sulla ricezione dell’azione che le figure stanno compiendo in sintonia con la fonte letteraria. Ciò che completamente manca nella copia è il superfluo: un gadget, un ‘inutile’ accessorio che, nel caso specifico, racchiude, nel suo leggero e gratuito svolazzare, la densità simbolica sopra descritta. Densità che le copie difficilmente riescono a riprodurre, non cogliendo quel surplus iconico che non ha una funzione puramente didascalica né prettamente decorativa ma che, proprio quale punctum, apre il dipinto ad altre dimensioni cognitive, quelle in particolare legate alla possibilità da parte dell’osservatore di percepire la metamorfosi in atto proprio nel vedere, nel caso specifico, un velo divenire muso.18 Quello che il punctum pone in causa non è solamente una ‘significazione’ ma è innanzitutto un’‘energetica’, una ‘produzione’ più che una ‘rappresentazione’. Esso dispone l’osservatore dell’o- 15  Da tempo gli studiosi di psicologia dell’arte hanno riconosciuto nell’atto percettivo la ‘compresenza’ e l’‘inseparabilità’ del vedere e del pensare. Scrive per esempio, sulla scorta di Rudolf Arnheim, Alberto Argenton: «Le due attività, […] pur svolgendosi secondo propri principi e leggi, sono funzionalmente collegate fra loro all’interno della cognizione […]. Detto in altri termini, le operazioni che solitamente sono ritenute proprie del pensiero – distinguere, confrontare, riconoscere, inferire, ecc. – sono già presenti e attive nella percezione diretta e, nello stesso tempo, ogni operazione di pensiero richiede una base sensoriale» (cf. Argenton 2008, 137, con bibliografia precedente). 16  Sul concetto di ‘esorcismo’ in ambito iconologico rimando a Didi-Huberman 2008. 17  La critica non è unanime sulla paternità di quest’opera. Per alcuni studiosi non si tratterebbe di una copia ma di una replica eseguita da Tiziano e dalla sua bottega. Si confronti in tal senso Rearick 1996, 54-5. Gentili ritiene che si tratti di «un esempio tipico di quegli eccellenti ‘quasi-Tiziano’ prodotti in bottega sotto la direzione dell’attentissimo Palma il Giovane» (1988, 198). Lo studioso ipotizza sia opera realizzata a due mani, di cui una identificabile in quella di Girolamo Dente (Gentili 1988, 204 nota 17, con bibliografia precedente). 18  Per ‘osservatore’ si intende qui colui/colei che si pone davanti al dipinto, lasciandosi condurre dalle linee guida (dettagli, direttrici prospettiche, accensione di colori, sfumature, gesti e sguardi deittici ecc.) offerte dal dipinto stesso, provando a collegare tali forme propriamente pittoriche con il contenuto mitologico che veicolano. 19  Carmagnola 2015, 71. 20  Cf. Carmagnola 2015, 73, con bibliografia precedente. 21  Cf. Didi-Huberman 2019, 63. 22  Cf. Didi-Huberman 2016, 41. pera a vedere, a sentire, a pensare. «Il dettaglio, il punctum, – ricorda Fulvio Carmagnola sulla scorta di Lacan e Barthes – è qualcosa nel dispositivo che ci colpisce, ci ri-guarda».19 Ciò che «ci punge» e «che più conta», chiosa il filosofo, «si trova in un punto di non-senso».20 A tale riguardo è significativo sottolineare come nella copia di Rubens già ricordata il velo trasparente svolazzante è presente ma la fisionomia del muso d’orsa dissimulata di profilo fra le pieghe tende a svaporare, perdendo i lineamenti e con essi il significato e l’energia che comportano, come avviene in un’altra copia di qualità di gran lunga inferiore, quella realizzata da Juan Bautista Martínez del Mazo (Museo del Prado, 1650 ca) [fig. 6], anche se in questo dipinto l’immagine multistabile del velo tizianesco pare copiata più pedissequamente. L’apparato teorico, che permette a un semplice foulard, posto a mezz’aria fra un gruppo di ninfe, di diventare un elemento metamorfico, costituendosi quale punctum della narrazione pittorica, è qui da riconoscersi in quella brise imaginaire che Aby Warburg ritiene «la causa esterna della composizione dei dipinti».21 Tale ‘brezza immaginaria’ ‘muove’ il panneggio e insieme ‘commuove’ chi a questo movimento è interessato, nel nostro caso la ninfa Callisto. Se Tiziano avesse voluto inserire un drappo a fini decorativi lo avrebbe probabilmente fatto gonfiare energeticamente per creare uno di quegli effetti scenografici di cui era maestro. Si pensi, per esempio, al vigoroso drappo cremisi di Bacco nel Bacco e Arianna (1520-23) della National Gallery di Londra, a quello di Perseo nel Perseo e Andromeda (1554-56 ca) della Wallace Collection di Londra o ancora a quello di Europa nel Ratto d’Europa (1559-62) dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Nel dipinto di Diana e Callisto il drappo, quale ‘accessorio in movimento’, diviene ‘amplificatore psichico’ (amplificateur psychique)22 Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 51 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 della protagonista pur rimanendo discreto a livello compositivo. La scena in esame non è attraversata dal vento. Nulla sembra essere mosso dalla brezza se non il drappo in questione. Il suo sollevarsi, gonfiarsi e ripiegarsi su se stesso, indica pertanto l’estraneità di tale elemento alle dinamiche interne della composizione, o meglio, lo pone su un piano ‘altro’, su un livello più sottile. Il suo legarsi a Callisto, emanandosi come un vapore dalla sua mano alzata, lo segnala come spiritus esalato dal corpo stesso della ninfa. Spiritus «portatore di pensieri e di emozioni affettive singolari», direbbe Didi-Huberman.23 Si viene così a creare un legame diretto dalla peculiare intensità fra lo sguardo arrossato colmo di lacrime di Callisto e l’oggetto su cui tale sguardo si poggia. Il velo che noi vediamo mosso dalla ‘brezza immaginaria’ è di fatto già colmo dello ‘spirito’ della ninfa che si vede trasformata in orsa. Tiziano stesso pare avesse intuito che proprio dalla paziente elaborazione di alcuni particolari del pendant Diana e Atteone e Diana e Callisto dipendesse l’efficacia artistica dei due quadri destinati al re di Spagna. È secondo tale prospettiva che probabilmente va intesa la nota scritta dall’ambasciatore spagnolo a Venezia, García Hernández, nella lettera inviata a Filippo II il 3 agosto 1559. Hernández scrive che Tiziano lavorò ai due dipinti durante tutta l’estate per «risolvere qualche piccola cosa che gli altri non noterebbero».24 Non sappiamo a quali dettagli delle due composizioni si riferisse l’ambasciatore spagnolo ma è chiaro che questi avesse avuto la netta sensazione di come il pittore stesse lavorando alacremente al pendant in questione per trovare soluzioni sottili, non immediatamente percepibili ai più. Una cosa è certa, tutta l’energia metamorfica del dipinto si condensa attorno alle cinque ninfe sulla sinistra, giocando la sua efficacia espressiva ed emotiva proprio sullo svelarsi e sul crearsi di forme: la ninfa in piedi scopre, denuda, Callisto svelando il suo ventre dilatato e pregno e al contempo è un drappo stesso, un leggero e aereo velo trasparente, a svelare l’implacabile destino metamorfico della ninfa incinta. La complessità emotiva racchiusa nel gruppo delle ninfe sulla sinistra è intuita dal curatore della recente mostra londinese dedicata alle ‘poesie’ di Tiziano, Mathias Wi- 23  Didi-Huberman 2019, 71. 24  Weston-Lewis 2020, 148, con bibliografia precedente. 25  Wivel 2020b, 163. 26  Wivel considera il dipinto di Vienna un’opera eseguita nell’entourage del Maestro: «Titian and workshop, about 1566» (Wivel 2020b, 162). 27  Vocabolario Etimologico Pianigiani, s.v. «Invenzione», http://www.etimo.it/?cmd=id&id=9303&md=ed0da2f13f98d15f4a28 a2a1cf404e72. vel, che non ne coglie però il punto di emanazione (punctum), ignorando completamente il velo/muso d’orsa, pur ravvisando che anche dai ‘più piccoli aggiustamenti’ dipende la buona riuscita dell’opera. Scrive Wivel, riferendosi al gruppo delle ninfe assiepate attorno a Callisto: the most complex and emotionally delicate part of the composition, in which even the smallest adjustments would affect the tenor and clarity of what Titian was trying to communicate.25 Lo studioso concentra la sua attenzione sulle varianti (anche macroscopiche e già ampiamente ravvisate e descritte dagli studi precedenti) del gruppo delle ninfe della già citata copia (o versione di bottega)26 di Vienna di Diana e Callisto e su tali varianti basa la sua considerazione in merito al processo creativo condotto sui due dipinti di LondraEdimburgo da parte di un artista che deduce essere costantemente in cerca di una maggiore chiarezza comunicativa. Parrebbe allora, seguendo le considerazioni di Wivel, che il conciliare ‘delicatezza emotiva’ e ‘chiarezza compositiva’ passi da un ritornare continuamente da parte del pittore sulla composizione che sta ultimando, apportandone delle modifiche quasi impercettibili, ma fondamentali. Se questo è certamente condivisibile, tale ragionamento manca di prendere in considerazione come l’efficacia di un’opera non sia proporzionalmente commisurata alla sua chiarezza comunicativa. Il pittore lavora perché la sua opera sia efficace, non perché sia necessariamente ‘chiara’. La sottigliezza emotiva, che induce all’empatia fra opera e osservatore, non può che emergere dalla sottigliezza dei mezzi con cui viene espressa. Tiziano lo ha intuito, ha ricercato quei veicoli emozionali sottili (perché semicelati e ‘appuntiti’) e li ha ‘trovati’, realizzandoli in una forma inaspettata. Solo a quel punto l’opera portatrice di tali dettagli sarebbe stata pronta per essere consegnata al committente. Nel processo creativo del Cadorino l’‘invenzione’, ossia ciò che rende originale un’opera, passa proprio dal rendere operativa la stessa etimologia latina del termine: inventionem da inventus participio passato di invenire, che significa «trovare investigando».27 In tal modo Tiziano assume realmente il ruolo di poietes, come definito da Erodoto, ossia di colui che «rivela 52 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 le forme».28 Se la ‘chiarezza comunicativa’ dell’opera si indirizza soprattutto alla ratio dell’osservatore, l’efficacia dell’opera consiste innanzitutto nel turbare tale ratio (tramite il punctum) affinché questa sia ripresa, sempre da parte dell’osservatore (tramite lo studium), arricchita dall’afflato emotivo ed empatico nei confronti dell’azione rappresentata nel dipinto stesso. La ‘chiarezza comunicativa’ è funzionale, in altri termini, a far riconoscere il soggetto del dipinto, l’‘efficacia comunicativa’ a ‘far vivere’ in prima persona ciò che accade nel quadro, passando per lo stesso (o quasi) turbamento che le figure dipinte sembrano avvertire nelle difficili circostanze in cui si trovano. In altre parole ancora, cogliere il punctum senza farlo seguire dallo studium rischia di lasciare poco ‘chiara’ la comprensione dell’opera, mentre uno studium che non sia stato attraversato dalla percezione del punctum rischia di lasciare l’opera ‘inefficace’, privandola di quella potenziale energia comunicativa ed emozionale che le permette di distinguersi dalle didascaliche illustrazioni del medesimo soggetto. Con questo non si vuole affermare che ogni dipinto debba necessariamente avere un punctum che consenta all’osservatore di entrare nell’intimità dell’opera per via del turbamento, ma si vuole ribadire come nei dipinti ritenuti privi di punctum si possa avvertire l’assenza di quella tensione creativa che spesso lascia nell’opera tracce sotto forma di dettagli, talvolta apparentemente marginali. Le copie di un dipinto come quello in esame, di un’opera cioè che ha subito un iter creativo articolato e intenso, non potranno verosimilmente riportare i segni o le tracce del sottile labor limae che ha portato l’originale ad avere dei dettagli efficaci sia sul piano iconografico che su quello comunicativo. La copia di Rubens lo testimonia. Perdendo i tratti somatici dell’orsa di profilo nelle pieghe del velo svolazzante fra le ninfe, tale copia, seppur d’autore, perde il sofisticato veicolo della sottigliezza emotiva che provoca la prolessi della metamorfosi/punizione, eliminando al contempo il meccanismo di agnizione simpatetica che compete all’osservatore. Questi infatti, come già ricordato, può cogliere tale prolessi solamente attraverso un atto sguardomente metamorfico che realizza (ovvero che porta alla coscienza) il mutamento del velo, mosso dalla ‘brezza immaginaria’, nel muso di profilo di un animale, facendolo in modo coerente alla narrazione mitologica espressa dal dipinto. Se è vero inoltre che il carattere aereo in cui si manifesta il velo/orsa allude alla seconda trasmutazione dell’orsa, mutata a sua volta in costellazio- 28  Sul ruolo del poietes si veda Guastini 2003, 12. 29  Cf. Roy 2015, 87. ne, si può notare come Tiziano decida non solo di evocare questa seconda metamorfosi ma anche di rappresentarla dissimulandola ancora una volta in modo così sottile tanto da farne perdere le tracce nelle diverse copie del dipinto e in tutti i commenti critici a esso relativi. Il Cadorino amplifica l’irradiazione del punctum velo/muso d’orsa attraverso le energie vettoriali che collegano i punti nevralgici della composizione: il lembo sinistro del drappo aranciato, decorato con unicorni stilizzati,29 che pende dal ramo crea una punta che indica, come una freccia segnaletica, la testa di Diana, questa a sua volta punta l’indice verso il volto di Callisto che alza gli occhi verso il punctum del velo/orsa, su cui converge anche quel bagliore, in alto sulla sinistra, che, come una cicatrice infuocata che sutura l’addensarsi di grigie nubi penetrate fin dentro la boscaglia, si manifesta come un fulmine che si abbatte con fragore sulla terra [fig. 7]. Se l’osservatore prova ora a proseguire la direzione già intrapresa dal suo sguardo da destra verso sinistra e a risalire il fulmine dorato dal basso verso l’alto incontra un altro significativo vettore energetico, questa volta in orizzontale (e che quindi tornerebbe idealmente indietro procedendo da sinistra a destra, dando circolarità e quindi equilibrio alla composizione), costituito da un altro bagliore, posizionato in cielo, specificatamente composto dall’intensificarsi di due pennellate parallele di un giallo acceso. Lo sguardo, attirato da questa luminosità geometrizzata (con funzione inquadrante), si focalizza su di essa, cogliendo sopra le due linee gialle la sagoma (il busto e il volto dai connotati appena accennati) di una figurina incorniciata da una piccola apertura nelle nuvole a forma di stella a cinque punte [fig. 8]. Figura da identificarsi probabilmente in Giunone, artefi- ce – come si è ricordato – della trasformazione di Callisto in orsa. A questo punto, soddisfatto e insieme turbato dalla scoperta di un altro dettaglio significante, lo ‘sguardo pensante’ dell’osservatore tende ad acuirsi ancor più, andando in cerca di una conferma iconografica a quello che ha visto, innescando così la medesima dinamica punctum/ studium già assecondata in precedenza. Conferma che trova facendo scorrere lo sguardo ancora lungo l’arco luminoso che si staglia in cielo. Sulla sinistra della sagoma fantasmatica di Giunone, si scorge una altra sagoma semi celata dalle fronde degli alberi, che al tempo stesso fungono da dissimulati vettori direzionali dello sguardo. Si tratta, coerentemente con la narrazione ovidiana, del profilo dell’orsa, di cui questa volta è raffigurato anche Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 53 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 7 Tiziano Vecellio, Diana e Callisto, dettaglio del fulmine. 1556-59. Olio su tela, 187 × 204,5 cm. London, The National Gallery and Edinburgh, The National Galleries of Scotland 54 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 parte del corpo (il muso, il petto, il dorso e le zampe anteriori) direzionato verso la Dea che ha voluto punire l’adulterio di suo marito Giove, colpendo la malcapitata ninfa Callisto, ingannata dallo stesso Giove trasformatosi in Diana per concupirla. A questo punto appare chiaro che il fulmine nella boscaglia raffigurato da Tiziano non possa che fare riferimento all’azione dell’‘Onnipotente’ (omnipotens) e ‘gran Tonante’ (magni Tonantis) Giove,30 che impedì l’inconsapevole matricidio del quindicenne Arcade quando questi, andando a caccia nelle selve dell’Erimanto, s’imbatté nell’orsa-Callisto, già pronto, seppur spaventato, a «trapassarle il petto con un dardo micidiale».31 Giove salvò quella che fu la sua giovane amante e il frutto dell’unione con lei, trasformando repentinamente madre e figlio in costellazioni e collocandoli in cielo.32 Seguendo il racconto di Ovidio, a comparire contemporaneamente in cielo come costellazioni dovrebbero quindi essere madre e figlio, la ninfa/orsa e il cacciatore Arcade. Se la sagoma dell’orsa, seppur flebile, è piuttosto riconoscibile quale Ursa Major, quella dell’altra figura è decisamente più indefinita. A portarci inizialmente a interpretarla come Giunone è stato l’accendersi in quel punto del cielo di un bagliore sovrannaturale, da intendersi come manifestazione divina. Le due linee parallele di un giallo intenso che sottolineano tale apparizione celeste hanno subito fatto pensare a una teofania, al manifestarsi in cielo di una divinità. È possibile però associare tale splendore anche alla costellazione in cui Arcade viene trasformato, Bootes. La stella principale che costituisce tale costellazione è infatti particolarmente luminosa e porta il significa- 30  Per gli epiteti di Giove si veda Ov. Met. 2.505,466. 31  Ov. Met. 2.504. 32  Nel racconto ovidiano in cui è protagonista Callisto Giove appare due volte, prima per concupire la ninfa sotto le spoglie di Diana (Ov. Met. 2.409-40), poi per rimediare al suo misfatto trasformando Callisto/orsa e suo figlio Arcade in costellazioni (Ov. Met. 2.505-7). Nel dipinto di Tiziano è molto più plausibile che il fulmine (inequivocabile attributo del Padre degli dei) si riferisca all’azione di Giove salvatore piuttosto che a quella di Giove subdolo ingravidante. Nella posizione in cui si trova all’interno della composizione, penetrato sin dentro alla boscaglia, il fulmine risulta coerente con la sequenza narrativa dell’episodio, le cui tappe cronologiche sono figurativamente scandite da destra verso sinistra, dal basso verso l’alto: Callisto cacciata dal gruppo delle ninfe devote alla casta Diana perché scoperta incinta, Callisto trasformata in orsa attraverso l’espediente figurativo del velo, Callisto e Arcade trasformati nel bosco durante una battuta di caccia attraverso l’espediente simbolico del fulmine salvifico di Giove, Orsa/Ursa Major in cielo insieme a Arcade/Bootes o alla furiosa Giunone a terminare il racconto in immagini di Tiziano ‘poeta’. Riconoscere la sagoma indefinita nella figura di Giove che accoglie nel firmamento la nuova costellazione, pur trovando riscontro nella tradizione iconografica (si veda, per esempio, tale episodio affrescato da Anton Maria Viani in un riquadro della volta della Galleria del Passerino nel Palazzo Ducale di Mantova realizzata fra il 1595 e il 1612), non è sostenibile. In tal caso le figurine dovrebbero essere infatti almeno tre (le due nuove costellazioni e il Padre degli dei che le accoglie in cielo). Nel caso del dipinto murale di Viani Giove è accompagnato dall’aquila, suo immancabile attributo, facendo aumentare così a quattro il numero delle presenze in cielo. 33  Ov. Met. 2.512-13. 34  Il pittore avrebbe potuto realizzare il passaggio dalla prima alla seconda metamorfosi in modo più immediato e didascalico, rendendolo più facilmente riconoscibile. In tal modo avrebbe però fatto perdere alla sua opera l’efficacia comunicativa garantita dalla scoperta attenta e graduale dei particolari iconograficamente significativi da parte dell’osservatore. In un’incisione anonima del XVI secolo (1590 ca, da Hendrick Goltzius), per esempio, la doppia metamorfosi è esplicitamente evocata ponendosi quale ‘illustrazione’ del duplice episodio: in primo piano il cacciatore Arcade è raffigurato mentre sta per uccidere la madre che, sotto forma d’orsa, lo riconosce e, sullo sfondo in alto a destra, vengono rappresentate le due figure assunte in cielo come costellazioni da Giove, intervenuto per impedire il matricidio (cf. Strauss 1980, 325-7; Reid 1993, 1: 282). tivo nome di Arcturus. Nome che deriva dal greco Ἀρκτοῦρος e che significa ‘guardiano dell’Orsa’ derivando da ἄρκτος ‘orso’ + οὖρο ‘guardiano’. Per giustificare l’enfasi luminosa, che indubbiamente marca la presenza di una figurina, si è ricorsi quindi di primo acchito alla dea Giunone, artefice della prima trasformazione di Callisto, sia sulla base dei precedenti inserimenti da parte di Tiziano di divinità che compaiono contemporaneamente splendenti ed evanescenti fra le nuvole (si veda in particolare il dipinto di Venere e Adone, versione National Gallery e versione Prado) sia sulle parole di Ovidio, che accosta le due figure in cielo (Callisto e Giunone) facendo esclamare in modo stizzito alla Dea: «Perché un’altra sta in cielo al posto mio!»,33 riferendosi alla costellazione dell’Ursa Major. Al tempo stesso l’idea di vedere una a fianco all’altra l’orsa (Ursa Major) e il suo guardiano (Bootes-Arcturus) è suggestiva e coerente con la narrazione visiva che Tiziano propone. Appurato così che entrambe le soluzioni sono potenzialmente valide a livello iconografico, quello che importa ora sottolineare è come tali particolari non sono meramente funzionali alla ‘visibilità aneddotica’ del racconto ovidiano ma sono invece da riconoscersi quali elementi di innesco di una vera e propria visione. Quest’ultima emerge gradualmente dal tessuto cromatico del cielo solamente dopo che lo sguardo-mente dell’osservatore è passato e si è soffermato sul punctum della composizione, facendosi da esso ‘pungere’ (turbare/emozionare) ed educare, imparando a riconoscere la potenzialità semiofora di alcuni particolari.34 Come già evidenziato per il velo/orsa anche i particolari di Giunone (o Arcade/Bootes) e dell’orAlessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 55 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 sa/costellazione in cielo vengono mal recepiti dalla copia di Rubens, che sembra accennare solamente al fulmine penetrato nella boscaglia, mentre nella versione di bottega (o copia) di Vienna l’intervento divino dal cielo viene semplificato alludendovi solo tramite un pallido arcobaleno. La traccia di un vago e informe bagliore in prossimità delle fronde più alte dell’albero sulla sinistra viene invece riprodotta nella copia del Prado. Sono infatti questi dettagli, quasi impercettibili, che, per il modo con cui vengono raffigurati e coordinati fra loro all’interno della composizione, permettono all’osservatore la ‘gradualità della scoperta’ (temporalità della fruizione) utile non solo per conferire all’immagine fissa una temporalità analoga a quella della narrazione letteraria, che è intrinsecamente costituita da un ‘prima’ e da un ‘dopo’, ma soprattutto per far vivere nell’atto stesso della scoperta visiva e nella sua successiva comprensione iconografica quella sequenza ‘desiderio-sorpresa-ricompensa’ teorizzata da Daniel Arasse riguardo alla potenza rivelatrice del dettaglio35 e qui declinata in seno alla polarità punctum/studium. Daniel Arasse, nel chiudere la Prefazione del suo saggio Il dettaglio. La pittura vista da vicino, cita l’espressione di Roland Barthes «il timido inizio del godimento» associandola allo stupore generato dalla sorpresa offerta dal dettaglio rivelatore scoperto dall’osservatore dell’opera, che di tale scoperta si compiace, recependola come una ricompensa gratificante per il suo lavoro critico- interpretativo.36 Nel metodo di Arasse si trova l’idea secondo cui attraverso una storia dell’arte ravvicinata il dipinto rivela l’intimità del suo pensiero, mostrandosi come vestigia di un pensiero in atto. Infatti, commenta Bertrand Rougé: «Car la peinture pense. Il faut donc ouvrir à la perception et à la jouissance lucide de la complexité intime du tableau».37 L’intimité picturale passa, per Arasse, dalla ‘singo- 35  Cf. Arasse 2007, 11-21. 36  Cf. Arasse 2007, 21. La citazione dal semiologo francese è tratta da Barthes 1979, 60. 37  Rougé 2006, 121. 38  Rougé 2006, 122; corsivo nell’originale. 39  Cf. Rougé 2006, 124. 40  Arasse 2009, 24. 41  Arasse 1999, 15. 42  È possibile in tale contesto argomentativo introdurre brevemente quanto sostiene Leonardo da Vinci a proposito della differenza fra l’‘imitare’ e il ‘copiare’ proprio in relazione alla raffigurazione di elementi informi che prendono forme riconoscibili. Il Vinciano ribadisce più volte l’intrinseca valenza intellettuale dell’‘imitare’ rispetto al ‘copiare’. La prima pratica non si esaurisce nella manualità e meccanicità di un gesto ma è un vero e proprio processo mentale caratteristico dell’arte intesa come forma di conoscenza creativa. «Il dipintore disputa e gareggia colla natura», scrive Leonardo in un taccuino databile al 1495 (cf. Pedretti 2004, 29) soprattutto quando «dalle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni», annota ancora il Maestro toscano nel capitolo 66 del Libro di pittura (Fiorio 2019). Per ‘cose confuse’ Leonardo intende proprio quelle forme naturali, quali, per esempio, le macchie sui muri, le nuvole, le pietre variegate, che stimolano la fantasia dell’artista che, a partire da tali forme, dalla loro attenta imitazione, ne immagina e ne inventa di nuove (cf. Pedretti 2004, in particolare 29-30, con bibliografia precedente). larità’ dell’opera «qui se donne au spectateur et lui donne accès, picturalement, à une expérience de l’intimité humaine figurée».38 Guardando da vicino i dipinti, cogliendone i particolari segreti, perché seminascosti, l’osservatore può entrare nell’intimità privata del pittore e dello stesso soggetto raffigurato: il secret du personnage, nel caso di ritratti particolarmente enigmatici, o il Mystère intime di Dio Padre, nel caso del tema dell’Annunciazione, soggetto prediletto dall’iconografia analitica arassiana. Non si tratta però nel presente studio di entrare nell’intimità del soggetto raffigurato o in quella del pittore che lo ha realizzato, rischiando una sorta di psicanalisi applicata all’opera e all’artista, ma si tratta di entrare nell’intimità stessa del rapporto fra forma e contenuto, di sviscerare quell’intelligence de la peinture che fa dell’opera in esame la risposta singolare a un problème artistique. Essendo ogni problema artistico un intreccio di questioni stilistiche, iconografiche, storico-culturali, anche l’opera che ne costituisce la singolare soluzione iconica riverbera su di sé e dentro di sé (nella sua intimità) l’intreccio di tali questioni. Per avervi accesso è necessario che lo storico dell’arte divenga anche un théoricien sensible – per continuare a usare la terminologia arassiana – in grado di condividere con l’osservatore l’inaccessible intimité dei quadri,39 approcciando «il pensiero che abita questi oggetti e dà loro ancora oggi la loro attualità»,40 la loro – scrive letteralmente Aras- se – «qualité de présence».41 Una ‘presenza qualitativa’ che le copie, anche le più pedisseque, non posseggono e che permette invece all’originale, che incarna tale ‘presenza’, di ‘pungere’ lo sguardo paziente dell’osservatore.42 Pazienza esercitata soprattutto nello stare a fronte, nel caso in esame, alla teatralizzazione sofisticatamente erotica della composizione dettata dalla ritmica disposizione di corpi femminili per lo più nudi, visti da 56 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Figura 8  Tiziano Vecellio, Diana e Callisto, dettaglio di Ursa Major e Bootes o Giunone. 1556-59. Olio su tela, 187 × 204,5 cm. London, The National Gallery and Edinburgh, The National Galleries of Scotland Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale Alessandro Rossi Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale 57 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 ogni possibile angolazione, che dissimula una ‘rete energetica’ costituita da quei dettagli che si incaricano di manifestare l’essenza metamorfica del mito ovidiano, venendo sapientemente distribuiti e coordinati dal pittore poietes. Pittore che al tempo stesso potrebbe, anche senza volerlo, disseminare nel dipinto dei particolari che potrebbero risultare ‘trappole per lo sguardo’.43 Si tratta di dettagli su cui alcuni esegeti del quadro hanno focalizzato la loro attenzione, ricavandone interessanti, quanto ardite, interpretazioni di matrice psicanalitico-freudiana, come è accaduto, per esempio, nei confronti dell’ombelico-macchia di Callisto.44 Contrariamente a quanto sostenuto da Augusto Gentili, convinto che Tiziano non abbia deliberatamente voluto raffigurare o alludere agli antecedenti o agli sviluppi della scena raffigurata in Diana e Callisto, soffermandosi sui momenti delle metamorfosi del racconto (Giove in Diana, Callisto in orsa, Callisto/orsa e Arcade in astri), perché ritenuti «conclusione sublimante in cui Tiziano, evidentemente, non crede più»,45 si può ribadire che, avviandosi alla conclusione, non solo tali metamorfosi sono state raffigurate dal Vecellio ma che il pittore le ha rappresentate in modo tale da evocare la mutevolezza in atto delle forme nell’immobilità di un’immagine pittorica attraverso il potere della ‘maschera’ ossia attraverso particolari discreti ed efficaci in grado di attivare nell’osservatore la dinamica punctum/studium.46 Funzione del punctum velo/orsa, e dell’apparato semiotico-visivo che lo sostiene, è quella di ‘rianimare’ l’iconografia stessa dell’episodio, entrando nei processi metamorfici del mito attraverso espe- 43  Cf. Arasse 2007, 361-83. 44  Cf. Zorach 1999, 263. 45  Gentili 1988, 195. 46  A sostenere quanto appena affermato è la sensibilità poetica di Ezra Pound che in Affirmations (1915) scrive: «L’innegabile tradizione della metamorfosi ci insegna che le cose non restano uguali a se stesse. Esse divengono altre cose attraverso un processo rapido e non analizzabile». L’unico modo per cogliere la metamorfosi, sostiene l’autore dei Cantos, è attraverso il potere della ‘maschera’ ossia del ‘simbolo adeguato’ (cf. Cantelmo Garufi 1978, 64, in cui viene riportata la frase di Pound sopra citata). ‘Adeguatezza del simbolo’ che nel presente saggio potrebbe assumere l’appellativo di ‘efficacia del dettaglio’. 47  L’intima e sostanziale complicità fra arte e mito è ribadita anche da Monica Centanni: «la forma artistica si trova in un rapporto privilegiato con la natura plastica, manipolabile, della materia mitica» (2017, 113). 48  In una lettera indirizzata a Filippo II datata 19 giugno 1559 Tiziano si riferisce al dipinto Diana e Callisto definendolo come poesia «di Calisto pregna di Giove spogliata al fonte per commandamento di Diana dalle sue ninfe». In un’altra lettera, sempre indirizzata al sovrano, datata 2 aprile 1561, Tiziano definisce il dipinto «la favola di Calisto». Nel ‘memoriale’ del 22 dicembre 1574, in cui il pittore elenca le sue opere, il dipinto viene ricordato come «Calisto graveda da Giove» (cf. Gentili 1988, 183, con bibliografia precedente). 49  Wind 1986, 91. dienti pittorici già insiti nel modus operandi dell’artista. Tiziano, in altre parole, ‘dinamizza’ nel caso specifico di Diana e Callisto un modello iconografico consolidato perché quello che conta non è ‘nascondere significati’ all’interno della composizione ma veicolarli in modo profondo ed efficace attraverso la sensualità delle forme e l’aderenza di esse all’essenza del mito.47 Ciò avviene conferendo al carattere aneddotico della narrazione mitica non un profilo didascalico ma ‘sapienziale’ che induce ad ‘assaporare’, a percepire cioè le immagini dipinte, e ogni dettaglio che le costituisce, come sensibili forme intelligenti, che allo sguardo e al pensiero dell’osservatore comunicano la possibilità di fare rivivere il contenuto dell’opera proprio attraverso la sua complice attività percettiva e cognitiva. Il tal senso il concetto di ‘assaporare’ l’opera ingloba e mischia in sé il godimento estetico e la comprensione teorica del manufatto artistico, associandosi anche alla definizione di ‘interpretazione’ concepita nel 1963 da Edgard Wind. Definizione che ci si augura di avere almeno in parte qui assecondato nei confronti della Favola di Callisto di Tizia- no.48 Scrive Wind: C’è una prova sola – e soltanto una – dell’importanza artistica di una data interpretazione: essa deve intensificare la nostra percezione dell’oggetto, e in questo modo accrescere il nostro piacere estetico. Se l’oggetto continua a presentare lo stesso aspetto di prima, salvo il fatto che ad esso è stata aggiunta un’ingombrante sovrastruttura, quella data interpretazione è inutile dal punto di vista estetico, per quanto grandi possano essere i suoi meriti storici o di altro tipo.49 58 Venezia Arti e-ISSN 2385-2720 n.s., 30, 2021, 41-58 Bibliografia Arasse, D. (1999). L’Annonciation italienne. Une histoire de perspective. Paris. Arasse, D. (2007). Il dettaglio. La pittura vista da vicino. Trad. di A. Pino. Milano. Trad. di: Le Détail. Pour une historie rapprochée de la peinture. Paris, [1992] 1996. Arasse, D. (2009). L’Annunciazione italiana. 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